Come molti hanno sottolineato, il sistema delle mediane, basate sul popolamento volontario dei siti docente e su una selezione operata dall’alto, in via semi-informale, da consessi costituiti attraverso misteriosi meccanismi di cooptazione, ha prodotto risultati spesso inverosimili. Alcuni di questi sono così trasparenti, nella loro illogicità, da costituire un’ottima cartina di tornasole per verificare quanto possa rivelarsi deleterio un sistema basato su presupposti sbagliati. Il caso che desideriamo qui sottolineare riguarda un settore concorsuale nell’ambito del quale si è realizzato – al livello della scelta delle riviste che compongono la famosa Fascia A – un piccolo capolavoro*.
Non era semplice, infatti, contraddire in una forma tanto facilmente comprensibile da tutti quei principi di oggettività meritocratica e di spinta verso l’internazionalizzazione (specie anglofona) che sono costantemente invocati come pilastri della riforma. Parliamo del SSD L-Art/06, denominato “Cinema, fotografia, televisione”, ora confluito nel macrosettore concorsuale 10/C1. Non è un settore piccolo e residuale e tratta questioni che, specie nel nostro paese, appaiono di un certo rilievo. L’elenco delle riviste per il macrosettore comprende, complessivamente, 48 testate. Sulle riviste che riguardano gli altri SSD (L-Art/05, L-Art/07 e L-Art/08) non abbiamo competenza per esprimerci. Le riviste relative ad L-Art/06, invece, sono ben note. Sei di esse sono riviste italiane (una è plurilingue) e soddisfano ampiamente i criteri richiesti, fotografando in modo efficace lo stato della pubblicistica scientifica italiana. Dove si realizza il capolavoro, però, è nella scelta delle riviste straniere. Non serve un esperto, infatti, per capire che il settore che studia il cinema e la televisione ha trovato (da decenni) la sua sede più vitale nei paesi dove la produzione cinematografica e televisiva è più avanzata (incomparabilmente più avanzata: è un dato quantitativo oggettivo, non un giudizio di valore) e dove si trova il sistema accademico di gran lunga più ricco, dinamico, a più forte vocazione internazionale.
Stiamo parlando, ovviamente, dei paesi anglosassoni, Stati Uniti in testa e Regno Unito a seguire. Bene, il capolavoro consiste nell’essere riusciti a predisporre una lista di riviste straniere di Fascia A nella quale compaiono solo tre testate, e nessuna delle tre è in inglese. Meglio: una di esse, francese (Iris), ha terminato le pubblicazioni nel 2006. Un’altra, sempre francofona, è canadese (Cinémas). E’ rivista seria e prestigiosa ma solita dedicarsi ad aspetti, per così dire, settoriali della disciplina. La terza, Kintop, è una rivista tedesca, cessata nel 2007. In sostanza, alla prova dei fatti, l’indicazione che si ricava dalla lista delle riviste di Fascia A per quanto riguarda gli studi accademici italiani sul cinema, la fotografia e la televisione (che include anche i nuovi media audiovisivi…) è che si possa prescindere totalmente dalla conoscenza della lingua inglese e all’estero valga la pena pubblicare su una sola rivista in tutto il mondo.
In tutto il contesto americano e inglese, infatti, non esisterebbe una sola rivista degna di figurare in Fascia A per il nostro paese. E’ una ben bizzarra idea dei canali che la nostra ricerca deve seguire se vuole collocarsi su uno scenario globale, rifiutando di prendere in considerazione riviste che pure avevano ospitato saggi e articoli di studiosi del nostro paese e che quindi erano incluse nelle liste del Cineca: Media Culture & Society, The Journal of Moving Image Studies, Critical Studies in Television, The Italianist e altre. A ulteriore prova dell’inspiegabile illogicità dei risultati di questa selezione, il fatto che le tre riviste straniere incluse hanno ospitato rispettivamente 1 (Kintop), 3 (Iris) e 4 (Cinémas) contributi di studiosi italiani fra quelli inseriti nell’anagrafe Cineca. Dunque non sono esattamente frequentatissime.
C’è bisogno di aggiungere altro? E’ questa la razionalità scientifica, l’oggettività, la spinta ad allargare gli orizzonti di cui si parla? In effetti sì, qualcosa da aggiungere c’è. E’ nostra convinzione che quanto sopra descritto sia il risultato grottesco e potenzialmente disastroso di una procedura condotta frettolosamente e in maniera approssimativa.
Ma c’è un difetto di fondo che riguarda questo come tutti gli altri settori – per così dire – di confine. Supponiamo che uno studioso di cinema raggiunga risultati significativi nella ricerca, tali da consentirgli di pubblicare sulle più prestigiose riviste di storia contemporanea (Area 11), di sociologia (Area 14), di economia (Area 13). Ci fermiamo qui per non allargare troppo il campo. Sono casi tutt’altro che infrequenti. Se uno storico del cinema scopre che esiste un film in cui si dimostra che Lenin ha preso parte alla marcia su Roma, vale forse la pena che proponga la sua scoperta agli storici contemporanei. Se uno studioso di televisione realizza un’indagine sulle audience giovanili, vale la pena che lo proponga in prima battuta ai sociologi. Se uno studioso di cinema analizza la produzione delle film commission (si chiamano così, in inglese!, nelle normative che le costituiscono…) regionali, può essere motivato a sottoporlo prima di tutto agli economisti. Questo non fa di lui un sociologo, non fa di lui uno storico, non fa di lui un economista. Fa di lui uno studioso di cinema che mette le sue competenze a disposizione dei diversi campi del sapere che possono giovarsene.
Peccato che il sistema attuale lo disincentivi totalmente a questa apertura, non riconoscendo alcun valore scientifico a questi suoi studi che magari trovano spazio sulle sedi editoriali di maggior prestigio delle altre aree e degli altri settori. Nessuna spinta verso l’estero. Nessuna pietà per il meticciato, il lavoro d’equipe e la contaminazione, ma un messaggio chiarissimo verso l’autarchia nazionalista e l’autoreferenzialità legata ai SSD. Peccato che gli studiosi internazionali più stimati e citati nel campo della disciplina siano tutte persone che si occupano di cinema e/o televisione a partire da campi trasversali: sociologia (media, gender, cultural studies), italianistica (Italian studies), storia contemporanea, etnografia del consumo, comparatistica, filosofia, e molto altro. Qualche nome? Henry Jenkins, Fredric Jameson, Stanley Cawell, Dudley Andrew, Richard Dyer, Slavoj Žižek, Millicent Marcus, Vivian Sobchack, David Forgacs e altri di coloro che hanno segnato gli studi sul cinema, la televisione e i media audiovisivi degli ultimi vent’anni, nel nostro come in tutti gli altri paesi del mondo, non solo faticherebbero a passare almeno un paio delle tre mediane fissate dall’ANVUR, ma sarebbero fortemente incentivati a cambiare strada se volessero avere diritto di cittadinanza, in Italia, nel campo di studi al quale essi stessi hanno dato un impulso sostanziale. Se c’è una logica in tutto questo, è probabilmente possibile vederla solo da quella galassia di Andromeda, protagonista di un celebre sceneggiato degli anni settanta, dove ANVUR sembra essersi ritirata a stilare le sue liste.
