Se dovessimo dar retta alle declamazioni, in Italia l’interdisciplinarità rappresenterebbe la stella polare delle attività formative e di ricerca, al punto di essere ampiamente valorizzata negli statuti di molte Università italiane. La realtà delle cose, però, è assai diversa. Solo per limitarci ad alcuni esempi, si pensi all’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) e alle procedure AVA per l’accreditamento dei corsi di studio nonché dei corsi di dottorato delle università. Se analizziamo in dettaglio questi esempi, possiamo tranquillamente affermare che in Italia l’interdisciplinarità è solo proclamata, ma disattesa (e strenuamente avversata) nei fatti.
I. Alcune declamazioni ministeriali e legislative
Se dovessimo dar retta alle mere declamazioni, dovremmo concludere che, in Italia, l’interdisciplinarità rappresenti la stella polare delle attività formative e di ricerca. Di seguito si riporta un piccolo campionario di disposizioni normative.
Per quel che riguarda la ricerca, non è raro imbattersi in bandi di finanziamento che invitano a dedicarsi a ricerche che trascendano gli stretti ambiti disciplinari. Ad esempio, il bando Prin emanato con decreto ministeriale 28 dicembre 2012 n. 957/ric. prevede espressamente che, nella valutazione delle proposte, si debba considerare l’impatto del progetto. E quest’ultimo viene testualmente parametrato “all’influenza rispetto […] all’avanzamento dei metodi sia per singole discipline, sia per lo sviluppo interdisciplinare”. Si veda anche il decreto direttoriale 15 febbraio 2013 n. 274 del Miur recante il Bando Potenziamento Strutturale per le Regioni della Convergenza a valere sui fondi del PAC. L’articolo 2 (Rafforzamento strutturale e infrastrutturale del sistema della ricerca pubblica) così recita:
Ai fini sopra descritti, con il presente Avviso il MIUR invita i soggetti di cui al successivo articolo 3 a presentare specifici Progetti di Potenziamento Strutturale nelle seguenti linee di intervento: a) Interventi coordinati di adeguamento e rafforzamento strutturale di reti telematiche e infrastrutture digitali, mediante lo sviluppo e l’adozione di soluzioni fortemente innovative e tecnologicamente avanzate, con l’obiettivo congiunto di fornire supporto alla Istruzione di tutti i livelli e alla Ricerca interdisciplinare nelle Regioni della Convergenza…...
Non diversa la musica nell’ambito della formazione. Secondo l’articolo 10 del decreto ministeriale 270/2004 tutti i corsi di laurea universitari devono prevedere anche attività formative relative alla formazione interdisciplinare. Tale impostazione è stata ribadita nella miniriforma approvata con decreto ministeriale 26 luglio 2007 (recante la definizione delle linee guida per l’istituzione e l’attivazione, da parte delle Università, dei corsi di studio). In particolare all’art. 3, lettera g) di dette linee guida si legge testualmente:
occorre valorizzare l’interdisciplinarità, base non di rado per gli sviluppi più promettenti della conoscenza e per contro spesso assente nei percorsi attuali a cannocchiale.
Il d.p.r. 16 aprile 2013 n. 70, che ha riordinato il sistema di reclutamento e formazione dei dipendenti pubblici e delle Scuole pubbliche di formazione, a norma dell’articolo 11 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella l. 7 agosto 2012, n. 135, prevede all’art. 1, comma 2, quanto segue:
La Scuola nazionale dell’amministrazione, l’istituto diplomatico ‘Mario Toscano’, la Scuola superiore dell’economia e delle finanze, la Scuola superiore dell’amministrazione dell’interno (SSAI), il Centro di formazione della difesa, la Scuola superiore di statistica e di analisi sociali ed economiche, di seguito denominate: ‘Scuole’, costituiscono il ‘Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica’, di seguito denominato: ‘Sistema unico’, al fine di ottimizzare l’allocazione delle risorse e migliorare la qualità delle attività formative dei dirigenti e dei funzionari pubblici, garantendone l’eccellenza e l’interdisciplinarità.
Il decreto ministeriale 8 febbraio 2013, all’articolo 4, introduce, tra i requisiti per l’accreditamento dei corsi e delle sedi di dottorato di ricerca, l’esistenza di “attività, anche in comune tra più dottorati, di formazione disciplinare e interdisciplinare”.
