“Se la bibliometria è una sorta di male necessario nell’epoca della big science e della iper-specializzazione dei profili professionali, conviene allora promuoverne una conoscenza e una pratica il più possibile approfondite, in linea con gli standard e le migliori esperienze internazionali, ma al tempo stesso critiche, in linea con lo status di scienza sociale (e non di scienza esatta o matematica applicata) che le compete”

Ed è esattamente all’interno di questi due punti, una descrizione tecnica approfondita ed aggiornatissima degli indicatori bibliometrici e delle metodiche che concorrono alla loro costruzione e uno sguardo scettico e distaccato sul loro significato, interpretazione e applicazione, che si sviluppa la trama del libro di Nicola De Bellis: Introduzione alla bibliometria: dalla teoria alla pratica, pubblicato dall’AIB nello scorso mese di maggio. Un testo che chiunque si avvicini alle tematiche della valutazione quantitativa della ricerca dovrebbe leggere. Una sistematizzazione dello stato dell’arte in questo ambito di cui si sentiva la mancanza nel nostro Paese. L’autore, più noto all’estero che in Italia, cerca (riuscendoci molto bene) di parlare di bibliometria in termini pratici a chi non se ne occupa o se ne occupa solo occasionalmente (o se ne occupa malamente), facendo chiarezza sui principi fondamentali di questa scienza, sui suoi confini anche rispetto a discipline affini, sui criteri, sugli indicatori, sul modo di condurre praticamente una analisi bibliometrica nel rispetto degli standard internazionali e sulla lettura consapevole dei risultati. Dopo una analisi storica e dei presupposti teorici della bibliometria, vengono descritti i principali strumenti di indicizzazione (WOS, Scopus, Google Scholar), sottolineandone pregi e difetti, i principali indicatori utilizzati (IF, SNIP, SJR, EF, AI, H-index e i suoi derivati) e come vengono costruiti. Viene posta particolare cura nella spiegazione di concetti quali “ripulire” un database, disambiguare i dati o normalizzare, delle diverse modalità di normalizzazione e del perché alcuni indici grezzi non possono essere utilizzati senza essere stati prima normalizzati. Certamente la bibliometria non trova lo stesso tipo di applicazione a tutte le aree della scienza, in particolare si sottolineano i limiti e le potenzialità della bibliometria nelle aree delle scienze umane e sociali, con un accenno alle nuove frontiere e sfide rappresentate dalle metriche alternative (altmetrics) e in generale dagli indicatori d’uso.

Non è una impresa banale quella dell’autore. Gli ultimi anni hanno visto una crescita di interesse per la valutazione della ricerca e per la bibliometria come strumento atto a fornire velocemente risposte ai decisori (e finanziatori) istituzionali a tutti i livelli. E così sono stati in molti a cimentarsi con la bibliometria, ma molto pochi farlo in maniera scientifica, mossi dall’idea che comunque il numero (comunque ottenuto) sarebbe stato garante di oggettività e imparzialità, ed espressione della qualità e del prestigio o dell’impatto degli oggetti valutati (pubblicazioni, autori, gruppi, istituzioni, riviste). I risultati sono passati sotto gli occhi di tutti – spesso li abbiamo descritti in queste pagine – negli esercizi più fantasiosi svolti a livello di singole istituzioni o in quelli a livello nazionale. Ne è emersa una immagine falsata della disciplina; ormai qualsiasi ricercatore che abbia un accesso ai database bibliometrici commerciali (o peggio ancora a Google Scholar) e conosca le basi della statistica, si sente autorizzato a costruire modelli, formulare ipotesi e teorie. Quasi la bibliometria non fosse una disciplina come le altre, quasi non avesse una propria storia, quasi non esistessero diverse correnti e scuole al suo interno, regole e standard e linee guida a livello internazionale. Pochissimi si sono ad esempio resi conto che

“Gli indicatori bibliometrici non sono strumenti neutrali di osservazione: modificano la realtà osservata e possono adattarsi agli usi più svariati a seconda degli interessi in campo”

o ancora che

“Gli indicatori bibliometrici possono fornire un’arma retorica micidiale per legittimare decisioni politiche già prese sulla base di criteri che non hanno nulla a che vedere con l’equità di giudizio”.

Il volume di De Bellis merita una lettura più che attenta, sia da parte di chi fa analisi bibliometriche, che da parte di chi le utilizza, avendo sempre bene in mente tutti i caveat connessi.

“Gli oggetti della bibliometria non sono palline che rotolano su un piano inclinato né particelle subatomiche o segnali elettrici. La loro identità è socialmente (e psicologicamente) determinata, ma torna comodo fare finta che non lo sia perché è più facile scrivere articoli e libri su argomenti controversi quando si hanno dati di partenza certi (le pubblicazioni e le citazioni), un metodo collaudato per farli parlare (la matematica) e un pubblico ben disposto di burocrati/ amministratori ai quali dare in pasto i risultati: “dopo tutto la vita si osserva con maggior vantaggio da una finestra sola”.[citaz. da Il grande Gatsby]

 

 

[Tutte le citazioni sono tratte dal volume: Nicola De Bellis, Introduzione alla bibliometria: dalla teoria alla pratica, AIB, 2014.]

 

 

 

 

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