Segnaliamo ai lettori due progetti di legge depositati alla Camera dei Deputati, che mirano a riformare reclutamento e percorsi di carriera universitaria. Poiché riteniamo opportuno che in materia si sviluppi un dibattito informato, riportiamo anche le considerazioni dei proponenti, ossia l’on. Torto (M5S) – altri firmatari gli on. Ianaro e Iovino, stesso gruppo – e l’on. Melicchio (M5S) – numerosi gli altri firmatari, fra i quali la stessa Torto.

Entrambi i progetti sono in discussione in VII Commissione. L’Iter e la discussione in Commissione possono essere compulsati qui (progetto di legge 783 – Torto) e qui (progetto di legge 1608 – Melicchio).

Nota a margine: introdurre divieti, limiti e vincoli non potrà mai produrre gli effetti desiderati in mancanza di ciò che serve realmente, ossia un flusso di finanziamenti continuo e prevedibile. Ma pare che ormai in materia di reclutamento universitario cervellotici contingentamenti da piano quinquennale siano divenuti l’orizzonte di tutti i gruppi politici.

N. 783

PROPOSTA DI LEGGE

d’iniziativa dei deputati 
TORTO, IANARO, IOVINO

Norme in materia di reclutamento e stato giuridico dei ricercatori universitari di ruolo a tempo indeterminato e dei ricercatori a tempo determinato e sulla programmazione del fabbisogno organico delle università nonché modifiche alla disciplina relativa all’assunzione del personale

Presentata il 26 giugno 2018

  Onorevoli Colleghi! — L’università italiana sta attraversando un’evidente fase di difficoltà che penalizza tutto il sistema Paese e che proietta l’Italia tra gli Stati dell’Unione europea che investono meno sulla ricerca scientifica e, di conseguenza, ne traggono meno benefìci. Le motivazioni di tale ritardo rispetto agli altri Paesi industrializzati sono diverse; fra queste vi è indubbiamente la scadente valorizzazione del ricercatore italiano. Tale insuccesso è da ricondurre all’inadeguatezza delle riforme legislative degli ultimi venti anni, che culminano con la contestata riforma Gelmini (legge 30 dicembre 2010, n. 240).
Il ruolo e la valorizzazione del ricercatore universitario sia nei settori umanistici che delle scienze applicate costituiscono, quindi, alcuni dei nodi da affrontare per risolvere la difficile situazione dell’università italiana, dal momento che si registrano un’imponente e crescente stratificazione del precariato nelle giovani generazioni, nonché un innalzamento dell’età media del ricercatore a cui va sommata la perdita delle eccellenze a causa dell’ormai noto fenomeno della fuga dei cervelli all’estero e della speculare incapacità di attrarre ricercatori e studiosi dall’estero. A fronte della evidente necessità per il Paese di avere una università di qualità, che attraverso la valorizzazione delle giovani generazioni e delle eccellenze produca innovazione tecnologica ed elaborazione dei saperi, le istituzioni centrali e periferiche non sono state in grado di fornire risposte efficaci e adeguate, a tal punto da acutizzare non solo il fenomeno della fuga dei cervelli, ma anche l’abbandono del percorso di ricerca tra i giovani laureati italiani. Le conseguenze sono diverse: se da un lato si assiste a una drammatica perdita dei saperi, dall’altro, paradossalmente, lo Stato investe le proprie risorse, seppur in dimensione insufficiente, sulla formazione universitaria del cittadino senza raccoglierne i frutti.
È innegabile, infatti, che le capacità, l’ingegno e le conoscenze dei nostri giovani sono dispersi o, addirittura, regalati ad altre nazioni a causa di norme che sono fallimentari rispetto agli obiettivi che si prefiggevano.
Il problema del precario della ricerca e delle diverse tipologie di contratti è emerso già a ridosso degli anni ottanta. Un prima risposta si concretizzò con la legge 21 febbraio 1980, n. 28, che istituì il ruolo del ricercatore universitario. Nonostante alcune problematiche fossero, comunque, rimaste irrisolte, a causa delle innumerevoli sanatorie introdotte più o meno esplicitamente nelle disposizioni normative di quegli anni, con tale legge era stato avviato un percorso che aveva migliorato il sistema di reclutamento della docenza universitaria.
Per circa un decennio le norme rimasero pressoché invariate, fino alle novità legislative introdotte tra la fine degli anni ottanta e gli inizi degli anni novanta. Da quel momento tutti gli interventi normativi, sebbene perseguissero il tentativo d’incentivare l’autonomia delle università (la scelta autonoma degli statuti, della forma organizzativa, regolamentare e gestionale doveva essere strumentale all’autonomia didattica e della ricerca delle strutture universitarie) non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati, anzi hanno contribuito a incentivare il libero arbitrio dei professori universitari nelle fasi di reclutamento delle successive generazioni di docenti e di ricercatori per garantire il ruolo accademico ai propri allievi anche, talvolta, condizionando le scelte didattiche. Non è un mistero, infatti, che alcuni insegnamenti siano stati attivati ad hoc per impreziosire il curriculum di un giovane allievo o, talvolta, disattivati per sbarrare l’accesso a qualche indesiderato. Si passò, quindi, dallo strapotere della politica e dei sindacati, alla cosiddetta «baronia accademica», che ha generato una sequenza infinita di scambi di favori tra professori, di abusi di potere, di titoli ignorati nei concorsi e di giudizi nettamente discordanti dei membri delle commissioni concorsuali degli atenei.
Infatti con l’approvazione della legge 3 luglio 1998, n. 210, che ha previsto l’emanazione della nuova disciplina per il reclutamento dei ricercatori universitari, venne trasferita alle università la competenza sia per le modalità di espletamento delle procedure di reclutamento che per la nomina. Questo passaggio consegnò a gruppi di professori locali il potere di scegliere i ricercatori da reclutare, eludendo ogni selezione basata su criteri oggettivi e di qualità, anche se formalmente esistenti. Infatti la nomina da parte delle strutture didattiche universitarie locali di uno dei membri delle commissioni di valutazione e dei concorsi rendeva facilmente manipolabile anche l’esito della selezione. Il passaggio successivo che mette in crisi tutto il sistema accademico è il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, del Governo Berlusconi. Questo provvedimento introdusse il blocco del turn-over, disponendo che solo il 20 per cento del personale universitario che andava in pensione potesse essere rimpiazzato con nuove assunzioni; proprio per questo destò notevoli preoccupazioni dell’intera comunità accademica a causa degli effetti facilmente prevedibili, tant’è che fu molto contestato dalle opposizioni politiche e parlamentari del centro-sinistra e da tutti gli ambienti universitari. Nonostante il blocco del turn-over prevedesse una durata temporale limitata nel tempo, ovvero fino al 2012, e avesse come unico obiettivo il risparmio delle risorse destinate all’università, fu posticipato dai Governi successivi tanto che oggi è ancora in vigore e dovrebbe concludersi nel corrente anno. La legge n. 240 del 2010, la riforma Gelmini, sancì la messa ad esaurimento del ruolo del ricercatore a tempo indeterminato già deciso con la legge n. 230 del 2005 dell’allora Ministro Moratti e precarizzò in maniera esasperata questa figura. Pertanto si assiste oggi a un impoverimento del sistema accademico, nonché a un calo del numero di iscrizioni degli studenti, alla perdita di gran parte del know how e al pericolo di estinzione di alcuni settori scientifici storici a causa dell’esaurimento dei ruoli di docenza. Attualmente gli atenei italiani registrano infatti una contrazione del numero di docenti, l’impossibilità di attuare il ricambio generazionale e una difficoltà materiale nel programmare ed attuare un’offerta formativa adeguata alle reali esigenze. Mentre nel 2008 i ricercatori a tempo indeterminato negli atenei statali erano 24.489, i professori ordinari 18.218 e quelli associati 17547, alla fine del 2014 si sono registrati 20.048 ricercatori a tempo indeterminato, 12.564 professori ordinari e 16.736 professori associati; tale decrescita di ricercatori è destinata ad aumentare nel corso del tempo, tanto che all’inizio del 2016 il numero dei ricercatori a tempo indeterminato è stato inferiore alle 17.000 unità, mentre quelli a tempo determinato sono stati oltre 3.200.

ANNO

Prof. ordinario

Prof. associato

Ricercatore a tempo indetermin.

Ricercatore a tempo determinato

2008

18.218

17.547

24.489

2014

12.564

16.736

20.408

2016

12.189

18.890

16.561

3.310

2017
dati aggiornati al 18/01/2018

12018

19082

13900

3055 (tipo A) 2322 (tipo B)

  Fonte dati MIUR

Sono sconcertanti, tra l’altro, i dati sull’età media del ricercatore italiano e sull’età d’ingresso al ruolo del ricercatore: si accede alla soglia dei 40 anni, mentre agli inizi degli anni ’90 si accedeva intorno ai 33 anni, e l’età media del ricercatore supera i 46 anni (nel 2013, dati ANVUR) a fronte di un’età media che nel 1990 era al di sotto dei 40 anni.
L’ultimo atto che rischia di generare un collasso nel sistema universitario statale è ad opera del Governo Monti, che ha modificato il meccanismo del blocco del turn-over introducendo il sistema dei punti organico, fortemente penalizzante per gli atenei situati in territori depressi economicamente e vantaggioso per quelli con sedi in aree geografiche economicamente più solide. La conseguenza è stata che alcuni atenei hanno avuto la possibilità di reclutare anche oltre la quota del 100 per cento del personale pensionato, mentre altre università non hanno potuto superare il 10 per cento di assunzioni del personale cessato.
La presente proposta di legge mira principalmente a reintrodurre il ruolo del ricercatore a tempo indeterminato attraverso la promozione di una programmazione statale in stretta collaborazione con gli atenei, con l’obiettivo di creare un sistema di reclutamento che espropri i gruppi di potere locali dalla facoltà di determinare chi può accedere o no al ruolo di ricercatore. Infatti si modificano in maniera organica lo stato giuridico del ricercatore universitario, la metodologia di reclutamento e il meccanismo di turn-over.
Questa proposta di legge abolisce principalmente quella parte della riforma Gelmini che riguarda il ruolo del ricercatore universitario. Infatti, a decorrere dall’approvazione della legge n. 240 del 2010 è stata eliminata la possibilità di stipulare contratti a tempo indeterminato per ricercatori universitari introducendo un sistema che ha, di fatto, precarizzato un’intera generazione e che non ha raggiunto gli obiettivi prefissati in fase di approvazione. 
La proposta di legge è composta da nove articoli, dei quali sono di seguito illustrati i contenuti.

