Pubblichiamo l’editoriale di Marco Cattaneo sull’ultimo numero de Le Scienze
‘‘Ci sono un miliardo e quattro di cinesi e un miliardo di indiani che vogliono vedere Roma, Firenze e Venezia. Noi dobbiamo prepararci a questo. L’Italia non ha un futuro nelle biotecnologie perché purtroppo le nostre università non sono al livello, però ha un futuro nel turismo». Così a metà novembre, durante una puntata di «Servizio Pubblico», l’economista Luigi Zingales delinea-va il radioso futuro del paese. Quanto meno singolare, per uno che è tra i promotori di un’iniziativa intitolata «Fermare il declino».
Strano poi che un pluridecorato docente dell’Università di Chicago non riconosca che, se tanti giovani vanno all’estero perché qui non hanno opportunità, evidentemente in Italia c’è ancora qualcosa che funziona. Altrettanto evidentemente, è il sistema della formazione. In Germania, Paesi Bassi, Stati Uniti non saprebbero che farsene dei nostri ricercatori, se fossero impreparati o scadenti. Il problema, casomai, è che l’Italia non attira ricercatori stranieri sul «mercato globale dei cervelli», come illustra una ricerca pubblicata in settembre da Ritchie S. King su «IEEE Spectrum». Siamo penultimi, in questo particolare parametro; peggio di noi solo l’India. Per ora.
Eppure, a dispetto della visione di retroguardia di Zingales, la ricerca scientifica italiana è ancora complessivamente al nono posto a livello mondiale per pubblicazioni in una graduatoria stilata da Digital Science, una società «figlia» del Nature Publishing Group. E non se la cava malissimo nemmeno per numero di brevetti, numero di dottori di ricerca e persino spesa complessiva per ricerca e sviluppo. Lo si vede nella grafica pubblicata a p. 44, in un’intera sezione dedicata alla stato della ricerca mondiale.
Allora forse è tempo di riflessioni un po’ più serie e profonde su come sono investiti i fondi in ricerca, prima di affermare – sempre Zingales – che non dobbiamo «buttare i soldi a fondo perduto…». È tempo di affrontare i nodi di un sistema imprenditoriale che non investe in innovazione, avendo campato per quarant’anni della falsa competitività garantita dalle periodiche svalutazioni della lira. O ancora di un sistema creditizio che ha scommesso sul patrimonio immobiliare piuttosto che sul sistema produttivo, come testimonia la preoccupante assenza di venture capitalist e business angel dagli schermi radar del paese. Con la complicità, naturalmente, di una politica avvilente, mai capace di favorire lo scambio di informazione e conoscenza tra enti di ricerca e industrie, di illuminare la strada del trasferimento tecnologico.
Anche in quest’ottica «Le Scienze» si è fatta megafono delle domande – ai candidati alle primarie e alle prossime elezioni politiche di ogni schieramento – emerse dall’iniziativa Dibattito Scienza, nata tra ricercatori e giornalisti scientifici in un gruppo Facebook. Perché c’è chi crede che in questo paese possano ancora nascere i Giulio Natta, i Domenico Marotta, i Felice Ippolito, gli Adriano Olivetti. Perché c’è chi crede che sia un preciso dovere della politica dare risposte solide alla domanda di sviluppo. Perché c’è chi ancora non si rassegna a diventare un paese di camerieri.
Fonte: http://www.lescienze.it/edicola/2012/12/03/news/nel_paese_dei_camerieri-1394322/
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Sotto: Zingales dispensa le sue ricette. Persino Briatore sembra allibito.
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A parte la tragica idea di investire in camerieri piuttosto che in scienziati implicita nell’agomento di Zingales, noto che la metà della popolazione Indiana non ha neppure un’utenza elettrica ed in Cina la situazione è simile. (evviva l’eccellenza delle prestigiose università US of course).
Soffermarsi sull’opinione di un economista liberista sul tema di come fermare il declino e’ come soffermarsi sulle opinioni di Ratzinger sul tema della sovrappopolazione (PS: ho autocensurato il primo paio di esempi che mi erano venuti in mente, ma se vi applicate li trovate da voi)
Chi si dovrebbe autocensurare è proprio Zingales prima di sparare simili boiate!
Off Topic, di cui mi scuso.
La redazione di Roars ha ritenuto di espungere dal blog alcuni interventi, in particolare uno, a mio modo di vedere gustoso, anche se un poco sboccato di Ciro.
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Ovviamente rispetto ogni decisione. Ma se l’intento, come mi ha cortesemente fatto rilevare uno dei redattori, è di cautelarsi rispetto a possibili imputazioni di ordine legale, beh, permettetemi di dire che questo è francamente un eccesso di cautela giuridicamente immotivato.
In assenza di riferimenti di tipo non metaforico (es.: ‘nano’, ‘poverina’, ecc.) nessuna causa è intentabile con successo, e nel post di Ciro si stava ben attenti a non dare alcun appiglio di tipo obiettivo (non c’era un nome proprio).
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Forse però il timore era che, visto il sistema giudiziario italiano, chiunque sia adeguatamente fornito di liquidità può comunque intentare causa a chiunque altro, anche senza speranza alcuna di vincere, con il solo intento di cagionare danno economico provvisiorio, un imbarazzo certo sufficiente a far chiudere iniziative editoriali finanziariamente fragili. In altri termini qualunque pirla può stroncare un’iniziativa come quella di Roars o altre di struttura simile, se ha abbastanza disponibilità economica da mettere in piedi una causa, e si sente sufficientemente infastidito perché valga la pena farlo. Questo argomento è ineccepibile. Però, santo cielo (sperando che il Vaticano non intenti causa), sono il solo a percepire una certa fragilità democratica in questo pensiero? Se cominciamo ad avere paura di scrivere pane al pane perché, nel sistema attuale, un potente offeso può comunque farti a polpette, beh, a questo punto diciamo pure che l’unico campo d’esercizio che resta agli intellettuali in questo paese sta nel produrre pipponi in modo sufficientemente elaborato, elitario, mediato e possibilmente insignificante da avere come uditorio (di solito annoiato) qualche proprio collega. Tale ruolo dell’intellettuale è peraltro, a ben vedere, già quello predominante nel nostro paese, al netto del ruolo di ‘mosca cocchiera’ del potere.
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Senza avere soluzioni in tasca, forse però una qualche riflessione su questa codardia indotta di cui finiamo per essere tutti un poco vittima non sarebbe fuori luogo. Questo è il paese, ricordo, in cui quasi tutti si sono mobilitati per salvare Sallusti, noto intellettuale precario e privo di coperture, ‘perché la libertà d’espressione sarebbe minacciata’. Forse riflettere su quante parole tutti noi ci teniamo in bocca da sempre, consapevoli della nostra precarietà, e alla faccia della tradizione dell’intellettuale indipendente ed ‘impegnato’, sarebbe un’operazione salutare, anche sulle pagine di Roars.
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Mi scuso ancora per l’Off Topic.
Apprezzo il tuo intervento, soprattutto per la parte assolutamente azzeccata che tocca la questione del ruolo dell’intellettale, in particolare di quello accademico.