* Si tratta del SSD di chi scrive. A tal riguardo tengo a precisare quanto segue: in questo caso intervengo appunto a titolo personale e non come rappresentante degli associati dell’area 10 presso il CUN. Inoltre, a scanso di equivoci su eventuali conflitti di interesse, desidero anche specificare che supero ampiamente la mediana relativa alle riviste di fascia A, come facilmente verificabile dal curriculum pubblicato nel mio sito docente.
Niente di nuovo sotto il sole, il criterio seguito da ANVUR è stranoto, e reso pubblico ben prima della divulgazione delle liste di riviste: se nessun docente italiano del settore in questione ha pubblicato su riviste anglosassoni o americane – o se, avendovi pubblicato, non le ha inserite nel sito cineca – quelle riviste non saranno in fascia A. Criticare il risultato e non il criterio mi pare un esercizio un po’ inane: a meno che quelle prestigiose riviste americane e inglesi compaiano viceversa nel “listone” delle riviste scientifiche. Ma l’autore dell’articolo, a quanto pare, questa verifica non l’ha fatta.
Io ho controllato, e Media Culture & Society è nel listone, come pure Critical Studies in Television, come pure The Journal of Moving Image Studies, e The Italianist.
“Ma l’autore dell’articolo, a quanto pare, questa verifica non l’ha fatta.”
Veramente, prendendosi la briga di leggere, è vero il contrario: “… rifiutando di prendere in considerazione riviste che pure avevano ospitato saggi e articoli di studiosi del nostro paese e che quindi erano incluse nelle liste del Cineca …”.
Almeno noi, esercitati a studiare e leggere criticamente gli scritti, dovremmo evitare le frettolose e superficiali letture stile funzionario ministeriale.
Mi era sfuggito, chiedo scusa. Però la verifica di cui parlavo io – ossia controllare se le riviste indicate sono state incluse nell’elenco delle riviste ritenute scientifiche, per quanto non di fascia A, pubblicato di recente dall’ANVUR- non era esattamente questa.
Caro Manzoli, grazie per questa chiara illustrazione del problema che, in misura diversa e in un modo o nell’altro, riguarda, penso, tutti i settori non-bibliometrici (il mio — Anglistica e Americanistica — certamente). E’ la migliore risposta che si possa dare a Bonaccorsi e Novelli (“Stabilire delle soglie di minima è importante per i tanti giovani che vogliono accedere a una carriera accademica: finalmente sapranno quanto e come pubblicare!”), e, in generale, a chi difende l’operato dell’ANVUR e dei gruppi di lavoro sulla base delle buon intenzioni che starebbero dietro a questa operazione, senza entrare nel merito delle mostruosità che di fatto si sono prodotte. Per non dire dei danni che la mancata incentivazione della vera interdisciplinarità (quella, appunto, per cui lo studioso di cinema o di letteratura potrebbe offrire i risultati dei suoi studi all’attenzione e al giudizio di storici o sociologi o economisti) produrrà nel prossimo futuro se davvero ci si ostinerà a utilizzare queste liste e queste regole. Purtroppo, da quel che si è visto, è vano aspettarsi che qualcuno ne prenda atto, e si mostri disposto al dialogo (cioè fornire i criteri seguiti, provare a spiegare perché/su quali basi Iris è stata inclusa, e Media Culture & Society no) o all’autocritica. Che poi qualcuno si dimetta per aver utilizzato risorse pubbliche per produrre questa sorta di risultati, è proprio fantascienza.
su tutta questa materia occoore preparare un libro bianco da inviare a Produmo, Fantoni e per conoscenza a qualche magistrato…
Questa mi pare una proposta fattiva. Occorrerebbe che, per ciascun settore concorsuale, qualcuno se ne incaricasse.
Caro Manzoli,
certo che si può (direi si dovrebbe) pubblicare su riviste al di fuori del proprio settore. Se non fosse stato un repertorio casuale, lacunoso e clientelare, l’elenco Anvur avrebbe potuto essere una lista in ordine alfabetico delle riviste di eccellenza, al di là degli steccati disciplinari. Non lo è, quindi va eliminata, come la terza mediana, tutte le mediane, tutti i criteri quantitativi preventivi. Ho seguito con interesse il tuo ragionamento e gli esempi che fai, ma perché non citi i gloriosi “Cahiers du Cinéma”? Scusa la domanda di una non esperta.
Al collega bisogna ricordare che le liste derivano da una cernita a partire dalle riviste censite dal Cineca, ossia le riviste sulle quali pubblicano i docenti e ricercatori italiani. Se nessuno dsi loro pubblica su quelle riviste, quelle riviste non escono. E la cosa significa solo che quel settore non si preoccupa affatto di pubblicare su quelle riviste. Questo non significa che non siano discutibili le inclusioni straniere segnalate. In altri settori concorsuali i GEV con gl iesperti hanno deciso di effettuare integrazioni, inserendo anche importanti riviste straniere non figuranti nel database Cineza. E’ stata una loro decisione autonoma, on necessariamente condivisa da altri gruppi di esperti per altri settori. E’ stata presa per far sì che non rischiassero di essere penalizzati aspiranti magari attivi all’estero che possano aver pubblicato su quelle riviste. E’ stato uno scrupolo non inutile, ma forse eccessivo, dato che u naspirante che superasse la mediana solo ed esclusivamente per aver pubblicato in una di quelle importanti riviste straniere passerebbe sì la mediana, ma difficilmente potrebbe vantare un profilo suficientemente elevato. E le commissioni auspicabilmente dovranno valutare, anche a aprtire dalle mediane, i profili complessivi. Dunque, l’accanimento sulle liste delle riviste è giustificato se si tratta di inclusioni prive di fondamento, meno se questo significa oscurare il fatto che ci saranno commissioni a giudicare per le abilitazioni e poi a livello di singole università. Ciò, per un tentativo di chiarezza: resta che siamo di fronte a un meccanismo malfatto e messo in piedi senza i tempi necessari. Senza, per esempio, porsi il proboema – sul quale attiro l’attenzione – della compatibilità di liste di riviste con i settori concorsuali, che si portano dietro la zavorra delle rigidità e delle confusioni proprie delle aree: quello sì è un sistema che in molti casi fa a pugni con una ragionevole rappresentazione dei campi del sapere scientifico e che andrebbe largamente rifatto.
