Il giustificato entusiasmo per il successo dell’esperimento che ha “trovato” il  cosiddetto “bosone di Higgs” ha fatto dimenticare una domanda che dovrebbe essere naturale in questi tempi di “spending review” : quanto è costato all’Europa e all’Italia questo esperimento? La risposta non è facile, ma ci porterebbe probabilmente ad un costo totale che supera il mezzo miliardo di euro, senza contare i costi  (almeno sei miliardi di euro) della costruzione del “Large Hadron Collider” (LHC), l’acceleratore di particelle in cui si è svolto l’esperimento. Sono soldi mal spesi? Tutt’altro. Questo ed altri esperimenti, resi possibili dall’acceleratore di Ginevra, sono certamente utili alle conoscenze teoriche, ma inoltre, richiedendo una strumentazione di altissimo livello tecnologico, hanno anche una ricaduta diretta sul potenziale industriale in Europa e in Italia.

Non si può tacere tuttavia che la crescita esponenziale dei costi di esperimenti di questa portata ha condotto gli Stati Uniti a rinunciare una ventina di anni fa a costruire quello che doveva essere un competitore dell’acceleratore di Ginevra. Il progetto di costruire nel Texas un “Superconducting Super Collider” (SSC) fu definitivamente bocciato nel 1993 dal Governo e dal Congresso americano.

Gli europei sono andati invece avanti con un progetto solo un po’ meno costoso. E’ improbabile, tuttavia, che la corsa a sempre più costosi esperimenti continui indefinitamente. La rinuncia americana a competere con esperimenti di questa natura comporterà certamente un ridimensionamento dei progetti europei. E’ infatti ancora la scienza americana che guida la scienza mondiale, e negli Stati Uniti si è già verificata una lenta ma costante riconversione dai problemi connessi alle alte energie a problemi riguardanti la struttura della materia. Persino la distribuzione dei premi Nobel per la Fisica, ha testimoniato la nuova attenzione ai problemi della Fisica della Materia.

Bisogna dire che anche in Italia c’è stata una crescente attenzione ai problemi della Fisica della Materia, che inizia ben prima del 1993. Fino agli anni sessanta l’Italia, pur godendo di una posizione di primo piano nella Fisica Nucleare, aveva trascurato la Fisica della Materia. Fu la lungimiranza di Edoardo Amaldi e di altri fisici delle alte energie a rendere possibile la crescita della Fisica della Materia in Italia. Subito dopo la costituzione ed il consolidamento dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) come ente di ricerca dotato di autonomo finanziamento sul bilancio del Ministero della Pubblica Istruzione, il Comitato per la Fisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) decise di concentrare sulla Fisica della Materia tutti i finanziamenti che non facevano capo allo INFN. Fu creato allora uno strumento di coordinamento interno al CNR   denominato Gruppo Nazionale di Struttura della Materia (GNSM) che raccoglieva le strutture di ricerca in Fisica interne al CNR e i docenti universitari, crescenti in numero, che si occupavano di Fisica della Materia. A partire dal 1980 anche le risorse provenienti dal Ministero dell’Istruzione attraverso il Comitato Consultivo per la Fisica del Consiglio Universitario Nazionale (creato appunto dal DPR 382 del 1980) furono concentrate nella Fisica della Materia.

Il Gruppo di Struttura della Materia (GNSM) non ebbe tuttavia vita facile all’interno del CNR.  Negli anni settanta e ottanta i sindacati dei ricercatori interni al CNR conducevano una battaglia contro la presenza dei docenti universitari nelle strutture di ricerca e nei Comitato Nazionali di consulenza, nell’illusione che, cacciati i professori universitari, potessero essere i ricercatori del CNR, e non i designati dal mondo politico,  ad assumere la direzione scientifica del CNR.  I “Gruppi” in particolare, compreso il GNSM furono avversati in quanto prevedevano la partecipazione organica alle ricerche di docenti universitari. Una interpretazione  avvalorata dai vertici amministrativi del CNR, e successivamente sconfessata dal Consiglio di Stato, prevedeva addirittura la soppressione dei gruppi di ricerca. Diveniva quindi impossibile il coordinamento delle ricerche che, invece, all’interno dello INFN garantiva tempi certi per le decisioni di merito sui finanziamenti e per l’effettiva erogazione dei fondi.