Articolo 1.

I commi 1 e 2 introducono nell’ordinamento due distinte figure:

a) il ricercatore assunto con contratto a tempo determinato di durata triennale e prorogabile per soli due anni, al cui ruolo si può accedere con il possesso del dottorato di ricerca;

b) il ricercatore a tempo indeterminato il cui ruolo è riservato ai candidati che hanno svolto il servizio a contratto di cui al comma 2, lettera a), ai beneficiari degli assegni di ricerca per almeno tre anni, delle borse post-dottorato, di equivalenti assegni o borse presso università estere per almeno tre anni anche non continuativi, ai possessori del dottorato di ricerca e ai ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, della legge del n. 240 del 2010, ovvero, per i settori concorsuali di area medica, ai possessori del diploma di specializzazione medica.

Si stabilisce, inoltre, che il ricercatore universitario svolge attività di ricerca, di docenza e di servizi agli studenti.
Il comma 3, al fine di garantire la continuità del sistema e la conclusione delle procedure di reclutamento conseguenti alla legge n. 240 del 2010, stabilisce che:

1) i contratti di ricerca di cui all’articolo 24, comma 3, lettera a), della riforma Gelmini non possono essere stipulati a decorrere dall’entrata in vigore delle nuove norme contenute nella presente proposta di legge;

2) i contratti di ricerca di cui al citato articolo 24, comma 3, lettera b), non possono essere stipulati a decorrere da un anno dall’entrata in vigore delle nuove norme contenute nella presente proposta di legge.

Il comma 4 stabilisce che ogni università può stipulare un numero di contratti per ricercatore a tempo determinato, per particolari esigenze legate ai programmi di ricerca o per compiti didattici, in misura non superiore al 20 per cento rispetto al totale dei ricercatori a tempo indeterminato in organico nell’ateneo e previa autorizzazione del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. La norma ha l’obiettivo di arginare l’abuso di contratti precari riservandone la possibilità di attivazione per particolari e straordinarie esigenze didattiche e di ricerca. Tale limite, combinato con quanto contenuto nell’articolo 9, garantisce un effettivo ricambio generazionale nell’arco di pochi anni e un marginale ricorso a contratti per ricercatori precari. Infatti l’articolo 9 stabilisce che la componente dei ricercatori nella composizione dell’organico docente di ateneo non può essere inferiore al 50 per cento del totale.

Articolo 2.

Il comma 1 stabilisce che i ricercatori a tempo determinato sono selezionati mediante procedure pubbliche disciplinate dalle università, attraverso un bando, con proprio regolamento nel rispetto dei princìpi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori (raccomandazione 2005/251/CE della Commissione, dell’11 marzo 2005).
Nello specifico, i criteri fissati sono:

a) la pubblicità dei bandi di selezione nella Gazzetta Ufficiale, nel sito internet istituzionale dell’università e in quelli del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) e dell’Unione europea;

b) la specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente tramite l’indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari;

c) informazioni dettagliate sulle specifiche funzioni del ricercatore, sui diritti e sui doveri e sul relativo trattamento economico e previdenziale;

d) previsione di modalità di trasmissione telematica delle candidature nonché dei titoli e delle pubblicazioni;

e) ammissione dei candidati in possesso di laurea magistrale o con titoli di studio equipollenti (laurea specialistica e laurea degli ordinamenti didattici vigenti prima del regolamento di cui al decreto ministeriale n. 509 del 1999);

f) valorizzazione, ai fini concorsuali, degli assegni di ricerca, delle borse post– dottorato, degli equivalenti assegni o borse presso università estere e del dottorato di ricerca;

g) valutazione preliminare dei candidati, con motivato giudizio analitico dei titoli, e della produzione scientifica sul piano qualitativo e quantitativo, compresa la tesi di laurea e di dottorato, secondo criteri e parametri riconosciuti anche in ambito internazionale;

h) ammissione dei candidati comparativamente più meritevoli, in misura compresa tra il 10 e il 20 per cento del numero degli stessi e comunque non inferiore a sei unità, alla discussione pubblica, con la commissione di concorso, dei titoli e della produzione scientifica;

i) ammissione dei candidati alla discussione qualora il numero dei candidati sia pari o inferiore a sei;

l) attribuzione di un punteggio ai titoli e a ciascuna delle pubblicazioni presentate dai candidati ammessi alla discussione;

m) formulazione della proposta di assunzione da parte del dipartimento o della struttura di ateneo secondo i propri regolamenti e previa approvazione del consiglio di amministrazione.

Con il comma 2 si specifica che i contratti di ricerca a tempo determinato non danno luogo a diritti in ordine all’accesso ai ruoli accademici e amministrativi. Si stabilisce che l’aver svolto il servizio a contratto costituisce titolo preferenziale nei concorsi per l’accesso alle amministrazioni pubbliche.
Inoltre viene specificato che, qualora un dipendente delle amministrazioni pubbliche sia beneficiario di un contratto di ricerca a tempo determinato, dovrà essere collocato in aspettativa per tutto il periodo di durata dei contratti senza assegni, né contribuzioni previdenziali, oppure fuori ruolo nei casi in cui tale posizione sia prevista dagli ordinamenti di appartenenza.
Il comma 3, invece, specifica che i contratti per i ricercatori a tempo determinato sono stipulati esclusivamente con regime di tempo pieno. L’impegno annuo complessivo per lo svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti può corrispondere a un massimo di 350 ore e a un minimo di 250 ore.
Per quanto riguarda gli aspetti non specificati nella presente proposta di legge si rimanda, quindi, per quanto compatibile, all’articolo 6 della legge n. 240 del 2010.

Articolo 3.

È noto il metodo usato per il reclutamento dei ricercatori, ma anche per il passaggio ai ruoli di professore associato e ordinario: il sistema è basato su selezioni apparenti, che di fatto talvolta si rivelano delle formalità dietro cui si cela il ricercatore sponsorizzato dal barone di turno.
Il concorso su base nazionale mira a ridurre al minimo l’influenza dei professori che esercitano il loro potere in modo prominente nell’ateneo di loro appartenenza.
Il comma 1 stabilisce che l’accesso al ruolo di ricercatore universitario a tempo indeterminato avviene mediante concorso pubblico su base nazionale, nel rispetto dei princìpi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori (citata raccomandazione 2005/251/CE), per titoli scientifici, integrati dalla discussione dei titoli presentati dal candidato e da una prova didattica nell’ambito di una disciplina della classe di concorso connessa ai titoli indicati dal candidato stesso.
Il concorso deve avere cadenza annuale e accertare l’idoneità scientifica e didattica del candidato generando una graduatoria di merito.
In base al comma 2 al concorso possono accedere i ricercatori a tempo determinato, i candidati che hanno beneficiato di assegni di ricerca per almeno tre anni anche non continuativi, i beneficiari di borse post-dottorato, i beneficiari di equivalenti assegni di ricerca o borse post-laurea presso università estere per almeno tre anni anche non continuativi, i possessori del dottorato di ricerca, ovvero, per i settori concorsuali dell’area medica, i possessori di un diploma di specializzazione medica.
In base al comma 3 il concorso è indetto dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca con apposito decreto e prevede:

a) la pubblicità dei bandi nella Gazzetta Ufficiale, nel sito internet istituzionale del MIUR e in quello dell’Unione europea;

b) la suddivisione per settori concorsuali;

c) l’ammissione alle procedure concorsuali riservata ai ricercatori a tempo determinato, ai beneficiari di assegni di ricerca per almeno tre anni, di borse post-dottorato, ovvero di equivalenti assegni o borse presso università straniere per almeno tre anni anche non continuativi, ai possessori del dottorato di ricerca e ai ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, della legge n. 240 del 2010, ovvero, per i settori concorsuali dell’area medica, ai possessori di un diploma di specializzazione medica;

d) il divieto ai professori ordinari e associati e ai ricercatori a tempo indeterminato di partecipare alle procedure concorsuali, anche se cessati dal servizio;

e) modalità di trasmissione telematica delle candidature nonché dei titoli e delle pubblicazioni;

f) l’istituzione, per ciascun settore concorsuale, di una commissione nazionale mediante sorteggio di dieci commissari, garantendo la presenza di almeno un commissario per ogni settore scientifico-disciplinare appartenente al settore concorsuale;

g) che i professori ordinari e associati che ne fanno richiesta costituiscono una lista distinta per ogni settore scientifico-disciplinare dalla quale vengono sorteggiati i commissari;

h) che la commissione rimane in carica fino alla conclusione della procedura concorsuale;

i) che in caso di impedimento o dimissioni di un commissario, si procede a nuovo sorteggio per la sostituzione del commissario mancante;

l) che ad ogni tornata concorsuale viene formata una nuova commissione nazionale, escludendo dagli elenchi i componenti delle precedenti commissioni per tre anni successivi alla nomina;

