A partire dal 2013, grazie al piano straordinario associati, il numero di RTI da circa 24.000 unità si è costantemente ridotto, ed oggi risulta pressoché dimezzato, sebbene siano tuttora meno di due terzi dei complessivi 15.000 RTI abilitati ad essere diventati PA. Comparando lo stato delle abilitazioni al novembre 2018, si riscontra che ad oggi il numero di RTI in attesa di progressione di carriera in qualità di titolari di ASN per la 2^ fascia è sceso da poco più di 6.000 a circa 5.250. Quasi un quinto della popolazione dei RTI abilitati, pari a oltre mille unità, ha il titolo risalente all’ASN 2012, quindi sempre più prossimo alla scadenza. La pubblicazione del recente DM n. 364 del 2019 potrà fornire nuovo impulso alla progressione di carriera dei RTI, ma il numero di nuovi posti da associato previsti (nella misura di 676) potrà coprire chiaramente solo una piccola parte dell’attuale fabbisogno. Il numero complessivo di RTDb è rimasto contenuto in pochissime centinaia fino al 2015, e dunque fino ad allora non era comparabile con il numero di RTI. Successivamente, per effetto di stanziamenti ministeriali in favore dell’immissione di ricercatori di tipo b, si è oggi arrivati a sfiorare le 4.000 unità; in realtà, tenendo conto anche dei RTDb che nel frattempo hanno completato il proprio triennio di servizio e sono divenuti professori associati, si può concludere che ad oggi siamo ormai prossimi alle 5.000 assunzioni di RTDb e che a questo ritmo, nel giro di meno di tre anni, tale numero potrà superare quello dei RTI (prevalentemente non abilitati) che rimarranno in servizio.
Al termine del primo quadrimestre della tornata di Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) 2018-20, la situazione generale degli abilitati non è significativamente cambiata sia tra i ricercatori a tempo indeterminato (RTI) alla 2^ fascia sia tra i professori associati (PA) alla 1^ fascia.
Comparando lo stato delle abilitazioni al novembre 2018 (riassunto nell’articolo https://www.roars.it/i-ricercatori-a-tempo-indeterminato-dopo-lasn-2016-18-quali-prospettive al termine dell’ASN 2016-18), si riscontra che ad oggi il numero di RTI in attesa di progressione di carriera in qualità di titolari di ASN per la 2^ fascia è sceso da poco più di 6.000 a circa 5.250: tale effetto è dovuto quasi interamente a passaggi in 2^ fascia, mentre si registra un impatto minore dei pensionamenti (all’incirca un centinaio).
Il numero di nuovi RTI abilitati in 2^ fascia – cioè che mai avevano ottenuto il titolo fino a tutta l’ASN 2016-18 inclusa – è molto contenuto (stimato in 86 unità) confrontato con i quasi 7000 RTI tuttora senza alcuna abilitazione. D’altra parte, per quanto riguarda i PA abilitati in 1^ fascia, questi si aggiravano sui 10.800 nel novembre 2018, mentre ora sono scesi a 10.500 circa. Anche in questo caso la causa principale del calo è imputabile ai passaggi alla fascia superiore (circa 570) e, in minor misura, ai pensionamenti (poco meno di 100), a fronte dei quali vi è stata una parziale compensazione dovuta ai circa 350 professori associati che si sono abilitati per la prima volta. Fra questi sono inclusi anche i ricercatori a tempo determinato di tipo b (RTDb) che negli ultimi mesi o anni sono passati in 2^ fascia.
L’impatto dei neo-abilitati in questo primo quadrimestre dell’ASN 2018-20 appare quindi abbastanza ridotto rispetto alla situazione che si poteva registrare al termine della precedente tornata di abilitazioni: siamo ben al di sotto dell’1% dei 12.200 RTI e del 2% dei 21.180 PA in servizio al 31/5/2019. Ancora più esigui sono i numeri di coloro i quali, già in possesso di abilitazione, hanno “rinnovato” il titolo, talvolta anche quando questo non era in immediata scadenza: se ne contano in tutto circa 40 tra i RTI e 110 tra i PA.
In realtà vi sono molteplici possibili spiegazioni per questi numeri così piccoli. Innanzitutto, i primi esiti dell’ASN 2018-20 sono giunti dopo solo pochi mesi dalla conclusione dell’ASN 2016-18, la cui apertura era invece avvenuta ad oltre due anni dalla chiusura della precedente ASN. Inoltre, per effetto delle regole legate alla tempistica per la presentazione delle domande di abilitazione (tenuto conto cioè che per un anno non possono essere ripresentate domande nel medesimo settore in caso di giudizio negativo), è possibile che molti potenziali candidati abbiano valutato di rinviare dal primo al secondo quadrimestre della corrente ASN la presentazione della propria domanda, tenendosi comunque aperta la possibilità di partecipare anche al quinto ed ultimo quadrimestre in caso di esito negativo.
In base a quanto appena evidenziato, appare chiaro che la partecipazione al secondo quadrimestre dell’ASN 2018-20, da poco avviato, potrà essere sensibilmente superiore a quella riscontrata nel primo quadrimestre. Un ulteriore effetto, fino ad oggi mai verificatosi, potrà agire in questa direzione: in mancanza di nuove (e da molti auspicate) proroghe, infatti, l’abilitazione manterrà una durata di sei anni, e dunque già dalla fine del 2019 scadranno le abilitazioni della prima, ormai lontana, tornata (denominata ASN 2012, i cui esiti furono pubblicati a partire dagli ultimi mesi del 2013). È pertanto molto interessante quantificare in che misura ricercatori e professori associati con l’abilitazione in scadenza sono chiamati a rinnovare il titolo necessario all’accesso alla fascia superiore, in considerazione non solo delle soglie e dei criteri di valutazione che negli anni hanno subito variazioni, talvolta anche molto rilevanti, ma soprattutto dell’evoluzione delle proprie carriere negli intervalli di tempo considerati per il lavoro delle rispettive commissioni.
