«La scelta degli esaminatori, la selezione dei docenti, lo stesso progresso della ricerca saranno decisi non nelle università, ma nei tribunali» La profezia di Sabino Cassese si sta avverando a suon di schiaffoni. E non sono schiaffoni qualunque se ad assestarli ad ANVUR sono le Sezioni Unite della Cassazione attraverso una sentenza che potrebbe intitolarsi perserverare diabolicum. Non è concesso ad un’amministrazione farsi beffe della valutazione del giudice dell’amministrazione che abbia rilevato che la valutazione tecnica compiuta da quella amministrazione è stata espressa sulla base di parametri adottati da quella stessa amministrazione dopo l’avvio della procedura di valutazione. Questo, ridotto all’osso, il significato di Cass., sez. un., 28 febbraio 2017, n. 5058, con la quale i nove giudici del massimo consesso giurisdizionale italiano hanno reso definitiva la decisione del Consiglio di Stato di imporre ad ANVUR di classificare una Rivista in Fascia A. E si concretizza la profezia lanciata già nel 2012 da Sabino Cassese durante il I Convegno ROARS, il quale vaticinava che l’ultima parola sulla valutazione della ricerca e delle carriere universitarie – grazie ad ANVUR e alle sue regole – sarebbe spettata ai TAR:
L’Anvur, burocratizzando misurazione e valutazione, si sta trasformando in una sorta di Minosse all’entrata dell’Inferno o di Corte dei conti con straordinari poteri regolamentari, ma ignorando le conseguenze della amministrativizzazione della misurazione e della valutazione: la scelta degli esaminatori, la selezione dei docenti, lo stesso progresso della ricerca saranno decisi non nelle università, ma nei tribunali.
Di seguito ROARS pubblica un resoconto della complessa vicenda giudiziaria e della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, il cui testo è consultabile dal link in calce all’articolo.
1. L’ANTEFATTO
Protagonisti della vicenda sono alcuni professori ordinari di diritto amministrativo responsabili a vario titolo (direttore, condirettori, componente del comitato scientifico) di una Rivista cui il Consiglio direttivo di ANVUR aveva negato l’inserimento nella lista delle riviste scientifiche di area giuridica incluse nella classe A, ai fini della valutazione dei candidati all’ASN e della selezione dei componenti delle commissioni.
Costoro impugnavano una serie di atti emessi dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca – MIUR (il decreto 7 giugno 2012, n. 76, compresi tutti gli allegati relativi agli indicatori di attività scientifica non bibliometrici, in specie l’allegato B, ed atti susseguenti) e dall’ANVUR (provvedimenti applicativi e in particolare la delibera n. 50 del 21 giugno 2012 che stabilisce le modalità di calcolo degli indicatori da utilizzare ai fini della selezione degli aspiranti commissari e della valutazione dei candidati per l’abilitazione scientifica nazionale, oltre all’attività istruttoria del GEV – Gruppo di esperti della valutazione della ricerca e del Gruppo di lavoro libri e riviste scientifiche dell’area 12).
Dopo che ANVUR aveva proceduto alla riclassificazione in classe A di altre riviste, continuando, però, ad escludere la loro rivista, i ricorrenti arricchivano il giudizio promosso con nuove doglianze, denunciando la disparità di trattamento e l’ingiustizia manifesta dell’atto di riclassificazione così operato.
Costretto dal TAR Lazio a sottoporre a nuova valutazione la Rivista dei ricorrenti, il Consiglio direttivo dell’ANVUR, imperterrito, ne confermava la classificazione in Fascia B con delibera n. 74 del 19 giugno 2013 [la cui pubblicazione risulta oggi omessa nel sito ANVUR].