m) l’esclusione dalle commissioni concorsuali dei rettori in carica, dei professori universitari posti in aspettativa obbligatoria ai sensi dell’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, e dei professori universitari che hanno optato per il regime a tempo definito;

n) che la valutazione, con motivato giudizio analitico dei titoli, della produzione scientifica sul piano qualitativo e quantitativo, compresa la tesi di laurea e di dottorato, avvenga secondo criteri e parametri, riconosciuti anche in ambito internazionale, individuati con decreto del Ministro competente, sentiti l’ANVUR e il CUN;

o) la valorizzazione, in sede di valutazione, dell’eventuale attività di insegnamento e di supervisione, del lavoro in équipe, del trasferimento delle conoscenze, dell’innovazione e delle attività di sensibilizzazione al pubblico;

p) due prove, di cui una scritta e l’altra orale, per accertare l’attitudine alla ricerca;

q) una eventuale prova di laboratorio;

r) una prova didattica per accertare l’attitudine all’insegnamento;

s) una soglia minima di idoneità per il superamento del concorso;

t) la creazione di una graduatoria nazionale di merito per ogni settore scientifico-disciplinare composta dai candidati che hanno superato il concorso;

u) l’aggiornamento delle graduatorie a cadenza annuale con l’inserimento dei ricercatori idonei di ogni nuova tornata concorsuale;

v) che i ricercatori idonei, a domanda, hanno diritto ad essere assunti ognuno per il proprio settore scientifico-disciplinare dalle università che hanno stabilito, nella fase di programmazione didattica e della ricerca, di emanare bandi di assunzione;

z) la possibilità di partecipare alle nuove tornate concorsuali anche per i soggetti che hanno partecipato al concorso negli anni precedenti.

Il comma 4 stabilisce che i ricercatori idonei possono partecipare agli eventuali bandi di assunzione per ricercatori a tempo indeterminato nel proprio settore scientico-disciplinare dei singoli atenei. Tra i partecipanti al bando, è assunto il ricercatore con il miglior quoziente nella graduatoria di merito del proprio settore scientifico-disciplinare. Se l’università non provvede alla nomina in ruolo del ricercatore perde il budget corrispondente, che rientra nelle disponibilità finanziarie del MIUR. Queste disposizioni hanno l’obiettivo di evitare che l’assunzione del ricercatore sia nominale invece che basata sull’effettiva esigenza del ruolo accademico da ricoprire in uno specifico settore disciplinare.
Secondo il comma 5, alle università che alla fine del primo triennio hanno incrementato il numero degli iscritti e dei laureati sono assegnate ulteriori risorse per nuove assunzioni in misura sufficiente per sostenere le attività formative dei nuovi studenti: in questo modo si incentivano le università e gli enti territoriali a favorire meccanismi di sostegno al diritto allo studio attraverso forme di collaborazione tra gli enti, mettendo al centro della propria programmazione gli studenti.
Nel comma 6 viene stabilito che le spese per le procedure concorsuali sono da reperire dalle risorse disponibili sul Fondo di finanziamento ordinario per le università.

Articolo 4.

Questo articolo stabilisce che i contratti per ricercatori a tempo indeterminato possono prevedere il regime di tempo pieno o di tempo definito.
L’impegno annuo complessivo per lo svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti corrisponde a un massimo di 350 ore per il regime di tempo pieno e a un massimo di 200 ore per il regime di tempo definito.
Lo stato giuridico dei ricercatori universitari è disciplinato, per quanto non previsto specificatamente nella proposta di legge, dalle norme relative allo stato giuridico degli assistenti universitari di ruolo. I ricercatori, quindi, permangono nel ruolo fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età. Sono collocati a riposo a decorrere dall’inizio dell’anno accademico successivo alla data di compimento del predetto limite di età.
Ai ricercatori che hanno optato per il regime di tempo pieno sono affidati, fermi restando il rispettivo inquadramento e trattamento giuridico ed economico, corsi e moduli curricolari compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici. Ad essi viene attribuito il titolo di professore di terza fascia per l’anno accademico in cui svolgono tali corsi e moduli.
Ai ricercatori a tempo indeterminato si applica, per quanto compatibile, l’articolo 6 della legge n. 240 del 2010, ad esclusione dei commi 2, 3 e 4. In particolare, l’articolo 6 norma altri aspetti riguardanti lo stato giuridico dei ricercatori e dei professori universitari, comprese le modalità di opzione di regime a tempo pieno o definito, nonché le modalità per l’autocertificazione e la verifica dell’effettivo svolgimento dell’attività didattica e di servizio agli studenti, e definisce anche alcune incompatibilità con il ruolo di ricercatore e di professore.

Articolo 5.

L’articolo stabilisce che per i trasferimenti e la mobilità dei ricercatori a tempo determinato si applica quanto previsto dalla riforma Gelmini.
Per i soli ricercatori a tempo indeterminato si applica quanto previsto dall’articolo 3 della legge n. 210 del 1998, ovvero la valutazione comparativa dei candidati secondo criteri generali predeterminati e adeguate forme di pubblicità della procedura, nonché l’effettuazione della medesima esclusivamente a domanda degli interessati e dopo tre anni accademici di loro permanenza in una sede universitaria, anche se in aspettativa.

Articolo 6.

L’articolo stabilisce che il trattamento economico spettante ai ricercatori a tempo determinato è pari al trattamento iniziale spettante al ricercatore confermato a regime di impegno a tempo pieno.
Per i ricercatori a tempo indeterminato si applicano le stesse modalità e il trattamento economico spettante al ricercatore confermato.

Articolo 7.

Il ricercatore a tempo indeterminato che ha conseguito l’abilitazione scientifica, a decorrere dal sesto anno di inquadramento nel ruolo di ricercatore, può essere valutato dall’università ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato purché abbia prestato servizio in regime di tempo pieno per almeno tre anni e abbia conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16 della legge n. 240 del 2010, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera e), della medesima legge. In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto è inquadrato nel ruolo dei professori associati. La valutazione si svolge in conformità agli standard qualitativi riconosciuti a livello internazionale individuati con apposito regolamento di ateneo nell’ambito dei criteri fissati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. La procedura deve essere pubblicizzata nel sito internet istituzionale dell’università e in quello del MIUR, nonché nella Gazzetta Ufficiale.

Articolo 8.

Si stabilisce che il contingente nazionale di ricercatori a tempo indeterminato è quantificato entro il 31 gennaio di ogni anno, sulla base della programmazione del reclutamento di ciascun ateneo prevista dall’articolo 4 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Nello stesso decreto viene determinano il fabbisogno di ricercatori a tempo indeterminato di ogni università. Questa norma ha l’obiettivo di garantire un contingente nazionale di ricercatori sulla base delle esigenze didattiche e di ricerca programmate dagli atenei.

Articolo 9.

Il comma 1 di questo articolo sostituisce totalmente l’articolo 4 del decreto legislativo n. 49 del 2012.
Vengono stabilite nuove regole per la programmazione triennale del personale delle università. In particolare, le università devono predisporre e approvare i piani triennali per la programmazione del reclutamento del personale tenendo conto dell’effettivo fabbisogno di personale nel triennio successivo, dell’incremento o diminuzione della popolazione studentesca nei diversi corsi di studio, dei programmi di ricerca e delle risorse disponibili.
Il piano triennale deve stabilire:

a) il fabbisogno numerico di professori e di ricercatori nel triennio successivo, specificando per ciascuna figura il settore scientifico-disciplinare e il ruolo didattico e di ricerca da ricoprire, nonché la struttura di ateneo a cui afferiscono o sono assegnati;

b) il fabbisogno di personale dirigente e tecnico-amministrativo, compresi i collaboratori e gli esperti linguistici, a tempo indeterminato e determinato, indicando la struttura a cui sono assegnati e le mansioni;

c) la composizione dell’organico dei professori e dei ricercatori in modo tale che la componente dei ricercatori sia almeno il 50 per cento del totale;

d) il numero di ricercatori a tempo determinato in misura non superiore al 20 per cento del totale dei ricercatori di ateneo;

e) la quota di personale in servizio con contratti atipici, anche attraverso appalti di servizio, e le relative spese programmate. Alcuni atenei italiani utilizzano ditte esterne per l’espletamento dei servizi di uscierato, front-office e amministrativi. Questa disposizione tende a colmare un vuoto normativo che permette ad alcuni atenei italiani di dichiarare una spesa per il personale in servizio inferiore rispetto a quello che effettivamente viene utilizzato con l’ausilio di appalti esterni.

Il piano di programmazione è proposto dal senato accademico dell’università ed è approvato dal consiglio di amministrazione contestualmente al bilancio unico di ateneo di previsione triennale, aggiornato annualmente dal consiglio di amministrazione stesso. Previa determinazione del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca con apposito decreto, inoltre, il piano di programmazione vincola l’università alla chiamata nel ruolo di professore universitario e all’assunzione di ricercatori a tempo indeterminato, secondo quanto indicato nel piano di programmazione stesso. Come riportato nell’articolo 3, l’università che non procede all’assunzione del ricercatore perde il budget assegnato.
Il comma 2, invece, stabilisce che a decorrere dall’entrata in vigore della legge le università non possono più affidare servizi e compiti di ufficio attraverso procedure di appalto esternalizzando, talvolta, anche servizi strategici per l’università, relegando tra le possibili esternalizzazioni i servizi di pulizia e di assistenza agli studenti disabili. In particolare, dato che il servizio di assistenza agli studenti disabili è strettamente connesso al numero di iscritti e alle esigenze legate al tipo di disabilità, è opportuno rivolgersi di volta in volta a personale più idoneo.
Si stabilisce, inoltre, che il ricorso a contratti atipici è concesso solo per esigenze amministrative legate a fattori temporanei ed eccezionali.

 

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Ricercatori universitari).

