«Tutto questo avrebbe dovuto e potuto estendere la protesta e renderla vincente, se il corpo sociale accademico fosse stato vivo. E invece è bastato che i Rettori -secondo il diverso stile di ciascuno- imponessero, consigliassero, raccomandassero, chiedessero, minacciassero, implorassero, per indurre la più parte dei docenti a rinunciare alla mobilitazione. Evento triste ma comprensibile, proprio in relazione alla forza che l’autorità esercita sullo spirito gregario presente in ogni membro di un corpo sociale. Si è visto dunque lo spettacolo, affascinante e drammatico, di una struttura collettiva pronta ad aiutare il boia nell’esecuzione della propria condanna a morte.  Attendo ora di vedere -come è stato promesso dagli Organi Dirigenti degli Atenei- le modalità ‘alternative’ con le quali si affermeranno le ragioni, i diritti, la dignità dei docenti italiani. Attendo l’azione dei Rettori a favore dell’Università tutta intera e non delle sole consorterie. Attendo i provvedimenti di sostegno ai nostri studenti, alla loro passione, alla loro ingenuità nello sperare in un’Italia diversa. Attendo primavere che non verranno mai, temo.»

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

La recente vicenda della Valutazione della Qualità della Ricerca nelle Università italiane [https://www.roars.it/dieci-cose-da-sapere-sullo-stopvqr-vademecum-per-obiettori-e-rettori-tristi/] ha confermato la capacità di condizionamento che l’autorità -in qualunque modo la si eserciti- possiede nei confronti dei corpi collettivi. La palese inadeguatezza tecnica di tale valutazione e la sua strumentalità funzionale al ridimensionamento dell’Università pubblica in Italia, si sono unite all’incomprensibile e grave discriminazione verso i docenti universitari. Essi sono infatti gli unici, all’interno delle categorie non contrattualizzate in regime di diritto pubblico, ad aver subito il blocco degli scatti stipendiali sino al 31 dicembre 2015 e il mancato riconoscimento ai fini giuridici del quadriennio 2011-2014. Il risultato è stata una mobilitazione molto ampia, inconsueta per la categoria, che ha coinvolto varie migliaia di docenti italiani. A tale mobilitazione il Ministero dell’Università e della Ricerca ha risposto con un silenzio totale e offensivo, come se nulla stesse accadendo.

Tutto questo avrebbe dovuto e potuto estendere la protesta e renderla vincente, se il corpo sociale accademico fosse stato vivo. E invece è bastato che i Rettori -secondo il diverso stile di ciascuno- imponessero, consigliassero, raccomandassero, chiedessero, minacciassero, implorassero, per indurre la più parte dei docenti a rinunciare alla mobilitazione. Evento triste ma comprensibile, proprio in relazione alla forza che l’autorità esercita sullo spirito gregario presente in ogni membro di un corpo sociale.

Si è visto dunque lo spettacolo, affascinante e drammatico, di una struttura collettiva pronta ad aiutare il boia nell’esecuzione della propria condanna a morte. Non mi riferisco ai numerosi soggetti indifferenti o disinformati ma a coloro che sapevano, che avevano espresso il proprio disagio in forma esplicita e pubblica -anche sottoscrivendo vari documenti- e che però alla fine hanno ceduto. Una simile dinamica è la conferma della giustezza e della necessità del dispositivo libertario, il quale non si fonda sull’illusione di uno spirito di autonomia presente in ogni membro della società ma sulla consapevolezza che di potere ce n’è sempre troppo e che esso va limitato quanto più possibile e in tutti i modi.

Di fronte a quanto accaduto nelle Università italiane in questi mesi e nella ultime settimane, credo sia doveroso rivalutare la memoria di quei 1200 docenti che nel 1931 obbedirono alla richiesta di giuramento di fedeltà al regime fascista: «I professori di ruolo e i professori incaricati nei Regi istituti d’istruzione superiore sono tenuti a prestare giuramento secondo la formula seguente: Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio di insegnante e adempire tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria e al Regime Fascista. Giuro che non appartengo né apparterrò ad associazioni o partiti, la cui attività non si concilii coi doveri del mio ufficio» (Articolo 18 del Regio Decreto n. 1227 del 28 agosto 1931, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 233, 8.10.1931).

