Il pasticcio delle abilitazioni, la cattiva coscienza dei professori universitari, il diversivo delle mediane. È davvero troppo tardi per fermarsi?

Alcuni mesi fa il Ministro Profumo era intenzionato a sospendere l’applicazione delle nuove procedure previste dalla legge n. 240/2010 (legge Gelmini) per l’istituzione della “abilitazione scientifica nazionale”, che la stessa legge aveva introdotto come “requisito necessario” per l’accesso alla prima e seconda fascia dei professori universitari. Il Ministro, che è stato Rettore di una fra le più prestigiose università italiane e non poteva certo essere accusato di non capire bene di cosa parlava, venne letteralmente crocifisso e decise infine di far partire la procedura. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la confusione è totale, l’intero meccanismo rischia di essere travolto da ricorsi e risse interpretative sui decantati parametri oggettivi di valutazione, gli studiosi che da tanti anni sono in attesa di un segnale di speranza cominciano a capire che saranno ancora una volta illusi e abbandonati.

Di chi è la colpa? Troppo facile scaricarla sul Ministro e sull’Anvur. Vale forse la pena di provare a considerare risolti il conflitto sulle mediane e tutti gli altri problemi “tecnici” intorno ai quali si accapigliano gli addetti ai lavori e immaginare il seguito della storia.

 La legge prevede una lista aperta per le abilitazioni. Questa scelta è anche una garanzia di “pace sociale”: nessun candidato meritevole sarà escluso, anche se è facile immaginare che, essendoci posto per tutti, non saranno soltanto i più meritevoli ad essere abilitati. Sarà meglio tenersi “larghi” anche per non rischiare di sbagliare: le commissioni avranno cinque mesi di tempo a disposizione (se non addirittura poche settimane, a seconda dell’interpretazione che sarà data dell’art. 8, comma 6 del Dpr 14 settembre 2011, n. 222) per completare il loro lavoro. In molti settori ogni commissario potrebbe dover leggere e giudicare in questo arco di tempo alcune centinaia di volumi e alcune migliaia di articoli e non ci sarebbe ovviamente bisogno di ulteriori considerazioni per valutare non i candidati, ma la serietà dell’intera procedura.

Conclusione: le liste saranno compilate seguendo altri criteri e, in quasi tutti i settori, saranno lunghe, molto lunghe.

La legge prevede poi che siano le singole università, con propri regolamenti, a “disciplinare” la chiamata dei professori.

Si capisce a questo punto la ragione della durissima e purtroppo vincente opposizione ad ogni tentativo di introdurre un “tetto” al numero delle abilitazioni, che avrebbe imposto la responsabilità di un “filtro” a livello nazionale che fosse reale e non si riducesse ad una concessione retorica tanto inutile quanto costosa. Le università continueranno a chiamare i “loro” abilitati e, in attesa che il principio della competizione darwiniana fra gli atenei produca gli effetti promessi dai suoi zelatori, non c’è nessuna garanzia che ad avere il posto saranno in questo modo i migliori.

Conclusione: è altissima la probabilità che tutto continui esattamente come prima. E qualche malizioso penserà anche che la nuova procedura, in fondo, piace proprio per questo a tanti professori.

La legge, infine, prevedeva una durata quadriennale per l’abilitazione e l’indizione obbligatoria, “con frequenza annuale inderogabile”, delle procedure per il suo conseguimento.

Tutti sanno che questo tono perentorio serve solo a sottolineare la consapevolezza, probabilmente da parte dello stesso legislatore, che tale frequenza resterà sulla carta, tanto più in un momento in cui il prolungato blocco delle assunzioni chiude di fatto ogni concreta possibilità all’esercito degli abilitati, almeno nel futuro immediato. Conclusione: il nuovo assalto alla diligenza al quale stiamo assistendo in queste settimane è l’inevitabile conseguenza della ragionevole certezza che questa sarà la prima e unica “corsa” per molti anni e consegna al governo che verrà anni di tensioni dall’esito imprevedibile. La legge, anche in questo caso quasi ad esorcizzare un futuro in realtà già scritto, precisa che “il conseguimento dell’abilitazione scientifica non costituisce titolo di idoneità né dà alcun diritto relativamente al reclutamento in ruolo”. I soliti maliziosi fanno male a pensare che le liste di migliaia di abilitati che non avranno un posto possono facilmente trasformarsi in liste d’attesa a tempo indeterminato, in un nuovo micidiale tappo per i meritevoli che avranno la sola colpa di venire “dopo” e in un potente vettore di spinta verso una qualche forma di ope legis?

