Giorgio Parisi, uno dei più noti fisici italiani, insieme ad altri colleghi, ha scritto una lettera alla rivista Nature (ripresa anche in un’intervista al Fatto Quotidiano) in cui denuncia il grave stato di abbandono della ricerca scientifica nazionale. Da questa lettera è stato poi promosso l’appello (che ho sottoscritto) “Salviamo la ricerca italiana” in cui si invita l’Unione Europea a fare pressione sul governo italiano perché finanzi adeguatamente la ricerca in Italia e porti i fondi per la ricerca a un livello superiore a quello della pura sussistenza. Qualche tempo fa avevo scritto, insieme ad altri colleghi di diversi paesi europei, una lettera aperta a tutti gli scienziati e cittadini d’Europa sul problema della ricerca e sugli squilibri Nord-Sud e dunque il tema mi trova piuttosto sensibile.
Va inoltre ricordato che all’indomani dell’approvazione della Legge 133/2008 e della Riforma Gelmini era già chiaro che le voci di spesa su cui sarebbe caduta la mannaia sarebbero state principalmente due: reclutamento e fondi per la ricerca. Questo per il semplice motivo che il resto erano in gran parte spese fisse non semplicemente diminuibili. Il reclutamento è infatti diminuito del 90% dal 2008 ad oggi, mentre i fondi di ricerca, come vedremo meglio, sono stati notevolmente decurtati. Sono passati otto anni dal 2008, sembra che l’accademia italiana abbia i riflessi un po’ lenti per rendersi conto di quello che succede. Meglio tardi che mai, evidentemente il 2016 è l’anno degli appelli e delle petizioni.
Oltre la questione, primaria, della quantità di finanziamento, a mio parere c’è anche il problema di come il finanziamento viene suddiviso tra le diverse linee di ricerca: vediamo di cosa si tratta e perché è anche un problema importante.
Nella figura è mostrato l’andamento annuo del finanziamento dei progetti d’interesse nazionale (Prin) nell’ultimo decennio. Poiché in alcuni anni i bandi Prin non sono stati emanati e poiché la loro copertura temporale è variata da due a tre anni, abbiamo calcolato per ogni anno il finanziamento effettivo facendo la somma dei contributi dei vari bandi (chiaramente per il 2017 e 2018 si tratta di dati provvisori). Inoltre i valori del finanziamento sono stati anche adeguati all’inflazione (in blu mentre in rosso sono i valori originali). Si vede subito che ci sono due regimi: prima e dopo il Ministero Gelmini. Prima i finanziamenti erano biennali e consistevano mediamente in più di 100 milioni all’anno; dopo c’è stato un calo drastico di più della metà. I ministeri Profumo, Carrozza e Giannini non hanno eliminato il taglio effettuato dal ministro Gelmini ma anzi hanno ulteriormente diminuito il finanziamento. Come ha scritto lo stesso Parisi “Il governo è cambiato, ma il maltolto non è stato restituito”. Il che non è certo una sorpresa data la continuità politica e ideologica dei ministri che si sono susseguiti negli ultimi 8 anni e l’inedia dell’accademia concentrata a compilare gli assurdi moduli dell’Anvur invece che a denunciare un attacco alla ricerca senza precedenti dal dopoguerra a oggi.
Oltre la quantità del finanziamento con il Ministero Gelmini c’è stato un rilevante cambio nella qualità della distribuzione del finanziamento. Come ha scritto la commissione di garanzia dei progetti Prin 2009:
La Commissione, nello svolgimento dei propri lavori, si è rigorosamente attenuta ai criteri che hanno ispirato il bando Prin 2009 ed alle norme nello stesso contenute, e che si possono ricondurre al seguente obiettivo: quello di concentrare le risorse disponibili sui progetti di ricerca «eccellenti», evitando il finanziamento cosiddetto «a pioggia».
In effetti, si osserva un cambiamento notevole: fino al 2008 il 25% dei progetti presentati è stato finanziato, dopo il 2008 il tasso di accettazione si è più che dimezzato. Considerando anche il calo dei finanziamenti il numero dei progetti finanziati è diminuito più di un quarto (da 800-1000 a 100-200). Nell’ultimo bando sono stati presentati 4400 progetti e il tasso più o di accettazione si può stimare essere minore del 10% (assumendo un finanziamento medio di 250,000 euro a progetto). Dunque, al contrario di quello che scrive la commissione di garanzia, non c’è mai stato un finanziamento a pioggia, quanto piuttosto c’è stato un fino al 2008 un finanziamento del tutto ragionevole con una soglia di successo del 25%. Quello che è irragionevole è quello che ha implementato la commissione di garanzia del 2009 e con essa quella dei pochi bandi successivi, seguendo il diktat ideologico del dogma dell’eccellenza, l’altra faccia della medaglia della riduzione dei fondi.
