I rettori delle università italiane ed i direttori dei dipartimenti universitari vengono eletti dal personale tra i propri docenti. Il presidente dell’INFN viene designato dal Consiglio direttivo dell’ente, organo composto in larga prevalenza dalle varie componenti interne, con l’aggiunta di rappresentanti ministeriali. Al CNR non è così: chi comanda viene dall’esterno, nominato dal potere politico e tipicamente proviene dall’università, mentre i ricercatori dell’ente non hanno voce in capitolo[1]. Nel primo caso siamo dunque in presenza di una vera autonomia – la comunità scientifica si autogoverna – nel secondo la regola è l’etero-direzione. Tale stato di cose è antico ed è stato oggetto di precedenti articoli su ROARS (vedi qui e qui) .
La più recente manifestazione dell’assenza di autogoverno, e quindi di negazione dell’autonomia della comunità scientifica del CNR, si trova nella delibera di nomina delle Commissioni esaminatrici per la selezione dei direttori di 17 Istituti. La Tabella 1 parla da sola: tra i 48 membri delle commissioni vi è soltanto un (dicasi uno) ricercatore del CNR. Ben 33 membri sono docenti universitari (qualcuno di questi svolge funzioni in altre organizzazioni come gli IRCCS, accademie, enti pubblici) e 8 provengono da organismi privati di ricerca.
Questi numeri dicono che, secondo il vertice del CNR:
- le competenze interne del CNR non sono adatte a valutare i candidati alla direzione degli Istituti, e c’è dunque bisogno di rivolgersi all’esterno;
- le persone in grado di giudicare l’idoneità dei candidati a dirigere gli Istituti di ricerca sono esperti la cui funzione principale è l’insegnamento (infatti si chiamano docenti universitari) o la progettazione di nuovi prodotti o processi per il mercato o per il settore dei servizi pubblici (sono gli 8 commissari provenienti dagli organismi privati di ricerca ed i 3 che operano negli enti pubblici) – non sono dunque necessariamente ricercatori o manager della ricerca.
Ritengo che tale scelta sia sbagliata e inaccettabile per vari motivi:
- escludere le migliaia di ricercatori dell’ente dai processi di selezione della propria dirigenza scientifica rappresenta una manifestazione di sfiducia nei loro confronti e nelle loro capacità (si ha un bel dire che la VQR penalizza il CNR se poi nei fatti si certifica che il valore dei suoi ricercatori è inadeguato al punto che c’è necessità di attingere a mani basse a risorse esterne), la rinuncia ad avvalersi di potenzialità necessarie per un adeguato processo di selezione dei candidati, la negazione del principio di democrazia (principio rispettato all’università ed in altri enti di ricerca pubblici);
- tale esclusione alimenta un diffuso malcontento tra i ricercatori del CNR. Tale malcontento si è manifestato, in occasione della VQR, con il boicottaggio da parte di alcune centinaia di ricercatori che si sono rifiutati di indicare i propri “prodotti” da sottoporre alla valutazione;
- il tradizionale stato di sudditanza del CNR al mondo accademico[2] spinge i più brillanti ricercatori, che in casa propria non hanno spazio, a spostarsi all’università per fare carriera. In tal modo l’ente viene continuamente depauperato delle migliori menti, giustificando (ahimé pienamente) la definizione di “seconda rete scientifica”, seconda, ovviamente, all’università. Non a caso sia nella valutazione del CIVR che in quella della VQR, fatte salve tutte le ben note riserve metodologiche che consigliano di prendere i risultati con le molle, emerge che ben di rado i laboratori del CNR si contraddistinguono per la loro eccellenza. Di fatto il CNR si configura un’organizzazione “di passaggio” a tutto vantaggio dell’università;
- le Commissioni esaminatrici hanno il compito di selezionare tra i candidati una terna di soggetti idonei a dirigere gli Istituti; successivamente il Consiglio di amministrazione dell’ente, organo amministrativo, effettua la scelta e procede alla nomina[3]. Nel caso in questione, in 47 casi su 48 i membri delle Commissioni sono eminenti scienziati esterni al CNR che non hanno, per definizione, le competenze per verificare se il profilo scientifico dei candidati si attaglia ai progetti, alla struttura ed alla storia degli Istituti, né hanno le competenze per valutarne le capacità manageriali necessarie per gestire uno specifico organo del CNR. Tali competenze sarebbero dovute essere introdotte nelle Commissioni nominando ricercatori dell’ente (non dimentichiamo che i dirigenti di ricerca del CNR sono non soltanto valenti scienziati, ma che hanno una professionalità specifica di direzione di progetti e strutture scientifiche). Le affermazioni fatte sopra trovano conferma nei colloqui dei candidati alla direzione di un Dipartimento del CNR, a cui ho avuto modo di assistere alcuni mesi fa. I tre commissari, docenti universitari esterni all’ente, hanno posto ai candidati questioni relative alla gestione del Dipartimento: le domande mettevano in luce una crassa ignoranza della realtà del CNR, come pure era evidente l’incapacità dei commissari di valutare le risposte (talvolta cervellotiche ma accettate senza batter ciglio!).
