Si è discusso spesso sull’uso della matematica in economia. C’è chi sostiene che usare la matematica sia evidenza di quel rigore formale che fornirebbe all’economia lo status di scienza esatta sull’esempio della fisica: ad esempio Luigi Zingales scrive nel suo Manifesto Capitalista:

La storia della fisica nella prima metà del XX secolo è stata una straordinaria avventura intellettuale: dall’intuizione di Einstein del 1905 sull’equivalenza tra massa e energia alla prima reazione nucleare controllata del 1942. Lo sviluppo della finanza nella seconda metà del Novecento ha caratteristiche simili”.

D’altra parte c’è invece chi sostiene che la matematizzazione dell’economia sia una maniera di formalizzare un problema che per sua natura non può essere formalizzato. In realtà entrambe le prospettive sono criticabili: se da una parte l’uso della matematica nell’economia neoclassica sembra ricalcare l’uso ottocentesco della meccanica razionale che si propone di trovare una soluzione di “equilibrio” che è il punto d’incontro tra domanda e offerta con dei vincoli esterni, dall’altra parte l’utilizzo della matematica moderna può essere utile anche in economia se appropriatamente accompagnata dall’introduzione di concetti moderni.

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Ne discute nel suo libro “Previsioni. Cosa possono insegnarci la fisica, la meteorologia e le scienze naturali sull’economia” (edizioni Malcor D’, 2014) Mark Buchanan, fisico ed editorialista della prestigiosa rivista Nature, che si avventura in un avvincente excursus sulle idee e i concetti che sono alla base della teoria economica neoclassica, oggi dominante, e cerca di chiarire quale sono i concetti sviluppi nella fisica statistica, dei sistemi caotici e complessi – sviluppata nell’ultimo secolo – che possono essere utili alla modellizzazione dei sistemi economici e che al momento non sono in alcun modo considerati dall’economia neoclassica.

L’autore paragona gli economisti neoclassici a meteorologi che si ostinano prevedere il tempo trascurando tempeste e uragani: l’analogia tra l’economia e la meteorologia fornisce uno dei fili conduttori poiché le turbolenze atmosferiche sembrano avere molto in comune con gli alti e i bassi dei mercati finanziari e forniscono interessanti spunti per capire i limiti dell’ipotesi della stabilità economica. In questa situazione, nota Buchanan, la crisi non può essere prevista (e, infatti, non è stata prevista) semplicemente perché non è neppure concepita: l’economia neoclassica è fornita di una veste matematica, apparentemente simile a una scienza naturale, ma non è capace di descrivere la realtà, come il fallimento di ogni previsione mette chiaramente in luce. In fisica si possono trovare tanti esempi di teorie matematicamente corrette ma del tutto irrilevanti poiché basate su ipotesi errate: dunque queste teorie portano a risultati contraddetti dagli esperimenti. Se un esperimento è in disaccordo con la teoria non si conclude che questo discredita il metodo quantitativo quanto piuttosto si ragiona sulle ipotesi su cui è basato il modello e si identificano quali sono quelle sbagliate. E ovviamente si cambia modello: più del rigore matematico è importante la rilevanza fisica, in altre parole il confronto con la realtà.

(Pubblicato su Il Fatto Quotidiano)

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24 Commenti

  1. Il dibattito sui modelli matematici in economia ha degli aspetti inquietanti poiché ripropone questioni che nella comunità’ scientifica sono ampiamente chiarite. Molti economisti non riescono a capire che i limiti di un modello sono i limiti delle ipotesi iniziali. Se modellizzo un fenomeno che dipende da 10^23 variabili, posso scrivere (sic!) 10^23 equazioni, avere il “modello di Dio” e poi ovviamente non essere in grado di fare nulla. Posso al contrario rinunciare alla perfezione di avere una informazione completa e dare una descrizione, di grandezze mediate e avere qualcosa più trattabile. Pagherò la semplicità’ del nuovo modello con un prezzo vale a dire una parziale perdita di informazione. Esiste una competizione tra la complessità e la capacita’ di avere modelli semplificati con cui sia possibile dare qualche risposta.
    Ogni scienziato serio nel disegnare una teoria o costruire un modello deve circoscrivere i limiti di applicazione di quello che propone, l’uso di dati sperimentali e’ uno dei possibili modi.
    La matematica non e’ stregoneria ma solo un modo per dedurre conseguenze logiche da premesse date, per molti economisti il problema risiede nella parte logica.
    Infatti proprio per questo sono diventati gli sciamani della modernità. Ma come i preti e gli sciamani dell’ antichità molti di loro sono essenzialmente uno strumento (ben remunerato) di gestione del potere da parte delle oligarchie finanziarie. Adesso la colpa della crisi e’ dei modelli matematici che sono colpevoli dei derivati, dei junk bonds dei subprime etc. I matematici sono quasi peggio del combinato disposto tra Massoneria, Opus Dei e la Spectre (vedi James Bond). Sono loro con la loro malvagità ad avere confuso le idee ai poveri economisti.
    Non credo valga la pena di analizzare puntualmente quello che dicono o scrivono molti di costoro, si tratta di argomenti strumentali a cui probabilmente non credono neanche loro stessi e poi in ogni caso la stampa di regime non pubblica repliche.