Non capisco cosa ci sia di poco chiaro nel testo: “rifiutando di prendere in considerazione riviste che pure avevano ospitato saggi e articoli di studiosi del nostro paese e che quindi erano incluse nelle liste del Cineca: Media Culture & Society, The Journal of Moving Image Studies, Critical Studies in Television, The Italianist e altre”.
mi pare che un effetto interessante queste mediane lo abbiano già ottenuto: al dibattito sul loro ruolo ed utilizzo si partecipa solo se le si suspera — è bisogna premetterlo ad ogni intervento.
io non le supero, e mi taccio. d’altro canto sono un fannullone, giusto?, e non sono quindi titolato a parlare per via di un patente conflitto di interessi…
quest’implicita adesione agli stilemi più beceri del dibatitto pubblico sulla meritocrazia fatta propria dalla comunità scientifica italiana è forse il segno più evidente della nostra inadeguatezza culturale nell’affrontare con la dovuta radicalità ogni questione sulla valutazione della ricerca scientifica — e sul nostro ruolo di studiosi nell’era della qualità “quantizzata”.
Caro Anabattista, guardi che lei non ha capito. Le riviste “eccellenti” di cui si lamenta l’assenza in classe A, come dice il collega Manzoli, e come ribadito nei commenti qui sopra, sono riviste che compaiono nel database Cineca e nel listone delle “riviste scientifiche” dell’Area 10, ovvero sono riviste su cui hanno scritto alcuni docenti italiani di quel settore che hanno diligentemente compilato le schede delle proprie pubblicazioni sul sito docente ecc. Quindi giustamente ci si domanda come mai non non siano state incluse in classe A, dove se ne trovano numerose altre (italiane e straniere) di minor prestigio internazionale.
Caro Guido Abbattista, mi scusi se ho sbagliato il suo cognome. Me ne sono accorta solo adesso.
consiglio di andare a vedere come è stato fatto il journal ranking ERA 2012. Poi, fare il raffronto con ANVUR.
p.s. le riviste ERA sono scientifiche per tutti. Come è ovvio che sia.
http://www.arc.gov.au/era/era_2012/era_2012.htm
questo è il punto però. E’ la lista fatta dall’Anvur che fa schifo o è tutto il sistema liste che va buttato a mare? Purtroppo i fautori della seconda possibilità approfittano della prima (su cui concordiamo tutti) per portare avanti tesi volte alla conservazione del potere a prescindere da ogni valutazione.
V.
“E’ la lista fatta dall’Anvur che fa schifo o è tutto il sistema liste che va buttato a mare? ”
I problemi strutturali dei “journal rankings” sono noti e studiati. Il sistema delle liste è stato usato in Australia e poi ripudiato. Il Direttore del REF britannico ha gongolato (“noi in UK avevamo capito che era una fesseria, ma voi australiani ci siete cascati lo stesso”):
David Sweeney: “… we are very clear that we do not use our journal impact factors as a proxy measure for assessing quality. Our assessment panels are banned from so doing. That is not a contentious issue at all. […] I think we were very interested to see that in Australia, where they conceived an exercise that was heavily dependent on journal rankings, after carrying out the first exercise, they decided that alternative ways of assessing quality, other than journal rankings, were desirable in what is a very major change for them, which leaves them far more aligned with the way we do things in this country”
(Audizione alla Camera dei Comuni, http://www.publications.parliament.uk/pa/cm201012/cmselect/cmsctech/uc856-iv/uc85601.htm)
L’anomalia non è chi vuole buttare a mare l’uso *automatico* della bibliometria che internazionalmente non ha credito. L’anomalia è imporli facendo credere che altrove siano la norma.
Quando poi viene dimostrato che altrove si fa diversamente subentra l’argomento dell’olio di ricino: è vero che sono strumenti che nessuno usa in questo modo, ma l’accademia italiana è completamente allo sfascio scientifico e morale e si è meritata l’olio di ricino.
Quando poi si mostra che proprio i dati bibliometrici smentiscono lo sfascio scientifico, rimane sempre l’argomento morale: anche se non è vero che produciamo poco e male a livello scientifico ci sono stati tanti concorsi truccati e allora è giusto bere l’olio di ricino. Io sono onesto ma i colleghi degli altri laboratori/dipartimenti/facoltà/atenei sono dei farabutti e le cose andranno meglio solo dopo che avranno scolato le loro bottiglie di olio di ricino. Magari, non è nemmeno vero che le cose andranno meglio, ma almeno gli sarà venuto il mal di pancia che, farabutti quali sono, se lo sono meritato.
Credo che ci sia anche un problema psicologico. C’è un irrefrenabile pulsione al cilicio o all’olio di ricino e di fronte alle pulsioni gli argomenti razionali stentano ad imporsi.
Preciso: in Australia hanno buttato via le classifiche delle riviste usata nel 2010 per la valutazione complessiva. Ma non hanno rinunciato ad una lista delle riviste scientifiche.
eccola. http://www.arc.gov.au/era/era_2012/era_journal_list.htm
Consiglio scorrere per 30 secondi il file excel http://www.arc.gov.au/xls/era12/ERA2012JournalList.xls
Poi di aprire uno ad uno i files pdf protetti e senza issn dell’ANVUR.
Il confronto mostra impietosamewte la distanza che separa ANVUR da una agenzia di valutazione che opera con standard professionalmente adeguati.
Caro Guido (Abbattista)
partendo da quello che dici, allora si potrebbe sciogliere l’Anvur (ocn gran risparmio di pubblico denaro) e sostituirli con una segretaria incaricata di trasrivere i dati del Cineca…
e invece non è così perché Gev e Gruppi di lavoro area Cun devono intervenire attivivamente nella confezione della lista delle riviste scientifiche e di fascia A come risulta dal Decreto sulle abilitazionie e da varie menorie Anvur….
(non so chi sia “Anabattista”: spero sia solo, da parte di chi lo ha scritto, una involontaria per quanto sgradevole disattenzione: diversamente, davvero meglio una sigla o uno pseudonimo).
Nessun problema ad ammettere che ho frainteso il messaggio di Manzoli. Sì, effettivamente sembra che anche in quel settore ci sia stato qualche esperto che ha lavorato in un modo che a qualcun altro non è piaciuto: in quello come in altri casi sarebbe interessante una verifica trasparente dei criteri.