  1. Al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, le università possono avvalersi di ricercatori a tempo determinato e indeterminato. L’università stabilisce, sulla base dei regolamenti di ateneo, le modalità di svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, nonché delle attività di ricerca dei ricercatori a tempo determinato e indeterminato.
2. I ricercatori si distinguono nelle seguenti tipologie:

a) a tempo determinato con contratti di lavoro subordinato di durata triennale, prorogabili per soli due anni, a cui possono accedere i candidati in possesso del dottorato di ricerca;

b) a tempo indeterminato, a cui si accede mediante concorso riservato ai candidati che hanno svolto il servizio a contratto di cui alla lettera a), ai beneficiari di assegni di ricerca per almeno tre anni, ai beneficiari di equivalenti assegni o borse presso università estere per almeno tre anni anche non continuativi, ai possessori del dottorato di ricerca e ai ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ovvero, per i settori concorsuali di area medica, ai possessori del diploma di specializzazione medica.

3. I contratti di cui all’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, non possono essere stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge. A decorrere dal tredicesimo mese successivo alla medesima data di entrata in vigore, i contratti di cui al citato articolo 24, comma 3, lettera b), della legge n. 240 del 2010 non possono essere stipulati. 
4. Le università possono stipulare un numero di contratti per ricercatore a tempo determinato, di cui al comma 2, lettera a), per particolari esigenze legate ai programmi di ricerca o per compiti didattici, in misura non superiore al 20 per cento del totale dei ricercatori assunti a tempo indeterminato risultanti in organico nell’ateneo e previa autorizzazione del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

Art. 2.
(Ricercatori a tempo determinato).

  1. I ricercatori di cui all’articolo 1, comma 2, lettera a), sono selezionati mediante procedure pubbliche concorsuali, avviate attraverso un bando, disciplinate dalle università con regolamento adottato ai sensi della legge 9 maggio 1989, n. 168, in coerenza con i princìpi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, di cui alla raccomandazione 2005/251/CE della Commissione, dell’11 marzo 2005, nel rispetto dei relativi statuti di ateneo e dei seguenti criteri:

a) pubblicità dei bandi nella Gazzetta Ufficiale, nel sito internet istituzionale dell’università che indìce il concorso, nel sito internet istituzionale del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e nel sito internet istituzionale dell’Unione europea;

b) specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari;

c) informazioni dettagliate sulle specifiche funzioni del ricercatore, sui diritti e sui doveri e sul relativo trattamento economico e previdenziale;

d) previsione di modalità di trasmissione telematica delle candidature, nonché dei titoli e delle pubblicazioni;

e) ammissione dei candidati in possesso del dottorato di ricerca;

f) previsione che i beneficiari di assegni di ricerca ai sensi dell’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, di borse post-dottorato ai sensi dell’articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di equivalenti contratti di assegni o borse presso università estere, siano titoli preferenziali ai fini della selezione;

g) valutazione preliminare dei candidati, con motivato giudizio analitico dei titoli, della produzione scientifica sul piano qualitativo e quantitativo, compresa la tesi di laurea e di dottorato, secondo criteri e parametri riconosciuti anche in ambito internazionale, stabiliti e resi pubblici nel bando;

h) a seguito della valutazione preliminare, ammissione dei candidati comparativamente più meritevoli, in misura compresa tra il 10 e il 20 per cento del numero degli stessi e comunque non inferiore a sei unità, alla discussione pubblica con la commissione concorsuale dei titoli e della produzione scientifica;

i) ammissione di tutti candidati alla discussione di cui alla lettera h) qualora il loro numero sia pari o inferiore a sei;

l) attribuzione di un punteggio ai titoli e a ciascuna delle pubblicazioni presentate dai candidati ammessi alla discussione;

m) formulazione della proposta di assunzione da parte del dipartimento o della struttura di ateneo secondo i regolamenti e lo statuto di ateneo, previa approvazione della stessa con delibera del consiglio di amministrazione.

2. I contratti di cui al presente articolo non danno luogo a diritti in ordine all’accesso ai ruoli accademici e amministrativi. Lo svolgimento del servizio previsto dal contratto costituisce titolo preferenziale nei concorsi per l’accesso ai ruoli di settori equipollenti nelle amministrazioni pubbliche. Per tutto il periodo di durata dei contratti di cui al presente articolo, i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, anche in regime di diritto pubblico ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono collocati, senza assegni né contribuzioni previdenziali, in aspettativa ovvero in posizione di fuori ruolo nei casi in cui tale posizione sia prevista dagli ordinamenti di appartenenza.
3. I contratti di cui al presente articolo sono stipulati esclusivamente con regime di tempo pieno. L’impegno annuo complessivo per lo svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti può corrispondere ad un massimo di 350 ore e ad un minimo di 250 ore.
4. Ai ricercatori di cui al presente articolo si applica, per quanto compatibile, l’articolo 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240.

Art. 3.
(Reclutamento dei ricercatori
a tempo indeterminato).

  1. L’accesso al ruolo di ricercatore universitario di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), avviene mediante concorso pubblico su base nazionale, nel rispetto dei princìpi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, di cui alla raccomandazione 2005/251/CE della Commissione, dell’11 marzo 2005, per titoli scientifici, integrati dalla discussione dei titoli presentati dal candidato e da una prova didattica nell’ambito di una disciplina della classe di concorso connessa ai titoli indicati dal candidato stesso. Il concorso è a cadenza annuale, accerta l’idoneità scientifica e didattica del candidato e dà luogo a una graduatoria di merito.
2. Il concorso è riservato ai ricercatori a tempo determinato di cui all’articolo 1, comma 2, lettera a), della presente legge, ai ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ai candidati che hanno beneficiato di assegni di ricerca per almeno tre anni anche non continuativi, ai beneficiari di borse post-dottorato, ai beneficiari di equivalenti assegni di ricerca o borse post-laurea presso università estere per almeno tre anni anche non continuativi, ai possessori del titolo di dottorato di ricerca, ovvero, per i settori concorsuali dell’area medica, ai possessori di un diploma di specializzazione medica. 
3. Il concorso è indetto dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca con un apposito decreto che prevede:

a) la pubblicità dei bandi nella Gazzetta Ufficiale, nel sito internet istituzionale del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nei siti internet istituzionali di tutte le università e nel sito internet istituzionale dell’Unione europea;

b) la suddivisione per settori concorsuali;

c) l’ammissione alle procedure concorsuali riservata ai ricercatori a tempo determinato di cui all’articolo 1, comma 2, lettera a), della presente legge, ai ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ai candidati che hanno beneficiato di assegni di ricerca per almeno tre anni anche non continuativi, ai beneficiari di equivalenti assegni di ricerca o borse post-laurea presso università estere per almeno tre anni anche non continuativi, ai possessori del dottorato di ricerca, ovvero, per i settori concorsuali dell’area medica, ai possessori di un diploma di specializzazione medica;

d) il divieto per i professori ordinari e associati e per i ricercatori a tempo indeterminato di partecipare alle procedure concorsuali, anche se cessati dal servizio;

e) le modalità di trasmissione telematica delle candidature, nonché dei titoli e delle pubblicazioni;

f) l’istituzione, per ciascun settore concorsuale, di una commissione nazionale mediante sorteggio di dieci commissari, garantendo la presenza di almeno un commissario per ogni settore scientifico-disciplinare appartenente al settore concorsuale;

g) che i professori ordinari e associati, a richiesta, costituiscano una lista distinta per ogni settore scientifico-disciplinare dalla quale vengono sorteggiati i membri che compongono la commissione di cui alla lettera f);

h) che la commissione di cui alla lettera f) rimanga in carica fino alla conclusione della procedura concorsuale;

   i) che, in caso di impedimento o dimissioni di un commissario, si proceda a un nuovo sorteggio per la sostituzione del commissario mancante;

l) che ad ogni nuova procedura concorsuale venga formata una nuova commissione nazionale escludendo dagli elenchi i componenti delle precedenti commissioni per i tre anni successivi alla nomina;

m) l’esclusione dalle commissioni concorsuali dei rettori in carica, dei professori universitari posti in aspettativa obbligatoria ai sensi dell’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, e dei professori universitari che hanno optato per il regime a tempo definito;

n) che la valutazione, con motivato giudizio analitico dei titoli, della produzione scientifica sul piano qualitativo e quantitativo, compresa la tesi di laurea e di dottorato, avvenga secondo criteri e parametri, riconosciuti anche in ambito internazionale, individuati con decreto del Ministro competente, sentiti l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) e il Consiglio universitario nazionale (CUN);

o) in sede di valutazione, la valorizzazione delle attività di insegnamento e di supervisione, del lavoro in équipe, del trasferimento delle conoscenze, dell’innovazione e delle attività di sensibilizzazione al pubblico;

p) due prove di esame, di cui una scritta e l’altra orale, per accertare l’attitudine alla ricerca;

q) una eventuale prova di laboratorio;

r) una prova didattica per accertare l’attitudine all’insegnamento;

s) una soglia minima di idoneità per il superamento del concorso;

t) la creazione di una graduatoria nazionale di merito per ogni settore scientifico-disciplinare composta dai candidati che hanno superato il concorso;

u) l’aggiornamento delle graduatorie a cadenza annuale, prevedendo l’inserimento dei ricercatori idonei di ogni nuova procedura concorsuale;

v) che i ricercatori idonei, a domanda, abbiano diritto ad essere assunti, ognuno per il proprio settore scientifico-disciplinare, dalle università che, per effetto della programmazione didattica e della ricerca di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, come da ultimo sostituito dalla presente legge, emanano bandi di assunzione;

z) la non esclusione dei soggetti che hanno già partecipato al concorso negli anni precedenti.

