Su La Repubblica del 4 febbraio è apparsa una lunga intervista, curata da Simonetta Fiori, a Sergio Benedetto, coordinatore dell’esercizio VQR 2004-10. Si tratta di un documento interessante e meritevole di essere discusso. Si apprendono infatti dall’intervista alcuni dati nuovi, non previsti dalla normativa vigente, che modificano radicalmente il significato dell’esercizio di valutazione ora in corso.
Benché il compito dell’Agenzia di Valutazione, come dice il nome, sia quello di valutare le strutture delle università italiane al fine della ripartizione dei fondi, stando al coordinatore VQR occorrerà andare oltre, travalicando l’ambito della valutazione per entrare in quello delle policies: la valutazione, dunque, servirà a costruire una “classifica” degli atenei: aprendo così la strada alla gestione da parte di ANVUR di tutto il sistema. ANVUR si farà arbitro di distinguere fra teaching e researching universities e “ad alcune si potrà dire: tu fai solo il corso di laurea triennale. E qualche sede dovrà essere chiusa…rivedremo i corsi di dottorato con criteri che porteranno a una diminuzione molto netta”. La Legge Gelmini, che ha la peculiarità di regolare tutto minuziosamente, sembra lasciare invece ampi spazi all’Agenzia di valutazione, che si presenta come soggetto “non regolato” dalla Riforma, in grado di occupare spazi politici fino ad ora attribuiti al MIUR. Se le cose stanno come riferito da Repubblica potremo almeno risparmiare qualcosa abolendo il MIUR.
Dalla Relazione Finale dell’inchiesta parlamentare “Students and Universities” condotta dall'”Innovation, Universities, Science and Skills Committee” della Camera dei Comuni britannica:
http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200809/cmselect/cmdius/170/17007.htm#a44
“[…] 172. Having examined the material supplied by DIUS [il Dipartimento ministeriale all’epoca responsabile per l’Università, NdR] we cannot see that convincing evidence is currently available to prove the assertion that good-quality research is essential for good teaching of undergraduates. In our view, the evidence is at best mixed and there may be different relationships between research and teaching not just across disciplines within institutions and even within departments and that across the sector these relationships may range from mutually supportive to antagonistic.”
Una delle cose più fastidiose che si leggono sui giornali, da parte di ideologi in servizio permenente effettivo, e da parte di coloro che aspirano ad esserlo – e che quindi si cimentano con più fervore nel propalare panzane -, è l’affermazione che, poiché vi è carenza di valutazione in Italia (vero), bisognerebbe arrivare a “fare le classifiche di Università, come altrove”.
Altrove non esistono affatto “classifiche di Università” ufficiali, ma solo una miriade di rankings fatte da quotidiani, think-tank, ricercatori singoli o in gruppo, insomma libere espressioni del pensiero (come in Italia).
Le Agenzie “ufficiali” citate nell’articolo, raggruppate in Europa nell’ENQA
http://www.enqa.eu/
si occupano tutte di istruzione, e non fanno classifiche, ma esattamente l’opposto, cioè aiutano ad assicurare la qualità delle istituzioni e dei corsi di studio.
L’esigenza di una classifica è determinata la sindrome della regina di Biancaneve, che in misura più o meno forte colpisce tutti i professori universitari(ed altre professioni creative). Ogni professore svegliandosi la mattina vorrebbe andare davanti allo specchio magico e poter recitare: “specchio delle mie brame son io il più eccellente del reale?” E’ triste che questi prodotti di un fisiologico narcisismo dei professori si riflettano in politiche ministeriali potenzialmente dannose. Persino nei RAE (che non sono gestiti dalle agenzie britanniche di valutazione, ma dai “funding council”) si fa uno sforzo per evitare le classifiche presentando dati in forma vettoriale. Si teme infatti che le classifiche generino comportamenti di “inseguimento delle classifiche”, che difficilmente migliorano la qualità. Ma in Italia abbiamo già avuto il CIVR che ha stilato assurde classifiche, che, per fortuna, hanno semplicemente fatto ridere tutti (La SNS segue di diversi punti l’Università del Sannio in Matematica e l’Università di Foggia in Fisica!)
Bene l’osservazione sulla forma della presentazione dei risultati della valutazione, passata in cavalleria in Italia a causa dell’oscura mistura di indicatori e fattori da prendere in considerazione, che renderanno l’esito del VQR una brodaglia.
Invece proprio il RAE 2008 è l’esempio di un vero cambiamento in direzione opposta alla “mera classificazione”.
Con la pubblicazione dei risultati in forma di “profilo di qualità”
http://www.rae.ac.uk/results/
si è abbandonato il vecchio metodo del “rating” che faceva sembrare i Dipartimenti/Aree di ricerca delle specie di Alberghi da 1 a 5 stelle.
Invece la ricerca non è un albergo, e i “profili di qualità” rendono esplicito il fatto che esistono “pocket of eccellence” in molte sedi, da sostenere e valorizzare.
Un dispositivo di valutazione individuale e retribuzione dipartimentale (quale il VQR) è un dispositivo politico e non tecnico: risponde cioè a un disegno di egemonia politico-culturale e disciplinare. I veri avversari della riforma sono ricerca “curiosity driven”, talento individuale e indipendenza. Che poi i membri del consiglio direttivo dell’ANVUR si presentino come progressisti illuminati al servizio di auspicabili “liberalizzazioni” universitarie (nel senso di apertura al merito e di infrazione dei mandati della corporazione) mi sembra risibile. Sarò felice di realizzare, domani, di essermi sbagliato oggi. Sull’intervista a Benedetto, che pure a me è parsa a dir poco densa, intervengo online @ http://micheledantini.micheledantini.com/2012/02/05/lanvur-e-il-merito-retoriche-del-commissariamento/
un caro saluto MD