«Cari colleghi, Oggi è stato comunicato ai Direttori che l’Ateneo supporterà i docenti che verranno estratti al sorteggio di Commissario GEV prevedendo il cofinanziamento del 50% di una borsa di dottorato o alternativamente il finanziamento di un assegno di ricerca per un anno quale incentivo a partecipare al bando per la selezione dei valutatori.» È niente meno che il Politecnico di Milano che ritiene opportuno assegnare premi da 30.000 Euro ai docenti che fungeranno da commissari nella VQR 2015-2019, la valutazione nazionale della ricerca. Evidentemente, i 5.000 Euro che riceveranno dall’ANVUR, l’Agenzia Nazionale per la valutazione della ricerca non sono ritenuti una motivazione sufficiente per candidarsi a entrare nelle giurie, i cosiddetti Gruppi di Esperti della Valutazione (GEV). Perché i vertici del Politecnico ci tengono così tanto a presidiare i GEV? Qual è la vera posta in palio? Un tentativo di riscattare i flop delle precedenti due edizioni in cui la classifica VQR aveva relegato l’Ingegneria Industriale e dell’Informazione del Politecnico dietro Messina e persino dietro la telematica Unicusano?  Se ci seguite, proveremo a spiegarvelo. Meno facile da spiegare sarà perché Ferruccio Resta, il Rettore che dispensa premi ai commissari della gara tra gli atenei, sia in pole position per diventare presidente della CRUI.

1. Tutto iniziò con la Thatcher

La VQR, giunta alla sua terza edizione, è una complessa procedura il cui scopo finale è assegnare dei voti agli atenei e ai dipartimenti universitari. Questi voti contribuiscono a determinare la ripartizione tra gli atenei della cosiddetta quota premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario. Nel 2019, sono stati distribuiti 1,4 MLD di quota premiale in base ai risultati dell’ultima valutazione nazionale, la VQR 2011-2014. Ma i voti della VQR, una volta pubblicati, si prestano anche ad altri usi. Rielaborati attraverso algoritmi controversi e non verificabili (la richiesta di accedere ai dati necessari per controllare i conti è stata respinta) i voti VQR sono stati usati per selezionare 180 dipartimenti di eccellenza che si sono spartiti 1,35 Miliardi di Euro, attribuendo l’87% dei fondi al Centro-Nord.

Il modello di questo giudizio universale è il Research Excellence Framework britannico, le cui origini risalgono niente meno che a Margaret Thatcher. All’uomo della strada, dare le pagelle alla ricerca scientifica può sembrare un modo del tutto naturale per premiare i migliori e individuare le sacche di inefficienza e di spreco. In realtà, già in riferimento al caso britannico, esiste un’ampia letteratura che evidenzia gli effetti indesiderati e persino i danni dovuti a queste valutazioni massive che incentivano il conformismo e scoraggiano la ricerca innovativa.

A titolo di esempio, basta immaginare quale effetto avrebbe avuto la VQR ai tempi della Controriforma. Ad essere premiati come dipartimenti di eccellenza sarebbero stati i dipartimenti dei tolemaici, tagliando invece i fondi ai nuclei di studiosi copernicani. Il risultato? Avremmo corso il rischio di credere ancora oggi che il sole gira intorno alla terra.

2. «Quella roba assurda che è la classifica Anvur»

Anche senza scomodare la storia e la filosofia della scienza, c’è un modo molto semplice per giudicare se la pretesa poter misurare con dei numeri la qualità della ricerca abbia un qualche fondamento: toccare con mano i risultati. «Il Paese possiede una fotografia dettagliatissima e, soprattutto, certificata della qualità della ricerca italiana» aveva dichiarato nel 2013 il Presidente dell’Anvur, Stefano Fantoni, all’uscita dei risultati della prima VQR. Prendiamolo sul serio e andiamo a controllare la classifica certificata da Anvur nell’area 09, quella dell’ingegneria industriale e dell’informazione (un’area di primaria importanza, che comprende, tra le altre, l’ingegneria meccanica, chimica, elettronica  e informatica). Sorpresa: l’università di Messina precedeva di ben sei posizioni il Politecnico di Milano.

Forse, essendo la prima VQR, nonostante il proclama di Fantoni, le metodologie non erano ancora ben rodate. Passano quattro anni e nel 2017 vengono pubblicate le classifiche della seconda valutazione, la VQR 2011-2014. «Una valutazione accurata, rigorosa e imparziale della ricerca svolta nelle università», così la definisce il coordinatore Sergio Benedetto. Ecco cosa succede nell’area 09: non solo Messina continua a precedere il Politecnico di Milano, ma nelle primissime posizioni c’è Unicusano, un ateneo telematico.