In questa rapida carrellata non si può omettere di ricordare l’interesse del mondo professionale per la formazione interdisciplinare. Ad esempio, la riforma dell’ordinamento della professione forense, approvata con legge 31 dicembre 2012 n. 247, all’art. 47, impone che le commissioni di esame per l’accesso all’avvocatura valutino anche il possesso, da parte dei candidati, della “capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarità”. Il d.p.r. 7 agosto 2012 che approva la riforma degli ordinamenti professionali, a norma dell’articolo 3, comma 5, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, prevede all’articolo 7, comma 4, in materia di formazione continua, che “[c]on apposite convenzioni stipulate tra i consigli nazionali e le università possono essere stabilite regole comuni di riconoscimento reciproco dei crediti formativi professionali e universitari. Con appositi regolamenti comuni, da approvarsi previo parere favorevole dei ministri vigilanti, i consigli nazionali possono individuare crediti formativi professionali interdisciplinari e stabilire il loro valore”.
Conviene anche ricordare la diffusa consapevolezza che i problemi che abbiamo di fronte possono essere affrontati solo attingendo ad una logica interdisciplinare. Di seguito alcuni significativi esempi.
1) d.p.c.m. 24 gennaio 2013, Direttiva recante indirizzi per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica nazionale. Premessa: […] “Ritenuto che, in ragione delle caratteristiche della minaccia cibernetica quale rischio per la sicurezza nazionale, sia necessario definire un quadro strategico nazionale, con la specificazione dei ruoli che le diverse componenti istituzionali devono esercitare per assicurare la sicurezza cibernetica del Paese e la predisposizione di meccanismi e procedure di azione secondo un approccio interdisciplinare e coordinato, su più livelli, che coinvolga tutti gli attori pubblici, ferme restando le attribuzioni previste dalla normativa vigente per ciascuno di essi, nonché gli operatori privati interessati”.
2) Accordo del 6 dicembre 2012 n. 233 della Conferenza permanente Stato, Regioni e Province Autonome (ex articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281), sul documento recante il Piano per la malattia diabetica. Di seguito un estratto:
1.2 Perché un piano sulla malattia diabetica? […] Ecco quindi che la sfida di una cura moderna è la gestione di un percorso integrato che preveda: la centralità della persona con diabete, il lavoro interdisciplinare, la comunicazione, la raccolta dei dati e la loro continua elaborazione, il miglioramento continuo, il monitoraggio dei costi […] passare da modelli tradizionali (con ruoli tendenzialmente ‘isolati’ degli attori assistenziali) a modelli basati sulla interdisciplinarietà […].
3) d.p.c.m. 7 ottobre 2011, Riorganizzazione della Commissione Nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi. All’articolo 3 comma 1 si legge: “[l]a Commissione si riunisce di regola per singoli settori di rischio o, per l’esame di questioni interdisciplinari o di particolare rilevanza, a settori congiunti. La Commissione, inoltre, si riunisce in seduta plenaria almeno una volta l’anno per la verifica delle attività svolte e per la programmazione annuale delle iniziative”.
4) Decreto direttoriale del Miur 30 maggio 2012, Avviso per lo sviluppo e potenziamento di Cluster tecnologici nazionali:
Per valorizzare questi spazi di opportunità e quindi il loro impatto sulla ‘mutazione strutturale’ dei sistemi economici regionali, assumono rilevanza le operazioni strategiche inter-istituzionali (imprese, università, enti pubblici di ricerca) con valenza interdisciplinare ed internazionale, finalizzate ad integrare ricerca-formazione-innovazione […] Il Cluster può essere strutturato secondo diversi modelli organizzativi (quali un modello ‘hub & spoke’ o un modello ‘federato’), con l’obiettivo di stabilire e valorizzare ogni possibile connessione con analoghe esperienze esistenti su tutto il territorio nazionale, attraverso progetti di ricerca interdisciplinari connessi alle tecnologie abilitanti e alle loro relative applicazioni, e anche attraverso pratiche lavorative eccellenti ed approfondimenti teorici, giungendo allo sviluppo di una massa critica di competenze interdisciplinari, di capacità innovative e di creazione di imprenditorialità emergente dai saperi scientifici e tecnologici (start-up, spin-off di ricerca), capacità di distinguersi per un forte impatto sociale e di risposta alle grandi sfide sociali.