(sul cognome: si sono accavallati i messaggi: nessun problema)
Come già sottolineato da alcuni colleghi (che ringrazio) c’era il listone di tutte le riviste su cui hanno pubblicato gli studiosi italiani che includeva ovviamente un certo numero di riviste straniere. Ci si sarebbe aspettati che le migliori di queste riviste venissero inserite nel novero della fascia A, e magari integrate con altre riviste di alta reputazione internazionale su cui altri studiosi, stranieri o ancora non strutturati, hanno pubblicato, per prevedere un sistema minimamente equo e credibile (e per dire ai giovani: cercate di pubblicare dove si fa la ricerca migliore). Invece è venuto fuori il pastrocchio che ho provato a descrivere, e francamente non è accettabile (e so bene che i casi sono tantissimi, come ROARS e altri stanno evidenziando da tempo: io parlo per ciò che conosco meglio). Poi c’erano dei parametri ragionevoli forniti dalle comunità scientifiche e dei parametri forniti dal CUN (per questo ho tenuto a specificare che parlavo a titolo personale) che erano di buon senso e che sono stati cestinati. Questo per quanto attiene alla contingenza dell’assurdità di ciò che ci troviamo di fronte (e il raffronto con ERA è impietoso). Sul resto, la penso esattamente come De Nicolao, e per questo ho tenuto a specificare che non avevo conflitti di interesse: Andrea Rossato ha ragione, è una cosa volgare e in un paese razionale le opinioni verrebbero valutate per se stesse, ma siccome il clima è quello descritto da De Nicolao, non volevo fornire appigli troppo facili: l’olio di ricino mi fa paura!).
I Cahiers du Cinéma sono una bellissima rivista di critica, ma non hanno peer review né international board, quindi non avrebbe molto senso includerli in una lista di riviste scientifiche. Poi, se una commissione sceglie un docente di storia della critica cinematografica perché scrive sui Cahiers du Cinéma, è ovvio che fa solo bene, e anche per questo tutto il meccanismo delle mediane è concettualmente sbagliato.
Provo a offrire un altro tassello per capire se i risultati forniti dall’ANVUR siano prodotti in modo corretto. Al di là delle posizioni filo- o antibibliometriche, quel che più conta è che un’agenzia, che ha lo scopo di valutare la scientificità e serietà degli scienziati e studiosi italiani, sia davvero scientifica, seria e super partes.
Il suo operato perciò deve essere preciso, corretto, e inoppugnabile. L’ANVUR ha deciso di usare un discrimine formale e numerico per definire chi è valutabile e chi no, e di chi può valutare e chi no. Questo discrimine formale-numerico dev’essere ricavato in modo inequivoco, preciso e imparziale. Altrimenti si presenta con le vesti dell’arbitrarietà, se non dell’iniquità, e l’agenzia stessa diventa una contraddizione in sé (=il valutatore non degno del valutato).
Anch’io ho osservato un’anomalia nella formulazione del discrimine per le aree non bibliometriche e per la terza mediana. L’anomalia, già segnalata in alcuni suoi interventi da Luisa Villa, riguarda la lista delle riviste di fascia A della sottoarea disciplinare 10/L1 (lingue e letterature inglese e angloamericana). Per discipline come l’anglistica e l’americanistica, parlare di riviste a diffusione internazionale fa venire in mente importanti journals pubblicati in sedi prestigiose, ampiamente diffusi nel mondo, dotati di serie pratiche di reviewing, presenti in ISI o altre banche dati internazionali ecc., e possibilmente classificati da ERIH. Ce ne sono centinaia. Invece, la lista ANVUR ne elenca solo una trentina e fa posto a circa 50 riviste italiane, spesso non scritte in lingua inglese (l’unica in cui si devono/possono diffondere le ricerche di quest’area per dialogare a livello internazionale); alcune fra queste riviste nostrane non hanno un blind reviewing; molte non sono presenti nei database internazionali e, in breve, non sono propriamente classificabili come di fascia A in base al dettato del DM76 (all.B). Talvolta sono persino completamente estranee alla disciplina (c’è una rivista di studi rumeni, una di studi francofoni, una di studi francesi, una di letteratura tedesca, una miscellanea di cinema e via dicendo, come è già stato notato).
La risposta dell’ANVUR, nel comunicato del 18 settembre, è stata: le riviste internazionali stanno negli elenchi di fascia A solo se già presenti nel database cineca alla data di rilevazione del 15 luglio (= solo se i docenti strutturati vi hanno già pubblicato); altre riviste internazionali per quanto prestigiose, se non inserite in cineca, non possono essere rappresentate nella lista di fascia A. La risposta sarebbe di per sé già insoddisfacente, perché introduce un elemento impropriamente relativo nella definizione di un metro di paragone: se vuoi la pietra di paragone questa non può ricavarsi solo dai ciottoli che raccolgo dal fiume sotto casa – dev’essere più assoluta che relativa. Tuttavia qualcosa non mi tornava nemmeno all’interno della spiegazione ANVUR. Almeno una rivista internazionale forse avrebbe dovuto esserci in quella lista: almeno quella che avevo validata in cineca per la VQR già la scorsa primavera (e che stava in ugov dal 2008). La stessa rivista era stata sicuramente inserita in cineca anche da una mia collega. Perché dunque era assente dalla lista di fascia A, pur essendo molto più pertinente delle molte riviste italiane lì elencate? Poi ho saputo che un altro collega aveva trovato una simile omissione; da un post di Luisa Villa qui in Roars, ho appreso del suo caso analogo rispetto ad un’altra importante rivista inglese.
Ho atteso la (tardiva) pubblicazione del listone delle riviste ‘scientifiche’ dell’area 10, per fare un controllo di quante riviste internazionali di anglistica e americanistica vi fossero elencate pur essendo assenti dalla lista di fascia A. Ho contato più di 40 riviste internazionali, di cui almeno 30 *decisamente* di alto livello e perfettamente pertinenti alla sottoarea 10/L1, che però la nostrana lista di fascia A non contempla (riviste stampate da Oxford UP, Johns Hopkins, Taylor&Francis, Società internazionali, ecc., indicizzate in ISI o classificate in ERIH; ne dò un elenco indicativo in calce §)
L’assenza di quelle riviste internazionali dalla lista di fascia A è già un fatto di per sé stupefacente. Ma l’affermazione contenuta in quella nota dell’agenzia del 18 settembre che l’assenza di quelle riviste dalla lista di fascia A doveva imputarsi alla loro assenza dal database cineca, è ancor più stupefacente perché *non* corrisponde al vero.
