SirilliCONACYT

Che ruolo affidare alla valutazione nelle politiche scientifiche e tecnologiche? La politica scientifica in Italia e oltre: numeri, risultati e confronti internazionali. L’onda neoconservatrice degli anni ’80: dalle tre “E” della Thatcher al “mostro di Frankestein” del RAE/REF. E l’onda neoconservatrice italiana. Dalle “migliori scarpe” di Berlusconi ai tagli e all’ANVUR: una agenzia troppo burocratica e potente che gioca un ruolo politico? L’altra faccia della valutazione: il difficile equilibrio tra ricerca dell’eccellenza, equità e diversità. Troppa valutazione fa male? Questi gli argomenti toccati  nell’intervento di Giorgio Sirilli (CERIS-CNR, ROARS) a Città del Messico nel Seminar on evaluation of STI policies organizzato dal Consejo Nacional de Ciencia y Tecnología messicano. Video e slides.

Science &Technology policy in Italy:  The role of evaluation

CONACYT (Consejo Nacional de Ciencia y Tecnología )
Seminar on evaluation of STI policies
Mexico City, June 19, 2014

 

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55 Commenti

  1. https://www.youtube.com/watch?v=aS1esgRV4Rc

    il problema è che tantissimi precari, con un curriculum molte volte superiore a quello di tanti ric. a tempo indeterminato (che sono entrati fino a 2-3 anni fa con 2 prove scritte ed orali),

    non possono “contribuire con un verso”, non possono contribuire e basta!

    mentre molti ric. a tempo ind. poltriscono all’interno il sistema

    ci sono anche ric. a tempo ind. che si danno da fare, ma l’università, purtroppo, è una P.A, e nella P.A. se ti vuoi spaccare la schiena lo puoi fare e se ti vuoi girare i pollici lo puoi fare lo stesso.

    “You may contribute a verse”, come nel film (ovviamente il discorso è generale e va esteso a tutte le discipline)

    non in Italia, where I’m not allowed.

    • Ho qualche dubbio che il modo migliore dii promuovere la (sacrosanta) causa dei precari sia sparare nel mucchio contro i ricercatori a tempo indeterminato senza portare riscontri, soprattutto in un contesto di dismissione motivata dalla convinzione (non esente da pregiudizi) che l’università fa poco e serve a poco.

    • Che ci sia qualche RTI, PA, e pure qualche PO (non so se in eta’ da pensione o meno) fantasma, mi pare abbastanza evidente. La recente VQR, con tutti i suoi limiti, sia chiaro, rispetto agli obiettivi che voleva raggiungere, pur non rendendo pubblici i dati individuali ha pero’ messo in evidenza come ci siano SSD in cui sono stati presentati meno dei prodotti richiesti o prodotti non valutabili. Che ci sia qualcuno che gira i pollici non e’ quindi una sorpresa. Personalmente ne conosco un paio che ne hanno presentati zero (e sono ancora molto lontani dalla pensione). Zero per gli ultimi dieci anni. Certo sono una minoranza, ma quanti vengono ‘puniti’ per questo? Mi pare nessuno. C’e’ poi chi riceve gli studenti una volta al mese (e non tutti i mesi), che sospende i ricevimenti a giugno e li riprende a settembre, che non partecipa alle sessioni di laurea perche’ non ha tesisti, che e’ assente (giustificato, per l’amor del cielo) ai consigli di dipartimento, che non partecipa alle numerose commissioni che in questi ultimi anni si sono moltiplicate per diverse ragioni, che sospende e non sempre recupera le lezioni, che viene in Universita’ una volta ogni tanto, che pretende di avere tutte le lezioni il martedi’ e il mercoledi’ , cosi’ anche quando e’ nel periodo delle lezioni puo’ fare la settimana corta. Sono solo io che li vedo? Allora che fare? Certo si tratta anche quindi casi isolati, ma se non vogliamo che certa stampa o certe teste d’uovo facciano di tutta un’erba un fascio, forse sarebbe il caso di cominciare a fare un po’ d’ordine partendo dall’interno.

    • ” se non vogliamo che certa stampa o certe teste d’uovo facciano di tutta un’erba un fascio, forse sarebbe il caso di cominciare a fare un po’ d’ordine partendo dall’interno.”
      _______________________
      Smettiamo di finanziare la sanità e gli ospedali fino a quando la casta dei medici non avrà fatto un po’ di ordine dall’interno. L’uso della tecnica del “riflettore” (per una spiegazione rimando all’ottimo intervento di Moretti: «L’ordinario a fine carriera che non ha mai scritto una riga in vita sua», https://www.roars.it/lordinario-a-fine-carriera-che-non-ha-mai-scritto-una-riga-in-vita-sua-lintervento-di-mauro-moretti-al-secondo-convegno-roars/) è un artificio classico (e “general purpose”) per giustificare scelte strategiche finalizzate in realtà al downsizing. Non sono ovviamente in grado di fornire le statistiche sul rispetto degli orari di ricevimento, ma quelle sugli inattivi della VQR sono note. Per avere un’idea delle percentuali di ricercatori inattivi, basta esaminare la percentuale di prodotti mancanti nella VQR. Dato che alcuni valutati potrebbero aver presentato uno o due lavori, gli universitari completamente inattivi sono meno del 5,3% secondo un documento ANVUR del 5 luglio 2012 (vedi https://www.roars.it/vqr-i-prodotti-presentati-sfiorano-il-95-del-tetto-massimo-sono-pochi-o-sono-tanti/) oppure meno del 5,1% secondo il Rapporto finale VQR (Tabella 2.5, http://www.anvur.org/rapporto/files/VQR2004-2010_Tabelle_parteprima.pdf).

    • Rispondo al video.

      Il film “l’attimo fuggente” mi ha sempre dato molto fastidio.

      Non c’era nessun motivo di “ribellarsi” al sistema, anzi. E le conseguenze sono state tragiche: nel film un giovane si e’ suicidato. E che bisogno c’era di salire tutti sopra i banchi nella scena finale? Non e’ una forma di grande maleducazione nei confronti del nuovo docente?

