“Ma l’università ha bisogno di scelte impopolari”: così scriveva nel 2008 Giuseppe Valditara a proposito di quegli interventi che avrebbero preso forma nella cosiddetta riforma Gelmini di cui egli stesso fu relatore. Ora che il Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha nominato Valditara a capo del Dipartimento Università del MIUR, può essere utile andare a rileggere quella lucida descrizione della sua visione delle politiche universitarie. Colpisce la continuità, la comunanza di principi e parole chiave (competizione, meritocrazia, incentivi) con le politiche universitarie adottate dai ministri espressi dal PD nelle legislature anteriori e posteriori al varo della riforma. Ed è sicuramente nel segno della continuità anche il ruolo di “eminent advisor” che Valditara svolge nell‘associazione TreElle; insieme a Luciano Modica, ex-sottosegretario al MIUR del ministro Mussi; e insieme a Luigi Berlinguer. Convinti come siamo che l’ottimismo sia il “profumo della vita“, non rinunciamo a sperare nel “cambiamento” (non era la bandiera di questo governo?) delle politiche universitarie. A tal proposito, non sarebbe male se il prof. Valditara, come primo atto a seguito del suo delicato incarico, riconsiderasse immediatamente la sua appartenenza a quella organizzazione.

Giuseppe Valditara, 57 anni, Ordinario di Diritto romano nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino, eletto senatore nei ranghi di Alleanza Nazionale nella XVI legislatura (2008-2013), è stato nominato responsabile del Dipartimento Università dal Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti.

Su OPENPOLIS è possibile leggere tutti gli atti promossi dal Sen. Valditara in materia di Università. Ciò consente a ciascuno di formulare le proprie (ottimistiche o pessimistiche) valutazioni sulla nomina di chi da oggi sarà alla guida dell’Università italiana. Ecco un paio di link rilevanti:

S.1905 [Riforma Gelmini dell’Università – L. 240/2010] Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonchè delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario

Testo DDL 1387
Atto a cui si riferisce:

S.1387 Delega al Governo per la riforma della governance di ateneo ed il riordino del reclutamento dei professori universitari di prima e seconda fascia e dei ricercatori

Una descrizione lucida, anche se datata, della visione delle politiche universitarie di Valditara la si trova invece in questo articolo su L’occidentale, intitolato “Ma l’università ha bisogno di scelte impopolari”. Ne riportiamo alcuni estratti.

Vera e sana competizione tra atenei.

“I punti chiave di una prospettiva riformista che risponda alle esigenze di modernizzazione del nostro sistema universitario si possono riassumere nella esigenza di affiancare alla autonomia la responsabilità e nella necessità di avviare condizioni di vera e sana competitività fra gli atenei.”

Atenei e docenti pagati sulla base dei risultati conseguiti

Se queste sono le premesse occorre instaurare un circolo virtuoso che consenta di legare una parte dei finanziamenti alla valutazione dei risultati conseguiti dalle singole università, di attribuire agli atenei la responsabilità del reclutamento dei professori, nel rispetto di verifiche nazionali di idoneità, di consentire concretamente che una parte della retribuzione dei professori sia collegata ai risultati conseguiti in termini di qualità della ricerca e della didattica.

La valutazione è necessaria, ma ANVUR è un orwelliano grande fratello

A questo riguardo è dunque necessario intanto un sistema di valutazione, che non può tuttavia esprimersi nelle forme iperburocratiche e farraginose dell’Anvur, una sorta di orwelliano grande fratello, e che attribuisca una parte dei finanziamenti agli atenei sulla base dei risultati conseguiti, come proposto già a suo tempo in un emendamento di An alla Finanziaria. Credo poi che sia opportuno mantenere un filtro nazionale che certifichi la idoneità scientifica raggiunta dai futuri professori, ferma restando la libertà delle sedi di chiamare chi ritengano più adeguato. La libertà di chiamata proposta dal PD, sulla scia di quanto sostenuto da Confindustria, se non corredata da una serie di garanzie, rischia di favorire un generalizzato abbassamento della qualità della docenza e diminuisce la trasparenza.

Contratti individuali per i professori universitari, ma ne va evitata la sindacalizzazione.

“D’altra parte anche la completa privatizzazione del rapporto può comportare il rischio di un contratto collettivo nazionale, che sindacalizzerebbe l’università, ovvero può condurre ad una precarizzazione della docenza, come risulterebbe dalla applicazione in via esclusiva della contrattazione individuale. Meglio un meccanismo che nel rispetto di alcuni limiti fissati per legge preveda la possibilità di contratti individuali con cui premiare non solo l’”impegno”, ma innanzitutto i risultati della ricerca e la qualità della didattica. Ovviamente ciò presuppone … che una parte delle risorse stanziate sia destinata a finanziare la contrattazione individuale.”

Incrementare i finanziamenti

“Un punto centrale da cui non si potrà sfuggire è quello di incrementare i finanziamenti alle università.”