            Il ministro Profumo aveva ragione e quanto è accaduto in questi mesi lo ha dimostrato. Il meccanismo delle abilitazioni, così come è stato concepito, non è il “punto cruciale e urgente per il futuro dell’università italiana dopo molti anni di blocco”, come si legge ancora nella mozione firmata qualche settimana fa dagli onorevoli Mazzarella, Gelmini e Binetti. La sua applicazione rischia di avere effetti perversi e opposti alle buone intenzioni di chi lo ha voluto e difeso. Forse non è troppo tardi per fermarsi, anche se troppi professori, mentre mostrano di indignarsi per la gestione più che imbarazzante delle mediane, si preparano in realtà a cavalcare l’onda. Di queste abilitazioni non abbiamo proprio bisogno.

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32 Commenti

  1. Sì, avrà pure avuto ragione, ma ciò non credo che voglia necessariamnete dire che si debba continuare a fare pasticci, in gran parte causati da una mentalità ottusamente burocratica (ad essere generosi) di un carrozzone costoso come quello messo in piedi, e ai ritardi inevitabili di una procedura mostruosamente farraginosa e inefficiente.
    E dunque, in altre parole e come è nel potere (e nel dovere) del Ministro:
    1.- bloccare la formazione delle comissioni e riaprire i termini per l’iscrizione, evitando così i mille ricorsi, derivanti in gran parte da malintesi, errori ecc., ma mantendendo immutato i parametri (le ridicole “mediane”),
    2.- stabilire per decreto che le abilitazioni saranno conferite dalle commissioni entro sei mesi da una nomina ex novo da realizzare entro (ad esempio) un mese da oggi, evitando così la follia di dover decidere su centinaia di candidati in poche settimane e cioè di non decidere,
    3.- non riaprire i termini per la presentazine delle domande dei candidati alla abilitazione (salvo un brevissimo prolungamneto per consentire di adempiere con calma alla follia della somministrazione di file pdf di scritti magari solo in form cartacea), che così subiranno solo il piccolo ritardo della nomina più tranquilla delle commissioni.
    Si salverebbe così, la faccia (posto che ne abbiano una) dell’ANVUR e dei loro colleghi burocrati del Ministero, e non si interromperebbe una procedura, che, nel bene o nel male è desiderata e attesa da tanti giovani, cui alemno così si darebbe una prima certezza di avere un “titolo di studio” spendibile.

    Mi rendo conto che pretendere o attendersi razionalità e realismo dai burocrati è una pia speranza, ma …finchè c’è vita, dicono, speranza c’è!

    Giancarlo Guarino
    Ordinario
    Università di Napoli Federico II

  2. bah! un ministro che conosce la situazione e sa che quello che sta per fare porterà a disastri dovrebbe dimettersi, non portare avanti una riforma sbagliata per pressioni esterne. Ho i miei dubbi sulle competenze del ministro (che tra l’altro è una creatura della Gelmini, che lo nominò presidente del CNR tra varie critiche).

  3. sono mesi che lo dico!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

    si tratta del DECRETO MERITO, che doveva essere presentato nel consiglio dei ministri di inizio GIUGNO, poi, date le critiche dell’intelleghenzia, dei giornali ecc….fu tolto la notte prima e non entrò in cdm.

    Faccio copia-incolla con un mio precedente post di qualche giorno fa e riporto l’art. 19 sui RICERCATORI TD, Nelle ultime righe, c’è la menzione delle graduatorie per macroaree, eventulamente di ateneo, riservati ai soggetti di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 24 della legge 240 (gelmini): questi soggetti sono i ricercatori a t. det.
    Ciao,
    Anto

    Art. 19 (del decreto Merito-Profumo che non ha visto mai la luce)

    Ricercatori a tempo determinato.

