«Le spedisco un documento firmato da 150 personalità scientifiche a livello internazionale per protestare lo scandalo dell’esclusione di tutti gli ordinari del mio settore (escluso il sottoscritto, passato chissà perché…) dalla possibilità di essere commissari. Naturalmente questo è accaduto perché i nostri lavori sono per lo più libri e contributi in libro i quali non sono indicizzati da ISI e Scopus» (lettera del 20/09/2012) Sei anni fa, di questi giorni, Giorgio Israel denunciava il fatto evidente che imporre criteri bibliometrici a un settore, come la Storia della matematica, che le basi dati commerciali non considerano equivaleva alla scomparsa del suddetto settore. Il tutto è avvenuto nel giro di pochi anni e il colpo finale con il recente decreto ministeriale delle soglie per l’ASN.. Si tratta di un’operazione pura e semplice di distruzione: i lavori da valutare ci sono e come, ma certamente questi lavori (libri, capitoli di opere collettive, edizioni di materiali di archivio, articoli pubblicati in riviste di storia della scienza o in riviste di settori confinanti ) pubblicati in Italia e all’estero e in varie lingue non sono presenti nelle basi dati che dominano ora, come minacciose ombre, la nostra vita accademica italiana. ANVUR lavora pazientemente sul logorio delle forze, sullo sforzo che richiede seguire il dipanarsi della sua ragnatela, sulla distruzione del tessuto umano dovuto ai godimenti inconfessabili per la triste sorte dei colleghi o gruppi colpiti. Sono convinta, come lo era Giorgio Israel,che questa ubriacatura bibliometrica passerà, anche se avrà lasciato molte vittime e molte macerie. Solo dalla politica può arrivare un intervento per minimizzare i danni di questi anni.
Tra i danni collaterali che l’ANVUR sta producendo nella università italiana, si trova la scomparsa di alcune discipline forse di nicchia, certamente estranee alla tecnoscienza. I primi effetti devastanti sono stati sentiti nella storia del pensiero economico, e segue a ruota la storia della matematica, di cui sono cultrice, e quindi lo dico subito perché sono parte in causa.
Per decenni quasi tutti gli storici della matematica italiani formavano parte di uno dei settori della matematica (MAT/04), Matematiche complementari. Nel futuro non ce ne saranno più, e questo implicherà che non ci saranno i loro insegnamenti nei corsi di laurea in matematica o in scienze. Il tutto è avvenuto nel giro di pochi anni e il colpo finale con il recente decreto ministeriale delle soglie per l’ASN.
Infatti, se alla valutazione dei loro lavori si applicano criteri bibliometrici, tali lavori non esistono. Gli storici hanno tentato – vanamente – di difendersi.
Sei anni fa, di questi giorni, Giorgio Israel scriveva in un email (con un po’ di autoironia) dello scandalo della storia della matematica:
Le spedisco un documento firmato da 150 personalità scientifiche a livello internazionale per protestare lo scandalo dell’esclusione di tutti gli ordinari del mio settore (escluso il sottoscritto, passato chissà perché…) dalla possibilità di essere commissari. Naturalmente questo è accaduto perché i nostri lavori sono per lo più libri e contributi in libro i quali non sono indicizzati da ISI e Scopus.
Tutti questi colleghi hanno fatto ricorso contro la decisione dell’Anvur. (lettera del 20/09/2012)
Il documento che egli menziona, intitolato Pro Veritate. Gli studi italiani di storia delle matematiche minacciati, denunciava il fatto evidente che imporre criteri bibliometrici a un settore che le basi dati commerciali non considerano equivaleva alla scomparsa del suddetto settore.
Poiché i documenti, i post e gli articoli non contano nulla con l’ANVUR, che ignora quella componente della vita democratica che è la vita pubblica, ci fu poi un ricorso al TAR di tutti gli ordinari di storia della matematica in servizio allora. Quindi si ottenne un risultato, parziale: i professori ordinari non entrarono in commissione, ma le soglie per i candidati non escludevano nessuno, e le valutazioni furono affidate appunto al giudizio della commissione, che adoperò criteri accademici. Alle volte ci si dimentica che in Italia si valutava eccome prima dell’Anvur; anzi si valutava con cura anche nell’Ottocento, incredibile!
Sembrava una vittoria, è stata effimera.