  2. Questo post mi interessa per due motivi. Come economista (eterodosso), non posso che condividere la critica all’uso eccessivo della matematica in economia. Vorrei pero’ sottolineare anche le “nostre” colpe: la mancanza di una proposta metodologica alternativa che fornisca risultati migliori. La percezione diffusa tra molti colleghi mainstream di fronte alle critiche (correggetemi se sbaglio) e’ che l’unica alternativa alla formalizzazione matematica sia la narrativa storica, cioè sostanzialmente la rinuncia a qualsiasi tentativo strutturazione teorica dei fenomeni economici. La mia opinione è che i fallimenti della teoria standard (nel prevedere la crisi, ma anche in molti altri contesti) sono dovuti non tanto nell’uso eccessivo della matematica, ma alle ipotesi irrinunciabili di equilibrio e razionalità, che la portano a concentrarsi su quella parte di realtà che più si adatta alla conferma della ipotesi piuttosto che sui fenomeni veramente rilevanti.

    Questo mi porta al secondo motivo di interesse, credo anche per Roars, di questo post: mostrare come un criterio di valutazione della ricerca influisce sul contenuto di una disciplina.

    Come tutti i ricercatori universitari sono valutato in funzione della qualità delle riviste su cui pubblico. Le riviste di maggior prestigio mondiale accettano esclusivamente articoli che non mettono in discussione i fondamenti dell’approccio dominante, in particolare equilibrio e razionalità, a prescindere dall’interesse dell’argomento o dal rigore con cui è presentato. Di conseguenza, un paper che ottiene risultati migliori di quelli standard usando un metodo diverso non ha spazio su queste riviste, tantomeno un lavoro che metta in discussione i principi basilari della teoria. Quindi, al momento di valutare un possibile progetto di ricerca, sono obbligato a scegliere tra quello che mi può servire per la carriera e quello che reputo più interessante. Questo ovviamente è un problema per il singolo, ma la cosa peggiore è che in ambedue i casi la teoria non sarà mai sfidata. Nel primo caso perché rinuncio del tutto al tentativo di trovare e correggere eventuali errori della teoria. Nel secondo perché i contributi critici, forse corretti, saranno sempre considerati di scarso valore perché compaiono su riviste di scarsa rilevanza, e quindi non avranno la forza accademica di imporre rivisitazioni della teoria.

    Non ci si deve sorprendere quindi che la teoria economica mainstream sia in grado di sopravvivere tranquillamente ai suoi fallimenti: nessun economista sano di mente (o solo che voglia vincere una posizione) si permetterà mai di sfidarla.

    • Non e’ l’uso della matematica ad essere sbagliato, ma l'”uso sbagliato” della matematica.

      :-(

      FSL sta dicendo che si possono formulare tante teoria matematiche alternative a partire da assiomi diversi. Ma, come in Fisica, anche in Economia deve (dovrebbe) prevalere l’evidenza empirica. Se i dati empirici mostrano che la teoria matematica non funziona bisogna cambiare la teoria matematica, e non i dati empirici!!

      :-)

      Purtroppo molti economisti non sanno bene la matematica. Ed avendo, con grande grande fatica, imparato una teoria matematica continuano ad usarla anche se non funziona. Troppo grosso sarebbe per loro lo sforzo per imparare altre cose di matematica.

      :-o

      La cosa triste e’ che anche i matematici che si occupano di economia sono piuttosto rigidi ai cambiamenti (di fatto riescono solo a dimostrare esattamente quello che i fisici teorici hanno detto molti anni prima).

      ;-)

      Ok, adesso un finanziamento da Soros me lo sono guadagnato anche io.