La conseguenza per i renitenti al giuramento sarebbe stata la perdita delle cattedra e dunque del sostentamento, del pane. Nulla di tutto questo, naturalmente, per i renitenti alla Valutazione della Qualità della Ricerca. E tuttavia migliaia di docenti hanno obbedito. Una forma particolarmente significativa di tale obbedienza è consistita nel ribadire formalmente l’adesione alla protesta ma contemporaneamente autorizzare le strutture d’Ateneo a scegliere e prelevare le pubblicazioni da sottoporre a valutazione. Un ‘conferimento’ senza condizioni e attuato in prima persona sarebbe stato più sensato e più dignitoso rispetto a questa forma ipocrita e un poco gesuitica che vorrebbe garantire la coerenza di chi l’ha scelta e che invece ha come risultato la sconfitta di tutta l’Università.

Ci sarà modo e tempo per un’analisi approfondita dei risultati della VQR 2011-2014, del suo fallimento scientifico e politico prima che numerico [https://www.roars.it/la-protesta-e-fallita-la-vqr-e-morta/ ], degli altissimi rischi di contenzioso impliciti nella pratica del ‘conferimento forzoso’. Per quanto mi riguarda, intanto, credo di aver preso -non sottoponendo a questa valutazione nessuna delle mie pubblicazioni uscite nel quadriennio 2011/2014- la decisione più coerente con l’amore che nutro per l’Istituzione universitaria. Attendo ora di vedere -come è stato promesso dagli Organi Dirigenti degli Atenei- le modalità ‘alternative’ con le quali si affermeranno le ragioni, i diritti, la dignità dei docenti italiani. Attendo l’azione dei Rettori a favore dell’Università tutta intera e non delle sole consorterie. Attendo i provvedimenti di sostegno ai nostri studenti, alla loro passione, alla loro ingenuità nello sperare in un’Italia diversa. Attendo primavere che non verranno mai, temo.

Adesso ognuno si culli nelle proprie delusioni, nelle proprie speranze, nelle proprie sconfitte, nelle proprie illusioni. Io non nutro nessuno di questi sentimenti e cercherò di continuare a operare in favore della scienza e degli studenti che vedono sempre più cancellato il loro diritto allo studio, le loro prospettive di ricerca, il loro bisogno di giustizia e di futuro.

 

Alberto Giovanni Biuso

 Università di Catania

 

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14 Commenti

  1. Una analisi meritevole di plauso.
    Ancora una volta dal sud arriva una lezione di integrità morale ed etica.

    A parte una percentuale che ha agito in buona fede, dimenticando però che il sistema o si salva tutto o affonda tutto, e oltre allo spirito gregario, la paura, il menefreghismo, e le aspettative hanno fatto il resto. Purtroppo non abbiamo dato un buon quadro di noi stessi e le porte a ulteriori soprusi sono aperte. Chi è causa del suo male pianga se stesso.

    • Per andare dove dobbiamo andare, dove dobbiamo andare, è la domanda di Totò al ghisa milanese in Totò, Peppino e la malafemmena. La risposta in triestino sarebbe stata “a remengo”.
Io non appartengono a un corpo accademico, se mai a un copro, stante la posizione dei Conservatori tra color che son sospesi ma che egualmente subiscono la situazione che tu descrivi con appuntiti accenti, oh Alberto. Sono un po’ stupito della loro mancanza, della mancanza di rroarrs, nei tuoi commentatori quaggiù. Tutti un po’ blasé si direbbe, puntigliosi ma non puntuali. Forse non ti hanno capito. A parte ciò, osservo che lo stile dominante egemone del potere è per l’appunto il silenzio. Per potere intendo qualsiasi sua epifania, da quella direttoriale a quello dittatoriale, fino a quelle larvate del quotidiano, degli uffici pubblici, degli enti privati. Silenzio. Il silenzio è oggi il manganello soft touch del potere. È migliore, diciamo pure, meno invasivo e più sopportabile la conseguenza del golpe, ma egualmente violenta. Come l’ignoranza. Il silenzio dei docenti si può assimilare a quello degli indecenti che cumànnano. Io credo così. E mi associo, per quel che conta in questa sede, al tuo dire. 
Con osservanza, chiuderebbe un preside. Noi no.D’As

  2. Il post di Biuso è assai condivisibile. Ma io lascerei stare le analogie col fascismo. Non certo per giustificare chi si è ancora una volta piegato, ma perché, in assenza delle oggettive condizioni di violenza e repressione di allora, la condotta dei rettori e dei loro solerti passa-carte appare ancora più meschina e inspiegabile.