      Trovo molto pericoloso che ci sia “troppa complicita’” tra docente e studenti. Un conto e’ essere gentile e disponibile, un altro e’ “essere amico”.

    • Per fortuna, adesso è anche morto Robin Williams e in circolazione c’è un attore in meno capace di interpretare personaggi di questo tipo.

    • “Deve essere l’acqua del Ticino…”
      ___________________
      Un’antica credenza dice che chi la beve comprenda più facilmente le battute, soprattutto i paradossi.

    • De Nicolao: mi riferivo proprio a quella tabella: cominciamo a vedere cosa c’e’ dentro quel 5.3% di prodotti mancanti. Oppure aspettiamo l’intervento di qualche illustre accademico sulla stampa nazionale? Le risorse mancano, ma proprio per questo non conviene forse fare anche una sana autocritica?

    • “cominciamo a vedere cosa c’e’ dentro quel 5.3% di prodotti mancanti”
      _________________________
      Sì, credo che vadano letti e analizzati attentamente, riga per riga, per capire cosa c’è dentro ;-)

    • Il messaggio non è però la ribellione fine a se stessa, ma una ribellione responsabile. L’invito è quello ad essere liberi pensatori e ad assecondare il più possibile le proprie passioni e le proprie vere inclinazioni. I propri sogni. Neil si uccide quando qualcun altro ha deciso che i suoi sogni non valgono nulla, imponendogli una scelta che non gli appartiene.
      In fin dei conti Steve Jobs, nel suo famoso discorso ai neolaureati di Stanford, ha detto cose del tutto simili. You’ve got to find what you love. Your time is limited, so don’t waste it living someone else’s life. Stay hungry. Stay foolish.
      http://youtu.be/rjgEXWVOH8Q

  2. @Giuseppe De Nicolao:
    non volevo offendere i ric. a tempo ind., molti lavorano sodo.

    come ho sopra specificato, “ci sono anche ric. a tempo ind. che si danno da fare, ma l’università, purtroppo, è una P.A, e nella P.A. se ti vuoi spaccare la schiena lo puoi fare e se ti vuoi girare i pollici lo puoi fare lo stesso”.

    ho preso ad esempio i ric. a tempo ind. perché il loro curriculum è simile a quello dei precari, essendo le posizioni vicine.

    è innegabile che molti ric. ind., avendo vissuto di rendita (in quanto non costretti a pubblicare, lo stipendio non è mai mancato), hanno curricula inferiori a quelli di molti precari, che, invece, si stanno dannando l’anima per aggiungere pubblicazioni a pubblicazioni e non arrivare mai.
    Ha capito quello che intendevo dire?
    Comunque mi scuso ancora e spero si passato il messaggio

    • “non volevo offendere i ric. a tempo ind., molti lavorano sodo.”

      “è innegabile che molti ric. ind., avendo vissuto di rendita (in quanto non costretti a pubblicare, lo stipendio non è mai mancato)”

      Da queste affermazioni sembra che i problemi si risolvano dando la caccia ai “molti ric. ind.” che hanno “vissuto di rendita”. L’opinione pubblica è stata educata a pensare che hanno vissuto di rendita non solo i ricercatori ma anche i professori (e dal punto di vista statistico abbiamo mostrato mille volte che i dati smentiscono il mito di una larga improduttività dell’università) ma è stata pure educata a pensare che la soluzione è quella di dare un bel taglio ad un comparto parassitario e sovradimensionato (e, di nuovo, Roars ha mostrato fino alla noia che non è così). Da queste due premesse vedo solo lacrime e sangue per i precari e mi sembra paradossale che qualcuno di loro alimenti (senza dati) la prima parte della narrazione senza rendersi conto che, accoppiata con la seconda, uccide anche le loro ultime speranze.
      Dopo di che, i dati sono i dati. Se avessimo evidenza che i ricercatori a tempo indeterminato italiani hanno preoccupanti percentuali di inattività o di scarsa produttività (per es. in termini comparativi a livello internazionale), bisognerebbe analizzare il dato e interpretarlo. Ma non mi sembra che sia questa la situazione.

  3. Grazie per questa presentazione fatta in modo anche simpatico. Se mi ricordo bene, il murales recante la scritta “El respeto como valor” postato quando si parlava di Giorgio Alleva, proveniva proprio da Città del Messico.
    Condivido le posizioni, le riflessioni e soprattutto le conclusioni.
    A proposito di “El respeto como valor”, leggo ancora qui sopra di sparate nel mucchio. Dico “nel mucchio” perché, ancora una volta, non sono riportati argomenti né dati, né una loro valutazione per capire quanti sarebbero questi ricercatori “che si girano i pollici” e in base a cosa distinguerli.
    Non fa poi piacere vedere accostato un discorso del genere ad un film che sostiene un messaggio ben diverso dal “mors tua vita mea” casomai, che consiste invece nell’esaltazione di ogni individualità a prescindere dalle prestazioni.
    Fa ancora meno piacere in questo momento.
    A proposito di dati, quelli dell’ASN 2012 risultano un po’ diversi da quelli riportati, ad esempio, nel sito di Moreno Marzolla.
    I candidati totali sarebbero in realtà 59.169, anche se i nominativi unici 39.583 – ma di non esatta determinazione viste le omonimie.
    I costi di VQR e ASN sono anche un aspetto notevole del problema: in un periodo di tagli lineari (neanche di razionalizzazione della spesa, quindi), queste cifre… fanno riflettere. Sempre per essere elegante.
    Nel sito di Marzolla ho salvato il file csv per la seconda fascia, per dare un’occhiata ai numeri. Nel file esiste una divisione fra strutturati e non, anche se a detta di Marzolla stesso l’affidabilità di questa divisione non è massima, considerati sempre i casi di omonimia. Va poi tenuto conto del fatto che più candidati hanno fatto domanda in settori diversi.
    Con queste precauzioni e facendo due conti, risultano i seguenti numeri per la II fascia:
    Candidati totali: 41.088
    Candidati strutturati: 19.059 (46.38%)
    Candidati non strutturati: 22.029 (53.62%)
    Abilitati: 17.540 (37%)
    Abilitati strutturati: 10.847 (56.91% degli strutturati e 61.84% dei totali)
    Abilitati non strutturati: 6.693 (30.38% dei non strutturati e 38.15% dei totali)
    Se non si considera un sistematico pregiudizio delle commissioni verso i non strutturati, che sulla carta non c’era visto che il titolo di strutturato non era né vincolante né considerato fra i titoli da valutare per legge, e tenendo comunque conto di tutti i limiti detti, si vede che la performance degli strutturati non è per niente scarsa, anzi.
    Tanto da rendere la frase “tantissimi precari, con un curriculum molte volte superiore a quello di tanti ric. a tempo indeterminato” opinabile.
    Direi che, sulla carta, ci sono al momento (l’ASN 2013 è in… lungo corso) tanti precari che meritano di essere reclutati e un numero maggiore di strutturati che meritano un avanzamento. Nonostante, come è stato detto più volte, le volontà anche poco nascoste di voler provocare un superamento a sinistra degli RTI.
    Non vale la pena fare guerre che hanno come unico effetto quello di assecondare certe politiche da “divide et impera”, tipo quelle che hanno animato inizialmente la legge Gelmini.
    Ci vogliono più unità interna e più risorse, tanto per essere una volta di più ripetitivi.