II. L’interdisciplinarità negli statuti delle Università
L’interdisciplinarità è ampiamente valorizzata negli statuti di molte Università italiane. Di seguito alcuni esempi.
1) Statuto dell’Università di Milano, art. 41: “[a]l fine di favorire lo scambio interdisciplinare e, ove pertinente, la collaborazione con il sistema imprenditoriale e delle professioni, nonché di organizzare attività formative e di preparazione alla ricerca comuni, l’Università istituisce Scuole di dottorato dipartimentali o interdipartimentali ovvero interateneo. Le Scuole di dottorato raggruppano corsi di dottorato tra loro affini, complementari e convergenti per obiettivi scientifici; le Scuole possono costituirsi esse stesse come unico corso di dottorato interdisciplinare.
2) Statuto della Scuola Normale Superiore di Pisa, art. 37: “[i] corsi hanno la durata di almeno tre anni accademici, si articolano attraverso un programma formativo calibrato sul singolo allievo e destinato ad ampliarne la base culturale anche attraverso specifici percorsi interdisciplinari nonché ad affinarne la preparazione specialistica con lo sviluppo di programmi originali di ricerca”.
3) Statuto della Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna, art 1: “[la Scuola] si prefigge di valorizzare il rapporto tra formazione e ricerca, l’interdisciplinarietà, l’interazione con il mondo culturale, sociale ed economico, sperimentando altresì nuovi percorsi formativi e nuovi modelli organizzativi e gestionali”.
4) Statuto dell’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, art. 6: “[l’]Orientale promuove e svolge l’attività di ricerca favorendo la collaborazione interdisciplinare e di gruppo”.
5) Statuto dell’Università di Camerino, art. 5: “UNICAM considera inscindibili e sinergiche le attività di ricerca e di formazione, che insieme contribuiscono allo sviluppo della società della conoscenza. In conseguenza di ciò […] b) favorisce la collaborazione interdisciplinare”; art. 18: “Il senato accademico […] [h]a il compito di formulare proposte e pareri obbligatori in materia di […] attività di ricerca, di formazione e trasferimento di conoscenze e competenze, con particolare riferimento a quelle interdisciplinari”.
6) Statuto dell’Università degli studi “Parthenope”, art. 34: “[l]e Scuole di dottorato promuovono e organizzano le attività relative ai Corsi di dottorato ad esse afferenti, anche a carattere multidisciplinare ed interdisciplinare […]”.
7) Statuto dell’Università di Napoli “Federico II”, art. 30: “[l]e Scuole favoriscono al loro interno la ricerca interdisciplinare, promuovendo l’internazionalizzazione e i grandi progetti di ricerca che coinvolgano le aree culturali dei vari Dipartimenti afferenti”.
8) Statuto dell’Università degli studi di Urbino “Carlo Bo”, art. 2: “[l’]Università garantisce libertà di ricerca; assicura la promozione e lo svolgimento delle attività scientifiche anche con propri specifici finanziamenti, favorendo la collaborazione interdisciplinare e interdipartimentale e la stretta connessione con l’attività didattica”.
9) Statuto dell’Università dell’Insubria, art. 1: “[l’Università] articola la propria offerta formativa in funzione della massima apertura internazionale e interdisciplinare”.
III. L’altra verità
La realtà delle cose, però, lascia pochi margini all’interdisciplinarità.
Le carriere dei ricercatori sono costruite sulla base dei settori disciplinari. Si procede solo se si pubblicano lavori e si partecipa a progetti rigidamente disciplinari: ogni settore tende a perpetuare se stesso. Giovani di valore che si cimentano con tematiche proprie dei “saperi di mezzo” ovvero all’intersezione di saperi diversi finiscono con l’essere penalizzati nei concorsi a vantaggio di chi rispetta l’ortodossia disciplinare.
Anche la pubblicazione su riviste interdisciplinari è scoraggiata dalle norme e dalle prassi di valutazione che in definitiva alimentano l’autoreferenzialità dei settori disciplinari.