 

I fisici della materia decisero allora di promuovere, sul modello dello INFN, un Istituto Nazionale di Fisica della Materia (INFM) che avrebbe dovuto raccogliere tutte le strutture di ricerca interessate alla Fisica della Materia e tutti i fisici che si occupavano di queste ricerche, compresi naturalmente i docenti universitari che ne costituivano la maggioranza. Lo INFM vide la luce nel 1994, ufficialmente durante il primo governo Berlusconi, ma sulla base di un lavoro preparatorio che fu svolto durante il governo Ciampi (Ministro della Ricerca Scientifica Umberto Colombo). Come per la fisica nucleare si prevedeva così un’unica fonte di finanziamento, direttamente gestita dalla comunità degli scienziati.

Fu certamente compiuto allora un passo avanti importante nella organizzazione della ricerca scientifica e nella efficiente distribuzione delle risorse. Ma questo passo si rivelò incompleto. Prima di tutto non fu superata l’opposizione dei sindacati interni al CNR che riuscirono a bloccare il trasferimento allo INFM delle strutture di ricerca interne al CNR. In secondo luogo non si ebbe il coraggio di completare il disegno razionale che, a parere di chi scrive, avrebbe dovuto portare ad un unico istituto di fisica (togliendo una N allo INFN, come si disse allora). L’unificazione dei due istituti avrebbe reso più facile lo spostamento di risorse finanziarie, ma soprattutto umane, dalla fisica delle alte energie alla fisica della materia, seguendo l’evoluzione della scienza internazionale.

Nel 2003 il Governo (secondo governo Berlusconi, Ministro dell’Istruzione Università e Ricerca, Letizia Moratti), fu proposta una riorganizzazione degli enti di ricerca che, inizialmente, prevedeva l’accorpamento allo INFM delle strutture di ricerca per la fisica della materia che erano rimaste all’interno del CNR. Si manifestò ancora una volta l’opposizione dei sindacati ricerca del CNR, che, utilizzando anche una lacerante divisione interna della comunità dei fisici della materia, riuscirono paradossalmente ad ottenere che fosse il CNR ad assorbire lo INFM. Ma mentre quest’ultimo istituto era stato disegnato per ospitare assieme docenti universitari e ricercatori non appartenenti alle università, il CNR , con l’effettiva abolizione dei “Gruppi di Ricerca” non era più in grado di accogliere centinaia di docenti universitari che, a pieno titolo, appartenevano allo INFM. Fu così necessario prevedere un’altra istituzione denominata Consorzio Interuniversitario per le Scienze Fisiche della Materia, per ospitare i docenti universitari. Il Consorzio collaborava con il CNR come previsto da una “convenzione”. Insomma la supposta “semplificazione” ottenuta accorpando lo INFM al CNR, generava invece una complessa e difficilmente gestibile duplicazione.

Più o meno nello stesso periodo fu creato anche l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), che ebbe anch’esso il compito di finanziare ricerche di fisica della materia, sottraendosi a qualsiasi coordinamento nazionale.

Si è tornati così alla situazione di mancato coordinamento e di incertezza sui tempi di assegnazione delle risorse che avevano portato alla costituzione dello INFM. In altre parole, in mancanza di un coordinamento nazionale delle diverse ricerche, si è dato luogo ad  una dispersione delle risorse, costringendo i ricercatori ad inseguire finanziamenti incerti per gli stessi progetti, con inevitabili duplicazioni di sforzi e di interventi.

Nel 2006 (secondo Governo Prodi, Ministro dell’Istruzione e della Ricerca Mussi) sembrò che si potesse tornare indietro sull’improvvida decisione del 2003. Ma il governo cadde prima che la promessa fatta dal Ministro nel corso di un’audizione alla Camera del luglio 2006, di restituire autonomia allo INFM potesse essere mantenuta. Si è restati così nella situazione di confusione e duplicazioni originati dall’intervento del 2003.

Siamo ora alla “spending review”  per gli enti di ricerca. Dovrebbe essere chiaro che per risparmiare soldi nella ricerca è necessario che il ricercatore disponga di fondi pur limitati ma certi (dopo una veloce e trasparente valutazione di merito) e che questo si può ottenere attraverso il tipo di coordinamento esercitato da istituti come lo INFN e come era lo INFM.

Per concludere il primo passo di una seria “spending review” per la ricerca in Fisica dovrebbe essere quello di proporre una unificazione di tutte le ricerche in Fisica in un unico Istituto Nazionale di Fisica, con vertici scientifici espressi dalla comunità scientifica dei fisici. Anche i finanziamenti alla fisica attualmente amministrati dallo IIT (a discrezione dei vertici scientifici di questo istituto) dovrebbero, a rigore, confluire nell’Istituto Nazionale di Fisica.