Nel DM sulle soglie ASN del luglio 2016, ecco che rispuntano i criteri bibliometrici; e nonostante i tentativi degli storici di ottenere una marcia indietro, essi sono confermati e aumentati nel DM dello scorso agosto. Gli storici della matematica (tranne qualcuno passato chissà perché, come Giorgio Israel nel 2012) saranno esclusi, candidati e commissari, perché il loro lavoro è “invisibile” per l’ANVUR. Peggio: come gesto di “comprensione” e di “condiscendenza” si pongono criteri comunque bassissimi, aumentando così l’umiliazione: “neanche così gli storici raggiungono le soglie, ci deve essere qualcosa che non va, è uno studio obsoleto, stantio”.
Si tratta di un’operazione pura e semplice di distruzione: i lavori da valutare ci sono e come, ma certamente questi lavori (libri, capitoli di opere collettive, edizioni di materiali di archivio, articoli pubblicati in riviste di storia della scienza o in riviste di settori confinanti quali, che so, Pedagogica Historica) pubblicati in Italia e all’estero e in varie lingue non sono presenti nelle basi dati che dominano ora, come minacciose ombre, la nostra vita accademica italiana. Ahimè, gli storici della matematica si fregiano di pubblicare anche nella propria lingua e nel proprio paese, ma come, in tempi di internazionalizzazione! Ebbene sì, signore e signori dell’Anvur, la tensione nazionale-internalizzazione è proprio una delle tensioni soggiacente lo sviluppo della scienza in età contemporanea che gli storici hanno studiato a fondo e continuano a studiare.
Forse la storia delle scienze (l’economia, la matematica, la fisica e così via) può sembrare una disciplina di nicchia. La cultura, tuttavia, è come la capriata della chiesa di San Giuseppe di Falegnami al Foro Romano, crollata pochi giorni fa. Lavora per secoli, la capriata, ha scritto Francesco Scoppola analizzando le ragioni statiche del crollo:
tutte le sue parti sono essenziali e di nessuna si può fare a meno senza compromettere l’equilibrio di insieme.
Ma di tutto ciò a lor signori (e signore) dell’ANVUR importa poco. Ci vorrebbero ricorsi, o solidarietà culturale da parte della comunità matematica, che non c’è. Sono passati solo sei anni dal 2012, ma i giochi sono fatti, perché non ci sono più le forze per resistere. Il tempo passa e le cose si dimenticano: ANVUR lavora pazientemente sul logorio delle forze, sullo sforzo che richiede seguire il dipanarsi della sua ragnatela, sul tempo che richiede, soprattutto, rubato allo studio, alla ricerca e all’insegnamento, sulla distruzione del tessuto umano dovuto ai godimenti inconfessabili per la triste sorte dei colleghi o gruppi colpiti.
Forse i lettori di Roars vorranno sentirsi raccontare, seppure brevemente, le ragioni della storia della scienza, e della sua presenza non circoscritta ai dipartimenti di filosofia, bensì anche accanto agli scienziati, nei dipartimenti di matematica, di scienze, di medicina e di economia. A cavallo del 1900, quando la scienza europea era in una fase di creazione distruttrice, affascinante e vertiginosa, celebri scienziati hanno rivendicato la storia: uno per tutti Henri Poincaré e, in Italia, Federigo Enriques. E ciò anche in chiave pedagogica: la storia offre ai giovani scienziati in formazione – e ciò e vero oggi più che mai – un ancoraggio umano, piccolo ma insostituibile contributo.
Cinquant’anni e due guerre dopo, ancora la storia della scienza fu la scommessa di singoli paesi – come gli Stati Uniti, che dopo lo shock del lancio dello Sputnik da parte dell’Unione Sovietica, lanciarono un massiccio programma di borse di studio di storia della scienza. E la scommessa di singoli scienziati, giovani altamente specializzati ma lettori avidi di Thomas Kuhn o Paul Feyerabend, i quali – in epoca di controcultura e movimenti giovanili – abbandonarono il laboratorio e le lavagne per lanciarsi sui manoscritti e i musei, a studiare quelle discipline che stavano trasformando il mondo: cercavano di dare un contributo a mantenerle nell’alveo degli studi umanistici (come dicevano gli antichi), per opporsi alla spaccatura fra lettere e scienze e ai rischi della tecnoscienza per la società democratica.