Se si volge lo sguardo alla formazione, i settori disciplinari la fanno da padrone (a dispetto delle timide enunciazioni prima ricordate). Chi ha immaginato le riforme degli ordinamenti didattici universitari (dal cosiddetto 3 + 2 del 1999 in poi) ha ritenuto di ribaltare sulla didattica i settori scientifico-disciplinari che, come si è detto in altra sede [Giovanni Pascuzzi, Soldatini e danni collaterali: i settori scientifico-disciplinari], sono nati per disciplinare le carriere dei professori. Ogni corso di studio ha degli obiettivi formativi. Questi ultimi si raggiungono svolgendo delle attività formative che, appunto, coincidono con i vari settori scientifico-disciplinari. Inutile dire che tale approccio (di cui nessuno ha finora dimostrato il fondamento) non garantisce affatto l’apprendimento degli skills, in particolare di quelli trasversali e interdisciplinari.
D’altra parte, la logica non cambia sul piano organizzativo, dove l’approccio disciplinare domina la scena. La legge 240/2010 enfatizza il ruolo dei Dipartimenti sul presupposto, del tutto condivisibile, che non può esserci buona didattica se non c’è buona ricerca. Si deve considerare, però, che concentrare tutti i poteri sui Dipartimenti (compreso quello relativo alle chiamate dei professori: art. 18) può portare all’appiattimento anche delle forme organizzatorie sui settori scientifico-disciplinari. Implicitamente è la stessa legge a propiziarlo quando si preoccupa di non avere Dipartimenti con un numero di afferenti inferiore (a seconda della grandezza dell’Ateneo) a 35 o a 40 membri: si specifica infatti che gli stessi membri devono afferire a “settori scientifico-disciplinari omogenei” (art. 2, comma 2, lett. b). I Dipartimenti post riforma del 2010 hanno perso quel minimo di carattere interdisciplinare che le vecchie Facoltà avevano.
IV. Le conferme più recenti
Le ultime novità normative e soprattutto talune iniziative dell’ANVUR non fanno presagire un cambio di rotta. Anzi. Sulle questioni che contano l’interdisciplinarità è pervicacemente contrastata.
Sempre per limitarci ad alcuni esempi – peraltro, molto dibattuti in questi giorni – si pensi all’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) per l’accesso ai ruoli di prima e seconda fascia dei professori universitari e alle procedure AVA per l’accreditamento dei corsi di studio nonché dei corsi di dottorato delle università.
A) ASN.
Com’è noto la legge 240/2010 basa la procedura abilitativa sui settori concorsuali che includono uno o più settori scientifico-disciplinari (SSD).
L’art. 4 (Criteri e parametri per la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche per l’attribuzione dell’abilitazione alle funzioni di professore di prima fascia), comma 2, del decreto ministeriale 7 giugno 2012 n. 76, “Regolamento recante criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari, nonché le modalità di accertamento della qualificazione dei Commissari […]” prevede quanto segue:
Nella valutazione delle pubblicazioni scientifiche presentate dai candidati ai sensi dell’articolo 7, comma 1, e dell’allegato C, la commissione si attiene ai seguenti criteri:
a) coerenza con le tematiche del settore concorsuale o con tematiche interdisciplinari ad esso pertinenti […].
Il monitoraggio della prima tornata dell’ASN sembra indicare che le Commissioni abbiano prestato molta più attenzione alla prima parte della norma che fa riferimento alla coerenza con le tematiche del settore concorsuale di quanto ne abbiano riservata al riferimento all’interdisciplinarità. D’altro canto, il decreto ministeriale impoverisce il riferimento all’interdisciplinarità riferendosi esclusivamente alle tematiche, mentre è a tutti noto che l’interdisciplinarità si declina anche attraverso il metodo.
A questo proposito si veda quanto denunciato dall’Associazione per gli Studi di Teoria e Storia Comparata della Letteratura (Compalit) in un documento sui risultati dell’ASN e pubblicato su ROARS:
È un problema peraltro che non riguarda solo la comparatistica, ma gli studi letterari in generale, la cui crisi attuale sfocerà in un’irreversibile decadenza se non saremo in grado di rinnovare metodi di ricerca e programmi di insegnamento in un’ottica di integrazione di diversi saperi, dalle letterature straniere alla filosofia, dalle arti visive alle scienze umane. La particolare sfida che ci attende nell’immediato futuro è che questa apertura – tratto distintivo della comparatistica, anche nel panorama internazionale − venga recepita da tutta la comunità scientifica come un valore e non come un limite, tanto ai fini dell’Abilitazione Scientifica Nazionale quanto di un obiettivo di più ampio respiro che riguarda l’assetto e il destino della nostra Università.