    • Beh, per sapere quanti si sono girati i pollici basta che ogni universita’ conti quanti non hanno pubblicato nulla, (magari negli ultimi dieci anni, che mi sembra un tempo piu’ che ragionevole), quanti non sono mai (mai) presenti ai consigli, quanti ricevimenti fanno in un anno, quanti tesisti hanno, etc etc, e poi cercare di capirne le motivazioni e, laddove non ci siano valide argomentazioni, prendere provvedimenti. Le regole per farlo ci sono gia’ (e non servono risorse aggiuntive), ma mi pare che nessuno abbia voglia di contare. L’unita’ interna, a volte, e’ misurata anche da questo.

    • De Nicolao: leggo ora i dati. Allora le faccio una domanda: quanti richiami o provvedimenti disciplinari sono stati presi nel suo dipartimento nei confronti di colleghi (se ci sono stati) che non hanno adempiuto ai loro obblighi?

    • @Lionel: il punto non è che non esistono “nullafacenti” ma usare questo argomento per mettere in cattiva luce tutto il sistema. Perché questo non succeda servono analisi supportate possibilmente da dati.
      I numeri reali sui nullafacenti sono ad esempio quelli che ha riportato Giuseppe: piccoli.
      Mi sembra poi del tutto normale che chi lotta per avere un posto a tempo determinato cerchi di produrre il più possibile, perché vuol colmare la posizione di svantaggio. Leggendo le principali critiche al fenomeno della “tenure track”, si vede ad esempio che l’eccessivo concentrarsi sulla produttività rende da una parte scarso il rendimento in aula e dall’altra cala fisiologicamente quando il professore ha ottenuto la sua posizione.
      I precari non hanno neanche la stessa attività didattica di RTI e professori.
      Poi è chiaro che sono d’accordo anch’io sull’esistenza di strutturati poco attivi, diciamo così. Ma non è vero che non si può o non si vuole fare nulla.
      Li si nomina in commissioni, si invitano a produrre relazioni e quindi a render conto delle proprie assenze in aula, ad esempio, puntualmente registrate dai questionari degli studenti. Nella distribuzione dei fondi interni sulla ricerca di base o di quelli premiali, i meno attivi vengono regolarmente penalizzati.
      Questo da me succede e penso anche in altre università.
      Poi non dimentichiamo il fatto che molte decisioni importanti all’interno delle università vengono prese a maggioranza, nelle sedi preposte come i consigli di dipartimento.

    • Lilla: se e’ per questo erano piccoli anche i numeri dei possibili pensionandi, ma questo e’ un altro argomento. La mia domanda pero’ rimane: quanti richiami o provvedimenti disciplinari ha visto lei?

    • Sù, Lilla, ci dica quante punizioni corporali ha visto. Vai dai professori universitari? Non dimenticare la frusta.

    • Lei chi? Io? Nessun crocifisso in aula magna e neppure nessuno pestato da colleghi con passamontagna. Finora, almeno.
      Truffare sulle missioni e’ reato penale, si chiama peculato.
      Non andare a consigli o a lezioni no. Per adesso si chiama negligenza ma, ripeto, sulle presenze a lezione si è tenuti a far rapporto al nucleo di valutazione. E’ un richiamo, se vogliamo.

    • La crocifissione mi sembra un filo eccessiva, ma il pestaggio da parte di colleghi in passamontagna sembra un provvedimento adeguato. Di ritorno dalle ferie vado a proporlo al mio preside.

    • Vi prego, leggere “reato penale” su roars mi fa star male. Reato e basta. Non esiste il reato civile. Scusate la puntigliosità ma dobbiamo distinguerci da altre sedi “editoriali”. :)

    • Mi fa piacere che vi divertiate molto parlando di scarsa professionalita’ del corpo docente; sono contento di allietare le vostre vacanze estive (se ci siete andati). Forse, da fuori, qualcuno ride meno. Del resto, se le cose vanno male, e’ sempre colpa degli altri. Piove, Governo ladro!

    • PS Aspetto citazione o locandina di turno. Nel frattempo mi faccio un’indigestione di acqua del Ticino

    • D’accordo, Antonio, solo che io non sono giurista e l’ho visto scritto più di una volta. Direi che se fate l’editing dei testi io non mi offendo. Potete cancellare “penale”.
      Lionel: tranquillo, e’ ironia. Ne abbiamo già parlato seriamente, anche con dei numeri. Poi ognuno è libero di rimanere sulle sue posizioni. Buone vacanze anche a te!