    1. All’articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, sono apportate le seguenti modificazioni:

    a)al comma 3, lettera a), le parole “triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta” sono sostituite dalle seguenti “minima annuale, prorogabili fino a una durata massima complessiva di tre anni” ed è aggiunto in fine il seguente periodo “sono esclusi dalla possibilità di beneficiare dei predetti contratti coloro che hanno ottenuto un contratto secondo la tipologia di cui alla lettera b);”

    b)al comma 3, lettera b), dopo le parole “hanno usufruito” sono inserite le seguenti “per almeno due anni”; dopo le parole “legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ;.

    a) l comma 4 il primo e il secondo periodo sono sostituiti dal seguente “I contratti di cui al comma 3 possono prevedere il regime di tempo pieno o di tempo definito.”;

    b)al comma 5, dopo le parole “esito positivo della valutazione” sono inserite le seguenti “e nel rispetto di quanto previsto dal comma 6-bis”, il quarto periodo è soppresso ed è aggiunto in fine il seguente periodo “La valutazione può essere differita in relazione ai periodi trascorsi in aspettativa per maternità o per motivi di salute secondo la normativa vigente.”;

    c)al comma 6, il secondo periodo è soppresso;

    d)dopo il comma 6, è inserito il seguente:

    “6.bis. Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione delle assunzioni di personale, una quota non inferiore al venticinque per cento e non superiore al cinquanta per cento delle assunzioni di ciascun anno dei professori di seconda fascia è riservata ai soggetti di cui ai commi 5 e 6. L’individuazione dei candidati da assumere è definita secondo una graduatoria di ateneo, eventualmente articolata per macroaree disciplinari.”;

    al comma 9, le parole “, lettere a) e b),” sono soppresse.

  4. Sottoscrivo l’articolo al 100%. Staimo correndo verso il disastro. Questo delle abilitazioni potrebbe essere il colpo mortale all’universita’ italiana e quindi allo sviluppo del paese.

    L’unica salvezza sarebbe stata limitare il numero dei nuovi abilitati secondo una programmazione che valuti il turn-over ogni 3-4 anni (il fabbisogno) e ribandirla di conseguenza ogni triennio, quadriennio.

    Lo facciamo per gli studenti di medicina, per gli infermieri, gli architetti … e non possiamo farlo per i docenti uiversitari?

  5. L’articolo di Semplici mi piace molto, anche per la sua spietata franchezza. Ricordo benissimo “gli stracciamenti di vesti” di tantissimi colleghi, pronti a farsi crocifiggere per l’Abilitazione nazionale: basta con i concorsi locali! Che adesso decideranno la sorte di un esercito di abilitati praticamente ope legis, con un titolo inutile in tasca, tante speranze e tanti pdf. Su una sola frase non sono d’accordo:”Di chi è la colpa? Troppo facile scaricarla sul Ministro e sull’Anvur”. No, perché un Ministro deve assumersi le sue responsabilità e l’Anvur è un’arma molto pericolosa in mano ai gruppi di potere che tacciono di fronte alla vergogna delle mediane, delle liste di riviste, della falsa valutazione. I Baroni aspettano fiduciosi di sistemare i loro allievi.

  6. Articolo assolutamente condivisibile. Ma va sottolineata la responsabilita’ del ministro che non ha voluto correggere gli aspetti peggiori di questo baraccone. Questo e’ gravissimo. La necessaria maggioranza di almeno quattro su cinque commissari fara’ si’ che l’abilitazione, come il buon vecchio sigaro toscano, non si neghera’ a nessuno. Cosi’ si assistera’ ad una serie di lotte fratricidie nei singoli atenei tra i vari abilitati. E poi ci saranno enormi pressioni per forme di ope legis.