L’impressione prodotta da questa anomalia -che non è certo elemento di dettaglio e che si aggiunge a tante altre anomalie- è che l’ANVUR abbia ‘finto’ di costruire un criterio bibliometrico ma non l’abbia saputo produrre nei modi appropriati, nei tempi richiesti e con risultati corretti e coerenti. Lo ammette, e nemmeno troppo fra le righe, la stessa agenzia nella precedente nota del 14 settembre. Lo dicono senza troppi giri di parole le interrogazioni di CRUI, di deputati ed ex ministri, delle consulte.
Sembra chiaro, inoltre, che l’ANVUR s’è trovata molto a malpartito con il problema delle aree che non prevedono criteri bibliometrci, i quali per quelle aree non sono mai stati applicati in alcuna procedura di valutazione di altre nazioni. Tuttavia ha voluto a tutti costi forzare il risultato.
Già l’aver esteso, senza un’adeguata verifica e analisi, i criteri metrici alle discipline che proprio non li accettano (non perché schizzinose o stolide ma perché lo specifico modo di diffondere e validare il sapere varia anche radicalmente da disciplina a disciplina) indica un atteggiamento antiscientifico: quello di chi vuol imporre a tutti costi un metodo (purchessia) sulla realtà, magari infuriandosi se poi la realtà non vi corrisponde, come Serse che fece frustare il mare. Ma anche in quelle discipline in cui i criteri metrici sono più facilmente o normalmente applicabili, lo strumento adottato dall’ANVUR ha mostrato difetti che l’amor di scienza non permette in alcun modo di derubricare a sciocchezze marginali (la normalizzazione per l’età, ecc.).
E’ comprensibile che chi è stato vittima diretta e indiretta (ossia tutte le persone che prendono seriamente il proprio mestiere di studioso) del sistema previgente che in troppi casi ha prodotto storture gravi di irresponsabile cooptazione ora guardi alle ‘mediane’ come il rimedio dei nostri mali, faute de mieux. Ma quest’atteggiamento, per quanto comprensibile e degno di essere preso in serissima considerazione, è simile a quello che in passato ha già spinto a produrre rimedi pasticciati e frettolosi (in Italia si sono cambiate continuamente le regole concorsuali, mai ponderando per bene la misura giusta e utile ma sempre all’insegna dell’ “è ora di cambiare in fretta, e d’ora in poi si farà come dico io, senza obiezioni, e tutto andrà meglio!”).
In più, in questo caso, c’è la corruptio optimi pessuma: la mediana nostrana, frettolosa e non pensata, potrebbe diventare una modalità di corruzione ancor superiore perché, in cambio (forse) di qualche marginale esclusione di impresentabili, potrebbe introdurre una possibilità di manipolazione dall’alto tale da dare giustificazione ‘scientifica’ anche ai peggiori comportamenti che finora abbiamo visto accadere in basso. Inoltre temo che gli impresentabili possano ancora ben intrufolarsi in un sistema che appare un po’ un colabrodo (un anglista o americanista che abbia scritto solo due articoletti per una rivista periferica di studi rumeni è medianicamente più accreditato di un suo collega che avesse scritto ‘solo’ una monografia di 400 pagine per Oxford University o MIT press).
Infine, ciò che questo sistema a tre strati rafforza è proprio il male che ha afflitto il reclutamento universitario, quello della de-responsabilizzazione di chi giudica e assume. La mediana è un valore che si presenta con così tanta forza d’opinione che chi sarà ‘dotato della mediana’ potrà essere facilmente considerato ipso facto idoneo e arruolato: questo de-responsabilizzerà le commissioni più di prima (e paradossalmente allo stesso tempo le esporrà a imprevedibili intemperie giuridiche, comunque esse si muovano). Come potrà un TAR mettere in dubbio un giudizio locale, quand’esso sarà già stato certificato dalla filiera “di qualità” della mediana e dell’abilitazione?
Vorrei tanto sbagliarmi ma l’unica novità che per ora vedo profilarsi all’orizzonte non è l’eliminazione dell’arbitrio della scelta ma la possibile assolutizzazione (certificata) dell’arbitrio della scelta.
Credo che quello della scarsa affidabilità e poca correttezza operativa dell’ANVUR sia il timore maggiore espresso in queste pagine di Roars, che non sarà mai abbastanza ringraziata per il suo paziente e capillare lavoro di watchdogging. Non è un timore trascurabile come pretendono alcuni, infatti ne va dello stesso sistema universitario nelle sue strutture fondamentali e nella sua credibilità.
L’ANVUR, anziché rispettare e prendere in appropriata considerazione il feedback sul suo operato, finora sembra aver avuto solo reazioni indispettite. Questo atteggiamento non è degno di scienziati e studiosi ed è pericoloso per le sorti dell’istruzione superiore italiana. Anche le recenti esternazioni di esponenti dell’agenzia contro la categoria intera degli universitari senza fornire doverose precisazioni (“pubblicano qualsiasi cosa e lo mettono nell’archivio Cineca, li abbiamo fermati”!) sono più degne dei cosacchi sulla scalinata di Odessa che sparano indiscriminatamente nel mucchio, che di colleghi – e pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni.
Non era quello che mi aspettavo da un’agenzia di valutazione.
Flavio Gregori
(§) Elenco alcune riviste internazionali proprie dell’area 10/L1, elencate nel listone delle riviste scientifiche di area 10, che sono state omesse dalla lista delle riviste di fascia A 10/L1.
[Il nome della rivista è seguito fra parentesi dall’editore e, quando disponibile, dalla presenza in ISI e dalla classificazione ERIH (nel caso di due tipologie ERIH la prima si riferisce alla rilevazione 2007, la seconda alla rilevazione 2011)].