Non dobbiamo dimenticare che finanziamenti diretti o indiretti alla Fisica ed Astrofisica rappresentano oltre la metà dei finanziamenti pubblici alle scienze di base. La posta in gioco è quindi certamente non trascurabile.

Se tuttavia il Governo non è ancora in grado di promuovere un passo così ampio (togliere cioè un N allo INFN) dovrebbe quanto meno essere ripristinata l’autonomia dello INFM e dovrebbe essere rivisto il ruolo dello IIT nel finanziamento della Fisica della Materia.

Si dà il caso che il Ministro competente per gli enti di ricerca ed il Vice Ministro dell’Economia siano rispettivamente un ex presidente del CNR ed un ex presidente dello IIT. Ambedue hanno quindi eccezionali competenze per intervenire su questi problemi.

 

(Una versione più breve di questo articolo  è stata pubblicata su Il Messaggero l’otto luglio)

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8 Commenti

  1. sulla difficile coabitazione di universitari e ricercatori CNR in varie strutture ci sarebbe molto da dire: personalmente trovo un poco stucchevole questo scontro continuo tra scienziati per briciole di potere mentre le decisioni reali sulla ricerca e sui finanziamenti vengono prese in altre sedi – come ricercatore CNR potrei citare l’ultimo esempio della composizione dei panel della VQR come esempio dei rapporti non proprio idilliaci tra universitari e CNR….
    mi ricordo ancora l’affermazione per cui l’accorpamento dell’INFM nel CNR equivaleva a mettere del barolo in una botte di vino di scarsa qualità…

    Personalmente trovo che l’idea di creare una struttura per la Fisica in quanto tale, per quanto vantaggiosa in termini di agilità e rappresentatività scientifica, comporti qualche rischio relativamente ad una divisione disciplinare che non mi sembra in linea con gli ultimi sviluppi delle strutture scientifiche internazionali….

    Infine sulle competenze del fresco nuovo Ministro dell’Economia ho qualche riserva, proprio in relazione alla vicenda IIT, creato al di fuori della vigilanza MIUR, ma direttamente controllata dal Ministero dell’Economia.
    Questo stesso IIT è finanziato direttamente e abbondantemente del Ministero stesso, e (sarà un caso?) anche questa volta è stato risparmiato dalla scure della “spending review”

    http://www.lettera43.it/cronaca/spending-review-tutti-i-tagli-alla-ricerca_4367557116.htm

    • E’ dagli anni sessanta che il mondo politico, inizialmente per il tramite dei sindacati, ha utilizzato le divisioni tra le varie “fasce” di docenti e tra docenti e ricercatori per mortificare l’autonomia della scienza e della cultura. I sindacati hanno fatto da padroni all’ENEA, e c’è stato anche un tentativo di esportare al CNR il modello ENEA (ad esempio attraverso la presidenza Pistella). Furono i sindacati a far fallire (attraverso il cosiddetto emendamento Labriola alla legge di istituzione del Ministero dell’università e della ricerca) il progetto di Ruberti di unificare gli stati giuridici dei docenti e dei ricercatori degli enti pubblici di ricerca. Io sono convinto che si debba lavorare per riaffermare e consolidare la coesione delle comunità scientifiche e che la costituzione di grandi istituti nazionali possa servire anche a questo scopo. In prospettiva penso che si possa anche ritornare al progetto Ruberti di unificazione degli stati giuridici.

  2. Anche io giudico questa ricostruzione dei rapporti CNR-Università piuttosto lacunosa. Resta il fatto che il CNR è al terzo tentativo riordino in 10 anni, e sicuramente la costituzione di istituti nazionali, o almeno di enti limitati a discipline più affini, come il Max Planck sarebbe più efficace. Ma la gran parte della dirigenza e degli organi del CNR da riformare, responsabili del suo mal funzionamento, come sempre persistono e vengono premiati in qualle riformato.
    Come osservazione a latere vorrei far notare come lessicalmente “review” si traduca propriamente con “rassegna” o “analisi”, in quanto è un’azione che non prevede interventi sull’oggetto, come invece inteso da “revisione”. Come al solito siamo nel 1984 di Orwell, dove il nero ci viene propinasto per bianco e dobbiamo dire che ci crediamo.

    • Il mio articolo non si proponeva una ricostruzione non lacunosa dei rapporti CNR-Università, ma solo di fornire qualche informazione “storica” in merito ad una proposta concreta: l’istituzione di un unico istituto nazionale di fisica. Non propongo nemmeno che questo esempio sia seguito, per il momento, da tutte le aree disciplinari.

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