Qualche anno fa in Italia è scoppiato l’ennesimo scandalo. Alcuni grand commis dello stato, non contenti dei lauti stipendi, si sono messi in pensione ed il giorno dopo si sono fatti attribuire dalle proprie amministrazioni incarichi per continuare a svolgere, come consulenti ben retribuiti, le stesse funzioni di prima. In un paese normale i responsabili delle organizzazioni pubbliche avrebbero preso atto della situazione e si sarebbero semplicemente astenuti dall’affidare tali compiti ai propri ex colleghi. Ma non ce l’hanno fatta né ce la potevano fare: i grand commis, esercitando il potere della loro potentissima lobby, hanno opposto una strenua resistenza così che il parlamento è dovuto intervenire approvando una serie di leggi con l’intento di impedire il misfatto. Ciò la dice lunga sull’arroganza di chi detiene il potere, sulla fragilità del nostro sistema istituzionale e, più in generale, sulla nostra etica pubblica e privata. Comunque, tutto bene? No, perché la toppa è stata peggiore del buco: in questo modo una sequela di norme non ha semplicemente impedito che chi era uscito dalla porta rientrasse dalla finestra della stessa casa, ma ha esteso il divieto a tutti i pensionati che in quella casa non avevano mai messo piede, operando una indiscriminata rottamazione di esperti di cui il paese ha bisogno e che rappresentano un patrimonio prezioso. Insomma, invece di usare il bisturi, si è fatto ricorso al machete.
Veniamo ad un caso specifico. Il ministero dello Sviluppo economico da anni dispone di un “parco” di esperti a cui può attingere per la valutazione dei progetti di innovazione tecnologica. Nel rinnovare tale “parco” questa volta ha stabilito che «Per quanto riguarda i soggetti, già lavoratori privati e pubblici collocati in quiescenza, l’art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, come modificato dall’articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, fa espresso divieto alle pubbliche amministrazioni, come la scrivente, di attribuire loro incarichi di studio e di consulenza.» In termini non burocratici ciò significa che chi è in pensione ha perso il diritto di dare il proprio contributo di conoscenza alla collettività. Tale scelta legislativa, cercando di mettere la museruola agli arroganti e prendendo atto che chi deve prendere normali e oneste decisioni amministrative non è in grado di farlo, ha prodotto più danni di quelli che voleva evitare: vengono “puniti” gli ex lavoratori privati che nulla hanno a che fare con la pubblica amministrazione; si ignora il fatto che nel settore pubblico si va in pensione ad età diverse (negli enti pubblici di ricerca a 65 anni e all’università a 70) e che ogni persona ha una sua specifica storia (alcuni hanno avuto la possibilità di ritirarsi dal lavoro attivo prima dell’età pensionabile mentre i privati possono continuare a lavorare per un tempo indefinito non andando dunque mai in pensione). Come la mettiamo con un ricercatore pensionato che svolge la libera professione? E’ un libero professionista con la macchia di essere stato un dipendente pubblico? Questa disparità di trattamento, non basata né su ragioni di convenienza, né su criteri certi ed omogenei, rappresenta uno sfregio alla Costituzione che, all’Art. 3 recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.» All’Art. 4 stabilisce inoltre che «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.»
Rita Levi Montalcini ha avuto un incarico di consulenza dal CNR fino alla soglia dei 90 anni ottenendo risultati di grande valore per il paese e per la scienza universale. Ora non potrebbe più farlo, la legge lo vieta, verrebbe rottamata.