Per analizzare correttamente questo fenomeno, è opportuno suddividere il totale degli abilitati in base all’ultima tornata ASN nella quale il titolo è stato conseguito. Come risulta dal seguente diagramma a torta, per circa la metà dei 5.262 RTI abilitati, il più recente titolo utile all’accesso in 2^ fascia risale al primo oppure al quinto quadrimestre dell’ASN 2016-18.
Come già evidenziato, il primo quadrimestre della scorsa ASN ha riscontrato ampia partecipazione, essendo quello seguente a un lungo periodo senza opportunità di abilitazione; per altri motivi, anche il quinto quadrimestre è stato scelto da molti RTI, in quanto nel momento in cui questo era in corso, esso appariva come ultima finestra possibile per abilitarsi (tra l’altro con commissioni che erano già state viste “all’opera” per quattro volte) e prima di una riattivazione dell’ASN, quella del 2018-20, i cui tempi non sembravano così rapidi come si è poi osservato. Assai minore è stato l’impatto dei tre quadrimestri intermedi, che si possono intendere come possibile preferenza per i candidati che non si fossero sentiti ancora del tutto pronti a partecipare all’ASN 2016-18 già nel primo quadrimestre. Quasi un quinto della popolazione dei RTI abilitati, pari a oltre mille unità, ha il titolo risalente all’ASN 2012, quindi sempre più prossimo alla scadenza.
La situazione tra i professori associati è del tutto analoga, con più articolate dinamiche nella definizione del campione da analizzare. Per uniformità di rappresentazione sin dalle prime tornate ASN, nel seguente diagramma a torta si considera la stragrande maggioranza dell’intera popolazione dei PA abilitati in 1^ fascia (circa il 95%), individuata come l’unione di coloro che al 31/12/2013 erano già PA, oppure da RTI o RTDb sono divenuti PA nel frattempo.
Un’analisi completa dovrebbe da subito includere anche gli attuali RTDb che diverranno a breve PA (tenendo conto di coloro fra questi che risultano abilitati non solo in 2^ ma anche in 1^ fascia), oltre a tutti quei docenti che sono già divenuti PA come primo incarico a tempo indeterminato nell’università, senza cioè essere stati precedentemente ricercatori. Il dato in assoluto ancora più allarmante rispetto a quanto avviene per i RTI, è che ci sono ancora 1700 professori associati la cui abilitazione da ordinario scadrà fra pochi mesi e, in caso di mancato rinnovo, non potrà più essere utilizzata. Supponendo che sia trascurabile la frazione di PA con vecchia abilitazione che andrà in pensione nei prossimi mesi o che è attualmente in fase concorsuale, è prevedibile che nel secondo quadrimestre dell’ASN 2018-20, come anche nei successivi, il numero di domande di abilitazione salirà notevolmente, ma non è detto che a questo necessariamente corrisponda una maggior probabilità di superamento dei criteri abilitanti.
Un quadro dettagliato dello stato attuale degli abilitati è mostrato nella tabella sotto riportata. Per tutti gli atenei italiani è possibile consultare quanti risultano, a fine maggio 2019, i RTI in servizio, quanti fra questi hanno conseguito l’abilitazione alla 2^ fascia entro l’ASN 2016-18 e quanti nel primo quadrimestre dell’ASN 2018-20 hanno rinnovato un’abilitazione già conseguita oppure ne hanno ottenuta una nuova; si riporta inoltre in un’ultima colonna il numero di RTI e PA per i quali l’unica abilitazione fino ad oggi ottenuta è quella dell’ASN 2012, dunque di prossima scadenza. Analoghi numeri sono mostrati anche per i PA abilitati alla 1^ fascia; in tabella sono considerati solo coloro i quali nel 2013 (da PA o da RTI) avevano una posizione a tempo indeterminato.
A riprova di quanto già dimostrato a livello grafico, dalla tabella si evince il fatto che la partecipazione all’ASN 2018-20 è stata molto modesta, uniformemente fra tutte le sedi universitarie, e che dunque al momento il panorama delle abilitazioni è rimasto sostanzialmente invariato rispetto a quando, pochi mesi fa, si era conclusa l’ASN 2016-18.
Se dal punto di vista delle abilitazioni lo scenario sembra piuttosto stazionario, non lo stesso si può dire analizzando la situazione relativamente al reclutamento in 2^ fascia in generale. Per rendersi conto di cosa stia avvenendo nel sistema universitario in merito all’accesso al ruolo di professore associato, occorre mettere a confronto l’andamento del numero di RTI con quello del numero di RTDb, figura istituita dalla legge 240 del 2010, con l’intento di sostituire progressivamente il vecchio ruolo dei RTI come livello di ingresso stabile nel mondo accademico.