Sono convinta, come lo era Giorgio Israel (egli era uno di quei giovani), che questa ubriacatura bibliometrica passerà, anche se avrà lasciato molte vittime e molte macerie. Solo dalla politica può arrivare un intervento per minimizzare i danni di questi anni.
La vicenda della storia della matematica fa parte di un fenomeno più ampio. Anvur ha accentuato in modo radicale la spaccatura tra “lettere” e “scienze”: la bibliometria fa male a tutti, e in primo luogo alle scienze naturali, all’economia e tutte le scienze matematizzate. In Italia, la culla dell’umanesimo, rivendicato dai grandi scienziati del Rinascimento, le scienze “bibliometrizzate” si allontanano sempre di più dall’alveo umanistico. In prospettiva, ciò renderà ancora più acuto l’allontanamento di ragazze e ragazzi dalla matematica e dalle “scienze dure”.
La politica non esiste in questo momento in Italia, né amore per la cultura. Il grido di allarme, perciò, non produce alcun risultato. Ci dovremo contare noi che non cerchiamo a tutti i costi danaro e potere, ma vogliamo solo fare in pace e onestamente il nostro lavoro e seguire la nostra passione. Se fossimo un po’ più di due, forse avremo qualche possibilità di successo.
Gli organigrammi sono stati stravolti: non sempre sono stati i migliori ad avanzare di grado. Scandalizziamoci e poi chiediamo che si blocchi ASN, ANVUR e si riconosca il lavoro di decenni, non solo con vile pecunia (ma neanche quello ci voglion dare.)
L’ANVUR ha affidato agli Storici della Scienza del futuro un importante compito: spiegare come l’ubriacatura per la “meritocrazia tramite algoritmo” abbia potuto distruggere nell’arco di poco tempo intere discipline di studio…
“Niente di nuovo, nella sostanza. Molto prima del 2016, nelle università italiane (copiando da quel che succedeva altrove) hanno iniziato a restringere l’area didattica delle cosiddette lingue ‘minori’. A cosa serve conoscere il greco moderno, il romeno, l’ungherese, il ceco ecc.? E’ evidente che queste discipline non possono essere seguite dalla stessa quantità di studenti che seguono inglese o spagnolo e per la stessa durata che poi produca anche tesi di laurea. E quindi questi docenti sarebbero improduttivi. E così non si hanno né si avranno specialisti che possano seguire la stampa in quelle lingue, che possano far capire ai giovani quanto d’interessante e di speciale si è prodotto in quelle culture, e anche più semplicemente, anche solo, quanto siano interessanti in sé quelle lingue. Fino verso gli anni ’80 nell’ambito della filologia (e linguistica) romanza imparare qualcosa di romeno era un must. Ora ci sono soltanto stupratori e assassini, di quella lingua. http://people.unica.it/mlorinczi/files/2008/08/stupratori.pdf.
La mancanza di rispetto verso la storia della scienza si inserisce in una tradizione patria consolidata. Come ricordato sopra, questa disciplina rivestiva un ruolo centrale nel progetto culturale neo-positivista, a cui Federigo Enriques aspirava per la nostra nazione (chi non l’avesse fatto, legga il suo saggio “Problemi della scienza” (1906) e ne capira’ la lungimiranza). La realizzazione di questo progetto fu impossibile a causa della durissima opposizione di Croce e Gentile, che porto’ allo scontro e alla sconfitta dell’Enriques nel 1911. Queste circostanze aprirono le porte alla marginalizzazione della scienza dalla vita culturale italiana, che a mio avviso perdura, e alla riforma di scuola e universita’ di matrice neo-idealistica del 1923, che nelle linee essenziali e’ tuttora in auge.
I Professori Ordinari citati in questo articolo hanno lavorato per anni. Ex post il sistema decreta che il loro lavoro non conta niente. Non gli viene negata la possibilità di partecipare alle commissioni, ma molto di più: si certifica che il loro lavoro non li rende ‘degni’ di ‘benedire’ nuovi professori. E’ un fatto che viola, credo, tutte le leggi di base del nostro ordinamento e tutte le istanze di libertà contemplate in ogni carta internazionale. Dovrebbero sospendere la didattica ed attuare ogni forma di protesta consentita e non consentita (escluse le forme violente, naturalmente, che comunque sarebbero giustificate). Soprattutto tutto il corpo docente (tutti noi) dovrebbe affiancarli nella protesta. Ma questo fa parte del mondo dei sogni.