    • Lilla: “Con queste precauzioni e facendo due conti, risultano i seguenti numeri per la II fascia:
      Candidati totali: 41.088
      Candidati strutturati: 19.059 (46.38%)
      Candidati non strutturati: 22.029 (53.62%)
      Abilitati: 17.540 (37%)
      Abilitati strutturati: 10.847 (56.91% degli strutturati e 61.84% dei totali)
      Abilitati non strutturati: 6.693 (30.38% dei non strutturati e 38.15% dei totali)”
      =====================
      L’ANVUR invece scrive:
      _____________________
      “Tra i candidati che hanno ricevuto la abilitazione a professore ordinario, ben il 19,3% proviene dai non strutturati. Tale percentuale sale al 43,3% nel caso dei professori associati.”
      http://www.anvur.org/attachments/article/44/Audizione_ANVUR_12_06_2014_ASN.pdf
      =====================
      Ma la percentuale di non strutturati sugli abilitati di seconda fascia è 38,5% oppure 43,3%? Anche a me non tornano questi (e altri) conti che Fantoni ha presentato di fronte alla commissione cultura della Camera (https://www.roars.it/fantoni-alla-camera-lasn-e-meritocratica-e-contro-le-baronie-no-a-cambiamenti-sostanziali/). Va detto che il documento disponibile sul sito dell’ANVUR (vedi primo link) si riduce a tre pagine senza tabelle e grafici che sembrano frettolosamente predisposte a scopo apologetico.

    • Beh. A mio avviso le tabelle ed i grafici dell'”ing. tabella” non hanno scopi molto diversi.

      Una formula generale? Una formula di fit? Qualche cosa che possa sembrare di sintesi?

      No. Sempre e solo maree di tabelle e grafici. Con in aggiunta qualche locandina o filmato di film.

      Sembra il circo:

      “venghino venghino siori e siore. Effetti speciali e tabelle per grandi e piccini”.

    • Strano che un fisico non capisca l’importanza della veridicità dei dati su cui si ragiona. E nemmeno che lo spaccio di dati fasulli degli anni passati (che ha inquinato l’opinione pubblica) non lo aiuterà di certo a fare carriera o a svolgere al meglio il suo lavoro di ricercatore. E che una cosa è scrivere articoli scientifici ed un’altra è cercare di mettere dei punti di fermi in un dibattito che assomiglia ad una maionese impazzita. Sull’ironia so che è una partita persa: molte persone non ne sospettano l’esistenza, ma vogliamo bene anche a loro.

    • Giuseppe, uno degli inghippi sta sicuramente nel fatto che Marzolla ragiona sul numero di domande e invece ANVUR parla a tutti gli effetti di candidati.
      Risultano i seguenti numeri:
      .
      ANVUR
      Candidati non strutturati: 28083
      Candidati strutturati: 28456
      Totale: 56539
      .
      M.Marzolla (domande)
      Candidati non strutturati: 27028
      Candidati strutturati: 32121
      Totale: 59149
      .
      Marzolla dichiara nel suo sito che la divisione fra strutturati e non è imprecisa per via delle omonimie, ma il totale è invece corretto.
      Se il totale ANVUR si riferisce in effetti a candidati unici, dovrebbe essere stato “ripulito” da domande fatte da una stessa persona su più settori o su entrambe le fasce (in questo caso, le domande plurime dovrebbero essere 2610). Si dovrebbe poi dar per scontato che i casi di omonimia siano stati considerati da ANVUR nella divisione fra strutturati e non.
      Se ragioniamo sul numero di domande, premiamo chi, fra strutturati e non, ha ottenuto più abilitazioni. Resta comunque l’incertezza, nei dati di Marzolla, sulle omonimie.

    • In generale mi fido poco anche dei dati dei laboratori di fisica, che sono ottenuti (dicono) in condizioni supercontrollate e ripetendo numerosissime volte l’esperimento.

      Figurarsi se mi fido di altri tipi di dati. Trovo piuttosto buffo che ci siano migliaia di persone che invece si occupano solo di questo tipo di dati. Mi viene in mente la “cargo-cult science” di cui parlava Feynman.

    • Mi viene in mente la “cargo-cult science” di cui parlava Feynman.
      __________________________
      Esattamente come era venuta in mente a F. Sylos Labini:
      La scienza del culto dei cargo
      http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/13/la-scienza-del-culto-dei-cargo/144826/
      __________________________
      Che poi se ne occupino tante persone, non è così strano, viste le conseguenze che ne derivano. La distorsione dei dati su università e ricerca ha giocato un ruolo non piccolo nel taglio di quasi il 20% del Fondo di Finanziamento Ordinario. Per fare un altro esempio, su scala più grande, i dati del famoso articolo di Reinhart e Rogoff possono aver orientato le politiche di austerità dell’Unione Europea. Sono scelte che inlfuiscono sulla vita di milioni di persone, a volte in modo drammatico. Ma anche infliggere un colpo durissimo al sistema di istruzione superiore della nazione non è senza conseguenze sul futuro degli italiani. Se poi questo viene fatto nel nome di dati inventati o manipolati, forse ci sono buone ragioni per esercitare una qualche forma di controllo.

    • Ma chi, lo stesso Sylos Labini che, senza per altro ricevere risposte ironiche da nessuno, nel 2010 scriveva su Roars: ‘Il Partito Democratico ha recentemente elaborato undocumento dove si propone di abbassare l’età pensionabile a 65 anni. Non possiamo che essere d’accordo con una tale proposta che d’altronde coincide con quanto abbiamo scritto negli ultimi 5 anni sull’argomento.’?

      https://www.roars.it/pensionamento-e-giovani/

    • Ho riguardato meglio i dati e, dal sito di Marzolla:
      http://www.moreno.marzolla.name/publications/asn-2012/
      risulta che le domande fatte dagli stessi su più settori e/o più fasce sono più di 2610 (primo grafico) e non giustificano quindi la differenza.
      C’è anche da dire che i dati di Marzolla sono aggiornati ad agosto (alcuni risultati sono usciti in questi giorni), oltre che commentati riguardo a limiti e procedure.
      Nel caso di ANVUR non si capisce in quale data siano stati effettivamente calcolati o di cosa abbiano tenuto conto (viste le domande plurime, ad esempio). Un po’ lo stile che si è visto quando sono state calcolate e ricalcolate le mediane nel 2012.

