«L’Università, la Ricerca e l’istruzione superiore non sono una merce». Non sembra pensarla così l’avvocato generale della Corte europea di giustizia, la tedesca Juliane Kokott, che, per difendere ll valore della libertà accademica e ottenere la condanna delle leggi liberticide volute da Viktor Orban, ha ritenuto tecnicamente opportuno evocare, in aggiunta alle norme della Carta che riconoscono e tutelano esplicitamente il valore della libertà accademica, anche le norme derivanti dall’accordo generale sugli scambi di servizi (General Agreement on Trade in Services, noto come «GATS»), che l’Europa ha recepito dagli accordi esitati dai negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994). I dettagli in questa segnalazione.

Due notizie. L’articolo 13 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, intitolato «Libertà delle arti e delle scienze», dispone: «Le arti e la ricerca scientifica sono libere. La libertà accademica è rispettata». L’articolo 14, paragrafo 3, della Carta, prosegue: «La libertà di creare istituti di insegnamento nel rispetto dei principi democratici, così come il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, sono rispettati secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio».

Anche richiamando queste basi, l’avvocato generale alla Corte europea di giustizia, la tedesca Juliane Kokott, ha chiesto alla Corte di condannare lo Stato ungherese per aver promulgato una legislazione in aperto contrasto con la libertà accademica.

La seconda notizia è che nelle sue conclusioni l’avvocato Kokott, per difendere ll valore della libertà accademica e ottenere la condanna delle leggi liberticide volute da Viktor Orban, ha ritenuto tecnicamente ineccepibile evocare, in aggiunta alle norme della Carta appena ricordate, anche le norme derivanti dall’accordo generale sugli scambi di servizi (General Agreement on Trade in Services, noto come «GATS»), che l’Europa ha recepito dagli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994).

Questa impostazione, al netto dei tecnicismi che ne hanno potuto consigliare l’adozione nella dialettica della procedura pendente innanzi alla Corte, segnala nitidamente l’acritica adozione di una scelta di fondo pericolosa: accettare – e addirittura rivendicare con pienezza di argomentazioni giuridiche – l’idea che la ricerca scientifica, l’istruzione superiore e la libertà accademica siano nei fatti considerate indistinguibili da un qualsiasi servizio, suscettibile di essere scambiato e degradato a merce, in seno a una Europa ideologicamente partecipe fino in fondo delle logiche della globalizzazione.

Le conclusioni dell’Avvocato Generale Kokott possono essere lette qui. Gli addetti ai lavori potranno approfondire i dettagli del caso in un primo commento, che ovviamente omette di rilevare la criticità di fondo sottesa all’inquietante equiparazione avallata nelle conclusioni rassegnate dall’Avvocato Generale. In qualche modo la circostanza segnala la diffusione di un modo di ragionare che ritiene assiomatico impiegare le categorie del mercato, e le sue regole, per affrontare qualsiasi tema o per risolvere qualsiasi problema sociale, senza fermarsi a riflettere sulle implicazioni che questo modo di pensare è suscettibile di produrre sui valori che in quei temi vengono in gioco, come invece fa la più accorta dottrina economica, ragionando in termini di “merit goods“.

Non resta che aspettare, per sapere se, e fino a che punto, questa equiparazione riceverà il plauso del massimo organo della giurisdizione europea.

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1 commento

  1. A proposito di libertà accademica, mi risulta che ci siano problemi maggiori nelle università del mondo anglofono, dove numerosi sono i professori licenziati per aver espresso opinioni. In USA dimostrazioni anche violente o provvedimenti amministrativi hanno reso impossibile parlare di alcuni argomenti. Leggo che chi si occupa di questi problemi sostiene che siano stati originati da certe “sciences”. Guarda caso, in quella università con sede in USA/Ungheria oggetto dei provvedimenti contestati vengono insegnate queste “sciences” e invece mancano scienze come la fisica. Per cui la questione è forse più chiara dal punto di vista economico che non da quello della libertà accademica.

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