Come se non bastasse tutto questo, per l’iscrizione all’albo del ministero dello Sviluppo economico ora bisogna disporre della posta elettronica certificata ed esibire in tempi strettissimi ed impraticabili una dettagliata documentazione – inclusa la certificazione dei carichi pendenti; nel passato tutto era più semplice ed “umano”, come avrebbe detto Fantozzi. Se si considera che la remunerazione del lavoro di valutazione per il ministero è di modesto livello ed è gravata da un’imposta molto elevata, che il pagamento viene di norma effettuato con mesi e mesi di ritardo, che il sistema è defatigante e barocco e che, in virtù di una legislazione scellerata e incostituzionale, una quota di esperti che detengono preziose competenze non riproducibili viene tagliata fuori, ci si può aspettare che “il parco” degli esperti tenderà a ridursi drasticamente, con buona pace del tanto conclamato sviluppo economico basato sulla conoscenza. Ora risulta che gli esperti siano 491. Vedremo quanti saranno al termine dell’aggiornamento dell’albo. Se, come prevedibile, il numero sarà decisamente inferiore, significherà che in questo paese siamo pessimi dottori: per debellare la malattia di un organo (la “disonestà” dei grand commis) uccidiamo il paziente. Se l’etica pubblica e privata non farà un passo in avanti, se continueremo a basarci sulla sfiducia, annegheremo sommersi da stupide e controproducenti leggi.
Con tutto il rispetto per ottanta/novantenni ancora attivi, l’urgenza è quella di introdurre nelle carriere universitarie i giovani, ripristinando il ruolo di RTI. Un docente anziano gode già della pensione e ha modo di partecipare a lezioni, seminari e conferenze sulla base di inviti informali dei colleghi,senza passare per le tagliole tecno-burocratiche del neodispotismo.
Drammatica è invece la situazione delle nuove generazioni, gettate al macero da una classe politica davvero inqualificabile.
@indrani maitravaruni:
è quello che volevo dire io, concordo in pieno!!!
@Di Giorgio Sirilli:
ci sono precari che hanno un curriculum pari a quello degli ordinari (io per esempio ho 3 libri – stesso curriculum dell’ordinario medio-, settore giuridico, dove 3 libri sono un traguardo sicuramente da iper-strutturato),
che, tuttavia, sono disoccupati come me, per estinzione dei contratti,
e che hanno il vantaggio di essere giovani, sapere le lingue aver girato e sapersi muoverne nel mondo di oggi, al contrario di molti ordinari del mio settore (giuridico), che non hanno mai parlato una lingua straniera, che non si sanno muovere nel mondo e che, in molti casi, hanno scritto solo un libro.
In un paese che oscilla fra il terzo e il quarto mondo tutto è un tragico rottamaio. Schiavitù e sfruttamento regnano sovrani. Frustrazioni per chi ha speso una vita per formarsi sono all’ordine del giorno … i soliti furbetti emergono, ma chi è onesto non ha speranza nel far west
Difficile condividere questo contributo. Ma veramente pensiamo che in questo paese non ci siano quarantenni, cinquantenni, sessantenni, in grado di esercitare con esperienza attività di valutazione? Certo è che qualche esperto anziano, perfettamente in grado di fornire utili, anche notevoli, contributi potrà non essere cooptato e con ciò? Non credo ci si debba per questo strappare le vesti; pensiamo piuttosto ai giovani che non crescono come potrebbero, a categorie di ricercatori, professori associati ed ordinari che sono le più vecchie d’Europa. Con tutto il rispetto, l’ammirazione e la gratitudine per Rita Levi Montalcino arrivati ad una certa età ( e perché non tutti a sessantacinque anni, professori e magistrati compresi) ci si dovrebbe fare da parte lasciando ad altri compiti e responsabilità che permettano il necessario ricambio delle classi dirigenti del nostro Paese.
@tonymig
“… ci si dovrebbe fare da parte lasciando ad altri compiti e responsabilità che permettano il necessario ricambio delle classi dirigenti del nostro Paese”
No scusa, non dovrebbe essere così. In un paese normale, si dovrebbe fare spazio ai giovani con affianco i più esperti che li guidano.