      ;-)

    • Grazie del commento Marco Valente, quello che lei descrive è il problema politico della valutazione in economia. Si tratta infatti di un problema politico di prima grandezza che interessa (ovvero dovrebbe interessare) tutta la società e non essere limitata a una (molto spesso retorica) discussione accademica, visto l’impatto politico degli economisti e delle loro pseudo-teorie (sempre con rispetto, ci capiamo a chi sia il riferimento). Ne ho discusso qui http://www.syloslabini.info/online/il-problema-politico-della-valutazione-in-economia/ seguendo le cose che mi sembra di aver capito dai lavori di Donald Gillies.

  3. Due o tre precisazioni, veloci, anzi molto veloci.
    Parlare dell’assiomatizzazione della teoria economia citando Zingales e non K. Arrow, premio Nobel e padre di tutta ala formalizzaizone è come parlare di teoria della relatività senza citare E.
    Circa il ruolo della matematica, o meglio dell’assiomatizzazione nell’economia, anche la teoria non ortodossa usa i teoremi sulle matrici, rimando al momnumentale elogio della teoria economica di F. Hahn.
    Circa il carattere non predittivo, ma descrittivo dell’economia suggerisco qualche approfondimento.
    Circa il paragone con la fisica ricordo che a tutti gli studenti die conomia è nota la differenza tra la mela di newton e la mela di Keynes.
    Infine che l’economia oggi sia identificata con della cattiva statistica questo non è un problema dell’economia ma di chi la usa.
    Infine circa il giudizio sui profeti suggerisco di leggere il monumentale The Map and Territory di A. Greenspan secondo cui l’uso della statistica per predire l’andamento dei mercati finanziari è senza senso.
    Per inciso un economista Kakutani ha elaborato il teorema del punto fisso.

    • Se è interessato alla critica del concetto di stabilità le consiglio di leggere il libro di Buchanan, in cui c’è una certo approfondimento che parte da Walras per discutere Arrow, Debreu, Fama e Lucas & co. La frase di Zingales l’ho riportata perché in poche righe riassume un punto di vista che, per quanto diffuso, a mio parere è fuori dal mondo. Da fisico mi sembra davvero pseudo-scientifica la maniera in cui il concetto di equilibrio (e di equilibrio stabile!) viene usato nella teoria dei mercati efficienti ecc. E’ noto che quella teoria economica predice che le crisi non si possano prevedere ma è proprio questa la ragione per cui è una teoria pseudo-scientifica.

  4. Infatti F. Hahn che forse di GEE se ne è occupato parla di “arte” e non di scienza. Le faccio notare che in una memorabile lezione un famoso matematico-economista fiorentino rappresentò il modello sraffiano come un caso particolare di un GEE. se il discorso va su modelli dinamici stocastici, come lei ben sa ci sono molti probemi,tanto è che famoso manuale di otdin stoc inizia dicendo che il livello più alto della tecnologia sviluppato dal genere umano è lo space shuttle che risolve un sistema di tre eq. che rispetto a un sistema economico è molto semplice. Il fatto di non predire, non rappresenta un indice di pseudoscientificità: anche la tettonica a zolle non predice i terremoti o sbaglio. Il problema è che l’economia fa altro, ma il rpoblema è cosa si cerca. Comunque gli economisti usano anche l’entropia non estensiva e questo dovrebbe rallegrarla.

    • Allora siamo d’accordo è arte: è la stessa cosa che dico io, la scienza è davvero un’altra cosa. Il fatto che economisti usino l’entropia non estensiva non fa che riaffermare la mia più stretta convinzione: gli economisti neoclassici-liberisti-agentirazionali-mercatiefficienti ecc. (tanto per capirsi bene su cosa intendo con la parola economisti in questo ambito) dovrebbero semplicemente mettersi l’anima in pace e accettare il fatto che dall’800 a oggi la fisica ha fatto dei progressi concettuali mentre loro sono ancora fermi alla meccanica razionale newtoniana e al moto browniano. Lo hanno detto tutti quelli che hanno studiato qualsiasi cosa di economia moderna e sanno di fisica e complessità. Il fatto che gli economisti lo rifiutino fa parte di quella forma di autismo in cui è precipitato il campo. Per quanto riguarda i terremoti il problema delle previsioni è completamente diverso (e anche qui un minimo di approfondimento non sarebbe male farlo): le faglie si muovono regolate secondo le leggi dell’elasticità che sono leggi note, deterministiche oltre che ovviamente universali. Il problema per i terremoti è che non si può avere accesso allo stato del sistema perché non si può osservare a centinaia di km sotto terra: tutto qui. Ma i sismologi fanno bene il proprio lavoro quando identificano le zone sismiche e si occupano di prevenzione (in Giappone o in California qui da noi bisogna passare per la politica purtroppo). Esattamente quello che gli economisti di cui sopra non fanno perché credono, come fosse un dogma religioso, che i mercati si autoregolino e tendano naturalmente all’equilibrio stabile. Il fatto grave è che di queste fesserie riempiono pagine di giornali tutti i giorni e teste (generalmente vuote) di politici ignoranti, oltre ovviamente a fare una selezione accademica in base a criteri pseudo-scientifici.

