Carlo Rovelli, vincitore del premio Merck dedicato al
confronto tra scienza e letteratura”  riflette sul ruolo della cultura classica e scientifica in Italia (Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblica su La Repubblica)

Penso che la scuola italiana sia fra le migliori del mondo. Paradossalmente, penso lo sia sopratutto per chi vuole dedicarsi alla scienza, come ho fatto io.  Non per caso giovani italiani brillano in tutti i migliori centri di ricerca del mondo. Hanno qualcosa che altri paesi fanno fatica a offrire: non solo fantasia e creatività, ma soprattutto un’ampia, solida e profonda cultura.  Sono convinto che studiare Alceo,  Kant e Michelangelo offra a uno scienziato strumenti di pensiero più acuminati che non passare ore a calcolare integrali, come fanno i ragazzi delle scuole d’élite di Parigi.  Sapere, conoscenza, intelligenza, formano un vasto complesso dove ogni parte si nutre di ogni altra. La nostra intelligenza del mondo si basa su tutto ciò insieme. Questo insieme è la cultura.

Non voglio dire che per fare buona scienza sia strettamente necessario avere tradotto versi di Omero dal greco, o leggere Shakespeare, però penso che aiuti molto.  Mi sono trovato spesso a lavorare con colleghi di estrazione assai diversa. Uno dei miei collaboratori (e amici) più stretti ha studiato nei college libertari dove si fuma marijuana e poi nelle top università degli Stati Uniti: non sa chi è Virgilio, ma ha una capacità di pensiero critico che io non ho.  Un altro viene dal quell’amalgama di civiltà asiatica antica ed educazione inglese che è la scuola indiana, e ha una sottigliezza di pensiero analitico che io non avrò mai.  Ma la capacità di guardare lontano e individuare i problemi chiave è venuta alla nostra collaborazione dalla scuola italiana, dall’ampiezza della sua prospettiva storica e culturale.

AO8vOQuesto la nostra scuola sa offrirlo.  Al contrario, è la scienza che manca nella scuola, anzi, manca drammaticamente nella società italiana. L’Italia resta pericolosamente un paese di profonda incultura scientifica, sia confrontato con gli altri paesi Europei, dove la scienza è rispettata profondamente, come non lo è da noi, sia forse ancor più confrontato con i paesi emergenti, che vedono nella cultura scientifica la chiave del loro sviluppo. L’Italia è un paese di profonda incultura scientifica nella mancanza di scienza seria a scuola; nell’incapacità di avere discussioni dove si ascoltano con attenzione argomenti e contro-argomenti; nella diffusa ignoranza di scienza delle nostre élites, fin nel nostro parlamento, e peggio ancora nella stucchevole prosopopea di chi si fa vanto di non capire nulla di scienza; lo è nella bassa qualità del giornalismo scientifico in giornali come questo; nella vergognosa stupidità dei programmi televisivi pseudo-scientifici e misterici che dilagano in RAI…eccetera eccetera.  Chi ne fa le spese è la società italiana nel suo insieme, e ciascun italiano in particolare.  Il motivo è lo stesso: la ricchezza materiale e spirituale dei paesi si misura sul loro sapere, sulla loro cultura, e la cultura scientifica è parte integrante, essenziale, spumeggiante, della cultura contemporanea.

In Italia, quando si dice “cultura”si pensa spesso, ahimè, a musei e opere liriche, quando non ai formaggi col miele delle valli. Cose preziose, per carità, ma non è qui la cultura.  La cultura è la ricchezza e la complessità del nostro sapere, l’insieme degli strumenti concettuali di cui dispone una comunità per pensare a sé stessa e al mondo.   Questi strumenti non sono imbalsamati: crescono ogni anno, e crescono in ciascuno di noi nel corso di ogni interazione; crescono quando impariamo, leggiamo, incontriamo idee nuove, modi di pensare nuovi, che allargano la sfera del nostro comprendere e del nostro sentire.