I risultati dell’ASN destano il sospetto che in molti casi il criterio valutativo della coerenza con il settore concorsuale sia stato adoperato per restringere (o allargare) arbitrariamente le maglie dell’abilitazione. Che il giudizio sulla coerenza disciplinare possa essere arbitrario o quanto meno opinabile è dimostrato poi dagli abilitati “transdisciplinari” cioè da quei candidati che, a dispetto del criterio della coerenza, sono riusciti a conseguire l’abilitazione su più settori. Il solo fatto che un candidato possa conseguire l’abilitazione su più settori concorsuali dimostra come il criterio della coerenza sia debole. Evidentemente si può essere “multicoerenti”!
B) AVA e accreditamento dei corsi di studio e di dottorato.
b1) Accreditamento dei corsi di studio. Il decreto ministeriale 30 gennaio 2013 n. 47 “Decreto autovalutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica” modificato dal decreto ministeriale 23 dicembre 2013 n. 1059 “Autovalutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica Adeguamenti e integrazioni al DM 30 gennaio 2013, n. 4” e i documenti ANVUR su AVA prevedono i requisiti per l’accreditamento dei corsi di studio universitari.
Ai fini della verifica del possesso del requisito di docenza per l’accreditamento iniziale e periodico dei corsi di studio, il punto b) dell’allegato A) del decreto ministeriale fa riferimento a indicatori che attengono al numero minimo di docenti. Il numero minimo complessivo è a sua volta composto di soglie minime che fanno perno sui settori scientifico-disciplinari. Ad esempio, il primo anno di un corso di studio per una laurea magistrale a ciclo unico di nuova attivazione deve avere al primo anno: 8 docenti di cui almeno 3 professori, 4 docenti appartenenti a SSD di base o caratterizzanti, e massi 4 docenti appartenenti a SSD affini.
Ancora più esplicito è un successivo passaggio dell’allegato al decreto che così recita:
Il Settore Scientifico Disciplinare di afferenza di ogni docente deve essere lo stesso dell’attività didattica di cui è responsabile. Nel caso di docenti reclutati con esclusivo riferimento al settore concorsuale, è fatto obbligo all’ateneo, ai fini della verifica dei requisiti di docenza, di indicare il settore scientifico disciplinare coerente con il profilo scientifico.
L’intenzione del MIUR e dell’ANVUR è chiara: obbligare ciascun docente a insegnare materie del proprio settore scientifico-disciplinare.
b2) AVA e accreditamento dei corsi di dottorato. Se quel che si è rilevato è già di per sé eloquente, ciò che bolle in pentola è allarmante e al tempo stesso grottesco.
Il decreto ministeriale n. 45 dell’8 febbraio 2013, “Regolamento recante modalità di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato e criteri per l’istituzione dei corsi di dottorato da parte degli enti accreditati” prevede all’art. 6 comma 2 quanto segue:
Le tematiche del corso di dottorato si riferiscono ad ambiti disciplinari ampi, organici e chiaramente definiti […].
Si veda ora quanto proposto dall’ANVUR nel suo documento preliminare sull’“Accreditamento dei corsi di dottorato” del 18 dicembre 2013:
L’ANVUR ritiene che tale definizione sia coerente con un ambito scientifico (e relativa titolatura) del corso di dottorato caratterizzati da tematiche e metodologie di ricerca affini, tipicamente contenute per ampiezza non oltre un singolo macrosettore concorsuale.
La presenza di un numero elevato (tipicamente superiore a 3) di curricula deve essere inoltre accompagnata da una composizione di collegio che garantisca una sufficiente massa critica per ognuno dei curricula.
I corsi di dottorato che si rifanno ad ambiti di ricerca tematici che rispondono a problemi complessi, caratterizzati da una forte multidisciplinarietà, dovranno trovare un’evidenza nella produzione scientifica dei membri del collegio, tale da garantire la presenza di tutte le competenze necessarie e da mostrare una collaborazione in atto.
Il dottorato che dovrebbe essere il luogo elettivo dell’interdisciplinarità, il momento in cui i giovani studiosi consolidano le proprie conoscenze e nello stesso tempo ampliano gli orizzonti culturali aprendosi agli stimoli e agli apporti conoscitivi provenienti da aree diverse da quelle della formazione di base viene ingabbiato nel solito “macrosettore concorsuale”. I corsi di dottorato votati a una forte (perché solo forte?) multidisciplinarietà diventano una sorta di sorvegliati speciali.