American Literary History (Oxford University, ISI, INT1)
American Literary Scholarship(Duke University, INT1, INT2)
Anglia (de Gruyter, ISI, INT2)
Ariel (University of Calgary, ISI, INT2)
Atlantic Literary Review (Connect Ingenta)
Australian Literary Studies (Australian Humanities, ISI, INT2)
Contemporary Poetry Review (Wake Forest University)
Contemporary Women’s Writing (Oxford University, INT1)
Critique (Taylor & Francis, ISI, INT2)
Dickens Quarterly (University of Massachussetts, ISI, INT2, NAT)
English Studies (Taylor & Francis, ISI, INT1)
Essays in Criticism (Oxford University, ISI, INT1, INT2)
European Joyce Studies (Rodopi, INT1, INT2)
Fifteenth Century Studies (Boydell & Brewer)
Irish Studies Review (Taylor & Francis)
James Joyce Literary Supplement (Miami University, INT2, NAT)
Journal of Literary Theory (de Gruyter)
Journal of Modern Literature (Indiana University, NAT)
Journal of Victorian Culture (Edinburgh University, ISI, INT2)
Joyce Studies Annual (Fordham University)
Leeds Studies in English (Leeds University, INT2, NAT)
Literary Imagination (Oxford University, ISI)
Literature/Film Quarterly (Salisbury University, ISI, NAT)
Modern Language Notes (Johns Hopkins University, INT1)
Neo-Victorian Studies (Swansea University)
New Comparison (British Comparative Literature Association, INT1, INT2)
New Theatre Quarterly (Cambridge University, ISI, INT1, INT2)
Nineteenth-Century Theatre and Film (Manchester University, INT2)
Nineteenth-Century Literature (University of California, INT1)
Poe Studies (Washington State University, ISI, INT2, NAT)
Reinassance Drama (Northwestern University, INT1)
Scottish Studies Review (Association for Scottish Literary Studies, Glasgow University, ISI, NAT)
Shakespeare Bullettin (Johns Hopkins University, Muse, INT2)
South Atlantic Review (South Atlantic Modern Language Association, ISI)
Studies in the Literary Imagination (Georgia State University, ISI, INT1, INT2)
Studies on Voltaire and the 18th Century (Oxford University, INT1, INT2)
Textual Practice (Taylor & Francis, ISI, INT1)
The Byron Journal (Byron Society of America, ISI, INT2, NAT)
The Henry James Review (Johns Hopkins University, ISI, INT1, NAT)
The Journal of English and Germanic Philology (University of Illinois, ISI)
The Translator (St. Jerome, ISI, INT1)
Translation and Literature (Edinburgh University, ISI, INT2)
Virginia Woolf Miscellany (International Virginia Woolf Society, Southern Connecticut University)
Wasafiri (Taylor & Francis, ISI, NAT)
Woolf Studies Annual (Pace University, NAT)
(PS non ho controllato le riviste proprie del settore di linguistica inglese, ssd L-LIN/12, ma è possibile che anche alcune di queste siano state lasciate fuori dalla lista di fascia A)
* * *
Queste invece sono le riviste italiane elencate come di “fascia A” per l’area 10/L1.
A fianco del nome della rivista, fra parentesi, c’è la lingua prevalente di produzione e quando disponibile la presenza in ISI e la classificazione in ERIH; infine l’attinenza maggiore o minore con l’area 10/L1 (in breve: l’attinenza piena indica una rivista specifica della sottoarea; le indicazioni da ‘prevalente’ a ‘parziale’, e ‘nessuna’ indicano riviste di contenuto miscellaneo con decrescente presenza -fino a zero- di articoli di anglistica e americanistica; quest’ultima indicazione l’ho ricavata campionando gli indici di alcune annate fra il 2002 e il 2012, quindi è un’indicazione di massima, da verificare per una misurazione fine; in taluni casi ho riscontrato una periodicità irregolare).
rivista (lingua ISI ERIH attinenza all’area L1)
Acoma (inglese/italiano no ISI no ERIH piena)
Aesthetica Pre-print (italiano no ISI no ERIH quasi nessuna)
(cadenza non periodica, sono monografie)
Aevum (italiano ISI NAT parziale)
Allegoria (italiano ISI NAT parziale)
Altre modernità (italiano/inglese no ISI no ERIH parziale)
Anglistica AION (inglese (ISI no ERIH piena)
Annali di Ca’ Foscari (italiano/ingl.occasionale no ISI no ERIH parziale)
Belfagor (italiano ISI INT2, NAT parziale)
Biblioteca teatrale (italiano no ISI no ERIH occasionale)
Critica del testo (italiano no ISI INT2 parziale)
Crocevia (ital./ingl. occas. no ISI no ERIH parziale)
Cultura tedesca (italiano no ISI no ERIH nessuna)
Derek Judaica Urbinatensia (italiano/inglese no ISI no ERIH nessuna)
Elephant & Castle (italiano no ISI no ERIH occasionale)
Fictions (inglese/italiano no ISI no ERIH prevalente)
Francofonia (italiano/francese no ISI NAT nessuna)
Giornale storico della
letteratura italiana (italiano ISI no ERIH nessuna)
Il castello di Elsinore (italiano no ISI no ERIH parziale)
Il confronto letterario (italiano no ISI no EIRH parziale)
Il lettore di provincia (italiano no ISI no ERIH occasionale)
Il mulino (italiano no ISI no ERIH occasionale)
Intersezioni (italiano no ISI INT2 parziale)
La questione romantica (italiano/inglese no ISI no ERIH parziale)
(cadenza saltuaria non periodica)
La valle dell’Eden (italiano no ISI no ERIH nessuna)
Lend (italiano no ISI no ERIH parziale)
Letteratura e letterature (ital./ingl. occas. no ISI NAT parziale)
Letterature d’America (inglese/ital. parz. no ISI NAT piena)
L’immagine riflessa (italiano no ISI no ERIH nessuna)
Lingue e linguaggi (inglese no ISI INT2 piena)
L’ospite ingrato (italiano no ISI no ERIH quasi nessuna)
Memoria di Shakespeare (italiano no ISI no ERIH piena)
(cadenza molto saltuaria non periodica)
Moderna (italiano no ISI NAT occasionale)
Nuova Corrente (italiano no ISI NAT parziale)
Polemos (italiano/ingl. parz. no ISI no ERIH parziale)
Rassegna italiana di
linguistica applicata (ingl./ital./altre no ISI NAT parziale)
Rivista di letteratura italiana (italiano ISI NAT nessuna)
Rivista di letterature
moderne e comparate (italiano/ingl./altre ISI NAT parziale)
Rivista storica italiana (italiano ISI INT1 nessuna)
Romania orientale (italiano/rumeno no ISI no ERIH nessuna)
Rivista studi vittoriani (italiano/inglese no ISI no ERIH piena)
Semicerchio (italiano/ingl. occas. no ISI no ERIH parziale)
Strumenti critici (italiano no ISI INT1 parziale)
Studi comparatistici (italiano no ISI no ERIH parziale)
Studi culturali (italiano no ISI no ERIH parziale)
Studi francesi (italiano/francese ISI INT1, NAT nessuna)
Studi italiani di linguistica
teorica e applicata (italiano/altre no ISI NAT parziale)
Testo a fronte (italiano no ISI NAT occasionale)
Textus (inglese no ISI no ERIH piena)
Caro Flavio, grazie mille per questa lettera, che chiarisce molto bene le magagne delle liste delle riviste del nostro settore anglistico-americanistico, e per implicazione i difetti che pervasivamente viziano il ‘sistema’ di valutazione messo in piedi dall’ANVUR relativamente alla terza mediana.
