Come molti hanno sottolineato, il sistema delle mediane, basate sul popolamento volontario dei siti docente e su una selezione operata dall’alto, in via semi-informale, da consessi costituiti attraverso misteriosi meccanismi di cooptazione, ha prodotto risultati spesso inverosimili. Alcuni di questi sono così trasparenti, nella loro illogicità, da costituire un’ottima cartina di tornasole per verificare quanto possa rivelarsi deleterio un sistema basato su presupposti sbagliati. Il caso che desideriamo qui sottolineare riguarda un settore concorsuale nell’ambito del quale si è realizzato – al livello della scelta delle riviste che compongono la famosa Fascia A – un piccolo capolavoro*.

Non era semplice, infatti, contraddire in una forma tanto facilmente comprensibile da tutti quei principi di oggettività meritocratica e di spinta verso l’internazionalizzazione (specie anglofona) che sono costantemente invocati come pilastri della riforma. Parliamo del SSD L-Art/06, denominato “Cinema, fotografia, televisione”, ora confluito nel macrosettore concorsuale 10/C1. Non è un settore piccolo e residuale e tratta questioni che, specie nel nostro paese, appaiono di un certo rilievo. L’elenco delle riviste per il macrosettore comprende, complessivamente, 48 testate. Sulle riviste che riguardano gli altri SSD (L-Art/05, L-Art/07 e L-Art/08) non abbiamo competenza per esprimerci. Le riviste relative ad L-Art/06, invece, sono ben note. Sei di esse sono riviste italiane (una è plurilingue) e soddisfano ampiamente i criteri richiesti, fotografando in modo efficace lo stato della pubblicistica scientifica italiana. Dove si realizza il capolavoro, però, è nella scelta delle riviste straniere. Non serve un esperto, infatti, per capire che il settore che studia il cinema e la televisione ha trovato (da decenni) la sua sede  più vitale nei paesi dove la produzione cinematografica e televisiva è più avanzata (incomparabilmente più avanzata: è un dato quantitativo oggettivo, non un giudizio di valore) e dove si trova il sistema accademico di gran lunga più ricco, dinamico, a più forte vocazione internazionale.

Stiamo parlando, ovviamente, dei paesi anglosassoni, Stati Uniti in testa e Regno Unito a seguire. Bene, il capolavoro consiste nell’essere riusciti a predisporre una lista di riviste straniere di Fascia A nella quale compaiono solo tre testate, e nessuna delle tre è in inglese. Meglio: una di esse, francese (Iris), ha terminato le pubblicazioni nel 2006. Un’altra, sempre francofona, è canadese (Cinémas). E’ rivista seria e prestigiosa ma solita dedicarsi ad aspetti, per così dire, settoriali della disciplina. La terza, Kintop, è una rivista tedesca, cessata nel 2007. In sostanza, alla prova dei fatti, l’indicazione che si ricava dalla lista delle riviste di Fascia A per quanto riguarda gli studi accademici italiani sul cinema, la fotografia e la televisione (che include anche i nuovi media audiovisivi…) è che si possa prescindere totalmente dalla conoscenza della lingua inglese e all’estero valga la pena pubblicare su una sola rivista in tutto il mondo.

In tutto il contesto americano e inglese, infatti, non esisterebbe una sola rivista degna di figurare in Fascia A per il nostro paese. E’ una ben bizzarra idea dei canali che la nostra ricerca deve seguire se vuole collocarsi su uno scenario globale, rifiutando di prendere in considerazione riviste che pure avevano ospitato saggi e articoli di studiosi del nostro paese e che quindi erano incluse nelle liste del Cineca: Media Culture & Society, The Journal of Moving Image Studies, Critical Studies in Television, The Italianist e altre. A ulteriore prova dell’inspiegabile illogicità dei risultati di questa selezione, il fatto che le tre riviste straniere incluse hanno ospitato rispettivamente 1 (Kintop), 3 (Iris) e 4 (Cinémas) contributi di studiosi italiani fra quelli inseriti nell’anagrafe Cineca. Dunque non sono esattamente frequentatissime.