Non a caso contro questa proposta si sono già levate varie voci critiche.
Innanzitutto il CUN che ha espresso le seguenti riserve:
[…] questo Consesso non può fare a meno di esprimere la sua forte preoccupazione e contrarietà su due punti cruciali che, pur non esaurendo l’insieme delle criticità rilevabili, meritano una peculiare considerazione:
– la riduzione delle tematiche di ogni corso di dottorato entro i limiti di un macrosettore concorsuale; questa scelta sarebbe in molti casi impraticabile, oltre che contraria alle consuetudini internazionali e la sua effettiva applicazione al sistema universitario italiano comporterebbe il concreto rischio di una caduta dell’offerta nazionale di formazione superiore di terzo livello;
– l’uso improprio dei risultati della VQR nella valutazione del possesso di documentati risultati di ricerca da parte dei membri del collegio.
Anche la CRUI ha sollevato pesantissimi dubbi a margine della proposta, rilevando, tra l’altro, quanto segue:
Il confinamento di ciascun corso di dottorato in un macrosettore risulta essere molto limitativo: ad esempio, impedirebbe di accreditare un corso di dottorato in Electrical Engineering and Computer Science, ampiamente riconosciuto ovunque, poiché in Italia le relative competenze sono in quattro macrosettori diversi. Inoltre, combinato con i vincoli sulla numerosità delle borse, potrebbe causare serie difficoltà di aggregazione specialmente nei piccoli Atenei.
La riduzione delle tematiche ai settori disciplinari impone vincoli anacronistici al dottorato: sebbene se ne comprenda la ratio (quella di prevenire “mescolanze improprie” finalizzate esclusivamente al raggiungimento di requisiti minimi per le attivazioni) l’eccessivo confinamento ai settori concorsuali scoraggia – quando non inibisce completamente – la progettazione di dottorati veramente interdisciplinari, peraltro sempre più richiesti anche dalla nuova programmazione comunitaria, es. Horizon2020.
Solo a seguito delle critiche pervenute, l’ANVUR ha deciso – almeno in questo caso – di cambiare rotta.
La versione finale del documento sull’accreditamento dei corsi di dottorato prevede quanto segue:
Il secondo requisito è contenuto nel comma 2 dell’articolo 6 del DM.
A2) Le tematiche del corso di dottorato si riferiscono ad ambiti disciplinari ampi, organici e chiaramente definiti. Le titolature e gli eventuali curricula dei corsi di dottorato sono proposti dai soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, e valutati dall’ANVUR in sede di accreditamento dei corsi.
I rimanenti requisiti sono indicati nel comma 1 dell’articolo 4 del DM e qui elencati con una numerazione che sarà mantenuta nel seguito:
A3) la presenza di un collegio del dottorato composto da almeno sedici docenti, di cui non più di un quarto ricercatori, appartenenti ai macrosettori coerenti con gli obiettivi formativi del corso. […]
Nel documento esplicativo l’ANVUR così spiega il cambio di rotta:
L’ANVUR, tenendo anche conto che per alcune aree scientifiche il requisito minimo sul numero di borse, sia per i dottorati a sede unica che per i dottorati in convenzione, ha costretto gli atenei ad accorpamenti non sempre rispondenti a esigenze di natura scientifica, e, d’altro canto, ritenendo che in taluni casi dottorati a spettro troppo ampio siano da evitare, ha deciso di eliminare la frase di cui sopra [“tipicamente contenute per ampiezza non oltre un singolo macrosettore concorsuale”, n.d.r.], inserendo però una raccomandazione a che venga posta attenzione all’affinità tematica e metodologica delle discipline di riferimento del corso di dottorato.
V. Considerazioni finali
In definitiva si può tranquillamente affermare che in Italia l’interdisciplinarità è solo proclamata, ma disattesa (e strenuamente avversata) nei fatti. Cosa resta del dialogo tra saperi e dell’autonomia universitaria (riflessa negli statuti)? Forse niente.
[…] La via italiana all’interdisciplinarità (adsbygoogle=window.adsbygoogle||[]).push({}); Rompete le righe, ma senza sconfinare. La via italiana all’interdisciplinarità marzo 6, 2014 in ItaliaBy Roberto Caso Se dovessimo dar retta alle declamazioni, in Italia […]
Grazie per aver sollevato finalmente questa questione.