Leopardi,_Giacomo_(1798-1837)_-_ritr._A_Ferrazzi,_Recanati,_casa_LeopardiCultura classica e scientifica sono facce complementari di questo insieme, che si rafforzano l’una con l’altra.  La cultura di ciascuno di noi si abbevera di Dante, di Leopardi (a quanti di noi cambiò la vita allora leggere “Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?”), si nutre leggendo di Ulisse che si fa legare all’albero della nave passando davanti alle sirene, o Ivan Karamazov quella notte, ma si nutre egualmente dello stupore di comprendere l’idea di Cartesio che ad ogni linea corrisponde una formula, e algebra e geometria si fondono; si nutre delle idee di Einstein e Newton e Pasteur, che hanno ribaltato pregiudizi di millenni e hanno aperto la strada al mondo moderno.  Credo ci sia sapere vero e profondo sull’uomo e sulla natura in Proust e in Piero della Francesca, e sapere vero e profondo sull’uomo e sulla natura in Copernico e Darwin. Sono tutte parole nuove per comprendere il mondo.  Spazi di verità che si aprono alla nostra intelligenza.

La cultura del nostro paese è ricca, stratificata, e vivace. Se aziende italiane vendono dappertutto nel mondo, disegnatori italiani guidano lo stile del pianeta, se l’Italia è fra le dieci potenze economiche del mondo, è perché, nonostante la nostra caratteriale auto-disistima, siamo un popolo colto e intelligente.  Ma l’incultura scientifica del paese è una nostra debolezze severa. I paesi più ricchi come i paesi emergenti sanno che senza cultura scientifica adeguata un paese oggi diventa rapidamente arretrato.  Il nostro paese arretra.  Un paese lungimirante come la Cina oggi investe nella fondazione di Università una fetta considerevole della sua ricchezza; giovani cinesi sono mandati in giro per il mondo, per raccogliere sapere e riportarlo a casa; nel mio piccolo gruppo di ricerca, a Marsiglia, ce ne sono quattro. Lo stesso stanno facendo i paesi arabi più lungimiranti. La stessa Africa sta costruendo centri di cultura e di educazione avanzata. L’Italia le sue università le sta smantellando. La sfida per il futuro passa attraverso la cultura anche scientifica del paese. In America come in Canada come in Inghilterra le università sembrano alberghi di lusso o ville patrizie, e sono rispettate come templi del sapere; in Italia le migliori università sembrano caserme decrepite.

SATHUYGE pensare che la scienza moderna è stata inventata in Italia…  L’Italia è innamorata del suo Rinascimento, come quegli uomini che per tutta la vita continuano a raccontare la loro giovinezza, ma si dimentica spesso del frutto forse più straordinario del maturo Rinascimento italiano: uomo di musica e di lettere, profondo conoscitore e amante dell’antichità classica, di Aristotele e Platone, uomo completo del Rinascimento. Sto parlando di Galileo, l’iniziatore della scienza moderna,  primo a capire come interrogare la Natura, primo a trovare una legge matematica che descrive il moto dei corpi sulla Terra, primo a guardare nel cielo cose che nessun umano aveva mai prima potuto immaginare.  Il sapere scientifico moderno, che ha cambiato il mondo, ci ha permesso di vivere come viviamo, ci ha dato la ricchezza fiammeggiante della conoscenza di oggi, ha visto nascere una parte importante di sé in Italia, raccontato in una limpida lingua italiana da uno fra i migliori scrittori che abbia avuto il nostro paese, sempre lui: Galileo.  Mi piacerebbe che l’Italia fosse orgogliosa di Galileo, non solo di Raffaello. 