No alla specializzazione degli atenei

“Se non appare realistico e nemmeno utile che vi sia un generalizzato meccanismo di specializzazione in poche discipline di tutti gli atenei, è senz’altro doveroso che si incoraggi con incentivi finanziari la specializzazione dei piccoli atenei favorendo il loro collegamento con la realtà produttiva locale.”

Diritto allo studio

“Più che liberalizzare la tassazione universitaria, che sarebbe un aggravio ulteriore per le famiglie e favorirebbe gli abbandoni, ripropongo invece quanto già ebbi modo di inserire nel ddl presentato al Senato, vale a dire la possibilità di convenzioni fra studenti e università in virtù delle quali ci si impegni a versare, conseguita la laurea, alla università di provenienza, nella prima dichiarazione dei redditi, e con rate anche pluridecennali, una piccola percentuale. L’aumento della tassazione è invece giusta su coloro che siano fuori corso da più di un anno. Per i meritevoli, in particolare se sprovvisti di redditi adeguati, deve essere esclusa o ridotta qualsiasi contribuzione così come vanno sensibilmente incrementate le borse di studio.”

Aprire la governance delle università a finanziatori esterni

“E’ poi opportuno, più che una liberalizzazione selvaggia della governance, sperimentare forme nuove di governo degli atenei che consentano fra l’altro di aprire le università ad ex alunni e a finanziatori esterni.”

Questo documento ha il merito di mostrare chiaramente la continuità, la comunanza di principi e parole chiave (competizione, meritocrazia, incentivi) con le politiche universitarie adottate dai ministri espressi dal PD nelle passate legislature.

Ed è sicuramente nel segno della continuità anche il ruolo di “eminent advisor” che Valditara svolge nell’‘associazione TreElle; insieme a Luciano Modica, ex-sottosegretario al MIUR del ministro Mussi; e insieme a Luigi Berlinguer. ROARS ha sempre seguito con grande interesse l’agenda politica di questa associazione, che può essere consultata qui nella sua più recente formulazione.

Convinti come siamo che l’ottimismo sia il “profumo della vita“, non rinunciamo a sperare nel “cambiamento” (non era la bandiera di questo governo?) delle politiche universitarie. A tal proposito, non sarebbe male se il prof. Valditara, come primo atto politico a seguito del suo delicato incarico, riconsiderasse immediatamente la sua appartenenza a questa organizzazione.

 

 

 

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12 Commenti

  1. Anche io trovo condivisibili buona parte dei punti dell’intervista che, ricordiamolo, risale al 2 aprile 2008, più di 10 anni fa. I problemi ivi affrontati sono ancora oggi attuali e, rispetto ad allora, si sono solo aggravati. Le proposte avanzate da Valditara nell’intervista vanno verso la restituzione di libertà e autonomia alle Università, in linea con quanto avviene nei migliori modelli all’estero. All’autonomia e alla libertà devono essere necessariamente associati la responsabilità e il confronto aperto.
    Inutile dire che la legge Gelmini, per come è stata applicata, non ha risolto nessuno dei problemi ed ha generato solo burocrazia e surrealismo. La degenerazione cabalistica della valutazione anvuriana ne è la più chiara dimostrazione.
    Di Valditara ricordo sempre la relazione alla 7ª Commissione permanente del Senato, datata 11 dicembre 2009, che, ancor oggi, ritengo il più lucido documento sugli effetti della legge Gelmini, allora previsti con notevole lungimiranza, i quali poi si sono puntualmente verificati. Il resoconto sommario è integralmente pubblicato su:
    http://www.andu-universita.it/2009/12/11/ddl-relazione-sen-valditara/
    Auguro buon lavoro al nuovo Capo Dipartimento, nell’auspicio che sia messo in condizione dalla politica di mettere in pratica un vero cambiamento. E’ necessario e urgente cambiare verso all’Università e, secondo me, il verso giusto era quello di prima ;-)
    Non mi piacciono i processi alle intenzioni, soprattutto se basati su dichiarazioni di 10 anni fa. Preferisco giudicare i risultati.