Le umiliazioni per i Politecnici del Nord non finiscono qui. Tra gli usi imprevisti dei voti VQR, c’è stato il loro uso per decidere quali atenei potevano concorrere per ricevere i finanziamenti dei Centri di competenza del Piano Industria 4.0 varato dal Ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda. Il bando richiedeva agli atenei di essersi posizionati nel primo quarto della classifica VQR nelle aree scientifiche di pertinenza. Nell’area 09, che è il vero cuore dell’Industria 4.0, il requisito avrebbe sancito l’esclusione di  tutte e quattro le università politecniche (Milano, Torino, Bari e Marche) e anche di Bologna. Dovette intervenire Calenda in persona a dare una “interpretazione autentica” (a dire il vero, alquanto “elastica”) del bando che, pur di ripescare gli eccellenti, esclusi a causa di «quella roba assurda che è la classifica Anvur», dava luce verde anche a CEPU e Kore di Enna.

Gli episodi appena citati aiutano a spiegare il nervosismo dei vertici del Politecnico di Milano nei confronti della terza VQR. Alla radice dei problemi, c’è il ricorso a metodi pseudoscientifici da parte dell’Anvur, che elargisce compensi principeschi (da 178.500 ai 210.000 euro all’anno) a sette consiglieri che, anche se luminari nel loro settori, sono tipicamente dei dilettanti per quanto riguarda la valutazione della ricerca. Il penultimo presidente dell’Anvur, Paolo Miccoli, un eminente chirurgo della tiroide, è finito in televisione, braccato dalle Iene che gli chiedevano spiegazione dei copia-incolla da altri autori nel suo documento programmatico per entrare in Anvur.

3. Potere e trucchi dei GEV

È lecito domandarsi perché un ateneo come il Politecnico di Milano ricorra a incentivi di una certa consistenza per convincere i propri docenti a entrare nelle “giurie” della VQR. Infatti, l’articolo 3, comma 11 del Bando VQR 2015-2019 precisa che (il grassetto è nostro):

I componenti dei GEV […] non devono trovarsi inoltre, rispetto agli autori dei prodotti da loro valutati e al personale accademico di riferimento dei casi studio, in una situazione di conflitto di interesse, anche potenziale, riconducibile alle seguenti situazioni:

a) parentela entro il quarto grado;

b) affinità;

c) coniugio, unione civile, o convivenza more uxorio;

d) appartenenza alla stessa Istituzione; […]

Pertanto, gli esperti del Politecnico non valuteranno le ricerche del loro ateneo. Tuttavia essi valuteranno le ricerche degli atenei da cui provengono gli esperti che daranno i voti al Politecnico. Insomma, dentro i GEV (Gruppi di Esperti della Valutazione), i componenti si tengono sotto tiro a vicenda.

Inoltre, persino senza alterare i voti, i GEV possono influire in modo decisivo sulle classifiche, come ci insegna la vicenda della classifica di Matematica della VQR 2011-2014. Uno dei problemi tecnici della VQR è l’impossibilità di confrontare atenei di diverse dimensioni. Per tale ragione l’Anvur ha fatto ricorso a tre classifiche distinte: atenei piccoli, medi e grandi. Un po’ come il pugilato, in cui i pesi medi non combattono con i pesi massimi. Ma, mentre i pugili si mettono a dieta per rientrare in una categoria più favorevole, nella VQR c’è una soluzione più semplice.

Immaginiamo che un  ateneo grande (Pisa) sia sul punto di perdere la medaglia d’oro perché superato da un altro ateneo un po’ meno grande (Roma Tor Vergata). Nessun problema: basta cambiare la definizione di “ateneo grande” in modo che Roma Tor Vergata scivoli nella categoria dei medi e Pisa ritorna al primo posto. Esattamente quello che accadde nella classifica di Matematica della VQR 2011-2014. Da quale ateneo proveniva il Coordinatore del GEV di Matematica? Guarda caso, proprio da Pisa.

4. Fai il giudice? Meriti un premio da 30.000 Euro

Il Politecnico ritiene così importante presidiare i GEV da offrire degli incentivi del valore di circa 30.000 Euro (la metà del costo di una borsa di dottorato per un triennio ammonta a 38.400 Euro, mentre sul sito dell’Università di Genova il costo per un assegno di ricerca varia da 23.700 a 42.800 Euro). Incentivi che mettono a nudo cosa c’è dietro la retorica della “fotografia dettagliatissima e certificata”: una competizione dove volano colpi bassi e che va vinta a tutti i costi, nel caso anche spronando i propri docenti a entrare nelle giurie al suono di decine di migliaia di euro. Nella follia agonistica, ci si è persino dimenticati che gli esperti dovranno sottoscrivere il Codice etico dell’Anvur (il grassetto è nostro):

Art. 4 – Integrità e doni

1. I membri dell’Agenzia e, per quanto attiene le attività ad essa connesse, gli studiosi collaboratori esterni non utilizzano l’ufficio per perseguire fini o per conseguire benefici privati e personali al di là di quelli istituzionali previsti dalle norme e dai regolamenti.