Mi piacerebbe che l’Italia si allontanasse dall’idea che la cultura sia solo arte antica, o culto sterile del proprio passato; che l’Italia desse alla cultura e alla cultura scientifica in particolare la dignità che deve avere nella formazione di una persona.  Vorrei che nella scuola non diminuissero greco e latino, filosofia, storia dell’arte e letteratura, perché sono la nostra forza; ma ci fosse spazio per più scienza e sopratutto meglio scienza: meravigliarsi della natura, diffidare del sapere acquisito, porsi domande e discuterle, scoprire la gioia della scoperta.  Vorrei che fosse riconosciuta alla scienza la centralità culturale che ci servono per essere un paese colto, interiormente ricco, e più efficace nel mondo.  Se per “cultura”intendiamo tirar soldi dai turisti mostrando quanto eravamo intelligenti e creativi secoli or sono, a me sembra che stiamo sbagliando qualcosa. Cultura vuol dire darsi gli strumenti per essere intelligenti e creativi, noi, oggi.

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15 Commenti

  1. Letto d’un fiato, con l’ansia di uno che vorrebbe poter affermare, facendosi capire, che la cultura dovrebbe essere, per la rete, quello che l’informatica è stata (ed è ancora), per il computer, in ambienti scientifici come il CERN.
    abbozzo di post sull’argomento http://trovamiunnome.blogspot.it/2014/06/la-cultura-dovrebbe-essere-per-la-rete.html%5D

    E pensare che il Web è stato inventato in Europa, in un ambiente che potrebbe essere preso ad esempio di “sistema sociale” … abilitato a fare evolvere la tecnologia in funzione dei suoi bisogni …

    Quando leggo di “Innovation divide” https://www.roars.it/blame-game-emerges-over-innovation-divide/ mi chiedo quando mai qualcuno saprà avvertire la Commissione Europea che è giunta l’ora d’imparare dai propri errori.

    Nel 1993 l’ambiente scientifico europeo che ha inventato il Web avrebbe dovuto/potuto essere percepito dalla Commissione Europea come esempio di “framework” per un programma di standardizzazione dell’ICT [Tecnologia dell’Informazione e della Comunicazione], a sostegno dell’armonizzazione degli acquisti di tecnologia delle pubbliche amministrazioni nazionali, al fine di acquisire la portabilità e l’interoperabilità delle applicazioni e … delle persone [!!].

    Per i governativi USA del NIST [Istituto Nazionale per Standard e Tecnologia] quel “framework” avrebbe dovuto chiamarsi OSE [Open System Environment].

    Una testimonianza di quanto sopra è in un articolo del 1993 su Computer Standards & Interfaces [http://www.sciencedirect.com/science/journal/09205489/15], scritto da due consulenti indipendenti che segnalarono la necessità di mettere in relazione l’evoluzione tecnologica, nel caso di sistemi aperti, con la capacità degli utenti di individuare, scegliere e integrare strumenti [a proposito di cultura!].
    Questo commento vorrebbe essere uno spunto da fare evolvere in una revisione/analisi [post mortem dump analysis], utile anche ad articoli di ROARS come:
    https://www.roars.it/humanities-scienze-e-cultura-possiamo-avere-tutta-la-storia/
    https://www.roars.it/ora-basta-un-esempio-di-democrazia/ ….
    ma ci vorrebbe un OSE o ambiente di sistema aperto … dove le persone sono abilitate a comunicare come sanno fare i sistemi eterogenei, interconnessi nella rete che usiamo nell’interesse altrui.

    Purtroppo la “pragmatica della comunicazione umana” http://it.wikipedia.org/wiki/Paul_Watzlawick rende impraticabile il precedente pio desiderio.

