I concorsi “liberi” dal 1980 al 1998

L’articolo 3 della Legge 7 febbraio 1979 che riformava il sistema dei concorsi a cattedra stabiliva che i concorsi fossero banditi ogni anno. Il DPR 382 del 1980, stabiliva che i concorsi di prima fascia fossero banditi “con periodicità biennale”  La stessa disposizione si applicava ai concorsi per posti di professore associato. Ma in effetti dal 1980 al 1998, la periodicità biennale non fu rispettata. Dopo il bando del 1979, nel periodo tra il 1980 ed il 2.000, per i posti di prima fascia vi furono tre tornate concorsuali, con bandi emanati, rispettivamente, nell’agosto  1984, nel settembre 1988, e nel giugno del 1992. Altrettante furono le tornate concorsuali per gli associati, con bandi emanati nell’agosto 1984 , nel settembre 1990,  e nel gennaio del 1996. L’incertezza sulla data di bandi futuri aveva conseguenze negative nello svolgimento dei concorsi, che si presentavano come l’ultima occasione per una promozione che avrebbe potuto attendere. Possibili errori nelle valutazioni dovevano aspettare fino a cinque o sei anni per una correzione. Insomma i concorsi si svolgevano in un clima di ultima spiaggia che certamente non giovava alla serenità dei giudizi.

Non è facile comprendere oggi come si potesse allora sistematicamente violare la legge che prescriveva di bandire i concorsi ogni due anni. Per dare tuttavia un idea del clima politico di quei tempi è opportuno rileggere una notizia diramata dall’agenzia giornalistica Adnkronos il 17 gennaio 1992, il giorno in cui, su richiesta del Ministro Ruberti, il Consiglio Universitario Nazionale avrebbe dovuto approvare il bando dei concorsi di prima fascia che fu pubblicato nel successivo giugno.

 

Roma 17 Gen. (Adnkronos) – Il sindacato Snu-Cgil considera una ”grave ed intollerabile provocazione politica” il fatto che il Ministro dell’Universita’, Antonio Ruberti, abbia deciso di ”procedere al bando dei concorsi di ordinario senza tenere in conto la concomitanza con i concorsi di professore associato in via di espletamento”.

Denunciando ”un volgare mercato di voti”, il sindacato universitario della Cgil accusa Ruberti di aver ”privilegiato gli interessi delle lobbies baronali dell’Universita’, non paghe delle scorrerie e dei misfatti concorsuali posti in essere nei precedenti concorsi per ordinario, sugli interessi del sistema universitario nel suo complesso.

 

Si osservi che dopo il bando per concorsi di prima fascia del giugno 1992, non ci furono altri bandi fino al 2000. Nonostante il comunicato sindacale cui fa riferimento la notizia dell’agenzia Adnkronos, il 17 gennaio  1992 il bando fu approvato dal CUN, con una votazione contestata. Fu chiesta infatti la verifica del numero legale quando, nell’interpretazione del vicePresidente, la votazione era già avvenuta. Fu chiaro allora che le forze politiche e sindacali contrarie ai concorsi, in attesa di una legge che facilitasse le promozioni, sarebbero state in grado di bloccare futuri concorsi facendo mancare il numero legale al CUN.

 

Ancora più travagliato fu il cammino percorso dall’ultimo bando di concorso per professori di seconda fascia, prima delle nuove norme del 2000. Si è detto che il bando uscì nel gennaio del 1996, a distanza di cinque anni e quattro mesi dal bando precedente per la stessa fascia. Fu evitato allora il passaggio all’approvazione del CUN (dove sicuramente sarebbero sorti problemi di numero legale) con la giustificazione che l’autonomia finanziaria introdotta dall’art.5 della Legge n.537 del 1993, aveva abolito un organico nazionale e reso inutile l’intervento del CUN. Ma subito dopo l’uscita del bando un gruppo di ricercatori universitari coordinati e finanziati dalla CGIL-università presentò un ricorso al Tribunale Amministrativo del Lazio, ottenendo una sospensione della sua efficacia. Il ricorso era basato sul fatto che il Ministro (all’epoca Salvini) non avrebbe ottemperato al disposto dell’art. 4 del Decreto Legge 2 marzo 1987, n. 7, come modificato dalla Legge 22 aprile 1987, n.158, di conversione in legge del decreto che al comma 4 stabiliva che “Per ciascuna delle prime due tornate [concorsuali] la metà dei posti di professore associato messi a concorso è attribuita, su base nazionale, ai singoli gruppi disciplinari in proporzione al numero dei ricercatori confermati in servizio facenti parte dei gruppi disciplinari corrispondenti.”