Come si può osservare dal successivo grafico, a partire dal 2013, grazie al piano straordinario associati, il numero di RTI da circa 24.000 unità si è costantemente ridotto, ed oggi risulta pressoché dimezzato, sebbene siano tuttora meno di due terzi dei complessivi 15.000 RTI abilitati ad essere diventati PA. La pubblicazione del recente DM n. 364 del 2019 potrà fornire nuovo impulso alla progressione di carriera dei RTI, ma il numero di nuovi posti da associato previsti (nella misura di 676) potrà coprire chiaramente solo una piccola parte dell’attuale fabbisogno. Un impatto non del tutto trascurabile dal 2013 a oggi, d’altra parte, è dato anche dai pensionamenti (in tutto oltre duemila). Il numero complessivo di RTDb è rimasto contenuto in pochissime centinaia fino al 2015, e dunque fino ad allora non era comparabile con il numero di RTI. Successivamente, per effetto di stanziamenti ministeriali in favore dell’immissione di ricercatori di tipo b, si è oggi arrivati a sfiorare le 4.000 unità; in realtà, tenendo conto anche dei RTDb che nel frattempo hanno completato il proprio triennio di servizio e sono divenuti professori associati, si può concludere che ad oggi siamo ormai prossimi alle 5.000 assunzioni di RTDb e che a questo ritmo, nel giro di meno di tre anni, tale numero potrà superare quello dei RTI (prevalentemente non abilitati) che rimarranno in servizio.
I due canali di reclutamento in 2^ fascia (da RTI e da RTDb) non sono affatto disgiunti, ma seguono dinamiche di “coesistenza” che possono rivelarsi anche molto variabili fra le differenti sedi universitarie. Come noto, sia per RTI sia per RTDb l’accesso al ruolo di professore associato richiede come condizione necessaria il possesso dell’abilitazione nel settore concorsuale di afferenza. La percentuale di RTDb che acquisiscono l’ASN entro il termine del triennio di servizio, è prossima al 100% e, a seguito di questa, il passaggio a PA avviene quasi “automaticamente” attraverso una procedura valutativa dedicata e senza che siano ammessi altri concorrenti. Nel caso di un RTI che volesse ambire alla 2^ fascia, viceversa, è necessario istituire un’apposita procedura concorsuale nel settore, che di norma rimane aperta a più candidati (sia interni all’ateneo di appartenenza se la procedura è valutativa, sia esterni se essa è selettiva). Ogni approfondimento su tale discriminazione va oltre gli scopi della presente indagine, mentre nel seguito ci si propone semplicemente di descrivere come le implicazioni delle dinamiche di reclutamento in 2^ fascia abbiano inciso fino ad ora e come potranno avere effetto in futuro, attraverso uno studio effettuato per i singoli atenei.
L’intervallo di tempo qui preso in considerazione è quello successivo al 2016, cioè dall’1/1/2017 al 31/5/2019. In tale periodo l’effetto dello scorso piano straordinario associati in favore dei RTI si può dire definitivamente terminato, mentre con uniformità tutti gli atenei italiani hanno potuto pianificare ed attuare un ampio reclutamento di RTDb finanziati dal Ministero, la cui posizione ad oggi non è ancora stata convertita in PA, essendo passato meno di un triennio. In altri termini, quindi, si intende analizzare la strategia di reclutamento di nuovi RTDb, ponendola in correlazione all’eventuale presenza di RTI abilitati. A tal proposito sono stati considerati separatamente tutti i 190 settori concorsuali per ciascuno degli 85 atenei in cui, dopo il 2016, sono state attivate posizioni di RTDb. All’interno di un dato settore, nel periodo da inizio 2017 ad oggi, si può essere verificata una (e una sola) delle seguenti quattro possibili configurazioni:
- è stato assunto uno o più RTDb abilitati senza che vi siano RTI abilitati nel settore;
- non è stato assunto alcun RTDb, mentre vi sono uno o più RTI abilitati nel settore;
- è stato assunto uno o più RTDb abilitati laddove esiste almeno un RTI abilitato nel settore;
- non ci sono state assunzioni di RTDb né vi sono RTI abilitati nel settore.
Mentre la prima e la seconda configurazione dimostrano entrambe “consapevolezza” delle opportunità di carriera dei ricercatori (più o meno giovani), nella terza configurazione si verifica una condizione asimmetrica di vantaggio da parte di chi è stato assunto come RTDb ed ha la certezza di un concorso valutativo per la 2^ fascia, e di svantaggio da parte di chi permane nel ruolo di RTI senza analoghe garanzie. La quarta configurazione, non di interesse per questa indagine, si verifica – ad oggi – nella stragrande maggioranza dei casi (circa tre quarti delle volte), per il semplice fatto che molti atenei, in particolare i più piccoli, hanno ricercatori che non afferiscono a una gran parte dei settori concorsuali esistenti.
Per meglio comprendere l’evoluzione nel tempo delle dinamiche di reclutamento di nuovi RTDb e di progressione di carriera di RTI rispetto agli esiti dell’ASN, si considera quale delle suindicate quattro configurazioni si verifica nei vari settori concorsuali presenti negli atenei. In particolare, per un determinato ateneo, tra tutti i settori in cui sono stati reclutati RTDb con abilitazione, si esamina la percentuale dei settori in cui non sono presenti RTI abilitati; in altri termini, tale percentuale è ottenibile come il rapporto tra il numero di settori con la configurazione (1) e la somma del numero di settori corrispondenti alle configurazioni (1) e (3). Tale percentuale rappresenta una sorta di misura della quota di assunzioni di RTDb in settori a cui non afferiscono RTI abilitati, attraverso strategie di reclutamento che sono pertinenza degli atenei, con la dovuta influenza esercitata dai dipartimenti responsabili dei settori concorsuali in cui vengono bandite le nuove posizioni.