  5. Guardi predire ha un significato molto preciso. Anche l’economia è in grado di dire che si sta andando verso uan crisi il problema è quando, come sempre dipende da come si leggono i dati e che in contesto li si inserisce. Poi che i mercati siano in grado di autoregolrsi non lo dice nessuno, neanche chi parla di aspettative razionali, le cose non sono cosi banali. Comunque Keynes, come lei sa scrive un trattato sulla probabilità per parlare di aspettative, che sono il cuore della teoria economica, il resto è contorno, come può constatre leggendo La Teoria Generale. Il suo gudizio mi sembra molto ingeneroso e confonde le scelte dei politici e le vulgate dei quotidiani con la teoria economica, che è un’altra cosa.

    • Diciamo che sono risalito alle fonti primarie, Zingales ma anche Giavazzi e Alesina, per non parlare dei piccoli replicanti de lavoce.info o addirittura di NfA dicono esattamente le stesse cose.
      .

      “La mia tesi in questa conferenza è che la macroeconomia, nel suo senso originario, ha avuto successo: il suo problema centrale della prevenzione di depressioni è stato risolto, per tutti gli scopi pratici, ed è, infatti, stato risolto per molti decenni”. (Robert Lucas, 2003)

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      “Sono scettico sulla tesi che il problema dei mutui subprime contaminerà l’intero mercato dei mutui, che la costruzione di alloggi verrà a una battuta d’arresto, e che l’economia scivolerà in una recessione. Ogni passo in questa catena è discutibile e non è stato quantificato. Se abbiamo imparato qualcosa dagli ultimi venti anni è che c’è parecchia di stabilità integrata nell’economia reale”. (Robert Lucas 2007)

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      “Una cosa che non possiamo avere, ora o mai, è un insieme di modelli capaci di prevedere improvvise cadute del valore dell’attività finanziaria, come il declino che ha seguito il fallimento della Lehman Brothers. Questa non è una novità. E’ noto da più di quaranta anni ed è una delle principali implicazioni della “ipotesi dei mercati efficienti” di Eugene Fama, in cui si afferma che il prezzo di un’attività finanziaria riflette tutta l’informazione pertinente generalmente disponibile. Se un economista avesse avuto una formula capace di prevedere in modo affidabile la crisi con una settimana di anticipo, per esempio, allora la formula sarebbe diventata parte delle informazioni generalmente disponibili e i prezzi sarebbero precipitati una settimana prima.” (Robert Lucas 2009)
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      Per quanto riguarda le previsioni in economia ci sono anche studi sistematici di fonte IMF: “To summarise, the evidence over the past two decades supports the view that “the record of failure to predict recessions is virtually unblemished,” http://www.voxeu.org/article/predicting-economic-turning-points

  6. Personalmente non credo che concentrarsi sulle previsioni sia utile in economia. Un sistema complesso in continuo cambiamento rende non garantisce che un modello che ha dato buone previsioni in un passato lo possa anche fare in futuro o in un altro contesto.

    Quello che serve sono buone spiegazioni dei fenomeni osservati, che possono sia essere usate per fare (limitate) previsioni che interventi.
    Il problema della economia (neoclassica, ma non solo) è di fermarsi al puro dato statistico e preoccuparsi esclusivamente della sua coerenza con assiomi astratti quali razionalità perfetta ed equilibrio.

    Sulla crisi, ad esempio, non credo sia importante la precisione delle previsione, ma la comprensione di come si è sviluppata. T.Geithner disse nel 2006:

    “The same factors that may have reduced the probability of future systemic events, however, may amplify the damage caused by and complicate the management of very severe financial shocks. The changes that have reduced the vulnerability of the system to smaller shocks may have increased the severity of the large ones.”
    (http://my.firedoglake.com/hugh/2008/11/21/did-timothy-geithner-predict-the-financial-meltdown/)

    Chiunque guardasse lo stato dei mercati al tempo si rendeva conto dell’esitenza di un problema, tranne gli economisti che si affidavano a dati ed assiomi uno meno affidabile dell’altro. Una analisi basata sui meccanismi di funzionamento dei sistemi finanziari avrebbe invece chiaramente mostrato l’insostenibilità del sistema, anche se non il momento ed i dettagli precisi dello scoppio della crisi.