4. I ricercatori idonei, a domanda, possono partecipare a eventuali bandi di accesso ai ruoli per ricercatori a tempo indeterminato, nel proprio settore scientifico-disciplinare, dei singoli atenei. L’università effettua la copertura del ruolo vacante attraverso l’immissione in ruolo del ricercatore con il miglior quoziente nella graduatoria di cui al comma 3, lettera t), del presente articolo, previa verifica delle richieste di trasferimento nel ruolo bandito di cui all’articolo 3 della legge 3 luglio 1998, n. 210. L’amministrazione universitaria che non provvede alla nomina in ruolo del ricercatore, sulla base della programmazione triennale del personale di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, come da ultimo sostituito dalla presente legge, perde il budget corrispondente, che rientra nelle disponibilità finanziarie del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
5. Alle università che, alla fine del primo triennio, hanno incrementato il numero degli iscritti e dei laureati, sono assegnate ulteriori risorse per nuove assunzioni di ricercatori in misura sufficiente a sostenere le attività formative dei nuovi studenti.
6. Alle spese necessarie per lo svolgimento delle procedure concorsuali si provvede mediante quota parte delle risorse di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

Art. 4.
(Stato giuridico dei ricercatori
a tempo indeterminato).

  1. Il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato prevede il regime di tempo pieno o di tempo definito. L’impegno annuo complessivo per lo svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti corrisponde ad un massimo di 350 ore per il regime di tempo pieno e ad un massimo di 200 ore per il regime di tempo definito.
2. Lo stato giuridico dei ricercatori universitari è disciplinato, per quanto non previsto specificamente dalla presente legge, dalle norme relative allo stato giuridico degli assistenti universitari di ruolo. I ricercatori permangono nel ruolo fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età. Sono collocati a riposo a decorrere dall’inizio dell’anno accademico successivo alla data di compimento del predetto limite di età.
3. Ai ricercatori che hanno optato per il regime di tempo pieno e svolgono le attività didattiche ai sensi della legge 4 novembre 2005, n. 230, sono affidati, fermo restando il rispettivo inquadramento e trattamento giuridico ed economico, corsi e moduli curricolari compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici. Ad essi è attribuito il titolo di professore di terza fascia per l’anno accademico in cui essi svolgono tali corsi e moduli. Agli stessi si applica, per quanto compatibile, l’articolo 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ad esclusione dei commi 2, 3 e 4.

Art. 5.
(Trasferimenti e mobilità).

  1. Per il trasferimento e la mobilità del personale di cui alla presente legge si applica quanto previsto dall’articolo 7 della legge 30 dicembre 2010, n. 240.

Art. 6.
(Trattamento economico).

  1. Il trattamento economico spettante ai ricercatori di cui all’articolo 1, comma 2, lettera a), è pari al trattamento iniziale spettante al ricercatore confermato a regime di impiego a tempo pieno.
2. Ai ricercatori di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), si applicano le stesse modalità e il trattamento economico spettante al ricercatore confermato a tempo indeterminato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382.

Art. 7.
(Passaggio al ruolo di professore associato).

  1. L’università, nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, valuta il ricercatore di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), della presente legge a decorrere dal sesto anno di ruolo purché abbia prestato servizio in regime di tempo pieno per almeno tre anni e abbia conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera e), della medesima legge n. 240 del 2010. In caso di esito positivo della valutazione, il ricercatore è inquadrato nel ruolo dei professori associati. La valutazione si svolge in conformità agli standard qualitativi riconosciuti a livello internazionale individuati con apposito regolamento di ateneo adottato ai sensi della legge 9 maggio 1989, n. 168, nell’ambito dei criteri fissati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge e aggiornato periodicamente con successivi decreti. La programmazione di cui al citato articolo 18, comma 2, della legge n. 240 del 2010 assicura la disponibilità delle risorse necessarie in caso di esito positivo della procedura di valutazione. Alla procedura è data pubblicità nel sito internet istituzionale dell’università e in quello del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nonché nella Gazzetta Ufficiale.

 

Art. 8.
(Contingente nazionale dei ricercatori).

  1. Il contingente nazionale di ricercatori a tempo indeterminato di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), della presente legge è stabilito con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca entro il 31 gennaio di ogni anno, sulla base della programmazione triennale del personale di ciascun ateneo prevista dall’articolo 4 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, come da ultimo sostituito dalla presente legge. Nello stesso decreto viene determinano il fabbisogno di ricercatori a tempo indeterminato di ogni università.

Art. 9.
(Programmazione triennale
del personale
 delle università).

  1. L’articolo 4 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, è sostituito dal seguente:

«Art. 4 – (Programmazione triennale del personale). – 1. Le università, nell’ambito della propria autonomia didattica, di ricerca e di organizzazione e tenuto conto dell’effettivo fabbisogno di personale nel triennio successivo, degli incrementi o della diminuzione della popolazione studentesca nei diversi corsi di studio, dei programmi di ricerca e delle risorse disponibili, predispongono e approvano i piani triennali per la programmazione del reclutamento del personale stabilendo:

a) il fabbisogno numerico di professori e di ricercatori nel triennio successivo specificando, per ciascuna figura, il settore scientifico-disciplinare e il ruolo didattico e di ricerca da ricoprire, nonché la struttura di ateneo a cui afferiscono o sono assegnati;

b) il fabbisogno di personale dirigente e tecnico-amministrativo, compresi i collaboratori e gli esperti linguistici, a tempo indeterminato e determinato, indicando la struttura a cui sono assegnati e le relative mansioni;

c) la composizione dell’organico dei professori e dei ricercatori in modo tale che la componente dei ricercatori sia almeno il 50 per cento del totale;

d) il numero di ricercatori a tempo determinato con contratti di lavoro subordinato di durata triennale, prorogabili per soli due anni, a cui possono accedere i candidati in possesso del dottorato di ricerca, prevedendo che non sia superiore alla soglia del 20 per cento del totale dei ricercatori di ateneo;

e) la quota di personale in servizio con contratti atipici, anche attraverso appalti di servizio, e le relative spese programmate nel triennio.

2. Il piano di programmazione, su proposta del senato accademico dell’università, è approvato dal consiglio di amministrazione contestualmente al bilancio unico di ateneo di previsione triennale, aggiornato annualmente dal consiglio di amministrazione stesso e vincola l’università alla chiamata nel ruolo di professore universitario e di ricercatore a tempo indeterminato, secondo quanto indicato nel piano di programmazione stesso, previa determinazione del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca con apposito decreto; il piano di programmazione deve essere comunicato entro dieci giorni dall’approvazione da parte degli organi dell’università al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca attraverso apposito sistema informatizzato disponibile nel portale del Ministero, ovvero per via telematica, attraverso sistemi certificati. Il piano di programmazione triennale è pubblicato nel sito internet istituzionale dell’università».

2. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le università non possono più affidare servizi e compiti di ufficio attraverso procedure di appalto esterne, ad esclusione dei servizi di pulizia e per l’assistenza agli studenti disabili. Il ricorso a contratti atipici è concesso solo per esigenze amministrative legate a fattori temporanei ed eccezionali.

N. 1608

PROPOSTA DI LEGGE

d’iniziativa dei deputati
MELICCHIO, BELLA, TORTO, LATTANZIO, ACUNZO, AZZOLINA, CARBONARO, CASA, FRATE, GALLO, MARZANA, NITTI, TESTAMENTO, TUZI, VILLANI, IANARO, IOVINO, DAVIDE AIELLO, ASCARI, CATALDI, SABRINA DE CARLO, DEIANA, DEL MONACO, MANZO, PARENTELA, ROMANIELLO, SCERRA, SERRITELLA, ELISA TRIPODI, COSTANZO, NAPPI

Disposizioni in materia di armonizzazione dei contratti del personale ricercatore non permanente delle università e degli enti pubblici di ricerca