Una piccola aggiunta: chi pubblica in settori interdisciplinari può trovarsi nella condizione di pubblicare su riviste che in media hanno minor impatto di quelle a cui il settore fa normalmente riferimento. Inoltre può essere più difficile essere citati, dato che spesso le comunità davvero interdisciplinari sono piccole e/o in forte competizione tra loro. L’ASN non tiene minimamente conto di tutto questo, penalizzando duramente chi opera davvero a cavallo tra discipline diverse.
Parlo ovviamente per esperienza personale. Sono biologo e ricercatore di patologia generale, settore medico, e tra le altre cose contribuisco a sviluppare modelli biofisici per la comprensione della crescita tumorale. Per i fisici non sono un fisico; per i patologi sono un “astrofisico che fa cose incomprensibili” (cito testualmente); per i biologi un eretico che cerca di rendere quantitativa la biologia (non sia mai!); per l’ASN uno che non merita l’abilitazione nonostante una intensa attività didattica nel SSD di riferimento e un elevato tasso di pubblicazioni/anno.
L’interdisciplinarietà in Italia è solo proclamata. Sottoscrivo e confermo.
Anche io sottoscrivo e confermo! Se uno si occupa di ricerche al confine tra discipline colleziona solo penalizzazioni. E tutto quanto riportato da Chignola è profondamente vero anche per il mio campo di ricerca, matematica e statistica applicate alla Geochimica. Meglio uniformarsi, omogeneizzarsi, essere ben incasellati, questo è il messaggio. Ricordo a questo proposito quanto riportato nei documenti anvur sul dottorato: “L’ANVUR ha cercato di armonizzare gli indicatori collegati ai criteri A4
(qualificazione scientifica del collegio di dottorato) e A14 descritti
nella Sezione 3, con quelli utilizzati nella VQR 2004-2010 e con indicatori bibliometrici di largo uso nella prassi internazionale, in modo da garantire un quadro di riferimento omogeneo in grado di indirizzare il comportamento dei docenti e, soprattutto dei giovani ricercatori, alla
qualità nella scelta di cosa, come e dove pubblicare.”
Quando ho letto queste righe mi sono venuti i brividi. Sono la sola? Siamo pochi? Perché manca una sana ribellione collettiva a questo stato di cose ?
Siamo pochi. E la sana ribellione collettiva non arriverà. Perché c’è sempre qualche briciola da spartire…
Da anni lotto invano contro questo atteggiamento.
Ho pubblicato una lettera sul Notiziario dell’Unione Matematica Italiana, che riporto qua sotto.
Ne ho fatto dei sunti che ho mandato a diversi giornali, ma senza successo.
Se c’è chi sa come arrivare nelle pagine culturali o nelle trasmissioni pertinenti, per favore me lo dica.
—
Indici bibliometrici, concorsi, applicazioni
Caro Presidente,
gli indici bibliometrici non potranno mai dire se il Teorema A sia migliore del Teorema B. Però, bene o male, segnalano l’impatto sulla comunità scientifica. E’ per questo che sono rimasto sgradevolmente sorpreso dalla bocciatura in prima fascia del mio antico allievo XY, motivata prevalentemente da questo punto:
“un approccio alla ricostruzione di immagini […] Questo è interessante, ma analizzando le citazioni agli articoli, in particolare usando MathSciNet, non appare che sia stato adottato da altri gruppi di ricerca, o che abbia avuto un sufficiente impattosulla ricerca nel settore.”
“risultati interessanti […] ma essi non hanno avuto un forte impatto sulla disciplina”
“impact and international recognition is not on the level of a full professor”
Questi giudizi contrastano col fatto che per numero di citazioni normalizzato XY è al sesto posto fra i candidati e per indice H-C al quarto (fonte: MIUR); e col fatto che il suo h-index è in cima a quelli degli abilitati a prima fascia (… e degli stessi commissari). E’ poi ampiamente riconosciuto che XY è l’antesignano di una branca applicativa della topologia: la cosiddetta Persistent Homology.