All’inizio del periodo di riferimento della presente indagine (nel gennaio del 2017, allorché l’ultima tornata ASN era ancora quella del 2013), la percentuale di settori nei quali erano avvenute assunzioni di RTDb senza RTI abilitati era ancora molto elevata ed assumeva valori superiori al 70% pressoché dappertutto, con l’eccezione solo di qualche ateneo di grandi dimensioni (come Roma “La Sapienza”, Napoli “Federico II” e Bologna), in cui l’elevato numero totale di RTI abilitati nell’ateneo comportava l’esistenza di un esiguo numero di settori rimasti “a disposizione” nei quali poter assumere RTDb senza che vi fossero RTI titolari di ASN. Nel seguente grafico a dispersione, ogni ateneo è rappresentato con un punto nel piano in cui sull’asse verticale è riportata la percentuale di settori con RTDb assunti dopo il 2016 e senza RTI fino a quel momento abilitati, e sull’asse orizzontale è indicato il numero di settori con RTDb abilitati (dunque la somma del numero di settori nella prima e nella terza fra le configurazioni precedentemente elencate). In questo e nei successivi grafici, gli atenei sono suddivisi in tre serie in base al numero attuale di RTI abilitati (in celeste quando questi sono più di 100, in arancione quando sono tra 50 e 100, in verde chiaro quando sono meno di 50). Il punto a 20%, frutto di una fluttuazione su piccoli numeri, corrisponde a Roma Tor Vergata, ateneo con più di 100 abilitati in cui fino a quel momento erano stati banditi concorsi da RTDb solo in 5 settori, e in ben 4 fra questi afferivano RTI che avevano conseguito l’ASN.
Col trascorrere del tempo, all’inizio del 2018 (allorché erano stati completati i primi tre quadrimestri dell’ASN 2016-18), con la continua crescita del numero di abilitati, la percentuale di settori in cui sono stati assunti RTDb in assenza di RTI abilitati si è progressivamente abbassata, assumendo valori inferiori al 50% in una dozzina di atenei, prevalentemente di grandi dimensioni e con oltre 100 RTI abilitati, come il grafico a dispersione successivo dimostra. Tra gli atenei più grandi, che in assoluto reclutano un maggior numero di RTDb (e dunque si collocano nella parte più a destra del grafico), si evidenziano differenze piuttosto stridenti. Da una parte, fino a inizio 2018, a Roma “La Sapienza” (il più grande ateneo italiano) erano stati banditi concorsi per RTDb in 59 settori, che solo nel 22% dei casi erano diversi dai quasi 120 settori con RTI abilitati (in totale oltre 400), dall’altra a Firenze un più contenuto numero di RTI abilitati non ancora promossi a PA (al di sotto di 100 in 28 settori in tutto) ha permesso di reclutare RTDb abilitati in un ampio numero di settori (ben 72), a cui nell’81% dei casi non afferivano RTI titolari di ASN.
Giungendo alla situazione attuale (fine maggio 2019) a conclusione dell’ASN 2016-18 e a seguito degli esiti anche del primo quadrimestre dell’ASN 2018-20, il numero di settori con RTDb abilitati in tutti gli atenei è cresciuto ulteriormente, dimostrando di essere una grandezza sempre più chiaramente anticorrelata alla percentuale di settori con RTDb abilitati e senza RTI abilitati, che è scesa a valori sotto il 50% in ben venti atenei, come risulta dal grafico riportato sotto. In molti atenei di piccole e medie dimensioni le statistiche di RTDb assunti sono ancora poco significative e dunque possano portare a rilevanti fluttuazioni. Appare tuttavia possibile individuare nelle varie sedi quanto sia stata più o meno accentuata la volontà strategica di ridurre al minimo l’impatto di nuove assunzioni di RTDb in settori caratterizzati da RTI abilitati.
Il dettaglio completo del numero di settori in cui si verificano le varie possibili configurazioni prima descritte è riportato nella seguente tabella per ognuno degli atenei italiani. In particolare, viene indicata la percentuale di settori in cui da inizio 2017 sono stati reclutati RTDb abilitati e in cui non sono in servizio RTI abilitati: valori elevati di tale percentuale sono più frequenti in atenei di piccole dimensioni, o comunque nei quali il numero di RTI abilitati è relativamente ridotto e dunque interagisce in minor misura con le politiche di reclutamento di nuovi RTDb, mentre l’opposto avviene negli atenei più grandi, per i quali la stessa percentuale assume valori anche sensibilmente inferiori.
Oltre al già citato caso dell’Università di Firenze, una situazione “virtuosa” si è ad oggi configurata presso l’Università di Trento, nella quale si contano solo 2 casi su 36 di RTDb abilitati in settori con RTI abilitati. È da segnalare anche l’Università dell’Insubria, che è l’ateneo col più alto numero di settori con RTDb abilitati (21) che siano tutti diversi dai settori con RTI abilitati. Un caso particolare è costituito dai Politecnici, nei quali il numero totale di possibili settori è necessariamente ridotto rispetto agli atenei “generalisti”, che si occupano di svolgere ricerca e di offrire didattica in molti più settori concorsuali: il Politecnico di Milano si distingue perché la percentuale in questione è molto bassa (27%), essendo stati banditi posti di RTDb solo in 9 settori privi di RTI abilitati, contro 24 settori aventi almeno un RTI abilitato tra gli afferenti. In quest’ultimo caso può aver influito l’elevata molteplicità media di RTI abilitati per settore (riportata nell’ultima colonna della precedente tabella). Fra gli atenei di piccole dimensioni, spicca l’Università di Teramo con una percentuale pari a 0, dal momento che le poche assunzioni di RTDb (3 dal 2017 fino ad oggi) risultano tutte verificatesi in settori in cui sono presenti anche RTI abilitati.