  2. Grazie per questo bell’articolo, che sottoscrivo in pieno.
    Si parla, giustamente, molto di crisi delle humanities, ma non abbastanza della crisi del sapere scientifico che non fa solo parte della storia recente.
    Una crisi che ha spinto, ad esempio, il MIUR a lanciare qualche anno fa il Progetto “Lauree scientifiche”. Fra le motivazioni principali da cui il progetto prendeva le mosse, c’erano il generale pregiudizio verso le materie scientifiche, presente fin dalla scuola elementare, e il calo vistoso delle iscrizioni ai corsi di laurea nelle scienze pure (Matematica, Fisica e Chimica).
    Avendo avuto in casa solo insegnanti e professori di diversi livelli, anche di matematica, mi sono resa conto dei problemi di metodo presenti nell’insegnamento soprattutto della matematica a scuola, laddove l’astrazione propria della matematica non venga resa fruibile da un’intensa attività di manipolazione e quindi di laboratorio. Questa è una delle cause principali per cui, lo vedo anche coi miei figli, c’è stato sempre e c’è tuttora spesso il rischio concreto che la matematica venga vissuta troppo presto come una materia incomprensibile, troppo complessa, finendo per essere rifiutata e perfino detestata.
    Ho parlato del progetto “Lauree scientifiche” anche perché mi ricorda alcuni viaggi nei licei a volte sperduti dell’entroterra delle regioni in cui ho vissuto, per promuovere, appunto, le lauree scientifiche. La mia presentazione, creata nel (ormai sembra lontano!) 2005, iniziava con un estratto del Il Saggiatore di Galilei, dove si dice che:
    “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’Universo), ma non si può intendere se prima non
    s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri, né quali è scritto. […] senza questi è un aggirarsi vanamente in un oscuro labirinto.”
    Ma proprio perché “Cultura classica e scientifica sono facce complementari di questo insieme, che si rafforzano l’una con l’altra” la slide subito successiva era di Dante, su Ulisse e Odissea:
    “Fatti non foste a vivere come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”, riportata insieme all’immagine di una nebulosa e alla descrizione della scienza con le parole: “conoscenza, esplorazione, sfida, fascino della scoperta continua, aiuto, progresso, vita”.
    A parte il fatto che gli studenti spesso sono rimasti silenziosi sulla prima slide e invece hanno ripetuto con me la frase di Dante la maggior parte delle volte, appare chiaro che le due culture non sono e non sono mai state dicotomiche e che laddove lo sono, casomai si completano.
    L’Odissea potrebbe essere il racconto moderno sugli aspetti umani, filosofici, teologici della vita di uno scienziato, senza i quali, lo scienziato non sarebbe diventato l’uomo completo che è, in grado anche di affinare il grado e gli strumenti anche mentali della propria ricerca.
    D’altra parte, la poesia osserva spesso metriche e ritmi severi, così come la musica, nella quale l’armonia deriva da un’attento uso e combinazione delle note, legate alle frequenze fondamentali del suono.
    E se è vero che Margherita Hack si iscrisse a lettere e poi, dopo aver sentito la prima lezione decise di cambiare perché: “Mi sembravano tutte chiacchiere”, poi anche lei, nella stessa intervista a Repubblica, afferma che: “Mi dà noia la retorica e poi non mi piace pensare che l’ uomo sia il centro dell’ universo. Una sciocca presunzione”. Non è forse questa una lezione filosofica molto ben impartita dalla scienza?
    Qualche giorno fa è caduto un aereo, anzi è stato abbattutto un aereo e la storia ha colpito moltissimo anche me, per tanti motivi, compreso il fatto che su quell’aereo viaggiavano tanti ricercatori che si recavano ad una conferenza sull’AIDS. Persone di scienza e persone che hanno dedicato la propria vita agli altri.
    Fra i passeggeri di quell’aereo c’era una giovane laureata in ingegneria aerospaziale, alla TU Delft, Fatima Dyczynski. Una bella e brillante ragazza di 24 anni, che aveva già fondato un’azienda, Xoterra Space. Durante una simulazione di esperienza spaziale, l’esperienza di guardare la Terra dallo spazio fu per lei così sorprendentemente bella da farle dire:
    “All world leaders should have this experience, then maybe we would have less conflict on this planet.”

    • Cominciamo resettando, cioè cancellando gli ultimi vent’anni di politica della scuola (a tutti i livelli), e poi ripartiamo da lì.