    • Sì, ma deve essere chiaro che il problema sta all’origine. Era noto sin dall’inizio che l’ultima parola l’avrebbero avuta i dipartimenti, e l’attribuzione di virtù purificatrici e salvifiche alle abilitazioni è stata dall’inizio un’operazione insensata: non è mai stato compito delle abilitazioni quello di ‘fare selezione’, ma solo di scremare, escludendo gli inabili. I casini delle mediane si limiteranno ad un lieve allentamento della scrematura. Chi ha messo in giro l’idea che l’abilitazione nazionale avrebbe fatto finalmente giustizia producendo classifiche meritocratiche ha supportato un’idea irresponsabile, sbagliata di principio e sostanzialmente sciocca. Era certo dall’inizio che gli abilitati sarebbero stati molti di più dei promuovibili.
      In verità, ed è su questo che ci si sarebbe dovuti concentrare da tempo, la chiave di qualificazione di questo sistema di selezione non è né può essere l’abilitazione (che potrebbe tranquillamente essere eliminata), bensì la valutazione ex post delle scelte dei dipartimenti, che deve suggerire comportamenti almeno passabilmente virtuosi nei concorsi locali (snodo fondamentale del sistema).

  7. Sono in totale disaccordo con questo articolo. La volontà di Profumo, a suo tempo, di bloccare le abilitazioni e tornare ai concorsi locali, fu a mio avviso solo espressione del cedimento da parte del ministro nei confronti di specifici ambienti accademici; così come quella, successiva, di indire una procedura farsesca come l’attuale lo è stato altrettanto. Dare ragione a questo “Ministro-tentenna” significa, a mio avviso, non aver capito molto della situazione (capisco la captatio per indurlo a ripensarci, ma mi pare abbia ampiamente dimostrato di essere sensibile solo a due princìpi: bastone e carota). La cosa giusta da fare sarebbe stata quella di partire con le abilitazioni dopo aver precisato criteri quantitativi più sensati delle cd mediane, con tempi ragionevoli per i lavori delle commissioni e senza investire ANVUR di un potere eccessivo (magari anche regolando meglio il possibile conflitto d’interessi). L’università ha aspettato tanto, si sarebbe potuto attendere qualche altro mese. Quanto a rimpiangere il raffazzonato “decreto merito”, mah…

    • Concordo con fp al 100%. Non c’è nulla da rimpiangere in quel decreto abortito e in più aggiungo che il ministro ha la responsabilità di avere dato all’ANVUR un potere sul reclutamento che non dovrebbe mai avere avuto. Via l’ANVUR dal reclutamento.

  8. “venne letteralmente crocifisso”. Ma perché nessuno piange su di noi che da dodici anni siamo obbligati, sotto la sferza zelante dei burocrati (docenti e non docenti), a calcolare e ricalcolare continuamente ordinamenti, regolamenti, offerte e percorsi formativi, sempre inadeguati, sempra da rifare, sempre da algoritmare secondo formule sempre più astruse? sempre vigili perché nel continuo rifacimento si sbaglia, anche ad arte; ora nuovi statuti, nuovi regolamenti, nuovi collegi, lentamente il caos alla potenza caos.

    “Di chi è la colpa? Troppo facile scaricarla sul Ministro e sull’Anvur.” E su chi altro? Quando uno non ce la fa anche perché la cosa non è fattibile e non è corretta, né matematicamente né eticamente, lo spiega e molla.

    E il baraccone finale è ancora a venire.

  9. Stefano Semplici fa un discorso pragmatico. Stiamo tutti con gli occhi puntati sulle mediane, sui parametri aggiuntivi quando la vera prova sarà quella locale. L’attività di Anvur potrà anche essere criticata, ma poi il successo e l’insuccesso dei vari candidati sarà giocato a livello delle commissioni locali, che avranno un margine di discrezionalità.
    I Dipartimenti daranno la precedenza ai candidati che riterranno più utili a rinforzare il dipartimento stesso, candidati che non necessariamente saranno i più meritevole. Quello che va impedito è che vengono chiamate figure non idonee e sulla base di valutazioni non trasparenti. Questo, a mio modo di vedere, lo si può ottenere principalmente con la leva economica. Se sbagli candidato e conseguentemente la valutazione del tuo operato come dipartimento si riduce riceverai meno fondi.