È opportuno precisare, in conclusione, che tutta la trattazione qui esposta nel tentativo di descrivere alcuni aspetti dell’evoluzione nel tempo delle dinamiche di reclutamento in 2^ fascia degli atenei italiani è soggetta ad alcune semplificazioni piuttosto rilevanti. Innanzitutto, non tiene conto delle assunzioni di nuovi professori associati che non siano stati precedentemente né RTI né RTDb. Inoltre, enumera i settori concorsuali come se fossero tra loro di equivalente consistenza, mentre è chiaro che nei settori più grandi è più probabile che si verifichi la coesistenza di RTDb e di RTI abilitati. In aggiunta, non è presa in considerazione l’esatta sequenza temporale con cui in un dato settore acquisiscono l’abilitazione i ricercatori a tempo indeterminato e i ricercatori a tempo determinato, né si correlano queste informazioni con il momento in cui per questi ultimi avviene il reclutamento, bensì si ritrae la situazione integrata sull’intero periodo dal 2017 ad oggi. Cionondimeno, resta sempre più evidente la direzione in cui sta andando il sistema universitario negli ultimi anni: procede a crescente velocità il reclutamento di nuovi RTDb, quasi tutti abilitati e pertanto avviati a diventare professori associati, mentre permangono più limitate le opportunità di progressione di carriera offerte ad un ancora ampio numero di RTI idonei alla 2^ fascia, in molti casi chiamati a rinnovare un’abilitazione ormai in scadenza.
M chiedo se non abbiano il diritto di essere presi in considerazione anche gli abilitati che non siano strutturati in alcun modo (e non siano ricercatori di nessun tipo), magari perché nel frattempo hanno vinto un concorso nella scuola ma, nello stesso tempo, non hanno perso la loro vocazione alla ricerca e, anzi, hanno finito per continuare a fare il ‘doppio’ lavoro (come insegnanti e come ricercatori) continuando a produrre. Inoltre, non si capisce proprio perché prima di diventare associati o ordinari si debbano percorrere i ‘gradini’ precedenti della carriera. Quale legge lo stabilisce? ed è stata abolita la legge che un tempo (ne ho conosciuti alcuni) permetteva di diventare ordinari pur non essendo neppure laureati?
Nell’articolo l’argomento dell’ASN e degli abilitati è affrontato su dati reperibili sul sito del CINECA, che sono “storicizzati” (cioè reperibili per ciascuno degli anni recenti) solo per figure professori e ricercatori (ivi inclusi anche RTD di tipo A e di tipo B). Non è invece possibile un’analisi che tenga conto anche degli Assegnisti di Ricerca (che sono elencati solo nei periodi in cui hanno contratti in corso di validità, e comunque solo limitatamente alle Università e ignorando il grande apporto degli Enti di Ricerca), per non parlare dell’ancor più ampio contesto di ogni altra forma di contratti, incarichi o borse previsti in Italia. Una stima è tuttavia possibile, e provo a dettagliarla nel seguito.
Prendiamo come riferimento per l’accesso al mondo accademico la seconda fascia. Al momento della scrittura di questo articolo (31/05/2019) erano in servizio 21.280 professori associati; nel 2013, anno preso come riferimento iniziale, circa 9.700 tra questi (46%) erano professori associati (equamente divisi tra abilitati e non alla prima fascia), mentre 9.080 (43%) erano RTI; i neo-associati che precedentemente erano stati RTDb risultano all’incirca 850 (4%), mentre nei restanti oltre 1.600 casi (7%) l’accesso alla seconda fascia è avvenuto senza aver “percorso i ‘gradini’ precedenti della carriera”. Ciò dimostra che il “cursus” accademico prevalente è e rimane quello a tre fasce su cui per decenni si è fondata l’Università italiana, che l’innesto di RTDb in ruolo come associati è un aspetto numericamente ancora minoritario, e che c’è un canale aperto a nuove figure non già strutturate in alcun ateneo. A conferma di ciò, basti pensare infatti che meno del 40% delle circa 44mila abilitazioni a professore associato sono state conseguite da RTI: se ne deduce che, per la restante parte, vi è un’enorme platea di persone che, in base all’ASN, avrebbe i titoli giusti per poter accedere alla seconda fascia.
Sappiamo che ci sono molti abilitati “esterni” e che dobbiamo a loro una parte certamente importante della produttività di ricerca che ci mantiene ancora all’ottavo posto e della copertura didattica a contratto.
Personalmente mi auguro che non perdano la speranza e che partecipino ampiamente alle procedure art.18, cioè quelle “aperte”, che sono almeno il 50% di tutte quelle bandite.
In bocca al lupo.
La convivenza e poi i risultati dell’abilitazione, per i ricercatori confermati a tempo indeterminato (dopo il triennio di prova, i cd ‘vecchi’) e per le varie tipologie dei ricercatori a tempo determinato (i cd ‘giovani’), hanno prodotto fin dall’inizio un’atmosfera avvelenata e certamente anche complicazioni gestionali (amministrative e ‘politiche’). E non vado oltre. Mi astengo anche dal pensare ai casi concreti. La domanda è se è stata una cosa voluta o una cosa che è avvenuta per incapacità di previsione/prevenzione.