    • Da un punto di vista esterno, ai problemi del mondo accademico, l’azione da proporre dovrebbe essere ispirata dal bisogno di un “garante” della cultura del “sistema sociale”.

      Tenterei di trasporre ai giorni nostri il momento decisionale che indusse alcuni atenei a consorziarsi nel CINECA [Centro di Calcolo Iteruniversitario dell’Italia Nord-Orientale].

      Posso provarci? Se ci provassi, qualcuno mi seguirebbe con orecchio benevolo?

      Le mie motivazioni sono intuibili nel mio precedente commento, oltre che nell’uso sperimentale di Google Plus e di un Blog.

    • Max,
      per la ricerca di risposte alle tue domande dobbiamo dotarci di strumenti “adeguati”. Questa è anche la conclusione dell’articolo che stiamo commentando.
      Dotandoci di strumenti ci faremo una cultura “di sistema”.
      Durante gli anni 60 e 70 la cultura scientifica, in ambienti come CERN, CINECA e ECMWF, ha fatto da apripista per una cultura di sistema.
      La politica di acquisizione degli strumenti era guidata dal “make vs buy” … man mano che il “buy” prendeva il sopravvento la cultura di sistema si allontanva ….

  3. L’articolo è bellissimo, pieno di verità.
    Ma c’è qualche speranza per l’Italia? L’ottimismo della ragione è possibile?
    Il quadro è nero: dal punto di vista dell’Università ogni legge di riforma si è risolta in peggio ed urge una controriforma adeguata.
    Ogni ministro è stato peggio del precedente da Gelmini (esemplare il tunnel dei per i neutrini da Ginevra al Gran Sasso), a Profumo(esemplare la proroga ulteriore dei Rettori previsti nella legge della Spending Review), alla Carrozza (idoneata ordinario alla telematica Marconi), alla Giannini (seguace di quella meteora fugace di Monti).
    E’ possibile un cambiamento?
    Per fortuna ora c’è l’ANVUR, che rinvia per la sua normativa alle norme ENQA ESG (European Association for Quality Assurance in Higher Education- Standards and guidelines for quality assurance in the European higher education) di fatto non conoscendole o ignorandole. Come diceva Einstein siamo gestiti da “nani su trampoli”, ci mancano i giganti veri: come politici (meglio come statisti), come ministri MIUR, come dirigenza MIUR, come dirigenza ANVUR… forse come popolo italiano che è stanco di essere sempre preso in giro dall’ultimo imbonitore di turno, se non incapace di turno.

  4. “Stucchevole prosopopea di capire nulla di scienza”, magnifica, una foto ad alta definizione.
    Apprezzo molto l’articolo, ma il danno e’ strutturale. Chi ha ruoli politici di peso spesso, se anche non se ne vanta pubblimente, comunque non ha avuto una educazione scientifica. E diciamolo: che sia questo che gli ha lasciato a disposizione il tempo per costruirsi una presenza politica?

  5. Sarà anche vero, come dice Rovelli che “è la scienza che manca nella scuola, anzi, manca drammaticamente nella società italiana”. Tuttavia nel mio liceo c’era un laboratorio di fisica, c’era un laboratorio di chimica, ma non c’era un laboratorio di musica e neppure un proiettore di diapositive per farci conoscere dipinti, statue, architetture, oppure un VHS per vedere una commedia di Pirandello. Mi piacerebbe che, come in altri paesi europei, ci fosse in Italia un CNR che si occupasse anche di sostenere le ricerche storiche e filosofiche (con le dovute proporzioni finanziarie rispetto alle scienze dure), e che i Programmi Quadro europei per la Ricerca e l’Innovazione potessero prevedere tematiche capaci di accogliere anche le economicissime esigenze dei latinisti. Ecco, quando tutto questo avverrà, allora forse riuscirò a dire anche io: “è la scienza che manca nella scuola, anzi, manca drammaticamente nella società italiana”.

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