    • Penso che invece la questione delle previsioni sia centrale, ma sono d’accordo che il punto non sia a precisione delle previsione ma la comprensione dello stato di rischio del sistema. E’ ovvio che nessuno poteva ragionevolmente prevedere che la Lehman Brothers sarebbe fallita tale giorno, ma molti (come dice lei quelli che non ragionavano dogmaticamente ma guardavano il problema dell’instabilità come il centro dell’analisi) avevano capito della situazione di criticità raggiunta. E quando un sistema è critico una piccola perturbazione può causare grandi effetti. Ma il punto della previsione, nel senso della valutazione del rischio del sistema, rimane centrale. Quello che Lucas (e con lui tutti gli altri noti) non aveva capito nel 2003, nel 2007 era esattamente quello.

  7. Credo che siamo d’accordo, ma cerco di chiarirmi meglio per verificarlo.

    Per me l’errore di base riguardo alle previsioni e’ la posizione di M.Friedman: se la previsione è corretta allora la teoria è confermata, anche se basata su “wildly inaccurate descriptive representations of reality”. Questo è assolutamente sbagliato per due motivi.

    1) Le stesse identiche previsioni alla data X fatte su un insieme limitato di indicatori possono essere generate con un numero infinito di modelli, i quali pero’ forniscono in genere previsioni molto diverse per le date Y, Z, etc. Quindi non abbiamo nessun motivo per preferire un modello ad un altro.

    2) Data la complessità dei sistemi economici aver azzeccato una serie di previsioni non è garanzia che succeda lo stesso in futuro. La tesi che cadere dal 100′ piano non è dannoso alla salute trova conferma per ben 99 piani…

    La posizione di Friedman non è sbagliata in assoluto, ma vale solo nei casi, come la meccanica classica, nei quali esiste un unico modello possibile che generi i dati osservati. In questo caso ovviamente la previsione corretta identifica anche il modello corretto. Ma quando i dati osservati sono producibili da tanti modelli diversi le previsioni perdono il carattere di criterio fondamentale, anche se rimangono un strumento molto utile e necessario.

    Di conseguenza, se intendiamo la previsione in modo generico, da declinare caso per caso con obiettivi ben specificati (come, nell’esempio della crisi, la “valutazione del rischio del sistema”) allora sono d’accordo. Io preferisco però usare iI concetto di “spiegazione” di un fenomeno, che implica una parte previsiva ma richiede anche altro: la specificazione esplicita di quale parte del fenomeno si vuole prevedere e, sopratutto, di come gli eventi previsti sono prodotti. La validazione scientifica dipende da tutti questi fattori, non solo dal risultato finale. Un evento previsto correttamente da un modello costruito con elementi “wildly inaccurate” non valida il modello più di quanto potrebbe validare l’affidabilità di una palla di cristallo o del polpo Paul. Questi (e i modelli neoclassici?) forse funzionano per un po’, ma non si sa perchè e per quanto.

    • Ok devo dire si fa fatica a seguire … da una parte ci sono Fama-Lucas per i quali la previsione non è teoricamente possibile se i mercati sono efficienti, dall’altra Friedman che dice se la previsione è corretta allora la teoria è confermata. Insomma, vale tutto c’è sempre una spiegazione. Fare una previsione però non è il come giocare al lotto, che a volte uno ci prende. Anche nei sistemi complessi non lineari e aperti si possono fare delle previsioni e si può capire se la previsione abbia un senso col confronto con la realtà. La posizione giusta è: se la previsione di una teoria è giusta allora la teoria non è sbagliata. Ma in genere una teoria non è sbagliata se prevede qualcosa correttamente ed è anche in grado di spiegare altre cose già osservate in maniera logicamente coerente.

      Non capisco l’analogia col polpo Paul: per i modelli neoclassici la teoria prevede che le crisi non possono essere predette per via dell’ipotesi dei mercati efficienti. Mi sono perso qualcosa?

    • Chiedo scusa se non sono stato chiaro. Il mio obiettivo è che la teoria neoclassica non solo sbaglia nel produrre previsioni, ma anche che adotta un principio metodologico errato che le permette di continuare a utilizzare ipotesi anche quando sono contraddette dalla realtà, come i mercati efficienti.