In un sistema malato si è introdotta una nuovo modo di fare ingiustizia. I ricercatori a tempo determinato, per quel che ho potuto vedere io, hanno avuto uno scivolo e carriere rapidissime. I dipartimenti dovevano appoggiarli, per non venire penalizzati, ed è stato quello che hanno fatto. Tante altre brutte cose, a dimostrazione del fatto che il merito e l’impegno non valgono proprio niente….
Sarebbe interessante verificare se esiste una correlazione tra la percentuale di pensionamenti da novembre 2016 e quella di reclutamento rtdb da inizio 2017 nei settori con RTI abilitati riportata sopra.
È anche interessante notare che il numero Medio di RTI abilitati per settore raramente raggiunge 2 rarissimamente 3 per ateneo – con ricadute inevitabili sulla “forza politica” di questi colleghi, solo fintamente aiutati dal DM n. 364 del 2019 che non stanzia risorse ma si limita a scomputare i punti organico dal debito di ateneo per metà dei passaggi RTI -> PA fino a poco più di 600 passaggi al livello nazionale.
Sappiamo bene che al numero dei pensionati non corrisponde un altrettanto numero di nuovi ingressi: ci stiamo tutti prendendo doppio e triplo carico per ovviare a questa politica. Dice bene Lei, per settore: penso sia settore scientifico e non macrosettore. Se considera i macrosettori sono tanti coloro che hanno fatto carriera molto ma molto più rapidamente di quanto non accadesse nel passato. Sono stati anzi avvantaggiati. Il loro potere politico? Quello di chi li ha sostenuti è importante: per non dover dire ho sbagliato, sono stati appoggiati sempre e comunque.
La risposta all’interessante quesito di Alessandro Pezzella è possibile analizzando le diverse casistiche dei circa 3020 settori concorsuali distintamente presi su 85 università, all’interno dei quali dal 2016 in poi vi sono RTI abilitati. Se l’ipotesi da testare è “vi sono reclutamenti di RTDb là dove si pensionano PO”, si può osservare che solo nel 12% dei 3020 suddetti casi (cioè con RTI abilitati) si è verificata contestualmente la presenza di RTDb reclutati e di PO pensionati; a tale percentuale si può aggiungere un 18% di casi in cui né ci sono stati reclutamenti di RTDb né pensionamenti di PO. Nel restante 70% dei casi, cioè nettamente la maggioranza, le due “variabili” in questione sono di fatto anti-correlate: in particolare, nel 55% dei casi si reclutano RTDb senza che vi siano PO che vanno in pensione, e nel 15% dei casi vi sono pensionamenti di PO a cui non corrisponde alcun reclutamento di RTDb.
Naturalmente in particolari sedi ci sono eccezioni (come ad esempio nei Politecnici di Torino e di Milano), ma in generale la correlazione esiste, ed è negativa.
Capisco che non è questo il tema dell’articolo, ma penso sia urgente porre un tema che alcuni riterranno provocatorio.
Perché mai un RTI deve conseguire QUESTA ASN ? L’abilitazione scientifica che esiste oggi è una palese truffa ai danni dei Ricercatori a Tempo Indeterminato.
Gli RTI che possono documentare didattica e ricerca, oltre ad attività di missione socio-culturale, hanno di per sé “tutte le prerogative ed i crismi necessari per il ruolo di Professore”. Si vuol forse spacciare il fatto che sono gli indicatori ASN a stabilire se esiste un’attività di ricerca ? E’ solo chi supera, in ambito bibliometrico, i “due indicatori su tre” (le mediane, le soglie… e chi più ne ha più ne inventi) che si può dire faccia attività di ricerca ? Quale anima candida pensa ancora che la ASN serva a discernere “le pecore dai caproni” ? La fallacia del citazionismo; le critiche puntuali all’uso di driver para-econometrici in ambito universitario; l’insostituibilità del giudizio di merito in qualunque selezione accademica…. sono tutti fatti ampiamente discussi e documentati, se solo si volessero aprire gli occhi. Cosa non sempre scontata e spesso dolorosa, per chi sulla bibliometria ci ha costruito la carriera.
La critica dell’ASN applicata ai RTI non è una provocazione.
Si tratta di stabilire la sorte di migliaia di Docenti (RTI) che svolgono o hanno svolto, spesso agli inizi della loro carriera, un’intensa e fruttuosa attività di ricerca, che oggi viene letteralmente distrutta dai meccanismi ASN. Vi è una sorta di “princìpio dell’oblio” insito nell’uso delle finestre temporali per gli indicatori ASN: questi misurano l’intensità bibliometrica (su 5 anni o su 10 anni) e non i risultati bibliometrici assoluti, ovvero estensivi, accumulati nella carriera1. E’ evidente che il legislatore aveva ed ha in mente solo la generazione precaria degli RTD, nel predisporre i criteri di abilitazione per la II fascia: si guarda al periodo trascorso tra la fine del triennio (o quinquennio) di contratti precari (RTD, a+b) e l’inizio della propria produttività bibliometrica, verosimilmente collocata a inizio dottorato, ovvero sei-dieci anni indietro. Se la “soglia” è 9, chi ha fatto 10 in cinque anni (e nulla prima) passa, chi ha fatto 30 in venti anni non passa (L’estrapolazione del dato intensivo (10/5 > 30/20) come indicatore di performance in prospettiva per il tempo futuro è una stortura che lasciamo volentieri agli economisti. ).