Pochi mesi dopo l’uscita del bando era nel frattempo cambiato il Governo a seguito delle elezioni che si svolsero nella primavera del 1996. Il nuovo Ministro, Luigi Berlinguer, aveva portato al Ministero come suo collaboratore e consulente Giovanni Ragone che era  il responsabile per l’università del PDS  (Partito Democratico della Sinistra). Ma Ragone era anche uno dei firmatari del ricorso[1] contro il bando. Sembrava quindi che il Ministero non fosse più interessato a difendere il bando. Questa impressione sembrava avvalorata dal fatto che l’Avvocatura dello Stato non si presentò in una delle udienze. Si costituirono tuttavia in giudizio alcuni soggetti che avevano fatto domanda di partecipazione al concorso. Si costituì anche regolarmente in giudizio l’Università di Napoli, sulla base di una delibera del Consiglio di Amministrazione. Molti altri rettori, sollecitati dal Rettore del Politecnico di Torino, Rodolfo Zich, firmarono la delega ad un avvocato per intervenire in giudizio. E’ probabile che questi ultimi interventi, non deliberati dai Consigli di Amministrazione, non fossero regolari. Tuttavia gli interventi sollecitati e coordinati dal Rettore Zich contribuirono ad indicare ai giudici che nonostante l’apparente scarso interesse del Ministero le università erano, in maggioranza, interessate allo svolgimento dei concorsi banditi.

Nel merito, il TAR del Lazio aderì alla tesi di chi difendeva il bando, secondo cui, la disposizione richiamata dai ricorrenti era stata implicitamente abrogata dall’art. 5 della Legge n. 537 del 1993, che con la concessione di piena autonomia finanziaria alle università, aveva abolito l’organico nazionale dei docenti.

Fu così che il terzo concorso “libero” per la seconda fascia dei docenti poté svolgersi regolarmente.

 

Il disegno di legge Berlinguer

Il nuovo Ministro, tuttavia, inspirandosi ad un disegno di legge presentato dal suo predecessore Giorgio Salvini[2], che era già stato approvato al Senato,  presentò, sempre al Senato, un disegno di legge sul reclutamento dei professori che prevedeva un giudizio di idoneità nazionale seguito da concorsi locali. La norma proposta prevedeva anche che un professore associato non potesse partecipare ad un concorso di prima fascia nella stessa sede dove era associato. Naturalmente quest’ultima regola venne a cadere con i primi emendamenti approvati dalla competente Commissione Parlamentare del Senato. Privato di questa clausola, che avrebbe garantito una certa “mobilità”, il disegno di legge si prestò alla critica di “localismo” mossa da una parte del mondo accademico. Tuttavia il DDL fu approvato al Senato e fu trasmesso alla Camera dei Deputati.

A questo punto gli oppositori del disegno di legge fecero pervenire al Ministro un appunto che stimava i tempi minimi e massimi di svolgimento delle operazioni previste dal DDL  prima che potessero prendere servizio i primi vincitori dei concorsi locali. Contando, per ogni operazione, i tempi minimi, si arrivava in totale ad oltre tre anni[3]. Eravamo, ormai, alla fine del 1997. L’ultimo concorso di prima fascia era stato bandito nel 1992. Aggiungere tre anni (almeno) di attesa perché prendesse servizio il primo vincitore sembrò eccessivo. Fu così che il sottosegretario Luciano Guerzoni prima ed il ministro Luigi Berlinguer poi si convinsero ad accettare una proposta alternativa che stava maturando nella competente Commissione della Camera sotto la guida accorta del suo presidente Giovanni Castellani.

 

La riforma del 1998

Il DDL Berlinguer fu completamente riscritto dalla Commissione Cultura, e approvato dall’aula della Camera. La nuova versione fu, “obtorto collo”, accettata dal Senato e divenne la Legge 3 luglio 1998, n. 210.

Sul piano tecnico la Legge prevedeva un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, con i dettagli operativi, mentre la Legge si limitava ad indicare i principi generali.