Mi è stato detto che ci sono importanti riviste di Linguistica inglese che sono state lasciate fuori dalla classe A. Una, per certo (mi è stata segnalata dal collega Broccias), è English Language and Linguistics, che risulta regolarmente nel listone, è pubblicata da Cambridge UP, ed è INT 1.
Inoltre, a completamento del tuo discorso (ma la cosa si riallaccia bene anche all’articolo di Manzoli), si potrebbe esplicitare che la ragione principale delle storture della lista anglistica-americanistica sembra essere lo sforzo (lodevole, ma fuorviato nei modi) di ‘salvare’ l’interdisciplinarità. La vera interdisciplinarità sarebbe tutelata accettando, preventivamente, che contassero come pubblicazioni scientifiche “eccellenti” quelle degli anglisti e americanisti che venissero pubblicate nelle riviste reputate di classe A da altri settori o aree (storia, filosofia, sociologia, arte ecc.) — nel caso in cui fossero davvero riviste eccellenti, naturalmente. Qui invece si è scelto di infarcire di riviste solo marginalmente rilevanti (forse di classe A per altri settori? alcune sicuramente; tutte non so…) la lista delle riviste di anglistica. E dato che non tutte (o quasi tutte) le riviste possono essere dichiarate eccellenti, bensì solo una proporzione di esse (si è parlato, per i GEV, del 20%; nessuno ha chiarito se questa proporzione sia stata mantenuta dai Gruppi di Lavoro), la conseguenza dell’inclusione delle riviste “che non c’entrano” o che “c’entrano tangenzialmente” ha prodotto di necessità la retrocessione in serie B di un notevole numero di riviste internazionali importanti.
Cari Flavio e Luisa,
avete perfettamente ragione e vi ringrazio per avermi spiegato attraverso una descrizione dettagliata cosa sta succedendo nella vostra disciplina (meno ridicolo di quanto accade nella mia, ma altrettanto grave).
Io non sono affatto contrario a stabilire “criteri e parametri”. Anzi, oggettivare una serie di cose aiuterebbe a limitare entro un margine ragionevole i poteri delle commissioni.
Però, una cosa è fissare “criteri e parametri”. Per esempio: in termini generali, per aspirare al ruolo X bisogna avere i seguenti titoli: PhD, Y anni di insegnamento, Z pubblicazioni. Ancora, per essere considerate “scientifiche”, le riviste e le collane editoriali devono soddisfare i seguenti requisiti: peer review, international board, avere una certa diffusione e certi standard. Cosa completamente diversa è fare i “listoni”.
Se poi i listoni vengono fatti in fretta e furia, attraverso una consultazione informale di amici e amici degli amici (con l’aleatorietà del fatto che alcuni amici sono intelligenti e altri non hanno idea di quel che fanno), da persone che non hanno alcuna competenza in materia e con meccanismi per nulla trasparenti, eccoci nel regno dell’arbitrio che avete descritto.
Quanto poi all’idea di costruire il tutto in base a categorie pragmatiche ma culturalmente insostenibili come i Settori Scientifico Disciplinari e le Aree CUN, beh, credo che qui si rasenti il grottesco. Ci vogliamo rendere conto, per dire, che i latinisti sono in area 10, gli storici romani in area 11 (assieme agli psicologi o ai geografi) e gli etruscologi di nuovo in area 10? Aree e SSD sono un modo per organizzare le persone, non certo i saperi.
Il disastro è che con questo sistema si è – temo – messa una pietra sopra a qualunque tentativo serio di costruire agenzie di valutazione e criteri credibili di garanzia qualitativa della ricerca anche in aree non bibliometriche. Insomma, alla fine della fiera, come hanno detto all’Anvur e come ha ribadito il Ministro, si sta facendo il fantacalcio, poi si dovrà scendere in campo e lì – non vi preoccupate – le commissioni faranno quello che vogliono. Nel frattempo, saremo il solo paese al mondo che INVESTE NELLA VALUTAZIONE DELLA RICERCA (SI PARLA DI 80 MILIONI DI EURO PER IL PRIN 2013…) PIU’ DI QUANTO INVESTE NELLA RICERCA STESSA.
Un breve post all’intervento di Giacomo manzoli e di chi mi ha preceduto. Il settore scientifico l-art 06 è di fatto, per sua natura, un macro settore di disciplinare. In esso convergono studiosi di pievese provenienze e metodologie di analisi e ricca: storici, semiotica, studiosi di estetica e letteratura, sociologi, antropologi.
E del resto contributi alle ricerche sui media provengono da diverse aree, perché diversi oggetti sono suscettibili di analisi, e metodi diversi sono possibili, dalle ricerche economiche, alle ricerche psicologiche e cognitive, alle ricerche di area informatica- basti pensare al terreno dei nuovi media e della convergenza digitale. Detto ciò la questione riviste diviene cruciale, sia nel senso delle liste, che della reciprocità di classificazione di fascia – considerando la debolezza e la contraddizioni della proposta stessa, e la debolezza strutturale del principio delle mediane. Scrivere su riviste di area 11 o 14 o addirittura immaginare una collaborazione con informatici diventerebbero questa logica, il lusso di fine carriera, senza tener conto di comportamenti opportunistici nella scelta di temi di ricerca ecc, fatali sul lungo periodo, e probabilmente già in atto. Ma la questione mediane e contenuti e metodi di ricerca si fa cruciale a livello di SSD nella logica del sorteggio: in un macrosettore che raccoglie studiosi di teatro, di media, enomusicologi, musicologi, commissioni
Enomusicologi? Non so cosa facciano, ma promette benissimo!
Va integrato scusate..
Commissioni di studiosi di cinema dovrebbero valutare studi sulla Musica barocca o elettronica, sulle sacre rappresentazioni e sulla drammaturgia contemporanea, e viceversa studiosi di musica e teatro valutare lavori di ricerca sui reality e sul cinema dei paesi dell’est negli anni sessanta ecc…con buona pace della lettura dei lavori delle per review e quant’altro…a voi un giudizio..
Va integrato scusate..invio errato
Commissioni di studiosi di cinema dovrebbero valutare studi sulla Musica barocca o elettronica, sulle sacre rappresentazioni e sulla drammaturgia contemporanea, e viceversa studiosi di musica e teatro valutare lavori di ricerca sui reality e sul cinema dei paesi dell’est negli anni sessanta ecc…con buona pace della lettura dei lavori delle per review e quant’altro…a voi un giudizio..