Non sono assolutamente in grado di valutare se quello di Roars sia stato, normative alla mano, un eccesso di cautela; forse in proposito potrebbe illuminarci l’ottimo JUS.
Ho comunque aderito (o, se preferisci, mi sono piegato) al “richiamo” di Roars perché tengo ben presenti almeno tre cose: il clima, in questo disgraziato Paese, è assai plumbeo; il manganello è in mano – e sono assolutamente e tristissimamente certo che ci resterà – ai nemici di Roars (o, meglio, delle posizioni di Roars), che sono moltissimi, anche perché se ne annidano davvero tanti anche in quelle aree che, per via del loro formale posizionamento politico e “ideologico”, potrebbero essere ingenuamente credute amiche; in questo disgraziato Paese, le leggi, contro i resistenti alla prepotenza-all’arbitrio-alla sguaiata insipienza-all’ignoranza-al Padronato politico ed economico, si applicano ancora (e se mancano, se ne creano pure).
Quanto agli intellettuali, fra quelli italiani della storia recente (ma, forse, non solo della recente) mi pare di ricordarne solo uno (guarda caso, extraaccademico) che dicesse pane al pane/che le cantasse parlando e scrivendo degli-agli squali di turno: Pasolini. E’ finito massacrato (per la verità anche perché, nella sua grandezza e – forse – follia, lo voleva e – lo dico senza la minima ironia – ci teneva. Inutile dire che, datogli questo alto riconoscimento, ognuno poi può e deve prendere tutte le distanze che ritenga eventualmente opportuno prendere dalle sue specifiche posizioni politiche, teoriche, filosofiche o almeno parafilosofiche, e perfino comportamentali).
Fra gli italici viventi, rivedo qualcosa della sua schiettezza e del suo coraggio di esporsi in Travaglio. Molti dicono che è antipatico e supponente; può darsi, bisognerebbe comunque frequentarlo di persona per poter esprimere un’opinione significativa in merito. Ma tendo a credere che, in buona o molto più spesso in cattiva fede, si definisca antipatia e supponenza ciò che noto ogni volta che lo leggo e, soprattutto, lo vedo parlare: il sacrosanto disprezzo, sideralmente irridente, con cui tratta dei-coi numerosissimi ometti (non solo di-con il principale) che popolano la desolante cosiddetta scena pubblica nazionale.
Ed è un disprezzo aristocratico, perché, quasi miracolosamente, riesce pressoché sempre ad evitare parole o passaggi – se così li vogliamo chiamare – sboccati. Io non ce l’ho fatta; chissà, forse perché sono stato (o mi sento) più martellato dalla realtà/dal potere di lui.
Tengo comunque a sottolineare che io ne ho avute per tutti. Non solo (pur cifrando, come tu rilevi; ma gli snodi e i protagonisti della storia degli ultimi 20 anni sono a tutti noi troppo noti e sono stati da tutti noi troppo patiti perché, dietro la cifra, non si scorgessero tutti) per la cricca al potere, ma anche per gli esimi docenti che, soprattutto coi loro comportamenti concorsuali, hanno spianato la strada alla crociata antiaccademica della suddetta cricca. Purtroppo molti di loro, essenzialmente ma non solo in sede concorsuale, mi hanno causato profonde delusioni. Di loro ho amaramente ridimensionato il profilo umano-comportamentale. Ma non dimentico che si tratta comunque di gente che studia ed è colta, e in qualche caso anche assai brillante intellettualmente. Quindi, nella parte – diciamo così – dedicata a loro dei miei interventi rimossi, non ho usato una sola parola “sboccata”. Ma, di chi, con i suoi numerosissimi collaboratori diretti o indiretti/espliciti o impliciti, mi comanda e vessa per lungo tempo senza avere (per quanto con “cristiana” compassione lo abbia cercato lungamente e pazientemente) UN SOLO lato pregevole o anche solo decoroso (almeno, s’intende, secondo le mie meditate e ferme convinzioni e i miei criteri di giudizio; vedo fin troppo bene che enormi stuoli umani la “pensano” diversamente), a me viene – è più forte di me – da parlarne e scriverne con dura violenza, anche formale.
Come diceva quello che amo chiamare l’Immenso di Partenope: “ogni limite ha una pazienza” (almeno per me). Insomma (e so bene che è un pericolo per me) sono molto vicino a non poterne più
Grazie Ciro. Scritto in altro commento la logica dell’intervento della redazione.
Caro Zhok l’intento è cautelarsi non contro chi sia “fornito di liquidità” e possa intentare una causa civile; ma di fronte ad una denuncia penale -che non costa nulla!- per il reato di diffamazione. Che potrebbe comportare la chiusura cautelare del sito. http://www.dirittosuweb.com/aree/rubriche/record.asp?idrecord=1023&cat=11
Siccome riteniamo che questo spazio di discussione sia un bene prezioso, tentiamo di tutelarci. Tanto più in relazione a commenti di anonimi.
@ Alberto Baccini
La disponibilità economica c’entra comunque: con il mio reddito io non potrei permettermi di querelare qualcuno per diffamazione a vuoto; già solo essere condannato a pagare infine le spese legali di tutte le parti coinvolte mi metterebbe in grave difficoltà. E’ chiaro che per taluni così non è.
Sulla plausibilità della diffamazione rispondo sotto a Jus.
@Andrea Zhok
Dal punto di vista giuridico (della responsabilità) le cose non stanno esattamente così.
Vi sono pronunce (condivisibili o meno) che hanno riguardato espressioni verbali ben più tenui (per ovvi motivi di opportunità, che credo comprenderai, non ne cito gli estremi). Mi limito a ricordare in generale che, secondo la giurisprudenza, il diritto di critica deve essere esercitato nei limiti del diritto costituzionalmente garantito, evitando espressioni «inutilmente volgari, umilianti o dileggianti» o «inutilmente umilianti, che trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, che si risolvano nella denigrazione della persona», ad esempio quando si definisce qualcuno «notoriamente imbecille» (caso realmente accaduto e deciso).
Né corrisponde al diritto vivente il fatto che le opinioni espresse su un blog siano coperte da una qualche parziale immunità. Quanto al non fare testualmente il nome e il cognome del/dei bersaglio/i, ciò non basta quando il riferimento soggettivo sia inequivocabilmente (e in modo comprensibile da tutti) una specifica persona o un gruppo identificato di persone.
Lasciamo stare, però, le sentenze. Qui la questione è di principio.
1) Apprezzare giuridicamente la grandezza del diritto individuale di manifestazione del pensiero (e di critica) significa comprenderne anche i limiti intersoggettivi (onore, reputazione, dignità). Non si tratta di “pipponi”, di inutili orpelli formalistici buoni solo a giuristi rinchiusi nella torre d’avorio: si tratta di educazione civica. Il concetto chiave è quello di inutilità/gratuità: per criticare radicalmente e fortissimamente l’operato di Tizio bisogna per forza insultarlo sul piano personale facendo riferimento a sue caratteristiche fisiche o (asseritamente) morali?