Presentata il 19 febbraio 2019

  Onorevoli Colleghi! – L’università e il mondo della ricerca rappresentano un sistema integrato di assoluta importanza per il nostro Paese. Lo sviluppo culturale e scientifico è in grado di produrre una ricchezza di inestimabile valore, non solo in quanto consente una migliore formazione delle nuove generazioni, ma anche grazie alla nascita di modelli innovativi per la nostra crescita culturale ed economica. Il sistema universitario e il mondo della ricerca, quindi, devono essere più coinvolti nello sviluppo culturale, scientifico e tecnologico del nostro Paese, contribuendo a indicare gli obiettivi da raggiungere e interagendo con tutto il sistema Paese. Per rendere possibile tutto questo è necessario un sistema universitario e di ricerca equo, diffuso, sempre più accessibile e in continuo e costruttivo dialogo con la società e con il territorio interessato, introducendo nuovi modelli ad hoc. Per il rilancio di un Paese in crisi come l’Italia è fondamentale investire sulla sua capacità d’innovazione: garantire al sistema universitario e al mondo della ricerca, nel suo complesso, un ruolo centrale può certamente assicurare una maggiore crescita, soprattutto grazie alle grandi risorse umane di cui il nostro Paese è dotato. 
Per raggiungere questi obiettivi è indispensabile, prima di tutto, un personale della ricerca competente, motivato e all’altezza delle aspettative, che sappia trasmettere il proprio sapere alle nuove generazioni. Al fine, quindi, di incentivare i giovani più brillanti – che, purtroppo, oggi troppo spesso lasciano il nostro Paese in cerca di una maggiore stabilità e valorizzazione del proprio lavoro – a prestare la loro attività presso le università e le istituzioni di ricerca italiane è necessario riformare il sistema dei contratti e di reclutamento del personale ricercatore non permanente delle università e degli enti pubblici di ricerca, riducendo al minimo fisiologico le condizioni di precariato e promuovendo un sistema meritocratico, che premi il valore dei singoli e non disperda il loro patrimonio di conoscenze e che sia eticamente ineccepibile, trasparente e corrispondente alle reali esigenze scientifico-didattiche degli atenei e degli enti di ricerca.
Forme contrattuali troppo brevi, rinnovate sistematicamente per un periodo troppo lungo, danneggiano anche la qualità della ricerca. Un ricercatore precario, infatti, è spesso costretto, per assicurarsi un futuro lavorativo, a dedicare molto tempo del periodo contrattuale alla valutazione di nuove opportunità, sacrificando così del tempo prezioso per l’attività in corso. La ricerca scientifica italiana, che si basa sul personale precario in misura di gran lunga più elevata della media europea, è fortemente compromessa da tale fenomeno.
La presente proposta di legge intende, quindi, disciplinare e riordinare le forme e la durata dei contratti del personale ricercatore non permanente delle università e delle istituzioni ed enti pubblici di ricerca e sperimentazione. Per fare ciò si prevedono solo due forme di contratto, prima e dopo il corso di dottorato di ricerca: il pre-doc, per la durata massima di un anno, al quale si accede se in possesso di laurea specialistica coerente con il settore scientifico-disciplinare dell’attività di ricerca, e il post-doc, con una durata massima di tre anni (o di quattro anni in caso di più contratti post-doc cumulati), al quale si accede se in possesso di un dottorato di ricerca per il settore scientifico-disciplinare del relativo progetto di ricerca. Il passaggio successivo sarà all’interno dei contratti stabili nelle università e negli enti pubblici di ricerca. Le borse di studio, come d’altronde indica lo stesso nome, potranno essere concesse solo a chi è iscritto a uno specifico corso di studi e non potranno essere utilizzate, come invece avviene oggi, al fine di allungare i tempi del precariato, sfuggendo agli attuali vincoli temporali, facilmente aggirabili, già previsti per gli assegni di ricerca. Sono quindi eliminati anche gli assegni di ricerca e la possibilità di utilizzare forme contrattuali di collaborazione quali i cococo. I contratti pre-doc e post-doc sono tipologie contrattuali di lavoro subordinato, agevolate dal punto di vista fiscale e contributivo, ma che garantiscono al ricercatore in formazione gli stessi diritti e doveri di un qualsiasi altro lavoratore, purtroppo oggi limitati dalle vigenti forme contrattuali.
Con l’istituzione dell’accesso unico dei concorsi dell’università e della ricerca si vogliono garantire la trasparenza e la meritocrazia nel reclutamento delle figure impegnate nell’attività di ricerca, nonché rendere più facile e accessibile la partecipazione ai concorsi. Saranno visibili a tutti, finalmente, le informazioni sulle procedure concorsuali in atto, con la pubblicazione dei curricula dei commissari e dei curricula dei candidati dai quali si evincano precedenti collaborazioni e produzioni scientifiche.
Il sistema proposto, quindi, prevede per l’intero periodo di formazione alla ricerca, un percorso post-laurea della durata massima di sette anni, considerando anche il dottorato di ricerca. I tempi sono così stabiliti anche per consentire al ricercatore di scegliere, indicativamente entro i trentacinque anni di età, se intraprendere una diversa carriera lavorativa. Si aumentano, inoltre, i fondi ordinari sia delle università sia degli enti di ricerca e si vincola per legge una quota degli stessi fondi all’assunzione di ricercatori in forma stabile che permetta un aumento progressivo del personale della ricerca e metta al riparo da possibili periodi di mancate assunzioni, al fine di creare nel tempo un circolo virtuoso di formazione e di lavoro. Il futuro di chi è impegnato in questo percorso riformato di sette anni sarà così preservato e coloro che svolgono stabilmente attività di ricerca e didattica vedranno valorizzata la propria professionalità e garantito un futuro adeguato al loro ruolo di motori dell’innovazione del nostro Paese.

 

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Oggetto e ambito di applicazione)

  1. La presente legge reca disposizioni per la disciplina e il riordino delle forme e della durata dei contratti del personale non permanente impegnato nelle attività di ricerca delle università e delle istituzioni ed enti pubblici di ricerca e sperimentazione, dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) e dell’Agenzia spaziale italiana (ASI), nonché delle istituzioni il cui diploma di perfezionamento scientifico è stato riconosciuto equipollente al titolo di dottore di ricerca ai sensi dell’articolo 74, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, di seguito denominati «università ed enti pubblici di ricerca».

Art. 2.
(Forme di contratto)

  1. I rapporti di lavoro del personale ricercatore non permanente delle università e degli enti pubblici di ricerca sono disciplinati in conformità alle seguenti forme contrattuali:

a) pre-doc: un contratto destinato a soggetti in possesso di laurea specialistica coerente con il settore scientifico-disciplinare dell’attività di ricerca che:

1) ha lo scopo di avviare un percorso di formazione nell’ambito della ricerca;

2) ha un importo determinato dal soggetto che intende conferire il contratto stesso sulla base di un importo minimo stabilito con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca in misura non inferiore alla retribuzione minima imponibile ai fini del versamento della contribuzione previdenziale;

    3) ha una durata massima di dodici mesi;

4) può essere cumulato, da parte di ciascun beneficiario, con altri contratti pre-doc, stipulati presso università o enti pubblici di ricerca diversi, per un massimo di dodici mesi;

5) non può essere stipulato in favore di soggetti in possesso di un dottorato di ricerca;

b) post-doc: un contratto destinato a soggetti in possesso di un dottorato di ricerca per il settore scientifico-disciplinare dell’attività di ricerca che:

1) ha lo scopo di promuovere l’attività di giovani ricercatori, attraverso lo svolgimento di una ricerca originale all’interno di un team di ricerca coordinato da un professore di I o di II fascia responsabile del progetto di ricerca del ricercatore in formazione;

2) ha un importo determinato dal soggetto che intende conferire il contratto stesso sulla base di un importo minimo stabilito con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca in misura non inferiore a 20.000 euro annui al netto dei contributi previdenziali e di eventuali altri oneri;

3) ha una durata massima di tre anni;

4) può essere cumulato, da parte di ciascun beneficiario, con altri contratti post-doc, stipulati presso università o enti pubblici di ricerca diversi, per un massimo di quattro anni.

Art. 3.
(Disposizioni in materia dei contratti di lavoro)

  1. Ai contratti del personale ricercatore non permanente di cui all’articolo 2 della presente legge si applicano le disposizioni dell’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
2. Al comma 2 dell’articolo 29 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

«d-bis) i contratti pre-doc e post-doc stipulati ai sensi della legislazione vigente».

3. Ai contratti del personale ricercatore non permanente di cui all’articolo 2 della presente legge si applicano, altresì, in materia fiscale, le disposizioni dell’articolo 4 della legge 13 agosto 1984, n. 476, in materia previdenziale, quelle dell’articolo 2, commi 26 e seguenti, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di astensione obbligatoria per maternità, quelle del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 luglio 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 247 del 23 ottobre 2007, e, in materia di congedo per malattia, quelle dell’articolo 1, comma 788, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Nel periodo di astensione obbligatoria per maternità, l’indennità corrisposta dall’Istituto nazionale della previdenza sociale ai sensi dell’articolo 5 del citato decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 luglio 2007 è integrata dall’università o dall’ente di ricerca fino a concorrenza dell’intero importo del contratto pre-doc o post-doc.
4. Il beneficiario di una delle forme di contratto di cui all’articolo 2 non può essere contemporaneamente titolare di altri contratti di lavoro.
5. La durata dei contratti di cui all’articolo 2 non può superare cinque anni, fatte salve le interruzioni del servizio per malattia o maternità.
6. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, il personale ricercatore non permanente delle università e degli enti pubblici di ricerca non può stipulare contratti di lavoro diversi da quelli previsti dalla medesima legge e dalle tipologie previste dall’articolo 24, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240.
7. I contratti pre-doc e post-doc non danno luogo a diritti in ordine all’accesso ai ruoli delle università e degli enti pubblici di ricerca.

 

Art. 4.
(Abrogazione)

  1. L’articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, è abrogato.

Art. 5.
(Modifica all’articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240)

  1. All’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, le parole: «prorogabili per soli due anni, per una sola volta» sono sostituite dalle seguenti: «non prorogabili e convertibili nei contratti di cui alla lettera b)».

Art. 6.
(Istituzione dell’accesso unico dei concorsi dell’università e della ricerca)

  1. Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca istituisce, con proprio decreto, l’accesso unico dei concorsi dell’università e della ricerca (AUCUR) che è pubblicato nel portale bandi.miur.it.
2. Ogni concorso bandito da università ed enti pubblici di ricerca, per qualsiasi posizione, è pubblicato nell’AUCUR.
3. Ogni facoltà, dipartimento e altro organo universitario o di ricerca autorizzato a bandire concorsi pubblici per l’assunzione di personale può usufruire dell’AUCUR per le proprie procedure concorsuali.
4. L’AUCUR è indicizzato e consente una ricerca rapida per tipologia di contratto, settore scientifico-disciplinare e soggetto che bandisce il concorso.
5. Prima dell’inizio di ogni procedura concorsuale, sono resi pubblici nell’AUCUR i curricula dei commissari e i curricula dei candidati.
6. Nell’AUCUR sono visibili, con opportuno preavviso, le informazioni relative alla data e al luogo di svolgimento di ogni prova concorsuale.