Mille sono le ragioni che possono svantaggiare un ricercatore “vecchio stile” nell’impropria competizione per l’abilitazione. Senza considerare le energie spese nella didattica, sono le consuetudini e le modalità di lavoro a fare la differenza.
Il giovane RTD è spesso inserito “in cordata”, con intensa collaborazione e modularità dei compiti (tu fai l’esperimento, lui analizza i dati, io scrivo l’articolo), in un gruppo di ricerca coordinato “dal Professore”; questa sinergia produce un fattore moltiplicativo nel numero di pubblicazioni, anche se con evidente aumento del numero di autori per pubblicazione (è lecito, nell’ANVUR-pensiero, parlare del numero di autori per pubblicazione?). L’anziano RTI è spesso lui “il Professore”, cioè il coordinatore di una linea di ricerca di cui è ormai esperto da anni… (ma a cui, magari, vengono assegnate scarse risorse).
Il giovane RTD è nato e cresciuto nel clima da “caccia alla citazione” che ANVUR ha instaurato; spesso, prima di spedire un lavoro, si preoccupa se la publication venue (rivista o convegno) è presente sui sacri database ANVURiani… chi non è su Scopus o su ISI-WoS, semplicemente non esiste (personalmente, mi pregio di avere pubblicato, oltre a monografie e brevetti, 13 lavori di discreta qualità che non sono archiviati sui sacri database commerciali. Alcuni con effetto farsesco, come un lavoro comparso in atti di congresso internazionale della Optical Society of America (OSA: una delle più grandi società scientifiche ed editoriali del mondo) di cui Scopus ha archiviato tutte le edizioni tranne una… Se glielo si segnala, invece di ringraziare, rispondono con email da “supercazzola prematurata”.).
A un vecchio ricercatore è stato sempre insegnato che un Full Paper, dove si propone un nuovo paradigma o si sviluppa una teoria, vale ben più di una Letter con contenuti di ricerca poco più che incrementali, anche se costa molta più fatica condurlo in porto (è ancora lecito, sotto l’ANVUR-pensiero, fare questa distinzione o ci si deve accontentare della dicitura unica “pubblicazione su rivista” ?).
Anche qui, la letteratura in materia è piena di evidenze su come la bibliometria fomenti comportamenti opportunistici, che indirizzano condotte scientifiche e temi di ricerca, dunque infine gli stessi esiti bibliometrici (voglio ricordare il bellissimo saggio della collega Valeria Pinto, “Valutare e Punire”, Ed. Cronopio, 2013.).
Quelli appena riportati sono solo esempi, è chiaro. Parole in libertà. Ma sono anche storie di vita: di tanti – come me che scrivo – che hanno lavorato per anni da soli, necessariamente su argomenti di nicchia; a volte su ricerche innovative e di frontiera, dove essere citati per tre volte vuol dire aver fatto l’en-plein. Con buona pace dei bibliometristi.
Tanti colleghi lavorano da soli perché il presunto Maestro è incapace di guidarli; da soli perché ostracizzati dal Barone di turno; da soli perché lavorano in una piccola Università; da soli perché hanno un carattere di merda… tutto questo poco conta. Non è un caso che gli Abilitati ASN si presentano “a grappoli”: gruppi nutriti di candidati da uno stesso, grande, gruppo di ricerca. Dove nessuno si sente mai solo.
Dunque, per parlare di RTI, la posizione da cui si deve ragionare è necessariamente quella di un Ricercatore che non ha e non avrà mai i numerini giusti per compiacere ASN-ANVUR; è quella del Docente di terza fascia che da venticinque anni pubblica uno-due buoni articoli l’anno e si accolla i suoi 12-15 CFU di didattica (ma questa è proibito valutarla… la Qualità della Didattica non esiste, nell’ANVUR-pensiero !). Costui è de-facto un Professore Universitario; la domanda è: chi è costui, de-jure ? Come scrive Carlo Ferraro: “Non è possibile mantenere in un ruolo a esaurimento oltre 20.000 Ricercatori a tempo indeterminato”.
E neppure 10.000 o 5.000. Dove devono essere collocati i RTI ? Nell’inceneritore ? Chi lo pensa, abbia almeno il coraggio di dirlo a viso aperto.
Continuare a parlare di RTI “abilitati in prospettiva” è assolutamente inutile. Gli RTI abilitati vanno immediatamente reclutati, ciò è pacifico e scontato, non deve essere oggetto di discussione; semmai, può essere oggetto di feroce contestazione, qualora così non accadesse.
Per il resto, la mia visione è che il metodo ANVUR-ASN debba essere semplicemente spazzato via, almeno per quanto riguarda la transizione di ruolo dei RTI.
Accettare un unico criterio di vaglio, cioè la ASN, per RTD e RTI è assurdo.
Limitarsi a richiedere “più posti da Associato” o “più Piani Straordinari” per abilitati è una battaglia di retrovia, che non coglie il nesso sociale e umano. Dunque è una battaglia che ha già perso.
Va valutata anche la convenienza del salto da RTI a PA visto che la ricostruzione di carriera non e’ piu’ prevista. Circa 20 anni di anzianita’ rappresentano la soglia oltre la quale il salto (in assenza di prospettive di ulteriore salto a PO) inizia ad essere sconveniente economicamente.
Comparazione stipendiale ricercatori a tempo indeterminato/professori associati/professori ordinari.