Al centro della doglianza dei ricorrenti era il modo in cui ANVUR aveva proceduto a identificare e ad applicare – rispetto alla Rivista – l’indice (rating) di scientificità di una rivista giuridica da cui far dipendere la sua valutazione e inclusione nella Fascia A di cui al citato decreto ministeriale 7 giugno 2012, n. 76, allegato B, a tenore del quale:
2. Per ciascun settore concorsuale di cui al numero 1 [vale a dire: per i “settori concorsuali cui si applicano gli indicatori di attività scientifica non bibliometrici”, tra i quali è l’area disciplinare n. 12, Scienze giuridiche] l’ANVUR, anche avvalendosi dei gruppi di esperti della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) e delle società scientifiche nazionali, effettua una suddivisione delle riviste su cui hanno pubblicato gli studiosi italiani in tre classi di merito: a) le riviste di classe A sono quelle, dotate di ISSN, riconosciute come eccellenti a livello internazionale per il rigore delle procedure di revisione e per la diffusione, stima e impatto nelle comunità degli studiosi del settore, indicati anche dalla presenza delle riviste stesse nelle maggiori banche dati nazionali e internazionali; b) le riviste di classe B sono quelle, dotate di ISSN, che godono di buona reputazione presso la comunità scientifica di riferimento e hanno diffusione almeno nazionale; c) tutte le altre riviste scientifiche appartengono alla classe C.
Con sentenza n. 324 del 2014 il TAR Lazio, salvava l’ASN del settore del diritto amministrativo, dichiarando inammissibile il ricorso in relazione alla domanda di annullamento degli atti inerenti la procedura di abilitazione scientifica nazionale (per difetto di interesse dei ricorrenti) e improcedibile quella di annullamento e di nullità degli originali provvedimenti di classificazione (per essere medio tempore intervenuta una nuova classificazione adottata in esecuzione della favorevole ordinanza di sospensiva adottata dal primo Giudice). Nel merito, il Tribunale amministrativo respingeva i motivi di ricorso proposti avverso la nuova classificazione in classe B adottata a seguito dell’ordinanza cautelare. Ma la sentenza veniva impugnata in appello dai soccombenti. Con sentenza 25 marzo 2015, n. 1584, il Consiglio di Stato accoglieva il ricorso e conseguentemente annullava gli atti dell’ANVUR nei limiti di cui in parte motiva, con riferimento agli atti riguardanti la sola Rivista dei ricorrenti.
Con la delibera del Consiglio direttivo n. 71 del 13 maggio 2015 [la cui pubblicazione risulta oggi omessa nel sito ANVUR], l’ANVUR, sulle orme del Marchese del Grillo, confermava per la terza volta la collocazione della Rivista nell’ambito della classe B. Pertanto, i ricorrenti, vittoriosi all’esito del giudizio di appello, chiedevano al Consiglio di Stato di accertare e dichiarare l’inottemperanza (in primis, da parte dell’ANVUR) nell’attuare quanto deciso dalla sentenza n. 1584 del 2015. Il Consiglio di Stato, con sentenza 11 gennaio 2016, accoglieva il ricorso in ottemperanza, disponendo la comunicazione della sentenza al Prefetto di Roma, cui veniva ordinato di dare esecuzione alla sentenza che ANVUR si era rifiutata di applicare.
