Nella pena che si infligge al reo c’è tanta aria di festa – ha scritto Nietzsche. Nella condanna a reti unificate del capo servizio della funivia del Mottarone, colpevole di aver anteposto nientedimeno che l’interesse privato alla sicurezza pubblica, mi sembra che vi sia tanta aria di festosa autoassoluzione collettiva. Additare a pubblico ludibrio il mostro serve innanzitutto a scaricarci del peso della nostra mostruosità, a renderla invisibile per continuare a praticarla indisturbati. Di che cosa sarebbe colpevole il reo confesso capo servizio della funivia, di cui non siamo stati tutti quanti in un certo senso responsabili negli scorsi mesi, compresi proprio noi universitari? Tutti siamo stati desiderosi di ripristinare quanto prima il business as usual.

Che dire poi del Presidente della CRUI, nonché rettore del Politecnico di Milano, Ferruccio Resta il quale, nel recente libro Ripartire dalla conoscenza. Dalle aule svuotate dal virus alla nuova centralità dell’Università. Dialogo con Ferruccio de Bortoli (Bollati Boringhieri, 2021), “confessa” a sua volta al suo condiscendente interlocutore, non solo senza nessun pentimento, ma addirittura con una punta di orgoglioso compiacimento, di aver disposto che nel suo ateneo le commissioni di laurea si riunissero in presenza e che i docenti facessero le loro lezioni in sede attraverso telecamere all’uopo acquistate, nonché di aver “forzato il sistema [quello del suo ateneo, ma immaginiamo di tutta l’università italiana] per tornare ‘in presenza’ già dai primi di luglio e poi da settembre del 2020”, e di aver per giunta fatto tutto questo con piglio decisionista e mettendoci la faccia, “spesso, senza una delibera ufficiale del Senato accademico, un decreto rettorale o direttoriale”? A quanto pare, anche in un momento in cui la pandemia ci avrebbe dovuto far sentire tutti sulla stessa barca uniti da un comune senso di vulnerabilità e di solidarietà, c’era qualcuno per il quale funzioni essenziali per la collettività come quelle garantite da una funivia e dall’università potevano essere disinvoltamente sacrificate al culto della performance e della competitività.

Non si tratta evidentemente di imputare responsabilità penali (nessuno potrà mai dire quale scotto in termini di contagi abbiamo pagato per certe intempestive velleità riaperturiste dell’università come della scuola), semmai di mettere in discussione l’ethos per cui, come ritiene il rettore del Politecnico di Milano, bisognerebbe sfruttare la pandemia come una sorta di safety car per ricominciare la corsa delle università e riguadagnare posizioni nella competizione internazionale.

Nel momento in cui si discute di come spendere i fondi del PNRR destinati all’istruzione e alla ricerca, il Presidente della Conferenza dei Rettori italiani sembra avere ben chiare quali sarebbero oggi le priorità dell’università. È un mantra che abbiamo sentito ripetere infinite volte negli ultimi anni: “abbiamo bisogno di un piano di attuazione rapido e efficace, non di una ripartizione a pioggia delle risorse”. E se oggi siamo posti davanti all’alternativa se “ridurre le distanze esistenti tra realtà differenti” o “puntare sui punti di forza, che meglio garantiscono il risultato” il padrone della fu-università italiana non sembra avere alcun dubbio: “servono programmi ad hoc per tipologie di università. Dobbiamo distinguere le sedi per la loro vocazione […]. Non possiamo pensare di livellare il sistema; dobbiamo invece riconoscere le differenze e premiare le corse in avanti, superando quella diffidenza verso chi prova a emergere e ad aprirsi al confronto internazionale. Che si tratti di una regione, di una città o di un’università, troppo spesso preferiamo rallentarne la crescita, all’insegna di una presunta ‘uguaglianza’, piuttosto che aiutarla ad aprire la strada a quanti in seguito vorranno seguirla”.

Chissà, forse anche lo sciagurato responsabile tecnico della funivia del Mottarone avrà pensato che la sua “corsa in avanti” avrebbe potuto essere premiata come l’atteggiamento proattivo di chi prova a emergere, anche se in spregio alla sicurezza e al bene comune. Il tema è che siamo tutti talmente sdegnati per lo sconsiderato gesto di chi ha disattivato i freni della funivia, da non accorgerci che forse il sistema universitario viene gestito in modo non meno irresponsabile pur di poter rilanciare more solito la corsa “senza freni” dell’eccellenza e della competitività accademica.

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