2) Mettiamoci d’accordo su un’altra cosa. Se io o tu fossimo nani, ci farebbe piacere vedere (attenzione, non che venga qualificato come “nano” Tizio o Caio, ma) che l’appellativo di “nano” viene utilizzato evidentemente come se fosse un dispregiativo (http://milano.repubblica.it/dettaglio-news/milano-19:24/2733)? Il nostro essere nani dovrebbe farci vergognare di esserlo? Qui non c’è da ironizzare (come ha fatto qualcuno) sui “diversamente alti”: qui è questione di rispetto. Le parole hanno un peso. Sarebbe facile ricordare come l’uso dispregiativo di altri termini (riferiti alla nascita, a difetti fisici, a preferenze sessuali), oggi esecrato, in passato sia stato ritenuto tollerabile ed anzi espressione di brillantezza letteraria o innocente disinvoltura stilistica. O, come suggerisci, di semplici “metafore”.
3) Non ho capito. Il fatto che qualcuno mi insulti mi legittima ad insultare? Né ho capito, scusami, il riferimento alla “codardia indotta”, alla “paura di scrivere pane al pane” e al fatto che “l’unico campo d’esercizio che resta agli intellettuali in questo paese sta nel produrre pipponi in modo sufficientemente elaborato, elitario, mediato e possibilmente insignificante”. Non ho capito. Se si critica, ma non si insulta, lo si fa perché si è codardi intimiditi o servi del potere o insignificanti elitari produttori di “pipponi”? Ci rendiamo conto (non mi riferisco a te) che scadere nello stesso linguaggio, nello stesso stile, nello stesso livello di coloro che demoliscono le radici della tradizione culturale nel nostro Paese significa, alla lunga, dar loro ragione, soddisfazione, materia?
Ti ringrazio comunque per lo scambio di opinioni: dirsi le cose con franchezza è utile, dividersi è utile.
Mi ha colpito, in tuo precedente post (poi rimosso) una frase che era più o meno questa: io non scriverei come Ciro, ma sono contento che lui scriva così. Per me vale il contrario.
Caro Jus, è con viva e vibrante soddisfazione che mi pregio di dirle che sono in completo disaccordo.
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1) Ciro non ha bisogno di un avvocato e non è nelle mie corde fare questa parte, ma mi permetto di dire che tutte le espressioni, i sottointesi e le metafore usate in quel pezzo sono materiale corrente su molti siti e molte testate giornalistiche. Che, come tu mi insegni, si possa sempre incappare nel giudice sbagliato ed incorrere in condanne campate per aria, beh, è uno dei rischi della vita, pena la sterilizzazione preventiva di tutto ciò che si pensa e dice.
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2) In un intervento che vuole avere un tono satirico per finalità espressive (perché così comunica meglio il proprio contenuto) espressioni che possono risultare spiacevoli all’oggetto della satira sono la norma. Non c’è qui niente di inutile o gratuito. Se qualcuno avesse scritto: “Colui-il-quale-non-può-essere-nominato (please, trasporre l’oscuro signore di Harry Potter nella politica italiana) è una m…a”, pur condividendo il senso del giudizio non lo avrei difeso: sarebbe stata un insulto non giustificato da esigenze espressive. Nella fattispecie così non era.
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3) Io non ho in nessun punto, neppure lontanamente rivendicato la legittimità di sdoganare il turpiloquio. Io rivendico il diritto, almeno ideale, di poter dire che chi ruba è un ladro, chi inganna un imbroglione, chi tradisce un traditore, chi si fa corrompere un corrotto, ecc. E se non posso provare in senso giudiziario ciò che dico, rivendico almeno il diritto di poter usare una forma indiretta per segnalare a chi può intendere il medesimo concetto. Voglio poter dire che “Colui-il-quale-non-può-essere-nominato è un mentitore seriale”, senza dovermi preoccupare di andare dal giudice, perché sto dicendo la verità. Se tu mi inviti alla cautela perché un giudice maldisposto potrebbe capitare comunque, io ti rispondo che NON DEVE poter capitare, e che se può capitare il nostro sistema giudiziario è malato. (Viste le polemiche in cui il sistema giudiziario italiano è stato coinvolto negli ultimi anni ed in considerazione del fatto che, se è rimasto più o meno integro, lo deve a quella parte del paese che lo ha difeso per rispetto della Giustizia, eviterei di difenderlo con argomenti meramente formali, del tipo “la sentenza in quanto tale si rispetta sempre”…)
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4) La discussione sul ‘nano’, perdonami ma mi lascia davvero perplesso. Non ho capito in primis dove esattamente ritieni stia il problema: chi è che deve essere offeso, il soggetto o il predicato? Parlando per analogia, stai dicendo che se dico “Colui-il-quale-ecc… è un maiale” devo temere un’accusa di diffamazione da parte di Colui o da parte dei maiali?
Ti faccio peraltro notare che un paio d’anni fa nell’Amaca di Michele Serra un certo signore veniva sistematicamente appellato come “nano ridens”. Se vuoi fare la paternale anche a Michele Serra e spiegargli che sta dando moralmente il cattivo esempio accomodati. Io preferisco poterlo leggere.
Dato il contesto adatto quasi ogni attribuzioni può far ridere, ma eviterei di pensare che ogni uso ironico di un termine debba rappresentare un’offesa mortale da perseguire con apposita causa (come invero il nostro paese sembra incline a fare). Quante volte ho sentito il termine ‘filosofo’ e ‘filosofare’ usato in senso derogativo! In quanto filosofo dovevo inalberarmi ogni volta? Con un altro esempio: nella zona meridionale dei paesi di lingua germanica i termini ‘blond’ (biondo) e ‘blauaugig’ (dagli occhi azzurri) sono usati ironicamente per dire ‘scemo’. Nella mia costante frequentazione di queste zone e come rappresentante dei biondi con gli occhi azzurri non mi sono mai sentito offeso (avrei dovuto?). Dobbiamo temere una causa dai camerieri a causa del senso non lusinghiero sottinteso dal titolo dell’articolo di cui sopra? Dobbiamo davvero cedere a questa isteria del politically correct, con l’effetto perverso di renderci simpatici i leghisti per contrasto?
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5) Infine. In parole poverissime, perché ho scritto davvero troppo, la vera sostanza di quello che intendevo è che siamo un paese che è immensamente attento alla forma ed infinitamente distratto sulla sostanza. Nei nostri convegni si dibatte a colpi di complimentosità che fanno venire le carie ai denti, salvo poi magari manifestare nel corridoio il più completo disprezzo per il medesimo collega or ora complimentato. A chi è capitato di tovarsi in discussioni accademiche fuori d’Italia (UK, Germania) sarà anche capitato di notare come lì le obiezioni sono reali, spesso maligne, certamente senza sconti e ad un italiano sembrano talora persino insultanti. Magari se stessimo un poco meno attenti a chi-sono-io-e-chi-è-lei potremmo concludere qualcosa di più in politica come nell’accademia. Ma forse sbaglio; forse qui è la vera chiave per intendere la brillante espressione di Zingales: forse in fondo il nostro atteggiamento è davvero più consono a fare i camerieri che gli intellettuali.
P.S.