  10. Francamente non capisco il tono assolutorio contenuto nell’articolo per il Ministro che, a mio modo di vedere, è uno dei principali responsabili dello sfascio in atto.
    Avendo avversato fino all’ultimo giorno la Legge Gelmini, posso affermare, senza poter essere accusato di aver sostenuto quella vergogna, che la Legge è ben lontana dal prefigurare ciò che si è verificato:
    1) secondo la legge, il Ministro definisce i parametri necessari “sentita l’ANVUR”; ciò vuol dire che il Ministro ha tutti i margini per poter definire autonomamente i parametri senza appiattirsi sui deliri delle mediane anvuriane. Il Min. molto semplicemente non ha esercitato le sue prerogative e questo, dal mio punto di vista, è più grave del commettere errori.
    2) A detta dello stesso Israel, che ha partecipato come consulente del Ministero durante la scorsa legislatura, le abilitazioni erano concepite ad ampio spettro di modo che si potesse realizzare a livello locale una sorta di chiamata diretta. Invece la storia delle mediane ha prefigurato una soglia elevata (folle se fatta su parametri bibliometrici) che non era nelle intenzioni del legislatore (per quanto avesse idee poche e confuse). A questo punti chi salvare nel bailamme delle mediane? Semplice: chi conta politicamente (a livello scientifico) e pertanto facciamo delle belle mediane disattendendo la legge e omettendo il fattore di proprietà.
    Di tutto ciò il Ministro è pienamente responsabile e se sapeva del disastro che si sarebbe prefigurato allora è doppiamente responsabile.
    3) Si dice che Profumo è stato crocifisso quando ha provato a far passare il decreto di deroga: mi pare che ciò che è successo dopo sia di gran lunga peggio e i dannim provocati, le critiche e la confusione generati non abbiano paragoni con quanto successo precedentemente: qui la crocifissione è vera e meritata.
    Non ne posso più di giochi da politicanti da mezza tacca: se sei Ministro e non sei d’accordo, mettici la faccia e cerca di sistemare le cose al meglio invece di lasciare che il treno si vada a schiantare; altrimenti le dimissioni sono sempre una via d’uscita dignitosa.
    Mi spiace ma non sono affatto d’accordo col tono e con la sostanza dell’articolo

  11. Grazie, prima di tutto, a quanti sono intervenuti oggi. Temo che il titolo abbia creato qualche equivoco. Mi sembra giusto ricordare che le responsabilità di quanto è accaduto e accadrà non sono solo del Ministro e certo mi dispiace che la stragrande maggioranza dei colleghi si sia opposta a suo tempo con tanta durezza alla sua idea di ripensare un meccanismo che era stato assai mal congegnato ed è stato con tutta evidenza applicato nel peggiore dei modi. Ricordo soltanto la mozione approvata dal Cun il 5 maggio, con la preoccupazione “per gli ipotizzati interventi di revisione o sospensione dell’Abilitazione Scientifica
    Nazionale” e il richiamo alla necessità di rispettare “la procedura osservata in tutti i migliori contesti internazionali”,garantendo “un motivato giudizio fondato sulla valutazione analitica dei titoli e delle
    pubblicazioni scientifiche”. Non era difficile prevedere, a mio avviso, che questo non sarebbe accaduto e meglio sarebbe stato evitare di far partire questo procedimento infernale. Il mio obiettivo è però diverso. Ferme restando le critiche a mediane, Anvur e liste di potenziali commissari, vale la pena di concentrarsi su quello che accadrà dopo, perché è lì che si giocherà la vera partita e si manifesteranno tutti gli effetti di questa procedura tanto barocca quanto – temo – ipocrita. Non è importante solo discutere le scelte fatte dal Ministro in questi mesi. Si tratta di capire cosa fare per evitare che le speranze di tanti colleghi meritevoli vengano ancora una volta frustrate. O, peggio ancora, strumentalizzate per perpetuare i comportamenti che hanno danneggiato in questi anni l’università italiana non meno delle politiche dei governi. Anche i professori hanno forse qualche responsabilità su cui interrogarsi…
    Stefano Semplici