Sostiene il dogma: i ridotti (e dunque pochi) finanziamenti vanno accentrati sulle eccellenze. Come abbiamo discusso varie volte le eccellenze conclamate oggi sono le eccellenze che si sono sviluppate ieri. Una politica ragionevole dovrebbe essere interessata a finanziare oggi le eccellenze di domani e a creare le condizioni per permettere che queste emergano. Ma per far questo bisogna rispondere alla domanda: “Quali sono e dove sono oggi le eccellenze di domani?”. La risposta è semplice e qualsiasi ricercatore e scienziato conosce la risposta: “Le eccellenze di domani sono oggi nascoste in tanti potenziali ricercatori che stanno sviluppando idee innovative e magari controverse e che dunque nessun processo di selezione metterà nel top 5%”. Finanziare solo il top 5% dei progetti, oltretutto per un programma di finanziamento strutturale a livello nazionale come il Prin, è perciò del tutto controproducente perché soffoca proprio le idee, i progetti e i ricercatori più innovativi. Non è dunque solo una questione di quantità di finanziamenti, che certamente è primaria perché se non c’è la torta non c’è nulla da dividere, ma è necessario anche ri-considerare anche la politica basata sul dogma dell’eccellenza. Solo la diversificazione dei progetti e delle conoscenze, assicurata da una più equilibrata divisione dei fondi di ricerca, può creare le condizioni perché l’eccellenza possa svilupparsi.
Oltre a firmare la petizione promossa da Parisi che si può fare? Molti docenti e ricercatori stanno boicottando la valutazione ministeriale della ricerca, seguendo l’esempio di uno dei più noti e stimati matematici del paese, Giuseppe Mingione, che ha deciso di boicottare la “VQR”, una sorta di valutazione metodologicamente inconsistente che però assomiglia al controllo del “Comitato Centrale” sulla ricerca, finché il lavoro dello studioso sarà soggetto a questi livelli di “di mortificazione professionale”.
Ps: Il problema del finanziamento delle ricerca, della politica scientifica delle nazioni, insieme con una discussione delle diverse organizzazioni dei sistemi di ricerca dei paesi e delle istituzioni scientifiche sono trattati più diffusamente nel mio libro Previsioni e rischio: cosa ci dice la scienza sulla crisi edito da Laterza e in pubblicazione a marzo 2016.
(Un versione più breve è stata pubblicata su Il Fatto Quotidiano)
E’ un’analisi esemplare perché, semplicemente, si tratta della verità.
Perseguire una dignitosa qualità media e favorire la conoscenza e le ricerca nelle materie sono gli obiettivi di una buona istituzione universitaria statale che cresce in modo sostanziale e costante grazie a finanziamenti di base.
Abbiamo perso davvero, in questi ultimi decenni, il senso elementare della realtà, fatto scappare i giovani, buttato anni in adempimenti ridicoli, formulato questionari,intessuto rapporti col territorio per attirare ‘clienti’.
Tutto fasullo, tutto incongruo, tutto profondamente stupido. Cosa ha a che fare la ricerca con tutto questo?
Caro Labini , di che ti stupisci ? Ognuno si fa le norme pro domo sua. Finanziare il top 5 significa finanziare chi ha già avuto, chi ha di più, chi ha il co-finanziamento della azienda di cui prescrive le protesi (per dire…è solo un esempio..o alla quale non fa mancare i tirocinanti). I finanziamenti ai “giovani” vanno poi ai rampolli di qualcuno, che si prostano volentieri per questo è importante avere i propri uomini nelle commissioni, all’Anvur, e abilitare quelli del piano di sotto e mettere le riviste degli amici in fascia A. Per questo i rettori fanno a gara a chi è più supino (i famosi rettori zerbino). Questa è la meritocrazia.
A me pare che sia l’ideologia dominante in tutta Europa (e direi nel mondo): eccellenti sono coloro che hanno i giusti contatti e vengono dai giusti laboratori. Magari in alcune discipline meno avide di strumenti e strutture (matematica) è più facile emergere. L’Italia soffre di un sotto-finanziamento cronico, che rende più evidente il problema, ma altrove si incontrano le medesime difficoltà.
Einstein insegna.
Einstein visse in un’epoca in cui la Scienza era un affare di pochi gentiluomini, non un’industria milionaria. Io parlo di quello che ho visto negli ultimi 10 anni, nel mio piccolo.
Lo so è un sogno, quasi sicuramente irrealizzabile, ma mi piacerebbe Parisi come ministro dell’Università. Invece dei soliti passacarte, pronti a mettersi a tappetino di fronte al presidente del consiglio e di fronte al MEF. Il Miur va affidato a chi l’Università la conosce, a chi fa ricerca e didattica, a chi dà il sangue per questa istituzione.