6) Ovviamente l’attenzione al rispetto formale va di pari passo con il rispetto/timore per il potere relativo: l’Italia resta il paese dove fare la faccia feroce con i deboli e correre in soccorso del vincitore sono sport nazionali. Per inciso, e ritornando così in topic, l’aspetto più fastidioso (qualcuno direbbe repellente) nei sistemi di promozione, selezione e reclutamento dell’università italiana non sta tanto nella mancanza di ‘fairness’, ma nella quasi onnipresenza di relazioni di potere/timore, che caricano il supporto o la mancanza di supporto di innumerevoli connotazioni opache e nevrotizzanti (sarò nelle grazie di…? starò simpatico a…? ecc.).
Tu sei – l’ho già scritto – un signore (o perlomeno appari decisamente tale alla luce di quel che scrivi e soprattutto di come lo scrivi).
Se tratti dell’indegno-coll’indegno da signore per conservare intatto il tuo stile, ti ammiro.
Se lo fai perché credi che possa essere strategicamente-operativamente fruttuoso, ti sbagli.
L’indegno, questo indegno (per carità, come tantissimi altri prima e dopo di lui) ti lascia solo due possibilità: essere schiavo (e allora sa esserti generoso) o, se non lo accetti o addirittura dissenti, VENIRE SCHIACCIATO E BASTA. E se, prima di esserne schiacciato, gli parli forbito e felpato credendo di poter “mediare”, l’unico “vantaggio” che ottieni è che, mentre ti bastona e dopo averti bastonato, ti ride in faccia e/o alle spalle.
Attenzione: sono pienamente consapevole che anche dirgli in faccia/”ricordargli” senza sconti e inesorabilmente chi è/che cosa ha detto e fatto/come lo ha detto e fatto NON SERVE ASSOLUTAMENTE A NIENTE. E perché non serve comunque a niente? Perché le ferree leggi della realtà, che reggono ANCHE gli uomini, i loro sentimenti, i loro pensieri e i loro comportamenti (la libertà è pura fanfaluca), sono talmente basse che quello che tu critichi-contesti felpatamente e io attacco veementemente è sempre stato e sempre sarà oggetto di consenso e di sostegno, se non addirittura di più o meno commossa ammirazione, da parte della (grande) maggioranza. NOI SIAMO E SEMPRE SAREMO MINORANZA.
Allora, perché parlarne COME ne parlo io? Per puro piacere. Al governato/comandato/dominato/schiacciato dall’indegno & company, all’appartenente a una categoria antropologica inesorabilmente minoritaria e per questo comunque e ab initio perdente, vogliamo togliere, UNA VOLTA ESCLUSA RADICALMENTE E IRREVOCABILMENTE LA VIA DELLA VIOLENZA FISICA, anche il PIACERE di una GIUSTA violenza verbale?
Qualche anno fa, Travaglio scandalizzò tante anime belle dicendo “rivendico il diritto a odiare”. L’odio non è assolutamente nelle mie corde, ma il disprezzo, anche molto profondo, sì: rivendico il mio diritto a disprezzare quello-quelli che, dopo accurata riflessione, risultano pienamente meritevoli di disprezzo (ai miei occhi e alla luce dei miei criteri di valutazione, s’intende; ma ognuno è strutturalmente chiuso nella bolla della PROPRIA visione del mondo, e nessuno può rivendicare di essere portatore della Verità. A meno che non si assuma, per discriminare il vero dal falso, il più volgare dei criteri, quello della brutale maggioranza numerica, secondo il quale tu e, ancor più, io saremmo nel falso e nell’ingiusto).
A proposito di disprezzo, ecco un altro punto su cui (secondo me, è ovvio) sbagli: il rispetto (scrivi “qui è questione di rispetto”). ASSOLUTAMENTE NON TUTTI MERITANO/SANNO MERITARSI RISPETTO. Se seguo con grande attenzione e a lungo uno, senza iniziale chiusura pregiudiziale nei suoi confronti, e riscontro che ha praticamente fatto solo e pesantemente del male, sotto diversissimi punti di vista, non esclusivamente a me e agli studiosi di area accademica (di cui, lo strasappiamo, anche grazie a lui non frega – più – niente agli altri cittadini), ma (credo che te ne sarai accorto) a un intero Paese; allora io NON gli porto rispetto.
Non a caso, riguardo all’epiteto – diciamo così – morfologico che t’indigna, ti preciso che, almeno in pubblico (parlando a casa mi può sfuggire: non sono un santo), non lo uso affatto in riferimento ai “diversamente alti” che ho conosciuto finora; ma lo userò, con piacere liberatorio, in segno di spregio (non certo per la scarsa metratura – non sono così sciocco – ma per la sua personalità, il suo modo di pensare e di comportarsi) anche in riferimento a un “diversamente alto” che dovessi conoscere in futuro e che vedessi non meritevole di rispetto e autore di male rivolto sia contro di me, sia contro (molti) altri.
A proposito di “diversamente alti”, come risulta dal curiosissimo referto di una visita militare -cui evidentemente non riuscì a sottrarsi – che fissa a 149 centimetri la sua statura (referto da me visto a una mostra pisana nell’anno delle celebrazioni per il bicentenario della nascita), Leopardi lo era veramente e pienamente. Ebbene, a lui, se mai risorgesse come mio contemporaneo, non solo non mi sognerei di riferire quell’epiteto, non solo mi relazionerei col rispetto che devo assolutamente a tutti quelli che non hanno meritato flagrantemente di perderlo, ma tributerei una vivissima ammirazione, rivolta non solo a lui come genio ma anche come persona (sulla base del molto che so della sua vita). Insomma, rivendico il diritto a discriminare fra gli individui.
Sottolineo anche che in nessun punto dei miei commenti rimossi ho fatto riferimenti a (come scrivi) “caratteristiche…(asseritamente) MORALI [stampatello mio]” del soggetto in questione. Se li rileggi bene, o meglio – visto che non è più possibile farlo – se li ricordi bene, converrai che ho espresso essenzialmente 4-5 giudizi molto severi (che mi guardo bene dal ripetere qui, per non creare possibili difficoltà a Roars), ma tutti o di ordine culturale-esistenziale o riferiti alla sfera della capacità tecnico-politica o, soprattutto, alla estetica (in senso lato e proprio per questo più pregnante) del carattere e dei comportamenti, inclusi – s’intende – quelli di rilevanza penale: giudizi che ogni – per dirla in modo un po’ sacerdotale – persona di buona volontà sa e riconosce essere verità ampiamente assodate e incontestabili.
Nel merito morale mi guardo bene dall’entrare. Tant’è vero che, quando – come penso ricorderai – il cosiddetto spin doctor riempì un teatro di mutande appese alle pareti in suo sostegno, pensai che si trattava dell’ennesima, assolutamente non sorprendente, spaventosa caduta di stile della sua cerchia, ma che NELLA SOSTANZA aveva ragione – se e in quanto voleva comunicare il messaggio “assolutamente nessuno è buono e giusto”, cioè nessuno ha i titoli per affibbiare giudizi o addirittura condanne SUL PIANO MORALE.