2. Essi non accettano, né in occasione di viaggi, seminari e convegni, né per lo svolgimento di incarichi esterni, vantaggi, regali o altre utilità da soggetti in qualche modo valutati dall’Agenzia o in procinto di chiederlo, fatta eccezione per i regali d’uso di modico valore e per il rimborso delle spese documentate di viaggio e soggiorno, purché queste siano riconosciute anche ad altri invitati.

A chi obiettasse che un assegnista di ricerca non è un beneficio privato e personale, si può far notare che in molti casi quel finanziamento potrà finire nelle tasche del docente attraverso una semplice partita di giro. Non è raro il caso che i docenti del Politecnico svolgano attività professionali intra moenia che beneficiano del finanziamento da parte di terzi, aziende per esempio. Quando tali progetti sono contratti di ricerca, è prassi comune usarne una parte per finanziare posti di dottorato o assegni di ricerca, i cui risultati scientifici contribuiscono a raggiungere gli obiettivi del contratto. Il commissario GEV che verrà premiato con il finanziamento di un assegno di ricerca, sarà nella posizione di risparmiare 30.000 o più euro del contratto conto terzi, soldi che potrà in buona parte incassare a titolo personale.

Cosa faranno gli altri atenei per “fidelizzare” i propri commissari? Offriranno i soldi per partecipare a un congresso scientifico, possibilmente in qualche rinomata località turistica? E gli atenei meno ricchi? Offriranno pacchi di pasta oppure, per prudenza, solo una scarpa sinistra, riservandosi di dare la scarpa destra solo se l’ateneo avrà guadagnato qualche posizione in classifica?

5. Paghi i giudici? Presidente subito!

Chi si aspettasse qualche reazione da parte degli altri Rettori è destinato a rimanere deluso. Infatti, il Rettore del Politecnico di Milano, Ferruccio Resta, è il candidato più accreditato alla Presidenza della CRUI, rimasta vacante in seguito alla nomina a Ministro di Gaetano Manfredi. Una candidatura sponsorizzata dal Ministro Manfredi, ma che provoca non pochi mal di pancia, persino tra i rettori lombardi. In vista del voto, c’è chi prevede una valanga di schede bianche.

In effetti, gli imbarazzanti premi ai commissari della VQR sono solo l’ultimo atto della politica del Politecnico, da sempre colluso con le politiche governative basate sul “divide et impera”. Per mascherare il massiccio disinvestimento su scala nazionale, si tutelano poche isole di eccellenza vera o presunta, garantendosi la fedeltà dei loro vertici accademici. Una strategia che vale su scala nazionale, ma anche per il Sud, il cui pauroso dimagrimento può essere velato mettendo in vetrina i successi dell’Università Federico II, l’università di Gaetano Manfredi. Ciò nonostante, la CRUI non è riuscita a produrre una candidatura alternativa a quella di Resta, il cui asse filogovernativo con Manfredi sancirà la scomparsa definitiva della CRUI come attore indipendente, per quanto poco lo fosse mai stata.

Di fronte a questa eclissi dell’etica, con i giudici ridotti a mercenari della valutazione e i rettori muti spettatori della propria esautorazione, c’è però chi non si rassegna. Abbiamo appena pubblicato un appello intitolato “Disintossichiamoci – Sapere per il futuro” che ha già raccolto più di duecento firme. Non c’è più tempo: la parabola della VQR e della CRUI mostrano come le logiche della competizione e del mercato stiano compromettendo il diritto di tutta la società ad avere un sapere, un insegnamento e una ricerca liberi.

È giunto il momento di un cambiamento radicale, se si vuole scongiurare l’implosione del sistema della conoscenza nel suo complesso. La burocratizzazione della ricerca e la managerializzazione dell’istruzione superiore rischiano di diventare la Chernobyl del nostro modello di organizzazione sociale.

Link: Disintossichiamoci: un appello per ripensare le politiche della conoscenza

Tra i più di 200 primi firmatari: Alberto Abruzzese, Alessandro Barbero, Marco Belpoliti, Alessandro Dal Lago, Luca Illetterati, Claudio La Rocca, Eugenio Mazzarella, Tomaso Montanari, Marco Revelli, Antonella Riem.

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3 Commenti

  1. La scoperta dell’acqua calda. Senza arrivare a scriverlo nero su bianco, sono noti a tutti i privilegi e i favori concessi a chi riesce a diventare commissario GEV, beninteso se poi si adopera per distruggere i dipartimenti degli altri atenei, riuscendo nell’impresa di costringere gli altri commissari a premiare il proprio. Questo almeno a partire dalla seconda VQR.

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