Ciascuno, in base alla sua anzianità anagrafica e classe stipendiale, sulla base delle tabelle allegate al DPR 232/2011, può calcolare quale sia la sua convenienza ai fini stipendiali, pensionistici e di buonuscita, al passaggio a ruolo superiore, tenendo conto anche delle indennità aggiuntive come la retribuzione della didattica frontale (non obbligatoria per i RU) o indennità di carica riservate ai ruoli superiori.
NOTE
In alcuni atenei il blocco stipendiale degli anni dal 2011 al 2015 ha comportato il blocco anche della progressione delle classi, in altri invece la classe ha seguito la progressione delle annualità di servizio, ed è stato bloccato soltanto lo stipendio.
In alcuni atenei si attribuiscono incrementi stipendiali anche alle annualità interne alla classe, anche se non previste affatto dal DM 232/2012.
Si evidenzia che con il passaggio dalle classi biennali alle classi triennali si perde la progressività degli incrementi al passaggio di classe, determinandosi una sperequazione piuttosto pesante tra le due classi successive.
Si evidenzia anche il paradosso per cui un Ricercatore per raggiungere quarantadue anni di servizio all’età anagrafica di 65 anni avrebbe dovuto essere entrato in ruolo all’età di 24 anni, più la ricostruzione di carriera fino ad un massimo di 6 anni, dunque a 30 anni anagrafici.
Un Professore associato per raggiungere i 39 anni di servizio all’età anagrafica di 70 anni dovrebbe prendere servizio all’età di 32 anni, un Professore ordinario dovrebbe prendere servizio nel ruolo all’età di 38 anni.
Si evidenzia che la convenienza alla progressione di ruolo è conveniente per il ricercatore che ha meno di 15 anni di servizio (se ha attività didattica frontale retribuita), o di 17 anni, cui vanno aggiunti i 5 anni del blocco, dunque 20 o 22 anni di servizio nel ruolo.
Il Professore associato ha convenienza al passaggio di ruolo se ha meno di 15 anni di servizio ( se post-Gelmini) oppure di 18 (se pre-Gelmini), con l’aggiunta dei 5 anni del blocco, dunque 20 o 23 anni effettivi di servizio nel ruolo e soltanto se ha ancora almeno 16 anni di servizio prima del termine dei 70 anni anagrafici.
Naturalmente tutti coloro che non hanno ragionevoli e concrete aspettative (un po’ più che semplici promesse) di essere chiamati in tempi stretti, non hanno nessuna convenienza neppure a sottoporsi al tritacarne della ASN, né a produrre oltre il minimo previsto per lo scatto stipendiale dal suo ateneo, né ad assumere carichi gestionali nominali a per qualcun altro, né ad assumere didattica frontale oltre al minimo di legge (“zero” per i RTI). Uno stallo di ricerca e didattica nonché l’attribuzione di tutti gli oneri gestionali ai PO, che dovranno anche assolvere alle commissioni necessarie per tutti i concorsi, passaggi di ruolo, rinnovi, assegni borse e contratti vari.
“né ad assumere didattica frontale oltre al minimo di legge (“zero” per i RTI)”
Appunto per questo sono pronte le due nuove proposte di legge 783 e 1608 (rispettivamente proposte dai deputati Torto e Melicchio), ed attualmente in discussione alla camera per una loro fusione. Appare chiaro il tentativo di riformare la legislazione vigente sugli RTI in questa direzione: attività didattica frontale obbligatoria e non retribuita.
Il buon Ferraro nella sua ultima comunicazione sostiene che “a nessuno si impedisce di rimanere RTI”. Il problema è che i nuovi RTI, e verosimilmente anche i vecchi, non saranno più gli stessi.
In merito alla attività didattica dei ricercatori e alla sua retribuzione, la Carta Europea dei Ricercatori mi pare parli chiaro (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32005H0251)
“Insegnamento
L’insegnamento è un mezzo essenziale per strutturare e diffondere le conoscenze e dovrebbe pertanto essere considerato un’opzione valida nel percorso professionale dei ricercatori. Tuttavia, gli impegni legati all’insegnamento non dovrebbero essere eccessivi e non dovrebbero impedire ai ricercatori, soprattutto nella fase iniziale della loro carriera, di svolgere attività di ricerca.
I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero accertarsi che i compiti d’insegnamento siano adeguatamente remunerati, siano presi in considerazione nei sistemi di valutazione e che il tempo consacrato dai membri più esperti del personale addetto alla formazione dei ricercatori nella fase iniziale di carriera sia considerato come tempo dedicato ad attività di insegnamento. Si dovrebbe offrire una formazione adeguata per le attività di insegnamento e di mentoring nell’ambito dello sviluppo professionale dei ricercatori.”
Tra la miriade di associazioni chiamate in audizione alla camera per la discussione delle proposte di legge di cui sopra, l’unica che abbia un minimo sollevato il problema mi pare sia l’associazione Luca Coscioni:
https://www.associazionelucacoscioni.it/wp-content/uploads/2019/06/Commento-PDL-Torto.pdf
massimo rispetto per tutti, soprattutto per gli RTI, che con fatica e merito si sono conquistati il loro posto,
ma che dire degli RTD-A, Abilitati? (Che scadono e vanno fuori dal sistema………)
Non sono forse discriminati rispetto agli RTDB Abilitati?
Non sono forse discriminati rispetto agli RTI Abilitati? (Che comunque avranno lo stipendio per tutta la vita…..)
Facciamoci un esame di coscienza e diamo delle priorità!!!!!!!!!!!!