Uno dei motivi addotti al massiccio ricorso ad esperti esterni nelle Commissioni (è fuori discussione che il CNR ha bisogno di competenze esterne) è il presunto conflitto di interessi dei ricercatori, mentre gli esterni sarebbero “indipendenti” e quindi garantirebbero un sereno giudizio. Niente di più erroneo. In primis non si capisce perché nel caso dell’università, in cui le cariche sono elettive tra i “pari”, non vale il conflitto di interessi – lo stesso vale per l’INFN. In secundis, tra i commissari sono ben visibili cordate universitarie che hanno il chiaro interesse a determinare i destini degli Istituti del CNR, che spesso vengono utilizzati come strutture tecniche e per posizionarvi propri membri. In tertium, conflitti di interessi sono ben visibili nel nostro caso: per esempio un membro di Commissione è stato chiamato a svolgere una funzione dirigenziale al MIUR e la vigilanza ministeriale è incompatibile con l’autonomia dell’ente. In quartiis, pur apprezzando la disponibilità del membri delle Commissioni a contribuire al bene della scienza e del paese, andrebbe chiarito qual è il motivo per cui stimati e indaffarati professionisti (che costano ai propri datori di lavoro centinaia di euro al giorno e che in non pochi casi svolgono attività professionale retribuita) si rendono disponibili a dedicare al compito assegnato giornate di lavoro, a spostarsi dalla propria sede, a rischiare di essere coinvolti nei ricorsi dei candidati, senza ricevere alcun compenso economico.
E’ un dato di fatto che, anche con l’ultimo riordino del 2009, il CNR è stato messo nelle mani del potere politico, che i docenti universitari la fanno da padrone, e che la comunità scientifica dell’ente non ha voce e ruolo in casa propria. Tale assetto istituzionale è ben diverso da quello dell’università e di altri enti pubblici di ricerca ed è destinato a compromettere l’integrità, l’efficienza, l’autonomia del maggior ente di ricerca del paese, e nega alla radice il principio di autonomia dell’ente. Purtroppo c’è da registrare che, anche nel caso della scelta dei nuovi direttori di Istituto, la componente interna dei ricercatori è stata ancora una volta umiliata, e che il compito di selezionare i candidati è stato affidato a Commissioni inadeguate a svolgere il compito. Ciò produce un inasprimento nei rapporti tra personale e dirigenza dell’ente, e danneggia la funzionalità degli Istituti di cui pagherà le conseguenze la ricerca italiana.
[1] Questa situazione è analoga a quella che vigeva nell’arma dei Carabinieri e nella Guardia di finanza fino a qualche anno fa: il comandante doveva provenire dai ranghi dell’esercito e non dall’interno dell’organizzazione. Ora le regole sono cambiate, ed il vertice della gerarchia viene scelto tra i suoi membri.
[2] La posizione subalterna del CNR rispetto al mondo accademico è storia vecchia, che risale al secondo dopoguerra ed al periodo della ricostruzione. Vedi Paoloni G., Il sistema della ricerca nell’Italia del Novecento. Aspetti istituzionali e storico-politici, Atti del Convegno di Studio “La ricerca scientifica in Italia”, Napoli, Palazzo Serra di Cassano, 15 novembre 2003, Istituto di Studi Filosofici.
[3] Va registrato un piccolo passo avanti nel senso del coinvolgimento del personale nella scelta dei direttori di Istituto: l’ente ha recentemente deliberato che il Consiglio di Istituto (organo eletto dal personale e presieduto dal direttore, unica istanza di rappresentatività e con carattere meramente consultivo) esprima un parere sulle linee programmatiche dei candidati alla direzione, e che tale parere venga fatto proprio dal Consiglio di amministrazione in vista della deliberazione relativa all’assegnazione dell’incarico di direzione.
ottimo articolo che può servire a spiegare per quali motivo molti ricercatori hanno deciso di boicottare la VQR….
aggiungo un altro episodio che la dice lunga: per nominare il consiglio di amministrazione del CNR vi è totale discrezionalità del ministero, il quale poteva scegliere una figura espressione dei ricercatori.
Orbene, è stata introdotta una procedura on-line, sono state presentate candidature ed anche condotta una sorta di “campagna elettorale” che ha portato al voto una ampia maggioranza dei ricercatori CNR.
Il risultato è stato che il ministro (Gelmini) ha totalmente ignorato queste indicazioni ed ha nominato altre persone esterne al CNR al consiglio di amministrazione, abbastanza ignote alla comunità scientifica. Ovviamente tutto questo senza alcuna parola di obiezione da parte dei vertici del CNR.
Spiace dover dire che la consultazione del consiglio è solo facoltativa e che in almeno un caso nell’ultima tornata di concorsi il parere non è stato richiesto ed i programmi dei candidati sono ancora (a concorso finito e nomina fatta) riservati.