Nel disporre in tal senso, il Consiglio di Stato rilevava che il reiterato inserimento in fascia B della Rivista da parte di ANVUR si poneva in contrasto con quanto disposto nella propria pronuncia, ovvero che tale classificazione fosse illegittima per:
- “difetto di istruttoria” (punto 4.1 della motivazione);
- il rilievo secondo cui, ai fini della predisposizione degli elenchi di cui all’allegato B del decreto ministeriale n. 76 del 2012, “le riviste sono state valutate e classificate ‘in retrospettiva’ sulla base di procedure e specifiche tecniche ex post, nell’assenza di ‘parametri e metodi consolidati nella comunità scientifica di riferimento’ (…) nelle attività di monitoraggio, come quella praticata in esame, la costruzione di indici ex ante appare essenziale per identificare la soglia (di qua o di là) e per la misurazione differenziale degli scostamenti, che induceva il Consiglio di Stato a concludere che la valutazione operata da ANVUR fosse stata rimessa a rilevamenti di ordine sostanzialmente opinabile” (ivi, punto 4.4.);
- l’affermazione secondo cui “non è dubitabile che la procedura di specie sia caratterizzata da una valutazione in assoluto, frutto di regole tecnico-discrezionali, ma il tema reale è la mancata predisposizione di canoni tecnici in relazione alla situazione assoggettata, tali da consentire di verificare anche l’uniformità del metro di giudizio verso tutte le riviste e ciascuna di esse, come emerge dalla riportata ricostruzione dell’intera vicenda relativamente alla coerenza generale e per quanto concerne la specifica valutazione” (ivi, punto 6.2);
- il rilievo secondo cui “conclusivamente, la sussistenza delle condizioni legali per la catalogazione delle riviste di area giuridica in classe A andava verificata con preregolati canoni e metodi di analisi oggettivi e compatibili rispetto ai criteri di legge ed in relazione alla concreta situazione degli aspetti di complessiva valutazione tecnico-discrezionale, come diagnosticata dai Gruppi di Lavoro” (ivi, punto 7.1).
Secondo il Consiglio di Stato, poiché la mancata predeterminazione di criteri ex ante da porre a fondamento delle determinazioni dell’amministrazione aveva rappresentato un aspetto fondamentale sul quale si era incentrata la sentenza di appello, l’ANVUR non avrebbe potuto legittimamente fondare le proprie rinnovate determinazioni in assenza dei canoni tecnici predeterminati e dei “preregolati canoni e metodi di analisi oggettivi” richiamati dalla sentenza n. 1584 del 2015.
I giudici amministrativi di ultima istanza osservavano che il Consiglio direttivo dell’ANVUR (nel richiamare e fare proprio l’operato del sotto-gruppo di area 12) aveva finito per operare la rivalutazione della rivista ancora una volta senza fare uso di criteri predeterminati, e anzi, discostandosi in modo consapevole proprio dai criteri da ultimo enucleati. Esso aveva, pertanto, operato una selezione parziale e distorsiva dei riferimenti desumibili dalla sentenza n. 1584 del 2015 (come quello relativo alla internazionalizzazione della rivista, che non risulta coerente con la parte dispositiva della decisione oggetto di ottemperanza), operando in modo contraddittorio, in quanto per un verso aveva reputato necessario l’espletamento dell’istruttoria sulla base dei (sei) canoni tecnici predeterminati, ma aveva continuato a far suo il giudizio del sotto-gruppo di area 12, fondantesi su parametri del tutto diversi e comunque non omogenei con questi sei canoni.
Il Consiglio di Stato osservava che le valutazioni del Gruppo di lavoro libri e riviste scientifiche dell’area 12 (in allegato alla delibera ANVUR n. 71 del 2015) non erano coerenti con quanto desumibile dalla propria sentenza: sia con riguardo ai ripetuti richiami operato dal Gruppo di lavoro alla questione dell’internazionalizzazione della rivista, all’assenza di abstract in lingua inglese e alla circostanza per cui i suoi contenuti sono di fatto inaccessibili alla comunità scientifica internazionale; sia quanto al passaggio dell’allegato alla delibera n. 71 del 2015 con cui vengono affrontate (e superate, attraverso un giudizio di fatto confermativo del precedente) le criticità rilevate dal Consiglio di Stato per ciò che riguarda la valutazione del parere della società scientifica nazionale di riferimento (ovvero l’AIPDA – l’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo); sia per quel che riguarda l’utilizzo del criterio della c.d. peer review.