  12. Fra uno che fa dell’ottima ricerca, pubblica bene e ha una serie di allievi molto ben preparati, ma ha pochi fondi e uno che è un ottimo manager (alias maneggione), capace di aggregarsi a carrozzoni vincenti e finanziati anche a livello internazionale, chi è da preferire? Chi dei due sarà chiamato dal dipartimento. Questo è il problema. ovviamente con i criteri ANVUR entrambi saranno fatti idonei.

  13. @Stefano Semplici. Certo che i nostri colleghi hanno enormi responsabilità, sono d’accordo. Anche quelli che fanno parte del carrozzone messo in piedi da Anvur e che continuano a non dimettersi (nemmeno dalle liste di aspiranti commissari), nonostante l’oramai pubblico ludibrio a cui sono additati. Ma se l’Abilitazione si svolge, dopo non ci sarà più nulla da fare. Saranno i concorsi locali a decidere e saranno inutili proteste e ricorsi individuali. Tutti i candidati saranno abilitati e quindi sullo stesso piano.

  14. Concordo con quello che scrivi.
    Trovo un solo aspetto che merita, forse, un approfondimento. Aspetto che per altro tu riconosci nell’articolo.

    La pace sociale.

    Io credo che il meccanismo, a regime, sarebbe anche potuto essere utile.
    A patto di ridurre la discrezionalità delle Commissioni e di porre un’asta certa.
    In tempi in cui i concorsi sono da anni bloccati e, come tu scrivi, lo saranno probabilmente anche nel futuro a dispetto della previsione di legge, forse può essere giusto allargare le maglie.
    Non però “urbi et orbi” ma limitandosi a verificare il rispetto del criterio delle mediane. Solo chi ha prodotto più della mediana del settore in cui vuole accedere, viene abilitato. Lasciando poi sì il problema alle Università (dato il sistema sociale italiano, la previsione della Gelmini della mobilità mi sembra francamente difficile da attuare. I costi sociali sono altissimi e le risorse economiche, ossia lo stipendio, troppo basse per fare questo. Senza contare che i potenti si metteranno d’accordo per farsi favori incrociati, facendo chiamare i propri pupilli. E’ il ritorno delle cordate).

    Non è possibile, né eticamente corretto, far pagare ancora una volta i giovani (almeno accademicamente) per i problemi di bilancio dello Stato; di inefficienza e di mala spesa dei Rettori; di baronie dei professori ordinari che continuano a giocare a Risiko muovendo armate inesistenti come Hitler chiuso nel suo bunker, disinteressandosi di chi ci lavora.

    Da un punto di vista etico, come coniugare, oggi, in questa situazione, il merito (che vale per altro solo per le Università) con la legittima aspirazione di tante persone, spesso valide, entrate quando vigevano metodi e sistemi diversi? Perché far pagare sempre ai più deboli il conto dei principi, giusti per carità, ma che lascia immancabilmente fuori da ogni responsabilità e valutazione i veri responsabili del problema Università?

    • I giovani che transiteranno a PA e PO sono già dentro (negli attuali ricercatori). Si sta parlando come se non fosse mai entrato nessuno negli ultimi 12 anni (50000 concorsi/idoneità?). Molto precariato è frutto dell’idea di trasformare la quasi totalità dei finanziamenti alla ricerca in posti di lavoro a termine. Lo dimostrano le mediane soprattutto nei settori bibliometrici (ci vogliono le braccia per fare certi numeri). Quello che sta accadendo è scientificamente voluto e attuato.

    • Thor ci ha indicato -finalmente- l’elefante nella stanza, e con estrema chiarezza: la ricerca, specie se trasfigurata in produzione industriale di articoli, richiede forza lavoro. Forza lavoro inevitabilmente ‘precaria’, perché la pianta organica non potrà mai assorbire tutti i dottorandi e gli assegnisti.
      E d’altro canto il valore nullo attribuito in Italia ai titoli post-laurea (almeno per l’ambito industriale che conosco) rende alquanto difficile una ricollocazione di tutte queste persone.