Sbagliato. L’ Università va affidata al mio panettiere qua sotto: farebbe molto meglio.
[…] articolo di Paolo Sylos Labini (con il quale spesso sono stato in disaccordo) appare invece assai importante […]
Stasera sull’ecumenica e filogovernativa rai24new è andato in onda l’ennesimo servizio sull’ ITT: quello sulle protesi che fanno camminare i paralitici e le mani robotiche (argomenti a cui negli altri paese non credono più neanche i bambini). A parte l’inutilità totale pratica di queste meraviglie della robotica (sviluppate 50 anni fa dalla Veteran Administration per dire, e mai entrate in uso perchè nessun paralizzato si sogna di usarle dopo 3 volte, e parlo perchè ho lavorato con l’industria ortopedica) si prendono in giro i malati e anche il pubblico il tutto per giustificare soldi buttati al vento.
A zappare.
Caro Sylos Labini grazie per l’opera di controinformazione che hai intrapreso da molti anni, anche attraverso la pubblicazione del tuo precedente libro. Quello fu un punto di riferimento, per chi come me cercava di controbattere l’informazione imperante. La pessima tabella di Perotti era (ed è) scientificamente da bocciare, visto che si basava sulla correzione di un unico dato, quello italiano. Se Perotti voleva correggere i risultati, da ricercatore e come esige il metodo scientifico, avrebbe dovuto, a partire dalla raccolta dei dati, rielaborarli completamente e correggendo le presunte incongruenze dimostrare la sua tesi. Mi sembra che molti dati anche recenti, continuino a dargli torto. Purtroppo, nonostante i tuoi richiami ai dati reali, la famosa tabella è quella che ha fato da sponda alla politica per giustificare ed approvare la legge Gelmini. Gli effetti, purtroppo con il silenzio assordante di buona parte della comunità accademica, ancora li stiamo subendo. Il blocco degli scatti non deriva anche da quel “maledetto” e scientificamente deprecabile grafico? Perotti a mai sottoposto al vaglio di una rivista e di referees la sua tabella? Ma venendo all’argomento oggetto del tuo intervento volevo solo aggiungere un altro elemento, che immagino per brevità non hai trattato. I costi della ricerca sono notevolmente aumentati anche a causa della precarizzazione dei ruoli del personale. Quindi al sottofinanziamento dobbiamo aggiungere l’esigenza di dover trovare risorse economiche per il personale addetto alla ricerca. Questo ha “gonfiato” gli importi richiesti per i singoli progetti portando ad una riduzione amplificata del numero di quelli finanziabili con le scarse risorse a disposizione. Naturalmente su questo si sono inseriti i poteri forti, con la conclusione che gli scarsi finanziamenti e i pochi progetti finanziabili, finiscono ai soli noti. Il resto della comunità scientifica è costretta alla sopravvivenza, in laboratori ormai fuori norma, con attrezzature scientifiche che continuano a funzionare solo grazie al genio italico e grazie a computer (li possiamo definire tali?) recuperati in discarica, perché vista l’obsolescenza della strumentazione, funzionano solo con quelli. Nonostante tutto questo le classifiche ci dicono che la ricerca italiana continua a produrre significativi risultati. Grazie a chi???
[…] Giorgio Parisi, uno dei più noti fisici italiani, insieme ad altri colleghi, ha scritto una lettera alla rivista Nature (ripresa anche in un’intervista al Fatto Quotidiano) in cui denuncia il grave stato di abbandono della ricerca scientifica nazionale. Da questa lettera è stato poi promosso l’appello (che ho sottoscritto) “Salviamo la ricerca italiana” in cui si invita l’Unione Europea a fare pressione sul governo italiano perché finanzi adeguatamente la ricerca in Italia e porti i fondi per la ricerca a un livello superiore a quello della pura sussistenza. Qualche tempo fa avevo scritto, insieme ad altri colleghi di diversi paesi europei, una lettera aperta a tutti gli scienziati e cittadini d’Europa sul problema della ricerca e sugli squilibri Nord-Sud e dunque il tema mi trova piuttosto sensibile. Il mito dei finanziamenti a pioggia e il dogma dell’eccellenza […]
Grazie a tutti coloro che fanno il loro dovere. Montale la chiamava la decenza quotidiana.
Ma è una sensazione opprimente sentirsi schiacciati da una manica di cialtroni, affaristi e lacché per il momento inarrestabili.
Vero. Si vive male. Perchè ci si sente cornuti e mazziati. L’ epoca dei missionari ormai e finita, e si vede.