Concludo invitandoti a cercare di comprendere che, se ho scritto quel che ho scritto e l’ho scritto come l’ho scritto, è essenzialmente perché sono abitato-agitato da un senso e da un’esigenza DI GIUSTIZIA E DI STILE almeno pari ai tuoi. Uno che, per sua sfortuna, ha simili caratteristiche deve già ingollare che – come ho scritto ieri – il mondo sia nelle sue fondamenta, strutturalmente-ontologicamente, in-giusto e violento (sempre e comunque, perciò: anche qualora, per totale assurdo, come capo dello Stato ci fosse Gesù in persona). Se poi gli capita pure di dover passare una consistente fetta della sua vita a fianco di-SOTTO A una torma in cui l’incontrollato arbitrio si somma a un’indicibile grossolanità, può anche accadere che VOMITI la sua delusione e il suo sdegnato sgomento – proprio perché quel senso e quell’esigenza sono in lui PARTICOLARMENTE ALTI
Preciso (anche se appare ovvio) che nel mio commento inserito alle 18.48 “dialogo” con quello di JUS delle 12.05
@Andrea Zhok e Ciro
“Che, come tu mi insegni, si possa sempre incappare nel giudice sbagliato ed incorrere in condanne campate per aria, beh, è uno dei rischi della vita, pena la sterilizzazione preventiva di tutto ciò che si pensa e dice”.
Il “giudice sbagliato” e le “condanne campate per aria” mi ricordano, curiosamente, il modo in cui si approcciava al diritto proprio l’amato ex Presidente del Consiglio. Colui che tendeva a dipingere alcune forme giuridiche, alcune procedure, alcune istituzioni di garanzia costituzionale come fastidi che inceppano la macchina del ben e presto e meritocraticamente (per la propria parte, va da sé) decidere, del bisogna andare “alla sostanza”. Perché la c.d. sostanza (che, ovviamente, non è mai la stessa per me, per te o per colui che definite “nano”) da sempre è l’argomento che si applica per discriminare amici da nemici, i degni dai presunti indegni, le pacifiche e civili maggioranze silenziose dalle presunte minoranze ideologizzate e facinorose.
Purtroppo mi fa velo la mia (archeologica, me ne rendo conto) formazione giuridica. Ho avuto il torto di studiare un diritto pubblico in cui si suggerisce che nessuno è a priori definibile come indegno (sono stati ritenuti tali, in altre epoche, sempre andando alla c.d. sostanza, o al comune sentire, gli schiavi, le donne, gli omosessuali, gli avversari politici, i carcerati, i freaks). Dignità umana e indegnità umana sono, giuridicamente, degli ossimori. Se il cosiddetto “nano” o i “7 sicari” sono degli indegni, oggi lo è lui o lo sono loro, domani potranno esserlo altri, forse io, forse Ciro e Andrea. Derogato il principio della dignità, il vaso di Pandora dell’imbarbarimento si apre e nessuno può più controllarne gli esiti, secondo l’eterogenesi dei fini.
Quanto alla libertà di espressione e di critica. Anche qui, purtroppo, sono penalizzato da studi di diritto civile e penale secondo cui (roba obsoleta) parlare in pubblico esige un regime giuridico differenziato, perché l’obiettivazione sociale di ciò che si dice nei confronti dei destinatari esige il rispetto di valori non meno rilevanti della libertà di espressione, come la reputazione e l’onore, in quanto anch’essi dimensione della dignità umana come la manifestazione del pensiero. Comprendo però che, almeno a partire dalla fattoria di Orwell, a parole affermiamo che tutti hanno diritto di vedersi riconosciuta pari dignità, nei fatti non vediamo l’ora di affermare che qualcuno, in realtà, ha diritto a meno dignità di altri, se non addirittura che quel diritto gli va tolto, perché è un inguaribile e irrecuperabile indegno secondo la nostra convinzione del momento.
O che i componenti di un’amministrazione pubblica (diciamo di fantasia), criticabilissima (e quante volte mi potrebbe essere capitato, sempre nella mia fantasia, di criticarne aspramente l’azione), non sbagliano perché convinti di essere in buona fede dei moralizzatori o perché portano alle estreme conseguenze metodologie ed impostazioni scientifiche errate, non sbagliano cioè da persone degne e rispettabili sul piano morale, ma agiscono da “sicari” prezzolati da un tal “nano” (il quale, peraltro, dovrebbe limitarsi a tacere e ad andare “dentro”).
A me questo modo di impostare la discussione, sinceramente, non piace. Quando ANVUR ha adottato (e adotta) comportamenti contrari, a mio giudizio, ai principi e alle regole del diritto amministrativo, l’ho evidenziato senza mezze misure. Se però il diritto va rispettato, lo dobbiamo rispettare tutti, quando ci rivolgiamo alle istituzioni pubbliche, altrimenti proprio non va. Il “due pesi e due misure” non va: è tipico, paradossalmente, di coloro che vorremmo criticare.
Nel commento rimosso da ROARS avevo riportato alcune espressioni di Ciro (ovviamente, qui non posso ripeterle esattamente, a tutela di Roars, ma si andava ben oltre il “nano”, soprattutto laddove si utilizzava – lasciamo perdere nei confronti di chi per non reiterare il problema – termini come “fecali”, “sicari” che qualcuno “assolda” – non è un giudizio che lambisce la moralità personale degli interessati, nevvero? -, “Grande Delinquente”).
Roars ha rimosso i commenti ma, secondo Andrea Zhok, si è trattato di un “eccesso di cautela giuridicamente immotivato”.
Come ho detto più volte, stimo Andrea Zhok (e così Ciro). Lo inviterei, però, a documentarsi meglio rispetto all’ambito giuridico (come tutti noi dovremmo fare rispetto ad ambiti che conosciamo meno di quelli di nostra abituale frequentazione), prima di attribuire ai redattori di Roars un “eccesso di cautela giuridicamente immotivato” che, a questo punto, avrebbe addirittura il sapore di una censura ingiustificata, seguendo il suo ragionamento
Beh, certo, si sa che Roars è un luogo di aspiranti censori.
Più di tutte, ci sono due cose che mi hanno, lo dico sinceramente, arrecato dispiacere.
La prima sono alcune parole di Andrea Zhok.
“Dobbiamo davvero cedere a questa isteria del politically correct, con l’effetto perverso di renderci simpatici i leghisti per contrasto?”. “Se vuoi fare la paternale … accomodati”. “Siamo un paese che è immensamente attento alla forma ed infinitamente distratto sulla sostanza … ovviamente l’attenzione al rispetto formale va di pari passo con il rispetto/timore per il potere relativo … forse in fondo il nostro atteggiamento è davvero più consono a fare i camerieri che gli intellettuali”.
Se si è si attenti alla forma, all’uso controllato del linguaggio in pubblico, questo celerebbe una disattenzione per la sostanza, un atteggiamento da cameriere, inteso come servitore del Potere, non da intellettuale?
Questo è un modo elegante per qualificare me, e chi la pensa come me, come un cameriere ossequioso al potente di turno. Grazie, davvero. E complimenti.
Una sorta di utile idiota: o, come dice Ciro, un “signore” che mira solo a gingillarsi con uno “stile intatto”, ma “l’indegno, questo indegno (per carità, come tantissimi altri prima e dopo di lui) ti lascia solo due possibilità: essere schiavo (e allora sa esserti generoso) o, se non lo accetti o addirittura dissenti, VENIRE SCHIACCIATO E BASTA. E se, prima di esserne schiacciato, gli parli forbito e felpato credendo di poter “mediare”, l’unico “vantaggio” che ottieni è che, mentre ti bastona e dopo averti bastonato, ti ride in faccia e/o alle spalle”.