    • @Lionel sì lo stesso Sylos Labini: non si capisce quali risposte ironiche avrei dovuto ricevere da chi e per quale motivo. Abbiamo pubblicato le nostre analisi su Nature, abbiamo influenzato il Ministro Mussi che quando ha fatto il piano straordinario dei ricercatori per gli Enti di Ricerca ha citato espressamente il nostro studio e abbiamo ispirato anche Carrozza e Meloni che hanno riproposto il pensionamento a 65 anni – sebbene sia d’accordo penso che il problema vada analizzato tendendo conto della demografia del corpo docente attuale a futuro. Il punto è spiegato qui
      .

      “Il PD ha recentemente proposto di abbassare l’età della pensione per i docenti universitari a 65 anni, come avviene in tutti gli altri paesi Europei (con piccole variazioni, ma comunque generalmente non si va mai oltre il 70 anni come avviene da noi). C’è subito stato un “levar di scudi” ed alcuni hanno definito i responsabili del PD “fascisti” (e ce ne vuole di fantasia!) che vogliono rottamare gli anziani, senza comunque mai preoccuparsi di capire la situazione. Il Ministro Gelmini un bel mattino di luglio 2010 ha fatto sua questa idea (almeno in parte) affermando che i docenti che vanno in pensione oltre i 70 anni addirittura non rispettino la legge (!). A parte queste stravaganze, come per ogni problema legato alla riforma del sistema universitario, non c’è la bacchetta magica che possa risolvere la situazione. E’ del tutto condivisibile abbassare l’età pensionabile, visto che in Italia è la più alta del mondo per i docenti universitari come anche la loro età anagrafica. Chiunque si imbarchi in uno studio sistematico dell’età dei docenti universitari italiani, come abbiamo fatto Stefano Zapperi ed io vari anni anni fa, dovrebbe giungere ad analoghe conclusioni. Personalmente, invece di essere contento che alla fine la politica segua queste idee, ne sono preoccupato. Perché nella situazione attuale l’abbassamento dell’età pensionabile, senza l’adozione di altre misure, porterà ad uno squilibrio ancora maggiore con più del 60% dei docenti che andranno in pensione nel giro di pochi anni. E’ vero che ci vuole un ricambio come è vero che la maggior parte dei pensionamenti riguarda quei docenti che sono stati assunti con la famosa ope-legis del 1980, che hanno avuto una vita particolarmente facile se confrontata a quella delle generazioni successive, ma un ricambio di tale dimensioni deve essere ben definito, diluito nel tempo e soprattutto programmato.”

      http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/25/riforma-universitaria-fatti-e-misfatti/43999/

      (e se vuole polemizzare abbia il buon gusto di firmarsi con nome e cognome)

    • Come ho gia’ scritto, sono pronto ad andare in pensione anche ora, che ho 47 anni.

      Basta che mi venga data una pensione corrispondente ad un PA di classe stipendiale 14/5: cioè 4.148,99 Euro netti al mese.

      Credo di meritarlo: in questi anni sono andati in pensione (con il massimo di anzianità) una caterva di PA fisici. Sommando tutte le loro pubblicazioni su riviste indicizzate e citazioni a stento si arriva alle mie. Se sto parlando di decine di persone.

    • Sylos Labini:
      Mah, non vedo perche’ se la prende tanto. La mia era solo una domanda. Vedete polemiche un po’ ovunque. Non e’ che si può’ aver letto tutto di tutti. In più’ non sono unlettore del Fatto Quotidiano.

  4. @lilla:

    come ho già detto, l’università è una P.A.: di conseguenza:
    se vuoi fare tanto, puoi fare tanto; se vuoi fare poco, puoi fare poco. E’ brutto da dirsi, ma se uno dentro, può anche non fare nulla o quasi (nella P.A.).

    gli RTI fanno docenza per 2 motivi (poi chi vuole ne aggiungerà altri)

    1)non hanno urgenza di pubblicare (mi si dirà che non è vero, io rispondo che ha più urgenza il precario, che è fuori, mentre lo strutturato rimane dentro)

    2)possono farlo, poiché la legge non lo vieta. Mi spiego meglio: da precario ho accumulato 9 contratti di insegnamento, dei quali l’ultimo a.a. 2010-11, poi basta, perché è intervenuta la legge gelmini.

    Le facoltà non hanno soldi (con la legge gelmini non esistono contratti a titolo gratuito, tranne se non hai un reddito proprio – o cose del genere),

    quindi le facoltà affidano gli insegnamenti a chi è già strutturato e stipendiato a prescindere.

    non mi sto arrabbiando con nessuno, sia ben chiaro, ma nel mio settore (giuridico) ho visto (in 10 anni di precariato ed in diversi atenei) RTI che quando io ho iniziato il dottorato avevano 50 anni, ora 60 e non hanno prodotto nulla né prima dei 50, ne dopo ne ora, ma neanche un articolo (figuriamoci libri)

    alcuni di questi vengono impiegati a fare i piani di studio e cose burocratiche (utili, molti studenti ne trovano giovamento, ma non è ricerca)

    altri sono solo in commissioni d’esami e sono affidatari di supplenze di esami piccoli es: 40 ore, 5 crediti.

    questa è una tendenza diffusa, non c’è bisogno di dare dei dati, non c’è stato per anni il minimo controllo, fra un po’ questi andranno in pensione da ricercatori, non avendo né ricercato né pubblicato, ma fatto altro.

    ripeto: se ho parlato degli RTI era solo perché sono molto vicini, come posizione, ai precari (non c’è il gap esistente tra precario-docente ordinario). Nonostante ciò si sono tanti casi nei quali il precario ha un curriculum superiore al ric. RTI.