A Flavio Gregori, in ritardo.
Grazie per il bellissimo post e per l’enorme lavoro sulle omissioni (e ammissioni)in fascia A delle riviste “pertinenti” al sc 10/L1. Se Gev ed esperti avessero lavorato così! Ma proprio perché ho letto tutto con estrema attenzione, volevo esprimerti alcune riserve. Queste discendono di fatto dai concetti o nozioni di “pertinenza” o di attinenza, e di interdisciplinarità. Discorso troppo lungo per chi ha nostalgia di aggregazioni di saperi che si confrontano essenzialmente sul metodo. (Confessione personale: quando ho pubblicato su Poe e Jules Verne non ho trovato una sede più qualificata della “Rivista di letterature moderne e comparate” in Italia, e in Francia di “Romantisme”; quando dovevo pubblicare studi di carattere filologico: “Cultura neolatina”). Bei colpi assestati a una disciplina (lingua e letteratura francese), che in Italia muore di asfissia culturale e di arrangiamenti clientelari. Certo, nella tua lista ci sono riviste non pertinenti: Francofonia, Studi francesi e il glorioso Giornale storico della letteratura italiana, per esempio. Ci siamo già detti su Roars che inclusioni del genere rivelano favoritismi inconfessabili. Ma è il sistema che è sbagliato: ho la libertà di scrivere dove voglio, eccetto che sulle riviste suiniche o con foto di Briatore. L’elenco delle riviste di eccellenza dovrebbe prescindere dalle appartenenze strette, dovrebbe essere un elenco in ordine alfabetico, ma scelto e meditato. I commissari devono leggere gli articoli e non piegarsi a criteri preventivi e meccanicistici. In questo senso, spezzo una lancia (ma non hanno bisogno di me come lanciere) per: Belfagor, Biblioteca teatrale, Il castello di Elsinore, Il confronto letterario, Critica del testo, Intersezioni, Strumenti critici. Meno male che esistono e che qualche specialista di una letteratura straniera ci pubblica.
@marielladimaio Ma certo, anch’io scrivo spostandomi da una disciplina all’altra e sono grato per l’esistenza delle riviste che citi.
Come hanno già osservato Richard Ambrosini, Giorgio Israel e altri, la vera sostanza del discorso è che non ha alcun senso fare queste classifiche di fascia A B C eccetera se non a scopi puramente statistici e indicativi (come dice con chiarezza ERIH) dunque non per valutare individui; e che non ha senso pre-valutare (e ‘scremare’) qualcuno in base al luogo in cui pubblica, senza nemmeno leggere quello che vi ha scritto. Già che ci siamo, aggiungo che non ha alcun senso nemmeno stabilire per decreto che le sedi di diffusione del sapere da prendere in considerazione per una valutazione della qualità siano solo le riviste. Sappiamo tutti benissimo che molti saggi che vengono pubblicati in volumi importanti, curati da esperti di valore, sono tanto rappresentativi e diffusi quanto articoli pubblicati in riviste prestigiose; almeno nelle discipline umanistiche.
Il vero motivo per cui io ho analizzato (artigianalmente) quelle esclusioni ed inclusioni è per fingere di stare al gioco dell’ANVUR e controllare se almeno il gioco sia stato giocato correttamente in base alle sue regole.
Le ‘regole’ (DM76, all.B, c. 2, lett. a) impongono che in fascia A ci siano le riviste a diffusione internazionale (e per anglistica non possono essere che quelle in cui si scrive in inglese), presenti nelle maggiori banche dati (ISI e ERIH, per es.) e dotate di procedure di revisione rigorose. Inoltre un corollario, ribadito per conto dell’ANVUR da Andrea Graziosi ed altri, è che le liste dovrebbero diventare anche prescrittive, ossia l’insieme delle migliori collocazioni editoriali a cui i docenti dovranno puntare per rendere i propri lavori di alto valore (è un corollario di quelle regole, *non* un mio corollario). Perciò anche la pertinenza delle riviste alla disciplina è una condizione formale per essere incluse nella lista di fascia A: se tale lista dovrà orientare gli studiosi a collocare le proprie pubblicazioni nelle sedi più giuste del proprio settore di studi, le riviste devono essere attinenti al settore.
A leggere l’elenco delle riviste in fascia A per 10/L1, e *stando alle regole del gioco ANVUR*, il gioco è stato giocato male per la presenza di tante riviste che non hanno le caratteristiche previste dal DM76 (buoni o cattivi che siano gli articoli in esse contenuti), e per l’esclusione da quella lista di tante riviste che invece possiedono tutte le caratteristiche previste dal DM76.
Quando ha capito che il gioco è stato giocato male, l’ANVUR ha detto (nota del 18/09 modificata il 24/09) che le regole erano state applicate correttamente, perché le riviste giudicate assenti lo erano solo perché non inserite in cineca: questo non corrisponde a verità.
Un’agenzia che valuta dev’essere, rispetto a coloro che son valutati, sempre precisa e sempre onesta. Il piccolo controllo che ho fatto mi suggerisce che l’agenzia non è stata precisa, né onesta. Questo è grave: è una rottura unilaterale da parte dell’ANVUR del patto fiduciario che io ho stretto con essa.
Mi sembra che le consulte di area 10 siano giunte alla stessa conclusione (https://www.roars.it/?p=13081).
* * *
Più in generale, quel che mi preoccupa al fondo di questa faccenda delle mediane ecc. è come si sia usato uno stato di eccezionalità, dovuto anche ai cattivi comportamenti dei docenti (ma soprattutto a scelte economiche e politico-sociali di delegittimazione dell’istruzione iniziate anni fa), per esautorare i soggetti dalla loro attività e vita concreta e sostituirla con un’artificiosa ma sempre più ineludibile adesione a princìpi di automatizzazione dei comportamenti. La piena responsabilità e libertà soggettiva (che per quanto sfigurata da cattivi comportamenti continuo a preferire) è sostituita con la pseudo-oggettività di regole di funzionamento, decretate come assolute ma che in realtà sono dipendenti da opportunità pragmatiche (efficienza, performance, produttività). La valutazione concorsuale ‘oggettiva’ è un primo tassello, poi l’accreditamento demandato a un benchmarking di utilità, eccetera. Non è un caso che, qui dentro, chi ha cercato di difendere il valore intrinseco ha fatto riferimento al *diritto*, resistendo alle richieste imperiose dell’opportunità oggettivata.