C’è bisogno di aggiungere altro? E’ questa la razionalità scientifica, l’oggettività, la spinta ad allargare gli orizzonti di cui si parla? In effetti sì, qualcosa da aggiungere c’è. E’ nostra convinzione che quanto sopra descritto sia il risultato grottesco e potenzialmente disastroso di una procedura condotta frettolosamente e in maniera approssimativa.

Ma c’è un difetto di fondo che riguarda questo come tutti gli altri settori – per così dire – di confine. Supponiamo che uno studioso di cinema raggiunga risultati significativi nella ricerca, tali da consentirgli di pubblicare sulle più prestigiose riviste di storia contemporanea (Area 11), di sociologia (Area 14), di economia (Area 13). Ci fermiamo qui per non allargare troppo il campo. Sono casi tutt’altro che infrequenti. Se uno storico del cinema scopre che esiste un film in cui si dimostra che Lenin ha preso parte alla marcia su Roma, vale forse la pena che proponga la sua scoperta agli storici contemporanei. Se uno studioso di televisione realizza un’indagine sulle audience giovanili, vale la pena che lo proponga in prima battuta ai sociologi. Se uno studioso di cinema analizza la produzione delle film commission (si chiamano così, in inglese!, nelle normative che le costituiscono…) regionali, può essere motivato a sottoporlo prima di tutto agli economisti. Questo non fa di lui un sociologo, non fa di lui uno storico, non fa di lui un economista. Fa di lui uno studioso di cinema che mette le sue competenze a disposizione dei diversi campi del sapere che possono giovarsene.

Peccato che il sistema attuale lo disincentivi totalmente a questa apertura, non riconoscendo alcun valore scientifico a questi suoi studi che magari trovano spazio sulle sedi editoriali di maggior prestigio delle altre aree e degli altri settori. Nessuna spinta verso l’estero. Nessuna pietà per il meticciato, il lavoro d’equipe e la contaminazione, ma un messaggio chiarissimo verso l’autarchia nazionalista e l’autoreferenzialità legata ai SSD. Peccato che gli studiosi internazionali più stimati e citati nel campo della disciplina siano tutte persone che si occupano di cinema e/o televisione a partire da campi trasversali: sociologia (media, gender, cultural studies), italianistica (Italian studies), storia contemporanea, etnografia del consumo, comparatistica, filosofia, e molto altro. Qualche nome? Henry Jenkins, Fredric Jameson, Stanley Cawell, Dudley Andrew, Richard Dyer, Slavoj Žižek, Millicent Marcus, Vivian Sobchack, David Forgacs e altri di coloro che hanno segnato gli studi sul cinema, la televisione e i media audiovisivi degli ultimi vent’anni, nel nostro come in tutti gli altri paesi del mondo, non solo faticherebbero a passare almeno un paio delle tre mediane fissate dall’ANVUR, ma sarebbero fortemente incentivati a cambiare strada se volessero avere diritto di cittadinanza, in Italia, nel campo di studi al quale essi stessi hanno dato un impulso sostanziale. Se c’è una logica in tutto questo, è probabilmente possibile vederla solo da quella galassia di Andromeda, protagonista di un celebre sceneggiato degli anni settanta, dove ANVUR sembra essersi ritirata a stilare le sue liste.

 

* Si tratta del SSD di chi scrive. A tal riguardo tengo a precisare quanto segue: in questo caso intervengo appunto a titolo personale e non come rappresentante degli associati dell’area 10 presso il CUN. Inoltre, a scanso di equivoci su eventuali conflitti di interesse, desidero anche specificare che supero ampiamente la mediana relativa alle riviste di fascia A, come facilmente verificabile dal curriculum pubblicato nel mio sito docente.

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31 Commenti

  1. @Flavio Gregori,
    d’accordo con i tuoi chiarimenti e approfondimenti. Adesso è urgente che, come primo riconoscimento di un fallimento totale, vengano ritirate le liste delle riviste. Ritoccarle o annullarle non servirebbe a nulla. Ma poiché queste liste sono state rese pubbliche, i lettori di Roars vorrebbero finalmente conoscere TUTTE le relazioni finali dei gruppi di lavoro che hanno contribuito a crearle.

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