Open_Access_Logo_okPiù volte da queste pagine abbiamo parlato di accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche e ai dati della ricerca. Ricordiamo per comodità le FAQ che spiegano cosa sia l’accesso aperto e rispondono alle domande tipiche che vengono fatte quando si parla di questo tema  e il commento ad una serie di pregiudizi in merito all’accesso aperto. Ricordiamo inoltre che è attiva in Italia AISA, Associazione italiana per la promozione della scienza aperta con una propria lista di discussione in cui vengono affrontati in maniera approfondita i temi specifici dell’open science. Nel frattempo la riflessione sull’accesso aperto procede, e mentre la scelta di trasformare le attuali pubblicazioni ad accesso chiuso in pubblicazioni ad accesso aperto anticipando il momento del pagamento sembra non essere così sostenibile economicamente (open access gold),  c’è chi prefigura (e mette in pratica) l’idea di nuovi modelli di comunicazione scientifica che sfruttino appieno le potenzialità di internet.

Il tema dell’accesso aperto alla comunicazione scientifica come pratica della scienza trasparente e democratica e come sistema di autoregolamentazione rispetto alle diverse forme di frode scientifica è una delle priorità nella agenda del semestre di presidenza olandese della EU e una delle azioni  previste dalla Responsible Research and Innovation. Il dibattito su quale forma debba assumere l’accesso aperto e quali ne siano i costi riguarda molto da vicino nazioni che, come la Gran Bretagna, hanno fatto scelte politiche ben precise riguardo all’accesso aperto, mentre in Italia il tema resta ancora poco esplorato, e non è ancora possibile individuare un reale orientamento da parte del Ministero fatta eccezione per la legge 112/2013 di cui abbiamo fatto un commento qui.

Vorrei segnalare due letture interessanti e utili per inquadrare lo stato della discussione sull’accesso aperto a livello globale.

Il primo articolo è apparso a inizio aprile sul blog di Bjorn Brembs: How gold open access may make things worse ed è una riflessione su come il passaggio da un sistema di abbonamenti alle riviste scientifiche (che ha un valore che si aggira intorno ai 10 miliardi l’anno) ad un sistema di gold open access non solo non condurrebbe ad un risparmio a livello globale, ma porterebbe ad un aumento delle disparità fra paesi ricchi e paesi poveri:

At the very least, if there ever should be universal gold OA, the market needs to be heavily regulated with drastic price caps below current article processing charges, or the situation will be worse than today: today, you have to cozy up with professional editors to get published in ‘luxury segment’ journals. In a universal OA world, you would also have to be rich. This may be better for the public in the short term, as they then would at least be able to access all the research. In the long term, however, if science suffers, so will eventually the public. In today’s world, one needs special tricks to read paywalled articles, such as Sci-Hub or #icanhazpdf or friends at rich institutions. In this brave new universal gold OA world, you need cold, hard cash to even be able to get read. Surely, unpublished discoveries must be considered worse than hard-to-read, but published discoveries?

Thus, from any perspective, gold OA with corporate publishers will be worse than even the dreaded status quo.

Brembs quindi crede che affidare l’accesso aperto nelle mani degli editori (come ad esempio è stato fatto in UK) non farà che peggiorare la situazione attuale, favorendo solo quei ricercatori e quelle istituzioni che possono permettersi di pagare cifre sconsiderate per essere letti da tutti a livello globale (NPG ad esempio chiede agli autori o alle loro istituzioni 5200 dollari per le pubblicazioni open access).

Una alternativa Brembs l’aveva già proposta in passato, e consiste nel convogliare parte dei fondi utilizzati per gli abbonamenti in una diversa infrastruttura per la ricerca in cui le potenzialità del digitale siano sfruttate nel migliore dei modi.

L’altra lettura in qualche modo connessa al post di Brembs è l’intervista a Tim Gowers che Richard Poynder ha pubblicato sul suo blog Open and Shut?, un blog dedicato alla comunicazione scientifica e alle tematiche connesse, in particolare all’open science e all’open access.

Tim Gowers, lo ricordiamo, è un matematico membro della Royal Society, Professore presso il Dipartimento di matematica pura e statistica matematica dell’Università di Cambridge, fellow del Trinity college, vincitore di premi prestigiosi fra cui la medaglia Fields.

Gowers è certamente un ricercatore che conosce bene le potenzialità di internet e le ha ad esempio sfruttate lanciando nel 2009  il progetto Polimath un progetto collaborativo volto alla risoluzione di problemi matematici. Il progetto incarna quella che Brembs definisce una infrastruttura per la ricerca, in cui non solo l’output finale viene messo a disposizione di tutti, ma l’intero processo che conduce alla scoperta.

Nel 2012 Gowers decide di interrompere qualsiasi collaborazione con Elsevier sia come autore che come editor per protesta contro gli enormi guadagni dell’editore.

La sua protesta sfocerà in una iniziativa chiamata the Cost of Knowledge che invita i colleghi a dimettersi dai board delle riviste di Elsevier, e che raccoglie in poco tempo oltre 16000 firme. Nonostante l’ampia risonanza dell’appello e nonostante molti ricercatori abbiano deciso di dimettersi dagli editorial boards delle riviste di Elsevier, non c’è stato nessun board che abbia rassegnato le dimissioni in massa, e ciò ha fatto perdere di incisività alla protesta.

Gowers ha comunque continuato la sua battaglia per la modifica del sistema della comunicazione scientifica e nel 2015 ha creato una nuova rivista Discrete Analysis

La nuova rivista parte dagli articoli depositati in Arxiv. All’epoca di internet l’unica funzione importante che resta davvero a carico degli editori è la peer review, normalmente condotta attraverso il lavoro volontario degli scienziati. In pratica se gli scienziati riescono ad organizzarsi possono fare a meno della intermediazione degli editori, e organizzare la peer review a costi irrisori. La piattaforma utilizzata per Discrete Analysis (Scholastica) prevede infatti un costo ad articolo di 10 $ attualmente sostenuto attraverso un finanziamento dell’università di Cambridge.

Una bella differenza dalle Article processing charges (APC) richieste dagli editori commerciali.

La speranza di Gowers è che questa esperienza possa essere imitata da altri colleghi in altri settori.

I hope that by doing it myself and then telling people how easy it was, I can persuade others to do the same.

Gowers descrive il processo di submission (che ha come presupposto il fatto che l’articolo sia già stato depositato in Arxiv) e quello di revisione:

Our submission process is not importantly different from that of a conventional journal, though in some ways it is simpler, at least if your article is already posted on the arXiv (which it should be, whether or not you are submitting it to us). At that point, the system asks you for your name, contact details, and arXiv URL. It then takes care of the rest automatically.

Our peer review procedures are 100% conventional. If an article is clearly unsuitable, we will try to reject it swiftly and efficiently. If we are uncertain, then we will send it out for quick opinions. If those are sufficiently favourable, we will then obtain more detailed references. These opinions and references are anonymous and not publicly viewable.

Gowers è certamente uno sperimentatore ma non manca affatto di realismo, soprattutto rispetto ai meccanismi con cui vengono distribuite risorse e fondi:

We are applying to be listed on Web of Science  and thus to obtain an impact factor. That is not because we approve of impact factors, but because it is an unfortunate necessity if we want our journal to be a realistic possibility for all mathematicians working in relevant areas.

Gowers vede Discrete Analysis come un punto di passaggio. Una volta che questo modello abbia preso piede si potrà (a suo dire) senza dubbio passare a forme di sperimentazione più decisa.

Come quelle preannunciate dall’articolo di Brembs.

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