Su queste premesse il Consiglio di Stato rilevava che la delibera ANVUR n. 71 del 2015 si poneva in violazione ed elusione del giudicato, con l’effetto di impedire che all’ANVUR fosse consentito di pronunziarsi per la quarta volta in ordine alla classificazione della Rivista, perché riattribuire ad ANVUR questa potestà valutativa avrebbe significato ledere i principi di garanzia e di efficienza amministrativa e di effettività della portata obbligante del giudicato. Da ciò il CdS faceva conseguire senz’altro il riconoscimento della classificazione della Rivista in fascia A che Anvur aveva continuato a negare, disponendo che, permanendo l’inottemperanza di ANVUR, su semplice richiesta dei ricorrenti provvedesse all’adempimento un commissario ad acta, individuato nel Prefetto di Roma.
2. LA QUESTIONE DI DIRITTO
A questo punto MIUR e ANVUR hanno tentato di far valere, in base agli artt. 360, n. 1, e 362 cod. proc. civ., l’eccesso di potere giurisdizionale del CdS, per violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 134 cod. proc. amm., in quanto il massimo consesso della giustizia amministrativa si sarebbe erroneamente ritenuto titolare, rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio, di un potere giurisdizionale esteso al merito e, sulla scorta di tale erroneo presupposto, si sarebbe sostituito all’amministrazione procedente nell’esercizio dei poteri discrezionali che a quest’ultima competono.
Tecnicamente la questione di diritto era questa:
“se sussista la giurisdizione di merito tipica del giudizio di ottemperanza (con gli annessi poteri di sostituzione del giudice alla pubblica amministrazione) quando ad essere censurato sia un provvedimento amministrativo che presenti cumulativamente le seguenti caratteristiche: (a) sia successivo a una pronuncia giudiziale di annullamento; (b) abbia un contenuto che non soddisfa le ragioni del ricorrente vittorioso nel giudizio di cognizione; (c) risulti fondato su ragioni estranee a quelle su cui si fonda la sentenza che ha dato ragione al ricorrente”.
In parole semplici, MIUR e ANVUR si professavano persuase che la discrezionalità tecnica di ANVUR sopravvivesse comunque, e inibisse al CdS di decidere di ricollocare la Rivista in fascia A, anche se il CdS aveva appurato che la reiterata collocazione in fascia B della rivista da parte di ANVUR aveva continuato ad essere fondata sull’omessa pre-determinazione, da parte dell’ANVUR, dei parametri valutativi della classificazione della rivista.
Questa convinzione è stata fatta a pezzi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione competenti a decidere sull’eccesso di potere giurisdizionale del CdS.
Seguendo la propria giurisprudenza sul punto le S.U. hanno verificato se, nella circostanza, il potere giurisdizionale di ottemperanza fosse stato esercitato dal giudice amministrativo in modo conforme ai limiti interni della propria giurisdizione, oppure se tale potere, con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice non spettasse.
Per verificare se il giudice amministrativo, quando sia denunciato il tentativo della pubblica amministrazione di eludere il giudicato che le ha dato torto, abbia il potere di sostituirsi alla pubblica amministrazione stessa, le S.U. della Corte di Cassazione si sono così risolte ad effettuare un test mirante a:
a) interpretare il giudicato, per individuare quale sia il comportamento doveroso che in sede di ottemperanza la pubblica amministrazione è tenuta ad adottare;
(b) accertare il comportamento che in concreto la medesima amministrazione ha posto in essere;
(c) valutare se il comportamento sub b) sia conforme al comportamento sub a).
Gli eventuali errori commessi dal giudice amministrativo nel compiere questo test – dice la Cassazione – restano confinati all’interno della giurisdizione amministrativa, e non integrano quell’eccesso di potere giurisdizionale che può essere sindacabile dalla Corte di Cassazione.
3. L’APPLICAZIONE DELLA QUESTIONE DI DIRITTO AL CASO E LA DEFINITIVA CONFERMA DELLA ILLEGITTIMITÀ DELL’OPERATO DI ANVUR
Applicando il test al caso giunto al loro esame, i nove giudici delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno verificato che il Consiglio di Stato, con un esame analitico e allo stesso tempo stringente della fattispecie, aveva individuato il comando contenuto nella sentenza da ottemperare e conseguentemente gli obblighi conformativi da essa derivanti all’amministrazione soccombente.