    • @anto: esistono i requisiti minimi per l’attivazione dei corsi di studio quindi i ricercatori devono fare corsi, altrimenti i corsi di studio diventano insostenibili.
      I ricercatori di cui tu parli non sono tuoi “concorrenti” casomai: sono pochi, vicini alla pensione e quindi fuori gioco.
      I numeri interessanti sono quelli sopra: chi ha l’abilitazione ha possibilità di andare avanti, non gli altri.
      A meno che non si istituisca la terza fascia.

  5. parlando di punizioni, a me sarebbe bastato che la “conferma” degli RTI fosse stata una procedura vera e non una pagliacciata. Quanti RTI sono stati confermati pur avendo prodotto niente o poco più nei primi tre anni?
    Sono d’accordo che i precari che si lamentano degli strutturati improduttivi alimentano l’immagine di un mondo universitario parassita che va tagliato. Sono pure d’accordo sul fatto che la mancanza di risorse sia il problema principale. Siamo sicuri però che la “strategia” di ROARS sia la migliore? Non fate che ribattere punto per punto, “fino alla nausea”, che “statisticamente” l’Università produce, in Italia anche più che all’estero in proporzione al numero di ricercatori e alle risorse investite. Mi domando però perchè in questo estremo virtuosismo, confermato da numeri ineccepibili, ci sia un flusso costante di ricercatori dall’Italia verso l’estero e non viceversa, mi domando perchè ci siano schiere (tra cui il sottoscritto) di ex precari espatriati nauseati dal sistema universitario italiano, mi domando perchè ci siano pochi (s)fortunati rientrati che si sono pentiti amaramente e stanno cercando di ripartire. Il messaggio editoriale continua ad essere: “va tutto bene, serve solo che ci diate più soldi!”. Nella situazione economico-politica italiana attuale, sembra veramente quello che serve…
    V.

    • Molto semplicemente ci sono tanti espatriati e pochissimi rientrati perché in Italia non si assume più da diversi anni.
      Quanto alla conferma, sta a te dirci quanti siano i ricercatori confermati pur non avendo prodotto “niente” nei tre anni di prova.

  6. I numeri non ce li ho, a parte il mio piccolissimo campione non rappresentativo, ma il calcolo è semplice: basterebbe sapere il numero assoluto dei ricercatori allontanati dall’universita’ al momento della conferma negli ultimi vent’anni. Chissa’ perche’ immagino sia zero o quasi!
    Grazie per la semplice “lettura” sul numero degli espatriati. Il problema pero’ non è tanto quanti siano, ma il fatto che siano “nauseati”. E questa nausea, checche’ ne pnsiate, non deriva dalla scarsita’ delle risorse, problema presente ovunque anche se in Italia particolarmente accentuato. La nausea deriva dal modo in cui queste risorse sono state utilizzate. Si fosse trattato solo di risorse scarse, assegnate con criteri equi e chiari, la situazione sarebbe ben diversa.
    V.

    • “basterebbe sapere il numero assoluto dei ricercatori allontanati dall’universita’ al momento della conferma negli ultimi vent’anni. ”
      _______________
      Ogni tanto è capitato che venisse negata la conferma al primo round, ma è logico che siano eventi rari. Se sai che doopo tre anni ti valutano, non sei così determinato a voler trovare il confine ultimo del “chiudi-un-occhio” dei colleghi. A maggior ragione se sei una persona che ha lavorato per anni per entrare nell’università. Quando mi sono trovato a far parte di commissioni di conferma, le relazioni triennali che ho valutato meritavano senza alcun dubbio la conferma (ovviamente il mio è un campione limitato estratto da un determinato SSD).
      ===============
      “questa nausea, checche’ ne pnsiate, non deriva dalla scarsita’ delle risorse, problema presente ovunque anche se in Italia particolarmente accentuato. La nausea deriva dal modo in cui queste risorse sono state utilizzate. ”
      _______________
      A costo di nauseare chi legge (per la ripetitività), se le risorse sono state utilizzate in modo nauseante, come si spiegano questi dati?


      Riguardo alla scarsità di risorse che sarebbe un problema ovunque, per farsi un’idea di quanto sia accentuato in Italia, questo è l’andamento dei PRIN.

      E questa è la spesa per università: siamo penultimi in Europa e quartultimi nelle statistiche OCSE, molto al di sotto della media in entrambi i casi.




      Dimenticavo: alle anime candide che si domandano perché gli italiani scappano e i ricercatori stranieri non fanno la fila per entrare nelle università italiane, suggerisco (oltre che considerare i grafici precedenti ed il blocco degli scatti che dura dal 2010) di prendere in cosiderazione il seguente grafico. Per una comparazione con Francia, Spagna, Germania e UK si veda:
      https://www.roars.it/paolo-rossi-il-reclutamento-accademico-nel-contesto-della-crisi/

    • Qualche tempo fa ho chiesto ad un lecturer italiano in UK:

      “ma come fa la vostra universita’ ad assumere cosi tanti docenti?”

      La sua risposta e’ stata:

      “Si si, molti assunti. Ma anche molti licenziati. Quest’anno nel mio dipartimento 3 lecturers, 1 reader e 1 professor sono stati invitati a cercare un’altra universita’. Sai qui in UK l’istruzione e’ un business e le universita’ sono delle vere e proprie aziende private”.

      Chi sara’ il prossimo?