      A questo punto la “soluzione” scelta a breve termine sembra essere costituita dalla creazione di indici bibliometrici tagliati su misura per i componenti più o meno ‘junior’ di questi numerosi (e ben finanziati: il processo si autosostiene, nel breve) gruppi. Ossia nella concentrazione delle risorse e nell’estinzione dei gruppi minoritari e dei lupi solitari.

      Il problema osservato da Thor è però molto più ampio, e risiede nell’applicabilità dell’approccio “anglo”, con pochi prof. e legioni di dottorandi e postdoc, alla realtà italiana.

      PS Non si parla mai delle conseguenze didattiche di questo processo: eppure da anni abbiamo sotto gli occhi dei casi di distorsione del contenuto di esami o interi ‘pezzi’ di corsi di laurea per seguire trend di ricerca di successo (spesso momentaneo, i.e. ‘mode’) quanto culturalmente non pertinenti.

    • “A questo punto la “soluzione” scelta a breve termine sembra essere costituita dalla creazione di indici bibliometrici tagliati su misura per i componenti più o meno ‘junior’ di questi numerosi (e ben finanziati: il processo si autosostiene, nel breve) gruppi. Ossia nella concentrazione delle risorse e nell’estinzione dei gruppi minoritari e dei lupi solitari.”

      Analisi ineccepibile. Solo così si spiegano scelte altrimenti incomprensibili, prima tra tutte l’introduzione dell’età accademica.

    • A scanso di equivoci: anche lo scrivente, ricercatore quasi marginale, tenta da anni di costruire una ‘squadretta’. Come detto, da soli non si va lontano.

  15. Caro sc70. C’è un piccolo particolare che forse sfugge: i parametri anvuriani che il ministro ha fatto propri sono tutt’altro che meritocratici; la scelta di mettere tutto nel calderone, di disattendere la legge per ciò che riguarda il contributo individuale alle pubblicazioni e infine il delirio dell’età accademica mi sembrano tutti elementi sufficienti per poter dire che qui di merito non c’è neanche l’ombra. Il ministro non è il solo responsabile? Certo che no ma è il principale.

  16. Mi ricollego all’intervento di Thor.

    Mi pare ci sia un’ipocrisia diffusa. I numeri mostrano chiaramente che il reclutamento ante legge gelmini c’è stato eccome, ed è stato realizzato in maniera assolutamente “locale” (se si vuole impiegare questo termine) come accadrà adesso.
    Dietro al termine esiste comunque tutto un sistema di «valutazione» e di pratiche tipiche del sistema, che possono essere ritenuti giusti o sbagliati (e che in ogni caso divergono dalla lettera della legge): i PO promuovono il reclutamento cercando di accaparrarsi risorse nei dipartimenti/facoltà, promuovendo gli allievi che ritengono più meritevoli.

    L’enorme differenza è che se le logiche rimarranno uguali a cambiare saranno i numeri e le modalità.
    L’abolizione del posto da ricercatore indeterminato, se la collochiamo all’interno delle logiche di cui sopra, in sostanza schiavizza tutti i precari facendone dei tirapiedi dei PO di riferimento e blocca al tempo stesso il reclutamento. Credo infatti che sia per tacito accordo sia per NON tacito accordo (operazione fondi straordinari per gli associati) le abilitazioni e i seguenti concorsi locali saranno solo roba per agli attuali Ric ind.

    Se dunque ci deve essere una battaglia concreta tenendo conto della situazione attuale, questa dovrebbe essere senz’altro sulla reintroduzione del Ric Ind o della terza fascia docente (ind) la si chiami come si vuole.
    Era già stato ricordato qui tempo fa, ma davvero mi pare la cosa più palese.