Questo comando identifica il vulnus dell’intera operazione di classificazione della riviste operata da ANVUR, ovvero:
“la mancata predeterminazione di criteri ex ante da porre a fondamento delle determinazioni dell’amministrazione”.
Considerato il comportamento concretamente tenuto da ANVUR con la sua delibera n. 71 del 2015, la Cassazione accerta quindi in modo definitivo che il CdS aveva correttamente valutato che la delibera di ANVUR si è posta in contrasto con le prescrizioni del giudicato.
Fondamentale è così questo passaggio della motivazione dei nove giudici:
“l’enucleazione dei criteri ‘a monte’ non rappresentava per l’Agenzia nazionale di valutazione una mera facoltà il cui esercizio poteva essere declinato alla luce di considerazioni attinenti le autodeterminazioni dell’amministrazione, ma al contrario costituiva un vero e proprio obbligo di legge, originato dalla doverosità del dare esecuzione al giudicato di annullamento”.
per cui
l’amministrazione non ha attuato in modo corretto e coerente la parte centrale della sentenza n. 1584 del 2015, finendo per operare la rivalutazione della rivista ancora una volta senza fare uso di criteri predeterminati: il Consiglio direttivo dell’ANVUR ha ritenuto di poter desumere i criteri di valutazione del caso di specie dal dictum della citata pronuncia, ma ha omesso di fare applicazione proprio del principale di tali criteri (quello relativo alla predeterminazione dei parametri valutativi). Una volta verificata la violazione del giudicato per mancata predeterminazione dei criteri, il Consiglio di Stato ha rilevato che le rinnovate operazioni di valutazione si sono poste in violazione ed elusione del giudicato anche per altri aspetti: (a) là dove hanno considerato per l’inserimento in fascia A, contrariamente a quanto stabilito dalla sentenza n. 1584 del 2015, l’internazionalizzazione della rivista, la presenza dell’abstract in lingua inglese e l’accessibilità dei contenuti alla comunità scientifica internazionale; (b) nella parte in cui hanno continuato a valutare in modo immotivato ed insufficiente il parere della società scientifica nazionale di riferimento (ovvero l’AIPDA – l’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo); (c) per quanto riguarda l’utilizzo del criterio della peer review.
4. PERCHÉ IL CONSIGLIO DI STATO HA CORRETTAMENTE ESERCITATO LA SUA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA SOSTITUENDOSI AD ANVUR
Nella parte più tecnica della motivazione la Cassazione spiega perché il Consiglio di Stato ha fatto bene a non riattribuire per la quarta volta ad ANVUR il potere di rivalutare la classificazione della Rivista.
Nel far ciò – dice la Cassazione – il giudice amministrativo ha adempiuto il compito che gli compete quale giudice dell’ottemperanza, ossia quale giudice naturale della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto.
In base a questo compito ai giudici dell’amministrazione spetta verificare se l’azione amministrativa successiva alla decisione giurisdizionale sia allineata al contenuto del giudicato formatosi. Gli eventuali errori nei quali il giudice amministrativo possa essere incorso nell’opera di interpretazione del giudicato e di accertamento del comportamento tenuto dall’ANVUR. nonché nella valutazione di conformità di tale comportamento rispetto a quello che si sarebbe dovuto tenere, inerendo al contenuto essenziale e tipico del giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa e non integrano il denunciato eccesso di potere giurisdizionale.
L’illegittimità dell’azione amministrativa trova fondamento e parametro di valutazione proprio nella mancata coerenza con la decisione giurisdizionale.
