Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Ecco che sull’eterna questione meridionale si poggia il progetto di un’università di eccellenza ora anche nel Sud.
Si segnala, dal programma per la bonifica dell’ex area industriale ITALSIDER di Bagnoli a Napoli, la proposta di un “HUB Ricerca” avanzata dal Commissario straordinario di Governo e da Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa), in qualità di soggetto attuatore, nell’ambito delle politiche che il governo Renzi vorrebbe portare avanti per l’area di Bagnoli.
Lo stesso Presidente del Consiglio, con la sua presenza a Napoli, alla cabina di regia su Bagnoli il 6 aprile scorso, ha partecipato alla presentazione di Invitalia del programma di risanamento ambientale e di rigenerazione urbana, mostrando già dalla decisione del commissariamento e in questi ultimi due mesi di campagna elettorale tutto il suo interesse nei piani per Bagnoli.
Si tratta del progetto per un polo della ricerca e dell’innovazione fondato sul mito dell’internazionalizzazione, alimentato da capitali pubblici e privati e asservito alla logica dell’aziendalizzazione dell’università. Una research university con le caratteristiche distintive di un processo di natura neoliberista, quelle caratteristiche che nell’università dell’Italia meridionale non sono state mai decisamente dominanti e che ora si vogliono imporre sotto la spinta dell’attualità della questione meridionale.
Tale approccio passa per un accordo con il Rettorato della Università Federico II e, come leggiamo dal programma, prevede di collocare nell’ex area ITALSIDER:
un campus universitario di livello e richiamo internazionale, specializzato nelle aree tematiche della ricerca tecnologica e dell’innovazione e che a sua volta potrebbe essere catalizzatore per le industrie del settore.
Occorre premettere che in tutto il Mezzogiorno manca, al giorno d’oggi, un’università di eccellenza, di livello internazionale; questo mentre recentemente esperienze di successo sono sorte invece nel Centro-Nord, università pubbliche ma con l’apporto decisivo dei privati e delle istituzioni locali (l’IMT di Lucca, il Collegio Carlo Alberto di Torino), che si sono affiancate agli altri centri di qualità già presenti.
Negli ultimi decenni università di grande richiamo internazionale si sono affermate anche in paesi del contesto europeo e mediterraneo a noi vicini, generalmente pubbliche (il caso di maggior successo è certamente l’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona).
A fronte di tutto ciò, la realtà partenopea, e più in generale l’interno Mezzogiorno d’Italia, sono rimasti privi di università di richiamo internazionale e hanno visto il loro sistema di formazione avanzata progressivamente declinare – in parallelo, non casuale, con le difficoltà del sistema produttivo – sia in termini di risultati scientifici, sia in termini di appeal nazionale e soprattutto globale: ad esempio per quel che attiene alla capacità di attrarre studenti, come pure finanziamenti per la ricerca.
Se queste sono le condizioni di partenza, è evidente che la nascita di una università di eccellenza potrebbe avere non solo effetti immediati sulla riqualificazione del territorio e la tenuta del sistema produttivo, ma anche ricadute di immagine a lungo termine, non solo per Bagnoli ma per l’insieme del tessuto economico-sociale della regione.
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Nel caso di Bagnoli, si pensa ad una università internazionale inizialmente di dimensioni leggere, rivolta a corsi di master e dottorato e focalizzata nella ricerca, da mettere in campo in partnership con le istituzioni locali (Comune e Regione; Camere di commercio e Confindustria, fondazioni bancarie), ma soprattutto in sinergia con le università pubbliche sul modello del Carlo Alberto di Torino.
Oltre che scelto fra i migliori studiosi delle università partenopee, il personale docente dovrà essere integrato con visiting professors e studiosi strutturati reclutati con criteri internazionali, di nuovo come nel caso del Collegio Carlo Alberto. Le aree di studio dovranno integrarsi con quelle attorno a cui organizzare la nuova vocazione di Bagnoli: biotecnologie e agro-alimentare; economia ambientale e sviluppo sostenibile; informatica e telecomunicazioni; eventualmente una quarta area più umanistica, sul modello della specializzazione tecnologie e management dei beni culturali dell’IMT di Lucca.
L’università dovrà quindi avere una forte vocazione verso le discipline scientifiche, con alcuni innesti provenienti dalle scienze sociali (soprattutto nel campo dello sviluppo sostenibile e dell’economia della cultura). Negli anni, l’esperienza di alta formazione così avviata potrà acquisire una base più ampia, anche estendendo l’offerta docente verso le lauree magistrali e poi di base.
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Tale approccio passa per un accordo con il Rettorato della Università Federico II, insieme al quale individuare più nello specifico le aree tematiche di ricerca che possono essere destinate alla formazione del Campus universitario da collocare all’interno del Parco, nonché le competenze da destinarvi.