      Il mio argomento è esattamente questo:

      ” una teoria non è sbagliata se prevede qualcosa correttamente ed è anche in grado di spiegare altre cose già osservate in maniera logicamente coerente”.

      I modelli basati su derivazioni matematiche da ipotesi non realistiche puntano solo a fare previsioni e basta. Per me il problema non è solo che le previsioni sono sbagliate, ma che manca la coerenza logica con la realtà, quindi comunque inutili, a prescindere dalla correttezza delle previsioni.

      La questione è rilevante perchè lasciare il dibattito sul piano della compatibilità dei dati con le previsioni teoriche (trascurando il realismo delle ipotesi) lascia aperta la possibilità di scegliersi ad hoc la realtà di riferimento: se i dati confermano il modello la teoria è confermata, se non la confermano allora si tratta di un evento eccezionale (Lucas 2009). Invece io sostengo che non solo le previsioni derivate da quei modelli sono spesso sbagliate, ma che anche quando sembrano corrette sono inutili scientificamente perchè, come il saggio Paul, centrare un risultato non basta, di per se, a sostenere una teoria.

    • Lucas però non dice che sia un evento eccezionale. Dice che la EMT predice che, in genere e non per un caso singolo ma per ogni tipo di variazione, le variazioni non possano essere predette proprio perché i mercati sono efficienti. E’ proprio questa l’assurdità e la mancanza del senso del ridicolo. Per il resto, anche un orologio rotto segna l’ora giusta due ore al giorno e ciò non significa che funziona. Ma come si vede se funziona o meno? Controllando gli altri istanti.
      .

      ps qual’è la referenza della posizione di Fridman? E’ quasi ragionevole (stranamente) solo che è stata bypassata dai furboni degli ultimi vent’anni.

  8. Forse dovremmo usare una termine diverso. Circa l’instabilità del sistema economico penso che nussono lo neghi. L’origine delle crisi è, quasi sempre, nei mercati finanziari perchè li si confrontano le aspettative e quidi l’instabilità si trasmette al resto del sistema reale. Se lei guarda al sistema finanziario vedrà che il valore delle attività è multiplo del pil reale mondiale di molte volte e i soli derivati otc sono almeno 7 volte il totale del PIl mondiale. Se poi guarda alle banche americane ved eche le prime 4 hanno il 92% degli OTC (oltre 3 volte il PIL mondiale) ,poi guarda alla loro capitalizzaizone e si rende conto che la teoria economica qui ha poco a che fare. La crisi sempre possibile e veramente basta un battito di ali di una farfalla a generare il terremoto.

    • Non c’è dubbio che oggi la situazione sia molto instabile, il problema è (1) chi ha causato l’instabilità (2) perché negli anni 90 non si poteva dire la stessa cosa? E’ cambiato qualcosa? Perché? Chi lo ha causato? Non è dunque vero che il sistema è sempre vicino all’essere intrinsecamente critico, e infatti Lucas teorizzava che il sistema era stabile e che il problema di prevenire le crisi era risolto. Esattamente tutto il contrario di quello che è successo. Il problema a mio avviso non è solo retrospettivo, ma riguarda il futuro. Queste idee (mercati liberi sono efficienti, ecc.) ci stanno conducendo verso l’auto-distruzione a passo di carica.

  9. la mia posizione su teorie, dati e le conferme riecheggia quella di Siro Lombardini che in una famosa distinguish lecture a una riunione della SIE, ricordando i suoi anni a Chicago insieme a Savage e altri (che tempi) esordì dicendo: datemi dei dati, un giorno di tempo e vi dimostro una cosa e il suo contrario.

  10. Dialogo interessantissimo e di elevato livello. Ho imparato molto. Non pensate che alla base dei sistemi economici ci sono i comportamenti degli individui, e questi sono sempre razionali ? O sono ispirati da realtà esterne (Dio, il comunismo, il liberismo, Keynes ecc. ecc.). E se Dio(Keynes) non esiste o ha detto stupidaggini, sono questi comportamenti logici ?
    Allora l’ economia non è una scienza ma una pseudoscienza popperianamente parlando.
    Fa specie che 2000 anni di cultura (o già di li) ci abbiano portato a credere nell’economia come regolatore delle esistenze. Credo si dia troppo spazio all’ economia e agli econonimisti, dentro e fuori dell’ università, e le conseguenze si stanno vedendo , in guerre morti e feriti.

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