Quando si inizia un nuovo campionato le squadre di calcio non rinnovano 11/11, ma si tengono i fuoriclasse, anche in panchina, magari, e comprano giovani brillanti … ma questo non è un paese normale …
Il CORRIERE DELLA SERA:
http://www.corriere.it/cronache/15_dicembre_30/universita-calano-matricole-declino-fermare-17ae7d06-aec6-11e5-8a3c-8d66a63abc42.shtml
ovviamente ieri, nel discorso di fine anno di Renzi, mille argomenti trattati, ma nessuno accenno all’università italiana……
Credo che le due estremità generazionali dei ceti medio-bassi siano oggetto di discriminazioni quasi inconcepibili in una società europea che si crede avanzata e moderna, sebbene ognuna delle due estremità sia discriminata in maniera molto diversa. Certamente è più drammatica quella dei giovani, che siano universitari o meno, i quali dovrebbero rappresentare inesorabilmente il futuro, ma che cosa possiamo immaginare come futuro a partire dal loro presente? E’ stata un mossa astuta e ipocrita colossale introdurre la terminologia rottamante e gufante, come se fosse la presenza della generazione anziana, se lavorativamente ancora attiva o utilizzabile, a impedire la riuscita di quella giovane. E mettendo uno contro l’altro nipoti e nonni, oppure figli e genitori. E non sembra che la generazione intermedia, a meno che non sia di ceto alto, stia molto meglio: in fondo parrebbe che costituisca una media aritmetica delle due generazioni estreme, con cui peraltro anagraficamente condivide le proprie estremità, confinando sia con i giovani sia con gli anziani. Questa visione biologica, dei giovani e degli anziani che si contendono l’osso, semplicemente non porta a nulla di costruttivo, e se guardiamo al nostro ‘ducetto’ (http://www.manifestosardo.org/il-ducetto-il-suo-portavoce-e-gli-ignavi/) iperattivo e sempre su di giri come se avesse ingoiato peperoncino piccante (al sua posto mi misurerei la pressione), guardiamo anche a chi lo affianca, sostiene e fa da eminenza più o meno grigia (da Verdini ex-berlusconiano fino a Boschi, passando per Padoan o Giannini ecc.): o non è che appartengono insieme con le loro famiglie a tutte le generazioni, importante che siano utili allo scopo? Quindi la rottamazione là non vale, è solo un lavaggio dei cervelli populistico verso il basso, ma soprattutto non costruisce nessuna opportunità speciale per i giovani ‘normali’ (cioè non ricchi e non appartenenti alla ‘casta’), li lascia agli sciacalli del mercato del lavoro selvaggio, li spinge nel precariato ad oltranza, li tiene sulla corda, gli guasta la giovinezza.
La strategia del ducetto è totalmente sbagliata, oltre che iniqua. Il mondo finora è andato avanti perché gli esseri umani hanno verificato che la collaborazione, e non la competizione esasperata, è la strategia vincente; vediamo ogni giorno gli sfracelli prodotti dal sistema neo liberale messo recentemente alla gogna anche da papa Francesco. http://www.almanacco.cnr.it/reader/?MIval=cw_usr_view_articolo.html&id_articolo=6875&id_rub=47&giornale=6830
La rottamazione produce un annullamento di parte del capitale umano accumulato dalle singole persone e dalla società nel suo complesso. La rozza ideologia del ducetto è basata sull’assunto che “uno è uguale a uno”, e ricalca quella ripresa genialmente da Grillo per le sue campagne populiste. Nel caso in questione, e cioè quello degli esperti dell’innovazione, ma non solo in questo, ogni individuo ha competenze singolari, spesso uniche, non riproducibili: non siamo mica di fronte alla catena di montaggio dell’operaio-massa di “Tempi moderni”. Dunque l’emarginazione dell’anziano non produce alcun beneficio per il giovane; al contrario è una perdita secca per tutti.
Ma il ducetto non proviene dalle file degli scout? Lì vige il criterio della collaborazione e del sostegno reciproco, non quello della lotta esasperata tra persone. Forse il gruppo della meritoria organizzazione a cui partecipava lui, decisamente fuori norma, era quello immortalato da George Bernard Show: “Gli scout sono dei bambini vestiti da cretini, guidati da cretini vestiti da bambini”.
Di seguito riporto il messaggio di un “rottamato” dall’albo degli esperti in innovazione tecnologica.
“Dei miei circa 66 anni, escludendo l’istruzione avuta fino ai 18, ne ho trascorsi 48 tra Università, come discente e come docente, Amministrazione Militare e Industria, in taluni periodi anche contemporaneamente. Ho lavorato, credo di aver imparato qualcosa, ho raggiunto accettabili traguardi professionali, anche e soprattutto perché in questo percorso, sono state investite risorse: da me stesso, dallo Stato, tramite l’Università, tramite il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dal Ministero dello Sviluppo Economico, dalle Aziende per le quali ho lavorato, dalla UE.