    • La legge Gelmini ha messo sostanzialmente l’università la didattica e la ricerca in mano ad un comitato d’affari esterno all’università, portatore di interessi politici ed economici di mercato;
      Ha precarizzato la figura del ricercatore universitario, ha incentivato il mercato delle citazioni e delle pubblicazioni farlocche sulle riviste il cui prestigio è solo sulla carta dell’ufficio burocratico di turno;
      Ha promosso il merito ESCLUSIVAMENTE in base alla potenza economica pregressa dei gruppi di ricerca (i benchmark utilizzati sono semplicemente collegati ad un unico parametro che è la ricchezza già posseduta), accentrando di fatto il potere nelle mani dei pochi duc(h)i presenti a diversi livelli nella scala gerarchica gestionale delle università, dal ministero al singolo dipartimento, aumentando funzionalmente a tale scopo la burocratizzazione, perché quando le cose non sono chiare e certe per tutti chi ha il potere (cioè le informazioni) può essere mostruosamente avvantaggiato;
      Ha trasformato il diritto allo studio in borse per “meritevoli”, contraendolo consistentemente;
      Ha ridotto i ricercatori (precari) a restare spesso intruppati nel mainstream della ricerca di un finanziamento per la ricerca (la parola magica oggi è “cancro” scrivi qualsiasi cosa ma usa sempre la parola “cancro” nella tua proposal).
      Tutto questo ed altro senza mettere 1 (uno) euro anzi togliendone in quantità, spesso alle università del sud con trasferimenti di studenti, risorse umane ed economiche alle università del nord.
      In poche parole un esempio da manuale di riforma neoliberista di una istituzione pubblica, che malgrado i milioni di problemi di cui era (ed è) afflitta, era uno dei migliori modelli di formazione universitaria al mondo che produceva (produce?) laureati e dottori di ricerca che il mondo ci invidiava (per quanto tempo ancora?).
      La riforma, ESATTAMENTE come il modello socio-economico neoliberista, È FALLITA!
      NON ha aumentato il numero di laureati e non ne ha migliorato la qualità (si parla di “infantilizzazione” degli studenti non a caso);
      NON ha aumentato il numero di ricercatori né ne ha preservato la “biodiversità” e la libertà di ricerca;
      NON ha raggiunto UN SOLO obiettivo costituzionalmente valido (diffusione dell’istruzione, elevatore sociale, equilibrio territoriale etc.).

      Il Senatore Professore Valditara è stato il relatore della legge Gelmini, con cognizione di causa neoliberista.
      Questo dovrebbe bastare (ma da quel che leggo solo in teoria) per capire che il singolo distinguo su questo o quel dettaglio, o peggio il rifugiarsi nell’agnosticismo universale per cui nulla si può desumere e prevedere dalla storia pregressa, seppur pienamente legittimo serve solo per continuare a permettere di realizzare un progetto iniquo, ingiusto, classista, esclusivo e profondamente dannoso nel medio lungo termine per il futuro del sistema paese.

      Dare ancora fiducia al modello neoliberista dell’università, di cui sono evidenti le tracce nell’intervista (la competizione tra atenei è roba che sa di muffa stantia al cubo come in altri ambiti la fantomatica “autoregolazione del mercato libero”) equivale, parafrasando P.Krugman (mi pare), a cercare di reagire all’iceberg della palese crisi della gestione neoliberista delle università italiane ridisponendo i lettini sul ponte del Titanic.
      Cordialmente

  2. La Legge Gelmini è stata una catastrofe per l’università e per un paio di generazioni di giovani ricercatori. Chiunque abbia contribuito a scriverla e a farla approvare porta con sè responsabilità enormi, non solo per i danni materali che ha generato ma anche per i danni umani che erano banalmente prevedibili nel 2008. La Fondazione Treelle è una sciagura per le politiche dell’ istruzione di questo paese e chiunque ne faccia parte, insieme agli onori di farne parte, si prende anche gli oneri delle scelte sciagurate che ha contribuito a prendere. Quello che sta succedendo ora è anche banale: la regionalizzazione dell’istruzione a vantaggio neppure del Nord ma del Lombardo Veneto. Vediamo se Valditara, di nuovo, sarà ancora artefice di una ulteriore catastrofe. Il banco di prova è banale: l’impegno per il Sud Italia (oltre ovviamente a tutto il resto che non sto neppure a ripetere). Certo è che per il governo del cambiamento scelta peggiore era davvero difficile da trovare.

  3. La competizione tra gli atenei pubblici è una follia. La precarizzazione del ruolo d’accesso alla docenza universitaria è una follia. La localizzazione e deregolamentazione delle chiamate è una follia. Tutto ciò è esplicitamente previsto dalla legge Gelmini. Bisogna finirla con la retorica della ‘buona legge, applicata male’.

  4. Credevo che il concetto di “competizione fra Atenei” (davo per scontato “sana”, non certo “dolosa”) fosse stato definitivamente abbandonato… Invece assistiamo a una competizione sugli studenti e a un consociativismo sui finanziamenti (vedi CRUI). Credo che la Legge Gelmini, voluta proprio da tutto l’arco costituzionale (o quasi) abbia mostrato tutti i suoi limiti: ha fatto degenerare l’autonomia in autarchia, ha precarizzato i giovani che sono sempre alla ricerca di borse, assegni, contratti ecc., non ha risolto il problema dei concorsi, ha burocratizzato l’organizzazione interna riconoscendo, sostanzialmente due centri di potere, il Rettore e il Direttore Generale. Ora che sembrava che quella stagione politica fosse conclusa, ci ritroviamo col “vecchio” travestito da “nuovo”, con buona pace per gli amici e colleghi aderenti o simpatizzanti del Movimento 5 Stelle che sono rimasti con un pugno di mosche in mano… Francamente non vorrei rimpiangere la gestione del Dipartimento di Marco Mancini…

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