  17. Sono in dissenso con l’idea che, sia pur provocatoriamente, in una situazione kafkiana come quella in cui siamo stati trascinati, si possa dire: “Profumo aveva ragione”.
    Capisco lo spirito dell’articolo, ma la mia cavillosa rigidità – misoneisticamente proceduralistica – mi impedisce di riuscire a riprodurre, labialmente, la suggestiva frase “Profumo aveva ragione”.
    Ricordo che ANVUR è agenzia amministrativa «SOTTOPOSTA ALLA VIGILANZA DEL MINISTRO e al controllo sulla gestione da parte della Corte dei Conti» (art. 1, comma 3, del D.P.R. 76/2010: noto, a margine, che la lettura di questo D.P.R. è istruttiva per misurare se e quanto il diritto, in questi mesi, sia divenuto “rovescio”, grida manzoniana; inviterei a rileggere oggi questo D.P.R., in quanto si tratta del Regolamento che disciplina la struttura e il funzionamento dell’ANVUR).
    Ha vigilato il Ministro su ciò che l’ANVUR ha fatto in questi mesi? Calcolo delle mediane, Liste delle riviste, mancata risposta alle richieste del CUN ad ANVUR sulla trasparenza dei dati, et cetera?
    L’art. 2, comma 1, del citato D.P.R. 76/2010 stabiliva che l’ANVUR «opera in coerenza con le migliori prassi di valutazione dei risultati a livello internazionale e in base ai principi di autonomia, imparzialità, professionalità, trasparenza e pubblicità degli atti».
    Il Ministro vigilava.
    L’art. 2, comma 5, del D.P.R. 76/2010 stabiliva che «L’attività dell’Agenzia ed il suo inserimento nel contesto internazionale delle attività di valutazione dell’università e della ricerca sono valutati periodicamente da comitati di esperti internazionali nominati dal Ministro anche sulla base di designazioni delle organizzazioni europee di settore».
    E il Ministro vigilava.
    L’art. 3, comma 3, del D.P.R. 76/2010 stabiliva che «Nello svolgimento delle sue attività l’Agenzia utilizza i criteri, i metodi e gli indicatori più appropriati per ogni tipologia di valutazione, anche in riferimento a diversi ambiti disciplinari, tenendo conto di quelli definiti dalla Commissione di cui all’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonché delle esperienze sviluppate e condivise a livello nazionale e internazionale».
    E il Ministro, instancabilmente, vigilava.
    La litania degli articoli del D.P.R. 76/2010 potrebbe continuare. Ora (et labora) pro nobis.
    Tra l’altro, mi chiedo, quale soggetto pubblico ha redatto e sottoscritto il D.M. 76/2012, indicato da più parti come il vaso di Pandora delle ambiguità definitorie e procedurali che rendono tristemente umoristica la prosecuzione della ASN? Quale soggetto pubblico, interpellato più volte con mozioni, risoluzioni, lettere, appelli (tra i quali quelli di ROARS), ha finora omesso persino di provvedere all’interpretazione autentica del D.M. 76/2012, per rimediare almeno tardivamente agli equivoci da quest’ultimo creati?
    Chi vigilava?
    Nel diritto, il potere/dovere di vigilanza si ricollega alla responsabilità politica. Sbaglia l’agenzia ministeriale vigilata? Risponde il Ministro vigilante, al Governo e al Parlamento. Risponde il Parlamento, agli elettori, più ampiamente a quello che era (un tempo) il popolo sovrano. Tralasciando la responsabilità giuridica.
    Ecco. Alla fine di tutta questa vicenda, c’è almeno da augurarsi che le responsabilità di ciascuno dei decisori (o non-decisori) siano chiare, distinte, restino agli atti.
    Altrimenti, avranno ragione tutti e di nessuno si potrà dire, nel radioso futuro post-ASN: “Costui, forse, aveva torto”.

  18. Ottimo Jus. Questa rischia di diventare la notte (fonda, per l’università italiana) in cui tutte le vacche sono nere. Tra quelli che “io l’avevo detto” e quegli altri “meglio questo che niente”, il carrozzone come previsto né si ferma né deraglierà. Il sistema non è irriformabile, troppo comodo pensarla così. Troppo facile pasticciare così.

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