    Ora, chi ha protestato faccia almeno in modo che passato il santo non passi anche la festa…

  3. Convengo in buona parte con Alberto Biuso e penso che la VQR rientri in un più ampio repertorio di strumenti di tortura pseudo-mertito-burocratici, che mi sembra mortificare ogni reale slancio innovativo nel pensiero e nella ricerca. Ciò nondimeno, alla fine, con un certo rammarico, ho depositato i miei due prodotti sul letto di Procuste del Ministero. L’ho fatto non per spirito di piaggeria (peraltro, in assenza di moniti rettorali), ma perché lo sciopero non mi sembrava motivato da una chiara riflessione su VQR, ASN, malintesa meritocrazia e dintorni, quanto, piuttosto, da pur legittime rivendicazioni di natura stipendiale.

  4. Il boicottaggio della VQR non voleva essere niente di più che lo strumento di una legittima vertenza stipendiale. E allora? Infatti, nelle intenzioni sarebbe stato temporaneo, in attesa di un accoglimento delle richieste. Ma dato che il docente universitario – come i fatti hanno provato – tende a essere autolesionista se non privo di spina dorsale, si sono manifestate opinioni del tipo: “sì, la rivendicazione è giusta, ma non è questo il modo”; quali modi in alternativa? Nessuna risposta. Oppure: “VQR, ASN e ANVUR sono una boiata pazzesca, ma per contrastarle occorrono azioni più incisive”; quali da avere qualche probabilità di successo? Nessuna risposta plausibile data l’invocazione, lanciata così tanto per dire, circa attacchi contro l’intero sistema.
    Ma che la nostra dignità sia stata calpestata brucia a non più dell’8% dell’intero corpo docente nazionale.

    • Nella versione Ferraro: “Il boicottaggio della VQR non voleva essere niente di più che lo strumento di una legittima vertenza stipendiale.” Abbiamo spiegato a più riprese su Roars che sullo #stopvqr sono confluite almeno altre due linee di protesta, quella sulla “dignità del ruolo docente” (Mingione per intendersi) e quella che ha per obiettivo il blocco di una valutazione pseudo-scientifica (il che ha spinto molti di questi ultimi a non sottoscrivere documenti in cui si diceva che la VQR era in ostaggio temporaneo).
      https://www.roars.it/universita-la-battaglia-della-vqr-i-professori-divisi-sulla-valutazione/

      L’8% è una sottostima del numero di coloro che hanno protestato, come prova il caso di Firenze https://www.roars.it/rettore-firenze-impossibile-procedere-alla-valutazione-dati-anvur-non-sono-lo-specchio-della-reale-consistenza-dellastensione/

      Noi aspettiamo che i rettori, come quello di Firenze, diano i dati dei caricamenti “forzosi”.

    • VQR, ASN & C. sono evidentemente una boiata pazzesca e, in quest’ottica, il loro boicottaggio era un valido strumento. Nella versione “più visibile”, mi sembra che il discorso suonasse più o meno: “pretendono di valutare il nostro lavoro, di controllarne l’adeguatezza? Va bene, ma ci paghino adeguatamente e, quindi, sblocco degli stipendi”. Francamente, in questa forma, mi sembrava di calpestare la nostra dignità, chinandomi alla prosopopea della “cultura della valutazione” (gli scatti stipendiali vanno difesi, per carità, con altri strumenti). Anch’io ho sentito di qualcuno che aderiva con uno spirito differente, ma allora mi sembra pericoloso utilizzare uno stesso “segnale” per indicare qualcosa di diverso …

  5. Temo che, fermo restando la giustezza della protesta, la VQR sia in grado di convogliare solo un fronte di opposizione molto debole. Da un lato, come è stato notato, si tratta(va) soprattutto di una rivendicazione specifica contro il blocco stipendiale degli scatti. Dall’altro, non è una protesta “globale” come poteva esserla quella contro la legge Gelmini. Mi si risponderà che al momento non esistono molti altri sistemi di opposizione. E’ verissimo. Fermo restando che l’unica seria forma di contrasto sarebbe uno sciopero generalizzato della docenza nelle università pubbliche.