E poiché al giudice amministrativo, in sede di ottemperanza, è espressamente attribuito un potere di giurisdizione anche di merito (in base agli artt. 7, comma 6, e 134 cod. proc. amm.), con la possibilità sia di procedere alla determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo ed alla emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione, sia di sostituirsi all’amministrazione, nominando, ove occorra, un commissario ad acta, un eccesso di potere giurisdizionale del Consiglio di Stato, per invasione della sfera riservata al potere discrezionale della pubblica amministrazione, non potrebbe essere ravvisato nel fatto in sé che il giudice dell’ottemperanza, rilevata la violazione o l’elusione del giudicato amministrativo, abbia ordinato all’ANVUR di provvedere ad iscrivere la rivista in questione nella classe A, nominando un commissario ad acta in caso di persistente inottemperanza.
A tale conclusione, infatti, il giudice amministrativo è giunto sul rilievo che l’obbligo di dare esecuzione ai provvedimenti del giudice vale specialmente per la pubblica amministrazione, in un’ottica di leale e imparziale esercizio del munus publicum. Si sottolinea – ancora – che è preclusa all’amministrazione una riedizione del potere sulla medesima fattispecie, laddove essa abbia già adottato provvedimenti negativi sempre dichiarati illegittimi in sede giurisdizionale e successivamente abbia riprovveduto in violazione del primo giudicato, senza peritarsi di introdurre nella fattispecie nuovi elementi di diniego rispettosi del primo giudicato di annullamento.
Insomma: perserverare autem diabolicum. Non è concesso ad un’amministrazione farsi beffe della valutazione del giudice dell’amministrazione che abbia rilevato che la valutazione tecnica compiuta da quella amministrazione è stata espressa sulla base di parametri adottati da quella stessa amministrazione successivamente al momento in cui essa aveva chiesto agli amministrati di partecipare a una procedura di valutazione.
ERRARE HUMANUM EST. PERSEVERARE AUTEM ANVUR
[…] a Sezioni Unite, con una recentissima sentenza (Cass., sez. un., 28 febbraio 2017, n. 5058), analizzata su “Roars“, a conferma di quanto già stabilito dal Consiglio di Stato, indica con chiarezza qual è il […]
Finalmente! Varrà a qualcosa?
C’è speranza che si leggano articoli e monografie e non guardino alla quantità?
Non è questione di leggere i prodotti scientifici ma stabilire le regole del gioco prima della partita e non a partita conclusa!
E’ un comportamento vecchio come il mondo .. ma perchè MIUR e ANVUR non lo adottano!
Le dotte argomentazioni del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione vertono su aspetti procedurali e tecnicismi giuridici che ai più, anche professori universitari,sono di difficile comprensione. Quello che il cittadino qualunque capisce e che Organismi dello Stato si re-appellano invocando un abuso della Magistratura Amministrativa (Istituzione) sulla scorta del principio che possono fare di tutto … anche perseverare perché potenti in quanto solo loro fanno il click finale!
Perché la Corte dei Conti non si interessa a tutto ciò e apre un procedimento a carico dei responsabili di tutto lo sperpero di danaro pubblico che Organismi dello Stato stanno perpetrando e continueranno a fare?
E’ stato sommessamente detto nella redazionale di ROARS: l’ANVUR non poteva appellarsi alla legge del Marchese del Grillo. Ha disperatamente tentato di farlo fino in fondo, questa piccola e potente istituzione fatta di accademici cooptati per venire immessi nelle funzioni esecutive dal Governo. Anzi, chissà: forse proprio per rivendicare la propria mancanza di autonomia dall’esecutivo, e la propria acquisita lontananza dal mondo della comunità scientifica, ANVUR ha cercato di dimostrare fino all’ultimo che spettava a lei applicare la legge fondamentale del simpatico signorino Onofrio. Gli è andata male. E il difetto di giurisdizione (della Corte del Marchese) è stato rilevato. Il vero problema, allora, non è ANVUR, ma chi pensa davvero in buona fede (la presunzione ce la impone la legge) che, riuscendo a farsi cooptare da questa istituzione e diventando un Marchese in trentaduesimi, riuscirà, nell’ambito della sua disciplina, a limitare i danni.
Ho capito benissimo e, modestamente, avevo inviato privatamente una lettera a chi in alto per segnalare che è contrario alla giurisprudenza giudicare il lavoro di 10/15 anni secondo regole decise un minuto fa.