Bello sprovveduto, questo “signore dallo stile intatto”. Fa il gioco dei suoi avversari. Fortuna che il cambiamento di questo iniquo sistema verrà non da simili forbiti camerieri, ma da un non meglio precisato “noi” che “SIAMO E SEMPRE SAREMO MINORANZA”.
Mi dispiace, soprattutto, che si scambi Roars per un luogo nel quale, “per puro piacere”, si ritroverebbe “una categoria antropologica inesorabilmente minoritaria e per questo comunque e ab initio perdente”, per godere del “PIACERE di una GIUSTA violenza verbale”. Non mi sembrava che fosse questa l’ispirazione scientifica del sito rispetto agli obiettivi prospettati.
Ho notato che nessun utente di Roars è intervenuto, né prima né ora, rispetto a questo tema, forse perché la maggioranza condivide le opinioni di Ciro e di Andrea Zhok o forse, semplicemente, perché la questione non interessa.
Ne prendo atto. Pensavo, sinceramente, che fossero state fuori luogo alcune affermazioni altrui. Comprendo adesso che sono i miei interventi, più probabilmente, ad essere fuori luogo.
Indosso pertanto la livrea e vi saluto con deferente inchino ed immutata (per quanto insopportabilmente politically correct) simpatia. “Cameriere, champagne!”. Obbedisco.
@JUS
Non credo che alcuno volesse offenderla.
Per gli aspetti giuridici sono stato d’accordo con la scelta della redazione di ROARS, ed in ogni caso non potrei che attenermi alla sua interpretazione di giurista.
Riguardo le regole di un dibattito e più in generale della comunicazione civile, vorrei però osservare come l’insulto sia stato introdotto quale normale forma di comunicazione proprio dalle persone che lei -ineccepibilmente- invita a rispettare a priori. Per fare un esempio, al sottoscritto secondo i mezzi di
comunicazione cari a questi gentiluomini (e.g. i giornali scatologicamente descritti da Ciro) si associano svariate etichette, la maggior parte delle quali insultanti secondo il sentire comune di ieri e di oggi, in base a:
– convinzioni politiche
– reddito (!)
– occupazione (in quanto dipendente dello Stato & peggio, ricercatore universitario)
– natura intellettuale della suddetta occupazione, unita alle convinzioni politiche (c’è un’etichetta specifica!)
Parlo di quotidiani a diffusione nazionale: la violenza verbale è IL modo espressivo.
Violenza condivisa da Ministri dell’Università che, raccontando sistematicamente menzogne (qui brillantemente smascherate), insultavano l’intera Università pubblica.
Violenza che poi arriva a percolare, nelle stesse forme, nel sentire quotidiano di molti così come negli scritti dei troll “specializzati” in argomenti universitari/scolastici (visti all’opera anche qui).
Per quanto si possa contestualizzare non è semplice mandar giù il rospo sine die.
Caro Jus,
è evidente che tu hai una elevatissima sensibilità nei confronti anche solo della possibilità remota che da qualche parte un’offesa sia celata. Per quel che vale ci tengo a precisare che non c’era in quanto ho scritto alcuna intenzione di insinuare nulla nei tuoi confronti, né in modo diretto né indiretto. Non ti ho dato del servitore del Potere, né ho inteso nulla di vagamente simile.
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Per la mia sensibilità, e non mi arrogo il diritto di dire se essa debba essere considerata esemplare o degradata, minoritaria o maggioritaria, la tua reazione sia nei confronti del primo intervento di Ciro, sia nei confronti di quelli successivi da parte mia sono ‘sopra le righe’. Non c’è quasi nulla su cui non potrei essere d’accordo in linea di massima, ma mi pare che siano tesi fuori luogo con riferimento alla fattispecie di cui stiamo discutendo.
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Quando fai un’analogia tra le mie considerazioni sulla tolleranza nei confronti di espressioni sarcastiche e satiriche ed il dispregio manifesto ed arrogante di ogni legge che non sia quella della forza da parte di “Colui-il-quale-non-può-essere-nominato” mi fai un torto, ma soprattutto fai un torto al buon senso ed alla tua intelligenza.
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Il mio riferimento reiterato alla questione delle asimmetrie di potere (l’esempio di Sallusti) è stato da te aggirato sistematicamente, come se fosse irrilevante; ma è quello il cuore delle mie osservazioni. Non puoi mettere sullo stesso piano ed usare lo stesso metro di giudizio quando il potente opprime, offende ed irride il debole e quando il debole cerca, con una cautela che il potente non si è mai premurato di usare, di ribattere, con gli strumenti dell’ironia o del sarcasmo. Questo tipo di giustizia è la giustizia dei filistei, è ingiustizia sostanziale travestita da giustizia formale. Se trovi seriamente offensive le battute di Ciro, cosa avresti dovuto fare di fronte ad un certo signore ed ai suoi stipendiati che hanno umiliato per anni un intero paese (devo ricordare un po’ di episodi?)? Darti fuoco davanti a Montecitorio?
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Quanto infine alla questione squisitamente giuridica relativa alla possibilità o meno di essere vittime di un’accusa di diffamazione, beh, io non sono aduso per carattere e formazione a parlare di ciò che non conosco. Ciò che so, come frequentatore di siti e lettore di giornali, è che quanto scritto nel suddetto testo cassato dalla redazione (e anche molto peggio) è quotidianamente presente in innumerevoli testi disponibili al pubblico, senza che vi siano conseguenze giudiziarie di sorta. Parlo tra l’altro anche proprio delle specifiche espressioni (‘nano’, ‘poverina’, ‘sicari’, ecc.). Di ciò sono empiricamente certo e ciò mi faceva e fa ritenere che si trattasse di un eccesso di precauzione. Tutto qua. Dopo di che la redazione ha tutto il diritto di adottare un principio di cautela accentuato, e ciò che mi premeva segnalare nel mio primo intervento è solo come la condizione socialmente (ed economicamente) subordinata degli intellettuali in Italia si riverbera anche in una considerevole ‘bonomia verbale’ nel parlare dei ed ai veri potenti, il che a mio avviso è un problema che sarebbe interessante discutere.