È questa la conferma chiarissima e la conseguenza diretta della volontà politica di creare in Italia la distinzione tra researching university e teaching university, università di serie A e università di serie B.
Un progetto che è ben lungi dal risolvere i problemi dell’università di Napoli e del Sud. È evidente che, invece di promuovere la qualità media, si punta a ridurre ai minimi termini l’università pubblica, cosicché l’università della cultura, nel Nord e nel Sud, ceda il campo all’università dell’eccellenza e, ancora una volta, “il vantato progresso non sarà altro che regresso”.
Giovanni Pugliano (UniParthenope).
Solo trent’anni fa la ricerca bio medica dell’ universita’ di napoli non aveva rivali in Italia e forse in europa, per qualita’ dei prodotti scientifici ed internazionalizzazione. Cos’e’ cambiato? Il mondo produttivo si e’ dimostrato incapace di cogliere la sfida, l’investimento pubblico per il sud e’ crollato, son venute a mancare alcune storiche figure di riferimento nel mondo accademico, la legge gelmini e le politiche nazionali hanno fatto il resto. Secondo voi basta una decreto governativo che sancisce l’eccellenza, perche’ questa sia effettivamente tale?
La politica dell’eccellenza è la politica dell’oasi.
Il deserto intorno, se non c’è, lo crea l’oasi, lo si crea per l’oasi, per concentrare le risorse nell’oasi.
Poche oasi e niente in mezzo.
… e da questo niente spunteranno i giovani sottoistruiti che accetteranno stipendi da fame e pensioni-miraggio. Tout se tient!
Cultura diffusa significa scarso controllo. Molto più redditizio finanziare pochi enti che stampano robottini cretini artificiali
State tranquilli ragazzi, che mai di buono volete che esca da una “partnership con le istituzioni locali (Comune e Regione; Camere di commercio e Confindustria, fondazioni bancarie”, nonché da una “individuazione delle aree tematiche” fatta dai vertici della Federico II, una delle università più clientelari della terra? Tutto resterà deprimentemente egualitario come ora. Per frequentare le “research university” i figli dei ricchi del Sud dovranno continuare ad andare all’estero, mentre ai poveri del Sud resteranno le attuali università “generaliste” di Roccacannuccia.
Negli ultimi decenni tutte le aree forti del mondo – e dell’Europa, dell’Italia – hanno sviluppato al loro interno delle università di eccellenza, ovviamente internazionalizzate (specie se su materie scientifiche). Non mi sembra si possa negare l’importanza che un’università di eccellenza avrebbe per Napoli… (forse anche per la sua immagine: si pensi al caso di Barcellona). Inoltre, l’esperienza di Barcellona insegna che la presenza di università di eccellenza può innescare un processo virtuoso anche per le altre università del territorio: e questo sarebbe sicuramente un bene, per Napoli e per il Mezzogiorno e per il loro sistema universitario.
Inoltre nella proposta si dice chiaramente che il progetto dovrà partire dal confronto con le università già presenti e dalla valorizzazione delle eccellenze che già ci sono sul territorio; si dice anche che l’eventuale polo di eccellenza, che partirà necessariamente piccolo, potendo auspicabilmente si estenderà anche verso l’insegnamento nelle lauree di base. Alla luce di quello che è scritto nella proposta, le critiche mosse dall’autore del post mi paiono un tantino premature, o dal sapore ideologico.
Temo che si voglia fare a tutti i costi polemica politica, anche dove motivo di polemica non c’è.
In una situazione in cui l’università nel Meridione è lasciata precipitare in caduta libera (mi correggo: non libera, accelerata), si propone come pozione miracolosa lo sviluppo di un polo di eccellenza. Ingenuità ideologica o spudorata retorica? Chi abbia una minima conoscenza di come funzionano le università e di quali siano i numeri italiani (finanziamento, personale,produttività, tagli recenti) capisce benissimo che è velleitario (e dannoso) promuovere centri di eccellenza mentre tutto intorno inaridisce il contesto formativo e di ricerca. Per chi volesse controllare qualche numero e capire le controindicazioni della “retorica delle isole eccellenti”, consiglio le seguenti letture:
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https://www.roars.it/g-viesti-universita-del-mezzogiorno-a-rischio-estinzione-vi-spiego-perche/
http://www.universityworldnews.com/article.php?story=20110729142059135
A me pare che creare un certo di eccellenza a Bagnoli voglia dire, in concreto, tornare a investire nel sistema universitario meridionale. Forse anche farlo nella maniera giusta, cercando di premiare il merito
Ma sì cerchiamo di essere concreti: ignoriamo qualsiasi fatto e dato sul sistema universitario e beviamoci ancora le parole magiche eccellenza e merito. Anzi, un inno alla concretezza: ci penserà il governo Renzi e i suoi illustri ministri a “tornare a investire nel sistema universitario meridionale”. Amen.