Ma credo che nell’ASN vi siano altre regole inspiegabili che andrebbero cambiate, se effettivamente tutti hanno a cuore il merito. Mi sembra così semplice: leggete gli articoli e i libri.
Da questo punto di vista erano più affidabili le vecchie commissioni, tutte di esperti nel settore (non nel macro), che avevano un numero limitato di libri da leggere.
Dovremo unirci: ma si unirà chi ha beneficiato o spera di beneficiare?
C’è però da notare che la ‘legge del Marchese del Grillo’ non è
molto diversa da quel ‘la commissione è insindacabile’ che appariva alla fine dei bandi di concorso tempo fa…
Ora come allora sono i tribunali a rimettere in riga chi abusa del proprio potere, ma le proporzioni del potere in mano ad ANVUR sono incomparabilmente maggiori e più preoccupanti in termini di libertà scientifica. Per trovare un controllo centralizzato di questo genere bisogna tornare ad altre epoche e altri regimi.
Mancano le parole per commentare i tanti sfracelli, amenità è un eufemismo, dell’ANVUR. L’ANVUR è una mala pianta che non può essere migliorata: va estirpata. A mio giudizio il mancato riconoscimento di membro ENQA, dopo tanti anni di esistenza, è la motivazione più forte, che invece ha l’AVEPRO. Datece l’AVEPRO, chiudete l’ANVUR: gli italiani forse risparmierebbero anche parecchi soldini… che di questi tempi non è poco.
Per chi non lo sapesse, l’AVEPRO (che a differenza di ANVUR è stata accettata come membro effettivo dell’ENQA) è l’agenzia di valutazione universitaria del Vaticano. Come avevamo scritto su Roars:

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«Ma perché non ci affidiamo all’AVEPRO invece che all’ANVUR? Ci sarebbe un netto miglioramento della valutazione ed anche un bel risparmio economico» L’AVEPRO non è nient’altro che L’Agenzia della Santa Sede per la Valutazione e la Promozione della Qualità delle Università e Facoltà Ecclesiastiche, da cui laicamente l’ANVUR dovrebbe trarre ispirazione per le sue procedure ed attività. Infatti, le procedure di valutazione ANVUR sembrano prescindere totalmente dalle norme ENQA-ESG e da tutte le buone pratiche messe in campo dalle Agenzie già presenti in Europa e già membri ENQA (non solamente affiliate come l’ANVUR), tra cui la QAA del Regno Unito, ma anche l’AVEPRO della Santa Sede. Come diceva qualcuno? «Ormai solo un dio ci può salvare».
https://www.roars.it/lanvur-e-i-corsi-di-studio-di-nuova-attivazione/
Mi piace ricordare questo articolo dell’ex presidente Fantoni sul IlSole24ore sulla questione membership ENQA. E’ del 14/12/2012. Ed ancora (siano nel 2017) la membership ENQA non è arrivata.
Però sul sito di ANVUR capeggia un bel logo con su scritto “affiliate of ENQA”. Per impressionare. E’ bene ricordare che significa affiliate of enqa:
Parliamo tanto, parliamo bene.
Una azione di denuncia che ci unisca tutti per una giusta causa?
Le scadenze anvuriane sono molte, e le opportunità per azioni di denuncia/protesta di certo non mancano. Ci si potrebbe accordare — ad esempio — per disertare la procedura di rinnovo/accreditamento dei dottorati, attualmente in corso. Pensate che bello sarebbe se un gran numero di noi revocasse, tramite sito CINECA, l’adesione al dottorato. E il meccanismo si inceppasse su scala nazionale. Sarebbe un modo di dimostrare nei fatti il proprio dissenso. E sarebbe facilissimo. Basterebbe un click. Eppure, sulla base dell’esperienza pregressa (vd protesta anti-VQR dell’anno scorso), dobbiamo concludere malinconicamente che è pura fantascienza.