@ JUS
1) Gli schiavi, le donne, gli omosessuali, gli avversari politici (se non sono della fatta dell’innominabile; e, credimi, nei decenni della mia vita in Italia non ne ho visto NESSUNO di quel livello, magari perché fino al 94 avevo incocciato un periodo, in rapporto a quello che può offrire la Storia non solo di questo Paese, fortunato) NON SONO AFFATTO indegni. Dei freaks non m’interessa niente. Sui carcerati sarei un tantino più cauto: se il carcerato è un assassino o uno squalo sopraffattore – ma gli appartenenti a questa seconda categoria non finiscono praticamente mai in carcere, come la storia dell’innominabile conferma per l’ennesima volta -, io qualche ribrezzo per lui lo provo. Ma un campione di prepotenza, volgarità, falsità, ignoranza, che, fra l’altro, non limita il suo raggio d’azione alla sua famiglia e/o al suo ambiente di lavoro ma lo estende per un lungo periodo a un intero, disgraziato Paese (disgraziato sia perché si è beccato un soggetto del genere che – non so se te ne sei accorto – desta dileggio più o meno misto a disgusto e una punta di paura un po’ ovunque all’estero, sia perché gli ha fatto ponti d’oro), E’ indegno; lo è perché – come chiunque altro – non poteva e non doveva affatto essere definito indegno A PRIORI (come giustamente scrivi) ma stramerita di esserlo A POSTERIORI, visto che questo “posteriori” in cui lo si è seguito in azione è stato un molto lungo, inequivocabilmente eloquente periodo gremito di un numero incredibilmente elevato – non so se te ne sei accorto – di episodi fra l’increscioso, il pernicioso e lo stomachevole. A un soggetto del genere non tributo alcun rispetto, non gli riconosco alcuna AUTOREVOLEZZA, ma DEVO – digrignando i denti – tenere conto della sua AUTORITA’ che condiziona la mia esistenza, come si deve tenere conto dell’autorità di CHIUNQUE – volta per volta – detenga il potere (ma, grazie al cielo, capita non infrequentissimamente che al detentore del potere – quando, per fare due esempi che mi sovvengono in questo momento, si chiama magari Moro o Willy Brandt – si possa riconoscere anche una qualche, maggiore o minore, AUTOREVOLEZZA).
Ti è per caso sfuggito il piccolo particolare che il suo semplice esistere e (stra)operare è la vivente, tremendamente costernante SMENTITA pressoché della totalità dei (usiamo per una volta questo termine a forte rischio di retorica) valori che intessono la mia e (credo) in non piccola parte anche tua visione delle cose e degli uomini?
Di e, soprattutto, a un soggetto del genere tu vuoi parlare con volto disteso e persino empatico illudendoti che ti ricambi con il SUO rispetto, quando ti ha dimostrato tante volte e senza alcuna eccezione che ti disprezza e – per usare un eufemismo – non gli causerebbe la minima emozione che sparissi dalla faccia della terra? Buon divertimento
2) Leggi con più attenzione. Non ho affatto scritto che, come scrivi, “il cambiamento di questo iniquo sistema verrà…da un non meglio precisato ‘noi’ che ‘SIAMO E SEMPRE SAREMO MINORANZA'”. Ho scritto quasi il contrario, e cioè che non verrà alcun cambiamento di nessun sistema, nemmeno (figuriamoci) da chi, come me, preferisce essere duro col duro. Questo perché, intanto, la minoranza è per definizione perdente, e poi – più radicalmente – perché il SISTEMA, QUALUNQUE SISTEMA, per quanto possa essere assai apprezzabilmente nutrito di garanzie democratiche, è per definizione iniquo in quanto è/non può non essere/deve essere grumo di potere, quindi di forza, quindi di sopraffazione, quindi di violenza, e non a caso, in armonia con queste sue caratteristiche, SEMPRE E COMUNQUE NASCE dall’in-giustizia e dalla violenza.
Certo, ci sono sistemi più o meno iniqui. E quello avente al centro l’innominabile e i suoi innumerevoli servi volontari (più o meno bene prezzolati) a me è parso e pare troppo (sbracatamente) iniquo per la mia sensibilità e le mie doti di resistenza. Peraltro, non c’è il minimo dubbio che reagisca così perché il mio destino geografico e anagrafico mi ha abituato troppo bene, evitandomi molto ma molto di peggio, magari Adolf o Pol Pot.
Quanto alla questione che siamo minoranza, ti sarai sicuramente accorto che il sentimento dell’uomo-standard, dell’uomo largamente maggioritario nei confronti dello studioso/di quello che Benda chiamava “chierico”/dell’intellettuale è fondamentalmente formale, distaccatissimo rispetto condito di quasi totale disinteresse (ma ormai in questo Paese nemmeno questo esiste praticamente più, per diverse cause, fra le quali figura anche il generoso aiuto offertoci dall’innominabile e dalle sue TV e dai suoi due giornali che, per essere più educato e raffinato, stavolta chiamerò stercorari), e non di rado sorda ostilità condita della convinzione che sia più o meno un mangia(poco)pane a uffa.
3) Leggi meglio. Quando Zhok parla di pipponi neutri e totalmente inoffensivi rivolti a una limitatissima élite accademica che risponde loro con più o meno inautentici elogi e con più autentici sbadigli, non se la prende affatto con te. Esprime invece la sua delusione e il suo fastidio per il fatto che (per usare lo squallido linguaggio à l’Anvur) i PRODOTTI SCIENTIFICI dell’intellettuale, in particolare di quello accademico, in particolare di quello italiano, non “mordano” praticamente mai, per difetto di coraggio ma anche per altri interessanti motivi, sulla tematica pubblica-sociale-politica.
4) In un tuo commento di ieri o dell’altro ieri, andavi relativamente vicino a dire che, scrivendo quello che ho scritto e come l’ho scritto nei commenti rimossi, mi appiattirei (o almeno rischierei di appiattirmi) in qualche misura sulla barbarie che ci minaccia e accerchia e di cui l’innominabile è il più influente alfiere. Ma (lo dico senza alcuna ridicola boria) stiamo scherzando? Vogliamo davvero mettere il vociante, aggressivo, intimidatorio, volgarissimo parlare (“parlare” e non “dire”, perché – come quello della quasi totalità dei politici, del resto, ma in realtà ancor più desolantemente di quello degli altri politici – si tratta di un parlare che concettualmente-argomentativamente non DICE quasi niente) dell’innominabile e dei suoi numerosissimi scherani, con i miei interventi per tuo stesso riconoscimento concettualmente-argomentativamente-interpretativamente significativi e interessanti, e solo scossi da una violenza ritmico-formale che Sartre definirebbe un esemplare caso di contro-violenza, ovvero di violenza reattiva a un’altra violenza, nella fattispecie quella che abbiamo subito e continuiamo e continueremo a subire dalla cricca, e che un paio di altri commenti apparsi fra ieri e oggi in Roars sul tema che andiamo dibattendo hanno opportunamente ricordato a chi avesse memoria e potere previsionale un po’ troppo corti?
Mi pare comunque che ciascuno abbia ampiamente e nitidamente esposto le sue posizioni. Quello che ho scritto è solo la MIA verità, che non è LA verità (sempre ammesso e non concesso che quest’ultima esista); ma, l’ho già scritto, chiunque può solo esporre la SUA verità.
Un notevolissimo filosofo italiano della prima metà del Novecento, Giuseppe Rensi, asserisce che la discussione è inutile perché nessuno mai cambia la sua idea, ovvero appunto la sua verità. Finché la definisce inutile nella misura in cui non fa mai cambiare idea all’interlocutore, Rensi ha senz’altro ragione. Ma la discussione non è inutile IN ASSOLUTO, perché è una preziosa occasione per dipanare e chiarire in primo luogo a se stessi le proprie ragioni e per apprendere le ragioni dell’altro, apprezzandone anche (se esiste, come nel tuo caso) la qualità della tessitura concettuale.