 

Art. 7.
(Disposizioni in materia di Fondo per il finanziamento ordinario delle università e di Fondo ordinario per il finanziamento degli enti e istituzioni di ricerca)

  1. Le risorse annuali del Fondo per il finanziamento ordinario delle università, istituito dall’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, sono destinate all’assunzione di un numero di ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, come modificato dall’articolo 5 della presente legge, pari al 10 per cento dei titoli di dottore di ricerca rilasciati l’anno precedente dalle università pubbliche. Le risorse annuali del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca, istituito dall’articolo 7 del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204, sono destinate all’assunzione di personale ricercatore a tempo indeterminato, da parte degli enti pubblici di ricerca e sperimentazione, in numero pari al 2 per cento dei titoli di dottore di ricerca rilasciati l’anno precedente dalle università pubbliche.
2. Alla copertura dei maggiori oneri di cui al comma 1 si provvede mediante incremento del Fondo per il finanziamento ordinario delle università per un importo pari a 7.500.000 euro e del Fondo ordinario per il finanziamento degli enti e istituzioni di ricerca per un importo pari a 1.500.000 euro.

Art. 8.
(Norma transitoria)

  1. Ai contratti del personale ricercatore non permanente in servizio presso le università e gli enti pubblici di ricerca in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e a quelli per i quali sono stati già previsti e approvati i relativi finanziamenti si applicano le disposizioni vigenti prima della citata data di entrata in vigore.

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25 Commenti

  1. La volontà di occupare giovani pare debba coincidere con il bloccare le carriere di chi ha lavorato con passione per tanti anni: niente sugli avanzamenti di carriera, sul blocco della ASN, una iattura. Nessun cenno alla corruzione imperante. Nessun cenno al rischio penale di cui dovrebbero essere certi quelli del sistema Catania (leggasi Italia). Quando la politica porrà un freno a questa arroganza di chi costruisce e distrugge carriere? Quando? Quando forse la politica sarà un po’ meno compromessa, meno arrogante, più disposta ad ascoltare più voci.
    A parte il ripristino dell’obbligatorietà della discussione titoli, degli scritti (che rimangono), della prova didattica, non approvo per niente la legge. Che non tiene conto del male che sta distruggendo l’Università, peggio del poco finanziamento. Che non rende impossibile il mobbing.

  2. La prima impressione leggendo il PdL 783 è di “ritorno al passato”. Questi nuovo RTI sembrano un ibrido tra i vecchi RU, gli antichi assistenti di ruolo e i nuovi RTDB. aggiungendo la ASN, come succedaneo della “libera docenza”, siamo a posto.

    A che serve una “terza fascia di docenza” pagata male, praticamente con gli stessi obblighi di PA e PO e che comunque aggiungerebbe un’ ulteriore scalino concorsuale nella progressione di carriera? Per di più che, tra ristrettezze croniche dei finanziamenti, vincoli sulla percentuale totale di ricercatori rispetto a professori, la mobilità tra le tre fasce sarebbe compromessa sul nascere. In barba a qualsiasi mistica della meritocrazia.

    Invece, se mai si volesse aprire gli occhi, i fatti di Catania mostrano che occorrerebbero meno occasioni di intervento sulle carriere accademiche, non di più.

    Sarebbe anche interessante sapere se gli estensori del PdL si siano mai interrogati su come funzionano le cose negli altri paesi e se ritengono che questa riforma incoraggi gli stranieri a venire nelle università italiane.

    • Segnalo il commento di ANDU, http://www.andu-universita.it/2019/07/05/concorsi/.
      In generale, non mi sembra affatto inutile, purché adeguatamente finanziata e riconosciuta, la reintroduzione di una terza fascia a tempo indeterminato. Un ricercatore non precario può avere un margine d’indipendenza, pagando qualche prezzo. Un ricercatore precario semplicemente non può averla: o fa ricerca da schiavo accademico, al servizio del potente locale e secondo i parametri della valutazione di stato, o, semplicemente, non può più fare ricerca Nel primo caso, infatti, a differenza che nel secondo, la conseguenza di un comportamento indipendente può essere o un rallentamento o un blocco della carriera: qui rimane possibile decidere in modo neppure particolarmente tragico che lo scopo della propria vita non è scrivere “professore ordinario” sulla lapide della propria tomba.
      Sempre in generale, un concorso nazionale e non locale, con particolari accorgimenti – per esempio l’accesso aperto on-line delle pubblicazioni presentate dai candidati – potrebbe correggere la cooptazione personale rendendola comunitaria e soggetta a pubblico esame.

    • Sulla introduzione di una terza fascia di docenza (perché i RU pre-Gelmini non lo erano) occorrerebbe chiedersi “a che serve?”. Perché, se si vuole arrivare ad un sistema ‘a passaggi di fascia attraverso concorsi’ in cui però ognuno fa esattamente quello che fanno gli altri, con gli stessi doveri, non si capisce perché non ci dovrebbero essere gli stessi diritti. o meglio, io lo capisco solo nella logica di voler perpetrare il “risiko accademico” degli avanzamenti di carriera. Che potrebbe anche funzionare, se ci fossero risorse e certezza. Ma non in un sistema in cui se le congiunzioni astrali sono negative uno rimane nella casella iniziale fino ala pensione, con buona pace del merito sempre nominato e mai valorizzato.

      La schiavitù accademica può avere diverse catene. Una il precariato, l’altra il contollo delle carriere. Ma mi rendo conto che “siamo tutti nati schiavi” e consideriamo naturali queste catene.

      Sul ritorno al concorso nazionale, suggerirei i nostalgici di tener conto di come è cambiata l’Università italiana in 10 anni. Attualmente si farebbe un concorso omogeneo per poi avere davanti una varietà di scelte abbastanza non omogenee (Statuti, regolamenti, meccanismi e possibilità di scatti e carriera cambiano da sede a sede).

    • La domanda “a che serve?” si potrebbe proporre altrettanto validamente per *due* fasce di docenza: se “ognuno fa esattamente quello che fanno gli altri, con gli stessi doveri, non si capisce perché non ci dovrebbero essere gli stessi diritti”.

      Max Weber, peraltro, criticava il sistema tedesco del suo tempo, che era sostanzialmente monofascia, perché lo riteneva “plutocratico”. Nella Germania guglielmina, infatti, si diventava professori per nomina dopo aver conseguito un’abilitazione alla docenza che richiedeva di presentare e discutere un’opera originale con una commissione competente sul suo argomento e dopo aver trascorso un periodo spesso molto lungo come Privatdozent, con entrate incerte e aleatorie. Questo, secondo Weber, faceva sì che la carriera accademica fosse accessibile solo a chi era ricco di famiglia.
      Rendere la carriera accademica meno plutocratica interpreterebbe meglio il senso costituzionale della parola “merito”, e arricchirebbe l’università. Quanto scritto dai proponenti del primo progetto di legge merita di essere preso sul serio:

      “Sono sconcertanti, tra l’altro, i dati sull’età media del ricercatore italiano e sull’età d’ingresso al ruolo del ricercatore: si accede alla soglia dei 40 anni, mentre agli inizi degli anni ’90 si accedeva intorno ai 33 anni, e l’età media del ricercatore supera i 46 anni (nel 2013, dati ANVUR) a fronte di un’età media che nel 1990 era al di sotto dei 40 anni.”

      perché indica che un ricercatore non è indipendente fino a quarant’anni, e che questa circostanza influenzerà la sue scelte di ricerca. O forse non possiamo più tornare indietro solo perché localmente, ormai, si sono moltiplicati i modi di essere schiavo?

      Le fasce interpretate in questo senso sono – è vero – solo un deplorevole espediente economico. Ma, a parità di povertà, dobbiamo chiederci se la preferiamo accompagnata da precariato e plutocrazia, oppure no (o, per lo meno, in misura più ridotta rispetto all’attuale).

    • Il confronto con la Germania guglielmina fa parte di confronti con realtà lonatne nel tempo, interessanti da punto di vista storico ma molto meno da quello pratico. Se le fasce fossero un mero espediente economico, non ce ne sarebbe bisogno. Basterebbe calibrare la curva stipendiale opportunamente. Il problema è che le fasce NON rispondono ad un criterio economico ma di potere. Il potere più importante per l’Accademia, che è il potere di controllare le carriere. E’ vero che la domanda “a che serve’ si potrebbe porre anche per le due fasce di docenza attuali, ed infatti personalmente, ma non sono il solo, reputo ingiustificato e ingiustificabile l’attuale sistema, nelle condizioni attuali.

      Dal punto di vista razionale, numeri sull’ età media di accesso al ruolo (e tenendo anche conto delle curve stipendiali) dovrebbero far propendere immediatamente per un sistema semplificato e non per un percorso ad ostacoli che, semplicemente basandosi sul confronto con altre realtà, rende il nostro sistema assolutamete non attrattivo e penalizzante. E i flusssi in entrata (irisori) ed in uscita (preoccupanti) del nostro sistema direi che la dicono lunga.

    • Trovo il tuo argomento convincente, in astratto. Mi chiedo però chi o che cosa dovrebbe decidere sugli scatti stipendiali:

      l’anzianità?
      l’amministrazione?
      i colleghi?

      (2) e (3) ripropongono, in modi diversi, la questione del potere. (1) porterebbe con sé il rischio che alcuni riducano la carriera accademica a una sinecura, almeno rebus sic stantibus. Forse, infatti, sempre in astratto, in un mondo in cui tutti godessero di un reddito di base dignitoso, l’entità del problema si ridurrebbe.

  3. Ma di cosa stiamo a parlare? di un progetto di legge dei 5stelle? ah ah ah ah… a parte il fatto che vorremmo vedere il curriculum studiorum dei proponenti e sapere quanta esperienza hanno dell’università attuale (dall’interno, degli ultimi vent’anni, diciamo) … se proprio vogliamo perdere del tempo, potremmo interessarci dei progetti di legge della Lega (se ci sono) e delle conseguenze (tagli di risorse comunque mascherate) di un ventennio di macchina del fango antiaccademica (a cui, ahimè a volte sprovvedutamente, hanno concorso molti autorevoli colleghi) …

    • Aristotele, sostanzialmente d’accordo con te, ma, ad onor del vero, il curriculum è reperibile sul sito della Camera, in più, solitamente, vari ammennicoli autocelebrativi su wikipedia (e questo “vizietto” non è affatto limitato ai 5S, sia ben chiaro!)