  7. Caro De Nicolao,

    lei continua a rispondere citando “alla nausea”, come lei stesso dice, gli stessi dati. Non mi sembra però che nessuno contesti queste informazioni. Siamo tutti perfettamente d’accordo che il reclutamento è bloccato, che la spesa per università e ricerca in proporzione al PIL in Italia è ridicolmente bassa, che la progressiva riduzione dei finanziamenti fino alla definitiva uccisione dei PRIN è un’assurdità unica al mondo. Qualche perplessità in più ce l’ho su numero pubblicazioni e citazioni in proporzione alla spesa. Ovviamente non lo so con certezza ne ho dati, ma mi domando quanto incidano su questi dati la scarsa o nulla etica di tantissimi ricercatori italiani nella attribuzione dell’authorship. Il problema però è che, postando questi dati, lei conferma la mia critica alla linea editoriale di ROARS. Avete creato un’interessante rivista online dove si potrebbe discutere dei problemi dell’Università, fatta da persone, ed i cui guasti si riconducono primariamente, a mio parere, alle persone che la compongono. Purtroppo, anzichè discutere apertamente di questi problemi, vi limitate a ribadire che tutto è riconducibile a due questioni “esterne”: la scarsità delle risorse ed una leadership ministeriale intenta alla vessazione tramite meccanismi di valutazione, delle strutture e delle persone, che non condividete. Sicuramente avete ragione su queste due questioni, ma un pò di sana autocritica della classe docente, aiuterebbe molto a rinforzare la vostra posizione.
    Buon ferragosto,
    Vladimir Carli

    • “Qualche perplessità in più ce l’ho su numero pubblicazioni e citazioni in proporzione alla spesa … mi domando quanto incidano su questi dati la scarsa o nulla etica di tantissimi ricercatori italiani nella attribuzione dell’authorship”
      _______________
      Non capisco. Posso aggiungere oppure omettere degli autori per ragioni poco nobili (favoritismi o sfruttamento), ma questo non cambia il numero degli articoli per unità di spesa.
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      “Avete creato un’interessante rivista online dove si potrebbe discutere dei problemi dell’Università, fatta da persone, ed i cui guasti si riconducono primariamente, a mio parere, alle persone che la compongono.”
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      Non sono sicuro di comprendere l’italiano, ma mi sembra evidente che i guasti (nepotismo accademico e non, interessi particolari, sacche di inefficienza, etc) di un’istituzione siano primariamente legati a chi vi lavora. Ma un’istituzione a cui viene negato il necessario per lavorare muore anche se i guasti interni sono pochi.
      ================
      “Purtroppo, anzichè discutere apertamente di questi problemi, vi limitate a ribadire che tutto è riconducibile a due questioni “esterne”: la scarsità delle risorse ed una leadership ministeriale intenta alla vessazione tramite meccanismi di valutazione”
      ________________
      Qualsiasi istituzione ha dei guasti e delle inefficienze. Se si punta il riflettore solo sui guasti senza nessuna valutazione comparativa si può giustificare lo smantellamento di qualsiasi struttura (scuola, istruzione, spesa sociale) raccontando che si spende già troppo e che si può tranquillamente tagliare perché si tratta solo di ridurre gli sprechi. Nel caso dell’università c’è una metafora molto efficace, il secchio bucato. Come si fa a capire se è vero oppure se è propaganda idelogica di chi vuole tagliare il settore pubblico a prescindere da ogni analisi sulla situazione reale e sugli effetti futuri? Una possibilità è confrontare le statistiche internazionali per capire quanto si spende e con quale efficienza nelle diverse nazioni. Questi confronti evidenziano che nel nome del secchio bucato l’Italia sta strangolando il suo sistema di formazione e ricerca universitaria. Il tutto accompagnato e giustificato da un simulacro di tecniche di valutazione, prive di basi scientifiche, che accelerano la discesa nell’abisso disperdendo ulteriormente energie e risorse impegnandole in veri e propri deliri burocratici. In una logica di politica scientifica e dell’istruzione, è assolutamente prioritario lancire l’allarme su questo processo di dismissione che ha dimensioni senza precedenti e che finirà per sancire il declassamento dell’intera nazione, annullando le residue esili speranze di un riscatto. In una zattera alla deriva con cibo e acqua per pochi giorni, è prioritario fare le classifiche per le medaglie al valore e per le punizioni? Oppure avvistare terra e remare in quella direzione?

    • Carli,
      tralasciando la natura offensiva della tua affermazione circa “la scarsa o nulla etica di tantissimi ricercatori italiani nell’attribuzione dell’authorship”, dovresti chiarirne l’aspetto quantitativo.
      Se no, siamo nuovamente alle tue impressioni o al “me l’ha detto mio cugGino”, come per la questione delle conferme dei ricercatori.
      In altre parole, pericolosamente vicini al livello dei tanti troll anti-università che si incontrano in rete.

    • Mi permetto di intromettermi per tentare di dare una spiegazione alle osservazioni di Vladimir. Spero di non prendere abbagli ma mi pare che ROARS sia prevalentemente un contenitore opinioni di professori e ricercatori strutturati in Italia, che stanno giustamente reagendo ad un attacco all’istituzione cui appartengono. E’ quindi comprensibile che le loro preoccupazioni e prospettive siano diverse da quanti si trovano in una condizione diversa, vuoi di precario vuoi di espatriato più o meno soddisfatto.
      Io mi trovo molto d’accordo con De Nicolao quando sottolinea che attaccare una parte del sistema senza dati precisi (o peggio con dati manipolati) sfocia nel qualunquismo e nella strumentalizzazione, che hanno fomentato l’attacco politico-mediatico contro l’università. Parlando di strumentalizzazione però, a volte mi sembra che sia grande il rischio che sull’onda delle legittime critiche di un sistema di valutazione particolarmente aggressivo si apra (in modo involontario ed indiretto) la strada ad altre posizioni…allergiche ad ogni forma di valutazione… fautrici della cooptazione come miglior alternativa valutazione dei titoli.
      Da precario, guardando al futuro oltre all’enorme problema risorse vedo una tempesta: quando i soldi arriveranno, serviranno a finanziare altro precariato (assegni e RTDa), con contratti stipulati con i giovani quarantenni che avranno avuto il coraggio di rimanere, spostando la prospettiva di un posto fisso verso i 50 anni. Continuare a finanziare posizioni a tempo determinato nella situazione attuale significa sapere in anticipo che la grande maggioranza dei fondi andranno a spostare i problemi nel tempo, e non a risolverli. Tra pochi mesi inizieranno a “scadere” i primi assegnisti e RTD-A post gelmini, gente che magari ha alle spalle una quindicina di anni di precariato e che magari è anche abilitata. Di questi e della loro sorte troverei giusto si parlasse di più sulla stampa, così come degli assegnisti a zero diritti (alla faccia della carta europea dei ricercatori).