Sono attualmente in regime di pensione, spero di completare la mia esistenza in dignitosa serenità economica. E allora, con riferimento ai criteri di inammissibilità [all’albo degli esperti in innovazione tecnologica] mi chiedo: ma davvero lo Stato non vuole più utilizzare gli investimenti fatti (cioè pagati) per costruire, mantenere e potenziare le mie competenze? Personalmente, non ho necessità di una retribuzione, che sarebbe per giunta gravata anche da oneri riflessi, fatto salvo il rimborso di eventuali spese da sostenere per poter dare (direi restituire) allo Stato la mia parte di esperienza, naturalmente se riconosciuta utile. Mi riesce difficile pensare che il nostro Sistema Paese non abbia bisogno di supporto per: l’Istruzione a vari livelli; la Pianificazione Strategica e la Realizzazione dei Servizi Pubblici; le Aziende impegnate o da coinvolgere nei progetti della UE; il tutoring di Società Start-up; la diffusione dell’uso di Tecnologie Emergenti; il superamento del Digital Divide; lo sviluppo dei rapporti industriali e commerciali con altri Stati, in Europa o nel mondo; i trasferimenti tecnologici. In conclusione, se venisse attuato il filtraggio conseguente ai nuovi criteri di ammissibilità: in termini personali vedrei sconfessato il mio tuttora persistente desiderio di rimanere intellettualmente attivo, finché possibile, ma questo sarebbe solo un fatto soggettivo; in termini di utilità generale sarebbe gravissimo perdere un asset di esperienze capaci invece di favorire e ricreare possibilità di sviluppo e di lavoro per i più Giovani. Purtroppo non sarebbe il primo caso di una disposizione ingiusta e discriminante, più dannosa che utile.”
Di fronte all’assurdità del citato bando del ministero, alcuni dei rottamati dell’albo si sono attivati e stanno predisponendo una lettera al ministro dello Sviluppo economico in cui chiedono di istituire un albo in cui re-inserire i pensionati disponibili a lavorare gratis per valutare i progetti – molto meglio della passeggiata ai giardinetti. Forse in quell’occasione si potrebbe chiedere alla ministra Guidi se nelle sue aziende esclude a priori di avvalersi di ex dipendenti pensionati, pratica ampiamente utilizzata nel sistema produttivo, e se dunque non faccia due pesi e due misure tra privato e pubblico.
Ultima notazione anvuriana. Nelle linee guida del ministero è previsto che “Gli incarichi vengono assegnati in maniera automatica, attraverso selezione casuale effettuata con uno specifico software, tra i nominativi di Esperti in possesso dei requisiti professionali (Settori prioritari, Ambiti applicativi, Tecnologie abilitanti fondamentali) richiesti per ogni singola selezione.” Dunque il ministero segue il criterio del “governo minimo”, ovvero “una forma di governabilità che tende ad abdicare al ruolo e alle responsabilità della politica …, per affidarsi invece alla guida di ‘piloti automatici’ ed a istanze di controllo tecnico e amministrativo.” https://www.roars.it/limpatto-della-valutazione-sulluniversita-rottamare-lanvur/. In altri termini la burocrazia ministeriale, per evitare di assumersi responsabilità e di essere oggetto di critiche, lascia alla “bibliometria” il compito di scegliere tra gli esperti, in maniera “oggettiva” (sic!), senza peritarsi di assumere ulteriori elementi di giudizio per valutare se il candidato sia veramente la persona giusta per quel particolare progetto. Uno degli aspetti positivi della discriminazione automatica dei pensionati è che, lasciando fuori i vecchi, si evita di dover verificare se sono ancora nel pieno possesso delle proprie capacità intellettive, possesso garantito invece per coloro che non sono ancora in pensione – ma il diavolo ci ha messo la coda: ci sono pensionati di 65 anni (esclusi) e professori universitari in servizio fino ai 70 anni (inclusi)!