    • A giudicare dal livello di pressioni, a volte vere e proprie intimidazioni, una delle poche cose che si sono chiarite è che la VQR ha finito per impensierire i vertici accademici persino più di quanto non avessero inizialmente immaginato i promotori. Anche il fronte di protesta non doveva poi essere così debole se è dovuta entrare in azione l’artiglieria pesante (Scuola 24 che rilancia le voci della proroga negata, la “serrata” del CdA di Pisa, rettori che inventano percentuali nazionali, giornali locali che sparano a zero sugli obiettori calunniando l’ateneo come covo di fannulloni senza farsi scrupolo di distorcere i risultati della precedente VQR, caricamenti istituzionali su larga scala, …). Se si considera che nel 2010, gli associati e soprattutto gli ordinari erano rimasti a guardare potrebbe ben essere che questa protesta sia stata persino più globale. Infine, nonostante ci si ostini a ricondurla ad una rivendicazione contro il mancato recupero dell’anzianità giuridica, coll’andare del tempo la sua natura di protesta “sistemica” è andata rafforzandosi, come hanno colto bene i dottorandi dell’ADI di Pisa:

      https://www.roars.it/dottorandi-di-pisa-contro-cda-e-pro-stopvqr-occasione-irripetibile-per-ridiscutere-definanziamento-universita/

  6. Un quadro ancora più sconsolante di quello dipinto da Biuso è quello dei ricercatori del CNR. L’ente ha risolto il problema alla radice: i “prodotti” non dovevano nemmeno essere presentati da ciascun ricercatore, ma sono stati comunicati all’ANVUR sotto la visione e la responsabilità dei direttori degli Istituti. In questo caso siamo ancor peggio del 1931: non è stato nemmeno necessario assumere un provvedimento di legge alla luce del sole.
    Di fronte all’espropriazione del diritto individuale dei ricercatori del CNR, diritto almeno riconosciuto ai docenti universitari, non si è elevata alcuna voce di dissenso, né da parte di singoli, né dai sindacati che tanto attivi sono nella gestione quotidiana dell’ente. Non risulta poi che alcun ricercatore si sia dimesso o che sia stato licenziato – i tempi cambiano, non siamo mica nel Ventennio, ma in una profonda crisi, non soltanto economica, ma etica, politica,valoriale.
    Per quanto mi riguarda non ho aderito alla richiesta di Sergio Benedetto per conto dell’ANVUR di svolgere la funzione di revisore per la VQR (rinunciando, ahimé, ad un bel compenso lordo di 30 euro per valutazione!).

    • In realtà non è proprio così. Il CNR ha richiesto ai ricercatori di proporre i propri “prodotti” mediante un’apposita procedure del database interno “people”. I direttori hanno poi “accettato” quanto proposto dai ricercatori cercando di risolvere i “conflitti” articoli proposti da più ricercatori del medesimo istituto.
      Senza la “pre-selezione” dei ricercatori, i direttori di istituto non potevano comunicare ad ANVUR alcunché.

    • Insomma, la medesima procedura prevista per l’Università (dove i docenti propongono e il personale dello staff del rettore “accetta”).

  7. Aggiungo che, in base alla legge Madia, i pensionati (non solo pubblici ma anche privati) non possono essere pagati dalla pubblica amministrazione. https://www.roars.it/il-prezzo-della-disonesta-la-rottamazione-degli-esperti/. Quindi a me in ogni caso non entrava un euro in tasca, con sollievo per le casse dell’ANVUR. E’ verosimile che un numero non irrilevante di esperti non svolgerà dunque il compito di valutatore della VQR per … raggiunti limiti di età.

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