    • Preoccupazioni del tutto sensate. La messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato è destinata ad aumentare la quota di lavoro precario e rende anche più agevoli ulteriori operazioni di downsizing. Non sembrano esserci facili vie di uscita. Di recente, abbiamo pubblicato la proposta del CUN che va nella direzione di abolire i ricercatori cosiddetti RTD-a che, a differenza di quelli RTD-b, non hanno alcuna garanzia di non essere espulsi dal sistema:
      https://www.roars.it/superare-rtda-e-rtdb-con-il-professore-iunior-la-proposta-del-cun-sul-reclutamento/
      ______________________________________
      Sulla questione della valutazione, va detto che da quasi tre anni il mantra di chi difende *questa* valutazione è accusare i critici di essere “contro la valutazione” tout court. Ormai lo scenario è paradossale: tecniche di valutazione improntate ad uno sgarrupato fai-da-te che vengono smontate pezzo a pezzo, mostrando persino gli errori materiali (oltre che di impostazione scientifica) e dall’altra parte un disco rotto che ripete all’infinito ritornelli sul “meglio che è nemico del bene” o sulla “cattiva valutazione che è meglio di nessuna valutazione”. In questi quasi tre anni abbiamo richiamato le esperienze internazionali ed anche la letteratura scientifica, ma l’impressione è di trovarsi di fronte ad “absolute beginners”, a volte persino imbarazzanti. Un’agenzia che dichiara di aver ricalcolato le mediane perché non aveva capito la definizione ministeriale, le mediane di intere aree umanistiche che sono sistematicamente intere, mentre quelle delle aree scientifiche mostrano una (giusta) alternanza casuale di valori interi e frazionari, documenti a cucù che vengono pubblicati-ritirati-ripubblicati, il Mattino di Padova (e Airone e Yacht Capital e …) che entrano nella lista delle riviste scientifiche, classifiche VQR double-face (una versione per i giornali ed una nel rapporto ufficiale), distribuzioni degli indicatori bibliometrici ASN mai più pubblicati sebbene lo richiedesse il DM 76. No, questa non è valutazione. Solo in un contesto culturalmente depresso (dal punto di vista della valutazione) come quello italiano è possibile scambiare quello che ha fatto l’ANVUR con qualcosa che assomigli alla valutazione. È Vannoni ad essere nemico della scienza medica, non chi lo critica.

  8. @stefanoL
    negli undici anni in cui ho frequentato a diverso titolo le universita’ italiane ne ho viste di cotte e di crude su come venivano decisi i nomi degli autori su un articolo scientifico. L’etica non ha mai contato nulla, al contrario di logiche di scambio, nepotismo, ghost writing ecc. ecc. Ovviamente è impossibile fare uno studio in tal senso e fornire dati quantitativi, per cui si tratta del mio personalissimo campione non rappresentativo. Seppur mi sembri improbabile, è anche possibile che io, seppur sia stato in contatto con diversi gruppi di ricerca, sia stato immensamente sfortunato nella mia frequentazione universitaria. Visto pero’ che lei la mette sul piano di “mioCuggino”, le vorrei far notare che per quanto mi riguarda potrebbe essere lei stesso mioCuggino, poiche’ si guarda bene dal mettere la faccia sui commenti che posta. Francamente, ricevere insulti anonimi mi infastidisce alquanto. Chiederei a ROARS le statistiche di quanti dei commentatori di ROARS siano anonimi. Cosi’ ad occhio sono una grande percentuale. Gia’ questo dovrebbe dare un’idea sull’etica presente dentro le universita’. Pestare i piedi a qualcuno è estremamente piu’ pericoloso che essere scarsi e improduttivi.
    V.

    • “negli undici anni in cui ho frequentato a diverso titolo le universita’ italiane ne ho viste di cotte e di crude su come venivano decisi i nomi degli autori su un articolo scientifico.”
      ======================
      Come diceva Ruger Hauer, “ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi. …”.
      Senza mettere in dubbio l’esperienza infausta, osservo che la scarsa etica nella decisione degli autori rende ancora più improponibili i criteri bibliometrici ANVUR che risentono fortemente di eventuali coauthorship di cortesia, mentre non ha effetto sulle statistiche bibliometriche aggregate che testimoniano una produzione accademica italiana media del tutto competitiva con le altre nazioni.

    • Purtroppo i problemi etici, che indubbiamente esistono, non possono essere risolti con algoritmi. Tutto si può aggirare. Ci vuole impegno individuale invece, e coraggio e buon senso.

  9. Caro De Nicolao,
    secondo lei, cosa succederebbe se domani arrivasse un deus ex-machina e facesse scomparire le valutazioni automatiche quantitative e, allo stesso tempo, raddoppiasse il FFO? Secondo me si tornerebbe di colpo agli anni 70/80 per la gioia di individui simili a quelli descritti nei famosi film di Alberto Sordi, giusto per rimanere nel mio campo. Contenti voi…
    V.

    • “secondo lei, cosa succederebbe se domani arrivasse un deus ex-machina e facesse scomparire le valutazioni automatiche quantitative e, allo stesso tempo, raddoppiasse il FFO? Secondo me si tornerebbe di colpo agli anni 70/80 per la gioia di individui simili a quelli descritti nei famosi film di Alberto Sordi”
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      Non credo proprio. Le valutazioni automatiche non esistevano prima del 2012 e, come ripetuto alla nausea, la caricatura di un’accademia alla Alberto Sordi non regge l’urto delle statistiche bibliometriche che abbiamo citato alla nausea. Piuttosto, qualche mente brillante e curiosa sarebbe più facilmente indotta a tentare la carriera accademica, mentre allo stato attuale siamo noi stessi a scoraggiare quello che è divenuto un azzardo. Che poi si raddoppi, questa è una favola. Sarebbe già un sogno recuperare il 20% che è stato tolto da Berlusconi-Tremonti-Gelmini.

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