Al Sud la percentuale di laureati è da tempo inferiore a quella della Turchia (dall’anno scorso anche quella italiana è scesa al di sotto della Turchia):



“Il ritardo del meridione italiano è più che evidente. Se fosse una nazione autonoma, la sua percentuale di laureati (18,2%) sarebbe inferiore a quella della Turchia (19,5%).”
https://www.roars.it/laureati-italia-ultima-in-europa-il-meridione-peggio-della-turchia/
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Se premiare il merito vuol dire condannare alla marginalità la popolazione di un’intera regione del paese, mi permetterei di dubitare che questa sia la “maniera giusta” di procedere.
epperò, così si conferma l’impressione che l’ostilità al progetto derivi non tanto dal progetto in sé, quanto dall’ostilità nei confronti di Renzi e del suo governo.
In sintesi: vi opponete alla creazione di una nuova sede universitaria nel Mezzogiorno – di cui non si sa ancora molto, se non che dovrebbe essere orientata all’eccellenza e all’internazionalizzazione – con l’argomento che nel Sud la percentuale di laureati è inferiore alla Turchia… e sostenendo che tanto il governo Renzi non farà mai nulla per l’università.
Va bene, allora aspettiamo il prossimo governo…
Peraltro sul problema sollevato sono perfettamente d’accordo: l’Italia è agli ultimi posti fra i paesi avanzati per percentuale di laureati, è un problema drammatico, ne parlo anch’io nei miei studi (in prospettiva storica). Ma proprio per questo: se si destinano risorse extra per l’Università, cercando di cogliere l’occasione della bonifica di Bagnoli (un’area dove prima l’università non c’era), perché criticare a prescindere il progetto?
“sostenendo che tanto il governo Renzi non farà mai nulla per l’università.”



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No, non siamo certo noi a sostenere che la maggioranza e il governo non facciano nulla. Qualcosa fanno, il problema è cosa:
https://www.roars.it/lultimo-schiaffo-agli-atenei-del-sud/
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“se si destinano risorse extra per l’Università, cercando di cogliere l’occasione della bonifica di Bagnoli, (un’area dove prima l’università non c’era), perché criticare a prescindere il progetto?
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Non si tatta di risorse extra, dato che sono di gran lunga inferiori a quello che è stato tagliato. Quando si smantella il sistema complessivo, restituire una piccola parte del maltolto destinandolo a un centro di eccellenza è un modo (classico) per confondere l’opinione pubblica: si occulta la strategia di lungo periodo facendo credere che si stanno facendo lungimiranti e mirabolanti investimenti. Naturalmente, nella ricetta propagandistica non può mancare la dose di denigrazione per l’istituzione che è stata strangolata:
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“… privi di università di richiamo internazionale e hanno visto il loro sistema di formazione avanzata progressivamente declinare […] sia in termini di risultati scientifici, sia in termini di appeal nazionale e soprattutto globale: ad esempio per quel che attiene alla capacità di attrarre studenti, come pure finanziamenti per la ricerca”
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Chi scrive questi ritornelli non conosce nemmeno le statistiche dei finanziamenti, altrimenti si renderebbe conto di quanto sia beffardo imputare la scarsa capacità di attrarre finanziamenti al sistema universitario italiano, vittima di un disinvestimento che ha pochi paragoni in tutta l’OCSE.
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Per non dire delle statistiche sulla produttività scientifica che sono ugualmente ignote agli scrittori di ritornelli propagandistici.
“Va bene, allora aspettiamo il prossimo governo…” ma no mangiamoci le caramelle e mettiamoci le pietrine colorate in testa.
La mia intenzione è stata di esprimere proprio una contrapposizione ideologica, come d’altronde è ideologica la scelta di una pseudosoluzione fondata sui principi di eccellenza, valutazione e merito. Del resto la partita che si sta giocando ha obiettivi ben diversi dalla risoluzione dei reali problemi dell’università. È con questi presupposti che ritengo sia necessario opporsi al progetto di Invitalia su un hub di ricerca nell’area di Bagnoli e soprattutto che ciò non sia affatto prematuro. E dopo sì che ci rimarrebbero soltanto le polemiche! Come recita un antico proverbio napoletano: “A Santa Chiara, dopp’arrubbato, facetteno ‘e pporte ‘e fiérro”, nel ricordo dell’installazione dei portali bronzei alla basilica di Santa Chiara, avvenuta soltanto dopo un furto di notevole entità consumato all’interno.