Ma oltre non è possibile andare: ognuno, del tutto legittimamente (o meglio, necessariamente), rimane appunto sulle sue posizioni
Sul topic: lungi da me l’idea di voler in qualunque modo difendere Zingales, ma proprio a nessuno viene in mente che, parlando di turismo come risorsa, ci si possa riferire non tanto e non solo a camerieri, ristoratori, albergatori, ma anche alla tutela del patrimonio paesaggistico e culturale, ai musei, al restauro, ai parchi nazionali, alla tutela dei siti archeologici, alla lotta al dissesto idrogeologico, ecc…, tutte cose che necessitano (anche) di competenze di livello quantomeno universitario? Messa così, a me non parrebbe proprio un’idea da fare a fettine, o no?
C’è stato un tempo in cui Ciro poteva essere considerato un artista e non una “una carogna di sicuro, perchè” qualcuno “ha il cuore troppo, troppo vicino” ai suoi interessi.
Scusate, ma non temete la dununcia dei camerieri che potrebbero offendersi per essere presi come esempio del degrado di questo paese? Sono lavoratori che meritano tutto il nostro rispetto.
Sono pervettamente d’accordo con Zhock quando scrive: “Forse però il timore era che, visto il sistema giudiziario italiano, chiunque sia adeguatamente fornito di liquidità può comunque intentare causa a chiunque altro, anche senza speranza alcuna di vincere, con il solo intento di cagionare danno economico provvisiorio, un imbarazzo certo sufficiente a far chiudere iniziative editoriali finanziariamente fragili. In altri termini qualunque pirla può stroncare un’iniziativa come quella di Roars o altre di struttura simile, se ha abbastanza disponibilità economica da mettere in piedi una causa, e si sente sufficientemente infastidito perché valga la pena farlo.”
Però “pirla” no! lo considero molto più offensivo di “cardiano”. Poichè “pirla” si diventa, “cardiani” si nasce. O viceversa?.
In questo paese tutto è gravemente malato: giustizia, sanità, università, ricerca … libertà! qualcosa è moribondo, ma nessuno è ancora morto. Ma ci sono un sacco di “maramaldi” in giro.
Sul topic. In effetti non si puo’ negare che, indipendentemente dai motivi, l’Italia non e’ un paese dove si produce grande innovazione tecnologica. Si produce ottima ricerca di base, ma la ricaduta tecnologica la fanno spesso altri paesi.
Ci sono vari motivi: l’accesso al credito, la burocrazia, la lentezza dei procedimenti legali, ecc.
Ed anche motivi culturali: a me al liceo (scientifico) hanno insegnato che la cosa piu’ bella era fare il filosofo. E infatti faccio il “filosofo naturale”, aka il fisico.
Nessun insegnante mi ha mai detto: “che bello costruire una dispositivo nuovo e poi vedere che lo usano in milioni di persone”. Ai miei tempi erano considerate “cose da ITIS”.
Ma “costruire un dispositivo nuovo” non è un problema di ricerca industriale?
E le statistiche mostrano che le nostre industrie sono per la stragrande maggioranza molto restie a investire in R&D, in primis per la dimensione esigua delle aziende prima ancora che per motivi culturali.
“In primis [..] prima ancora”, vabbé
Vedo solo ora la discussione tra Jus, Andrea Zhok e Ciro: non sono stato assiduo ultimamente e ho perso (per fortuna?) i post rimossi.
Vorrei intervenire solo per dire a Jus che sono totalmente e senza riserve d’accordo con lui. Avrei detto le stesse cose, probabilmente con minore eleganza, ma con lo stesso spirito. Ritengo che la sola forma possibile di contestazione ormai sia una testarda aderenza ai valori di convivenza civile di cui ha parlato Jus.
In caso contrario oltre a esporci a rischi di contenzioso giuridico e ad abbassare la nostra dignità, scivoliamo nell’insignificanza. Non cadiamo nel vezzo orribile di nobilitare gli insulti come “provocazioni” o in strategie similari. Proprio chi vuol chiamare le cose con il loro nome dovrebbe starte attento a queste trappole. Altrimenti nulla ha più senso.
Sul topic.
Riassumendo: in un paese di 60 milioni di abitanti con una dignitosa tradizione di studi,umanistici e scientifici, un discreto tenore di vita e molte risorse paesaggistiche e culturali da un po’ di anni a questa parte si addita la cultura come spreco, l’investimento scientifico come qualcosa da fare all’estero, si tagliano le gambe ai più giovani, si inventa ANVUR e si fomentano lotte tra PO, PA, RTI e RTD, si riducono e si precarizzano gli ingressi all’università. Questo con la complicità di televisione e giornali su cui spadroneggiano esperti, spesso appartenenti alla classe universitaria medesima ma spesso anche no, i quali propongono di far fuori quello che resta e incitano a non investire sullo studio e sulla ricerca. Chiaro è l’intento di ridurre al lumicino la classe intellettuale con metodi ‘soft’ perché non siamo più ai tempi di Stalin e nemmeno di Tolomeo VIII, che fece fuori gli scienziati e filosofi greci della sua corte per preparare l’annessione dell’Egitto all’impero romano.
prego tutti di restare on-topic.
Grazie.
Qualche settimana fa nella trasmissione di Santoro a La7 Briatore discorreva sulla necessità di finanziare solo il turismo in Italia perchè noi abbiamo coste meravigliose e il resto non lo sappiamo fare. Questa visione edonistica superficiale della vita emerge in tante persone che arrecano un dammo enorme a chi vuole dare l’anima nel suo paese in campo scientifico o culturale. Nessuno si sta ponendo il problema dell’invecchiamento delle università itliane, della precarietà crescente, dei fondi ridotti a zero; siamo sicuri che un grande vecchio punta all’impoverimento dell’università e non tutti noi che dovremmo far sentire un’unica voce anzichè cercare di assumere un ruolo di potere nei nuovi dipartimenti, verificare se è stato eletto un commissario di un gruppo di ricerca “amico” nel nostro settore nel concorso per l’abilitazione nazionle, farsi la lotta interna per accaparrarsi un residuo fondo lasciato dal proprio Ateneo, cercare di entrare in “qualche giro” per accaparrarsi quelche finanziamento esterno, senza badare ai contenuti. La storia siamo noi, siamo noi questo campo di grano…..
Bisognerebbe forse, e dico forse, parlare anche del nostro mitologico “tessuto produttivo”. Qui nell’altrettanto mitico Nord-Est in cui vivo, il 95% (a star stretti) delle aziende ha MENO di 15 dipendenti. E’ difficile, molto difficile, fare ricerca (e anche qui bisognerebbe mettersi d’accordo su cosa significa ricerca) con 5 collaboratori…
giustissimo.
[…] articolo è nato come una breve risposta a Marco Cattaneo (https://www.roars.it/nel-paese-dei-camerieri/) e si basa su fatti ed esperienze concrete per spiegare quali siano i fattori che ostacolano […]
[…] questa spesa parassitaria, il paese potrà finalmente risorgere investendo sul lavoro manuale, il turismo per i visitatori cinesi e indiani, senza scordare la fabbricazione delle “scarpe più belle del […]