Per la prima e la seconda fascia, erano previsti concorsi locali con una commissione elettiva, integrata da un commissario scelto dalla facoltà che aveva richiesto il concorso. La commissione designava però due vincitori (tre nel primo periodo di applicazione della legge) che potevano essere chiamati anche da altre sedi. Chi aveva scritto la legge probabilmente aveva in mente il sistema dei concorsi in vigore prima del 1973, che prevedeva appunto una “terna” di vincitori. Ma in effetti il sistema della “terna” o della “bina” di vincitori non diede gli stessi risultati, in termini di mobilità dei docenti. L’art.5 della Legge 537 del 1993 aveva infatti abolito l’organico nazionale dei docenti, ed indirettamente l’organico delle facoltà. Le università avrebbero dovuto determinare gli organici con propri regolamenti interni. Ma un simile tentativo avrebbe comportato discussioni e liti a non finire negli organi direttivi delle università. Inoltre il Ministero si guardò bene dal suggerire la definizione dell’organico, accettando che le diverse sedi e lo stesso Ministero ragionassero in termini di bilancio. In pratica negli anni sessanta il “ternato” che non era chiamato dalla università che aveva richiesto il concorso, doveva andare alla ricerca di una sede con una “cattedra scoperta” che fosse disposta a chiamarlo. Molto spesso l’università di appartenenza (come assistente o professore incaricato) non aveva cattedre scoperte disponibili per una chiamata nella disciplina del “ternato”, il quale doveva cercarsi un posto fuori. Nella situazione determinatasi a seguito della legge del 1998 non era più così. Le facoltà non disponevano più di un numero fisso di posti di prima fascia, di seconda fascia e di ricercatore, ma piuttosto del “budget” totale associato a questi posti, un “budget” che poteva essere liberamente trasferito da una qualifica all’altra. Di conseguenza il “ternato” in un concorso di prima fascia che fosse già associato in una sede disponeva dell’80% del “budget” necessario per la chiamata di un professore di prima fascia, che era appunto il “budget” costituito dal posto di associato che ricopriva. Allo stesso modo il “ternato” in un concorso di seconda fascia che fosse già ricercatore disponeva del “budget” associato al suo posto (convenzionalmente la metà del “budget” di un ordinario). Risultava quindi molto più facile essere chiamati dalla università di appartenenza, mentre appariva “più costoso” chiamare un esterno. Non c’erano più “cattedre scoperte” ma semplicemente “budget disponibili”, ed il “budget” necessario per promuovere alla prima fascia un professore associato non raggiungeva la metà del costo medio di un ricercatore universitario.

Un’altra cosa che venne a mancare rispetto ai “bei tempi” delle terne fu il filtro della decisione di opportunità del concorso da parte del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. I Consigli di Facoltà subirono allora, a dire di molti, le pressioni dei professori associati e dei ricercatori tese a mettere a concorso il massimo numero possibile di cattedre di prima e di seconda fascia per consentire “promozioni” degli “interni”. Si determinò così un aumento dei docenti di prima fascia, ed uno spostamento delle risorse di “budget” verso le qualifiche più alte. Questo aumento della percentuale dei professori di prima fascia sul totale dei docenti, provocò molte critiche, anche se era facile prevedere che sarebbe stato un fenomeno temporaneo che riguardava la promozione di docenti per lo più anziani.  Le critiche  alla cosiddetta “piramide rovesciata” fatte  proprie da molti professori che avevano beneficiato delle non difficili promozioni rese possibili dall’abolizione dei limiti di organico, contribuirono a creare il clima per cambiare ancora una volta il sistema dei concorsi, come avvenne con le leggi promosse dai governi di centro-destra.

Le modeste modifiche nel reclutamento dei ricercatori

Prima di parlare delle riforme Moratti e Gelmini, è opportuno segnalare che la Legge 210 del 1998, aveva anche riformato i concorsi ai posti di ricercatore. La commissione non era più composta da due ordinari ed un associato, ma da un ordinario, un associato ed un ricercatore. La Facoltà che aveva bandito il concorso nominava un “membro interno” che poteva essere un ordinario o un associato, mentre gli altri due commissari erano eletti dalle rispettive categorie. Poiché la Facoltà designava quasi sempre un ordinario, questo cambiamento rafforzò il potere discrezionale del membro interno che non doveva più confrontarsi con un collega di pari grado. Si trattò comunque di un cambiamento modesto, dal momento che già con la precedente composizione della commissione, era sostanzialmente il membro interno a decidere.



[1] Ragone ritirò la sua firma dal ricorso alla prima udienza svoltasi dopo la sua nomina a consigliere del Ministro. Per la cronaca Ragone risultò, assieme ad altri, vincitore nel concorso che aveva cercato di bloccare, e pochi anni dopo, vinse anche un concorso di prima fascia. Ritornò poi al Ministero come consigliere del Ministro Fabio Mussi nel biennio del secondo governo Prodi.

[2] Ringrazio Giunio Luzzatto che mi ha ricordato che prima di Berlinguer la riforma dei concorsi basata su idoneità nazionali a numero aperto e chiamate, era stata proposta in un disegno di legge dal Ministro Salvini.

[3] Questa stima si sta verificando “sperimentalmente” nell’applicazione della Legge Gelmini (L.240 del 2010) che prevede procedure simili a quelle del DDL Berlinguer.

 

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