Allora mi viene un dubbio: le citazioni all’esterno della ristretta cerchia matematica valgono meno? Sarebbe una posizione suicida e anche ipocrita, visto che noi matematici spesso magnifichiamo con zelo, all’esterno, l’applicabilità della nostra disciplina. Credo che sia ora di aprire un franco dibattito sulla matematica per le applicazioni. Certo, tutta la matematica è applicabile, ma sempre più le nuove tecnologie sollecitano nuovi sviluppi, modelli, teoremi. Se si ritiene che questa fonte di ispirazione sia meno importante e da scoraggiare, è ora che lo si dica apertamente e ci si confronti su questo con la comunità scientifica e con la società in generale. Non si pu\`o farsene un fiore all’occhiello in giornali e televisione per poi bocciarla nel chiuso delle commissioni.
Caro Ferri (max_ferri),
su temi di politica della ricerca e politica universitaria è più semplice passare sulla stampa internazionale. Per ottenere un’intervista sui media italiani, mi pare condizione necessaria dichiarare che ci sono troppe università pubbliche e che una laurea nelle università pubbliche non serve a nulla.
Incidentalmente, per corroborare ulteriormente quanto scritto sopra e aggiungere un po’ di dati, tra tutti gli “econofisici” di mia conoscenza che hanno fatto domanda di abilitazione nel settore di matematica per l’economia (13/D4), solo un paio non hanno ricevuto il seguente articolato giudizio collegiale:
“La coerenza generale con le tematiche e i metodi del settore concorsuale è insufficiente. Alla luce di quanto espresso sopra il candidato si considera non meritevole dell’abilitazione.”
Come scrive Alberto Baccini si tratta comunque, anche in questo caso, di numeri molto piccoli: meno di dieci persone.
Cordiali saluti
Enrico Scalas
Non sarà invece vero quanto dichiarato dai commissari, cioè che xy si occupa di problemi marginali, per quanto interdisciplinari ?
Sono un matematico applicato con anche una laurea in Psicologia delle Organizzazioni, mi occupo di modellizzare interazioni complesse all’interno delle organizzazioni lavorative.
Confermo che pubblicare e’ difficilissimo: per alcuni giornali ci sono troppe formule per altri sono troppo semplici. Nonostante cio’ ho prodotto e pubblicato.
Ho presentato sette domande di abilitazione in settori con tematiche pertinenti alla mia area di ricerca in cui superavo (ampiamente) le mediane.
Il risultato e’ stato un bagno di sangue: per la maggior parte l’intersezione tra settori non e’ inclusa in alcun settore, altrove l’impatto del mio contributo scientifico e’ stato giudicato moderato. Noto a margine che se anche l’intersezione fosse vuota sarebbe inclusa in tutti i settori.
Ugo Merlone
Ecco, ho mandato un articolo al Corriere, ma non ho ricevuto neanche un “No”.
@Ugo Merlone: giustissima la tua nota sulla difficoltà di pubblicare ricerche interdisciplinari!
Mi dispiace, ma L’interdisciplinarietà, come diceva Fantozzi, è una boiata pazzesca. Una parola vuota in un paese di parolai. Se una ricerca è di punta, può toccare altri settori, ma sempre nell’ottica del punto di partenza. Non mi risulta esistano Nobel interdisciplinari. Mi scappa da ridere, o da piangere. Solo verbosità e barzellette, partorite da burocrati, privi di cultura scientifica. Ci si riempie la bocca quando al testa è vuota.
“L’interdisciplinarietà, come diceva Fantozzi, è una boiata pazzesca”
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Impossibile non crederci se a direlo è un Laureato in Scienze Motorie e che si è occupato di riabilitazione, motor control, learning, sindrome metabolica, metodologia dell’allenamento sportivo, sport natatori, etc. Tutti temi in cui è evidente l’inutilità di approcci interdisciplinari.
@acicchel
Mai sentito parlare di Marie Curie, nobel per la fisica e per la chimica?
Mai sentito parlare di Larry Page e Sergey Brin? Che sono partiti da un teorema sulle matrici (Perron-Frobenius) ed hanno inventato Google?!
Mai sentito dire che gli invarianti di nodi che si studiano in topologia algebrica e algebra omologica hanno qualcosa a che fare con il DNA?
Così, giusto per fare qualche esempio…
Ogni tanto leggere non è che farebbe male. Per esempio si può partire da qui http://en.wikipedia.org/wiki/Interdisciplinarity
“Ogni tanto leggere non è che farebbe male.”
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Non sia mai detto. Leggere? Mai!
[…] pezzo, invece, solleva il problema della interdisciplinarità sbandierata sui mezzi di comunicazione e repressa nei concorsi (tema che mi è molto caro e che mi […]