  4. Ringrazio Francesco Vissani per il link a linkedin e ad un suo intervento. Credo ci sia svelato tutto ciò che noi viviamo nella pratica quotidiana e he non è governo democratico di un’istituzione che dovrebbe formare al confronto.
    Già vi era sofferenza, la sensazione che il pensiero divergente non venisse accettato, ma ora, ahimé, dopo la Gelmini l’impalcatura costruita ha di fatto, sotto la pretesa di liberare dalla burocrazia la docenza, delegato il potere di decidere a pochi.
    Che dire del fatto che la documentazione in discussione viene spedita la sera prima, con il risultato che la maggior parte non può aver letto ed essersi formato un’opinione propria e suffragata da dati?
    Il tempo sta scorrendo inesorabile e l’Università non è più terreno di tutta la comunità scientifica, ma di pochi arroganti…

  5. Concordo con Giorgio Pastore: se ci riflettiamo non c’è motivo per il quale un Ateneo dovrebbe bandire un PA o PO quando le stesse cose (spesso di più) le deve fare un RTD-A o B. Chi insegna e fa ricerca dev’essere professore, in un ruolo unico in cui, a questo punto, è la comunità di pari a decidere se quella persona, magari giovanissima, può vedersi attribuite delle importanti responsabilità (perché possiamo avere un trentenne al vertice del governo del paese ma non è neppure immaginabile che lo sia al vertice di un ateneo?).
    Con questa modalità cambia totalmente la logica di potere (per esempio lo si dice qui, al minuto 47.28 https://webtv.camera.it/evento/14709) e vengono meno alcuni degli incentivi più forti a tirar dentro dei propri “sottoposti”, perché non sarebbero tali; la modalità di lavoro negli atenei diventa collaborativa anziché competitiva, con moltissimi vantaggi. Oltretutto il sistema attuale è falso e ipocrita, e dà molto lavoro alla magistratura e discredito a noi. In questa diversa modalità reclutamento e progressione sarebbero finalmente sganciate (l’attuale sovrapposizione è tra le principali fonti di falsità e ipocrisia). Sul Ruolo Unico si può vedere anche https://coordinamentopolito.wordpress.com/convegno/.
    Aggiungere un gradino (ulteriore!) alla piramide, ovvero di nuovo l’RTI, fornirebbe un’inutile tassello in più ad una articolazione del potere accademico funzionalmente del tutto inutile (se non a incistare lo stesso). E poi facciamo qualche conto e vediamo quante commissioni sono necessarie già oggi (tra assegni, dottorati, rtd-a, rtd-b, PA, PO e diverse altre). Non mi è chiaro il perché chi lo vuole non preferisca invece gli stessi posti da PA, magari via tenure. Se il problema sono i soldi, basta intervenire sulla curva stipendiale.

    • Salve Massimiliano, grazie mille per le riflessioni incluse che sto iniziando a digerire (in particolare mi interessa assai il convegno e la discussine sul ruolo unico). HO un dubbio che mi deriva da una lettura (superficiale:-)) dell’ultimo paragrafo. “Non mi è chiaro il perché chi lo vuole non preferisca invece gli stessi posti da PA, magari via tenure.” Sul ritorno dell’RTI, il punto è che abbiamo visto cosa è successo con il combinato disposto della sua eliminazione e del proliferare di contratti precari (assegnisti, RTDA,…): una esplosione dei contratti precari e RTDA, pochissimi RTDB nei primi anni e un punto di entrata a livello ancora più precario. Il contratto RTI permette un punto di entrata a tempo indeterminato che, se accompagnato dall’eliminazione della molteplicità dei contratti precari, riduce il periodo di precarietà che fondamentalmente esclude intere generazioni di studiosi dall’entrata nel mondo universitario. Se il PA è il punto di entrata ben venga, ma la precarietà (al limite anche della tenure) è quello che va contro la democratizzazione e l’indipendenza dei ricercatori. Anche la “tenure” è strumento che mi preoccupa per la limitazione dell’indipendenza intrinseca nel fatto di essere “sotto osservazione” continua , un potere enorme nelle mani dei colleghi più anziani, forse eccessivo. il ricercatore a tempo indeterminato da confermare si triva in una posizione ben diversa individualmente. Se si vuole chiamarlo PA direttamente e avere quello come punto di entrata meglio ancora, ma il punto di fondo per me è ridurre andando verso l’eliminazione dei tempi di precariato “obbligato” per arrivare a ruoli a tempo indeterminato. Il periodo a tempo determinato secondo me ha da essere una scelta, una possibilità per crescere e capire se veramente si vuole seguire la via accademica, non un obbligo. Che ne pensi? Non credi che l’RTI abbia un ruolo accettabile in questo processo? Leggerò con interesse le informazioni sul ruolo unico così da esprimere una idea più informata a riguardo. Grazie.

    • Salve Massimiliano ,ascoltando l’intervento in https://webtv.camera.it/evento/14709 mi rendo conto che i miei punti di sopra sono pienamente compresi dalla Rete 29 Aprile e mi rendo conto che il timore verso l’RTI è che sia un modo per intrappolare chi di fatto è docente in un ruolo si’ permanente, ma sotto pagato, con difficoltà di progressione e in una condizione non democratica all’interno del sistema. Ho descritto a modo?

  6. Per provare a dare una risposta a Maria Chiara Pievatolo sulla carriera accademica: a mio avviso la carriera accademica coincide con l’apprezzamento delle colleghe e colleghi di tutte le età per una persona, per le sue ricerche e per le sue idee. Purtroppo il sistema sta distorcendo questa semplice definizione e sempre di più pare che “carriera accademica” finisca per corrispondere alle reti amicali che ci si è saputi creare (dentro ma anche fuori dall’accademia), alla capacità genuina o artificiosa di ottenere elevati indici citazionali e alla capacità di essere “temuti” (l’emblema è l’intercettazione nell’ambito del recente caso catanese in cui un collega dice, almeno a quanto riportano i media “”vediamo chi sono questi stronzi che dobbiamo schiacciare”. Cosa penalmente irrilevante, ma…). Se la progressione stipendiale diventasse, per paradosso, come tu dici una “sinecura”, allora per fare vera “carriera” (come la definivo prima) si passerebbe il tempo più sulle idee e la loro circolazione che al telefono o nei corridoi per metter su questa o quella commissione… ;-)
    A mio avviso con il ruolo unico i veri Maestri restano tali e, anzi, risaltano di più. Su questi temi: http://www.rete29aprile.it/images/UPPATI/rivoluzionenecessaria.pdf

    • I brillanti risultati dell’università tedesca semi-humboltdtiana – perché la riforma di Humboldt vennero attuata, ma per gentile concessione dello stato e in un compartimento stagno – con il suo ruolo sostanzialmente unico, ancorché preceduto da un lungo periodo di precarietà accademica ed economica, corrobora questo argomento, che mi sembra convincente. Potremmo anche pensare a qualche correttivo per evitare di stipendiare persone che si dedichino al più prosaico ozio invece che all’otium, quali l’open science in generale, l’accesso aperto al materiale didattico e di ricerca e la considerazione dell’attività di insegnamento.

      Però, come giustificare politicamente una scelta che comporta il rischio di stipendiare (probabilmente pochi) oziosi nel senso prosaico del termine, in una società resa rancorosa e conflittuale dalla disuguaglianza? Un M5S meno fragile, e con una qualche carica utopica, potrebbe rispondere: per garantire la libertà e la dignità dei ricercatori nella loro funzione di ricerca, nello stesso senso in cui proteggiamo la dignità e la libertà dei cittadini in generale con un reddito di base universale. Ma, indipendentemente dalle incerte sorti del M5S e dal reddito di base, chi presenta questa proposta deve avere la forza di dimostrare, con le parole e soprattutto con i fatti, che non si tratta di un privilegio.

  7. Il mio timore è che i passaggi stipendiali diventeranno, qualora sottoposti a valutazione (e nella situazione attuale chi avrebbe coraggio di sostenere politicamente che gli scatti sono automatici come nel regime pre-gelminiano?), il nuovo terreno dove far valere il proprio potere accademico. Sono terrorizzato all’idea di vedere gli Atenei regolare in autonomia gli scatti stipendiali divenuti unico strumento di controllo in mano alle governance locali.

    • Ma gli scatti sono già sottoposti a valutazione, secondo criteri locali. Casomai sarebbe da rivedere proprio il sistema dei criteri *locali*.

    • Alberto, sì, capisco la questione ed è una cosa sulla quale riflettere, ragionando su possibili elementi di contrasto di possibili usi distorti (come, ad esempio, il possibile ricorso al CUN in caso di mancato riconoscimento in stile “mobbing”, per una verifica, oppure un vaglio nazionale con commissioni sorteggiate e di breve durata). Ma varrebbe la pena, per un soi-disant “potente”, impazzire per evitare a qualcuno di raggiungere uno dei tanti scatti? Agendo su una commissione che poi cambierà dopo poco? A rischio di ricevere lo stesso trattamento presto o tardi? Non essendo in ballo il potere, il passaggio al Ruolo Unico sarebbe una rivoluzione copernicana che cambierebbe la gran parte delle condizioni che oggi comportano la necrosi del sistema. Anche la corsa alla bibliometria sarebbe totalmente svuotata. Un timore opposto che qualcuno potrebbe sollevare è che gli scatti sarebbero invece dati a tutti, anche a chi è assenteista (per dire): l’ozio di cui parla Maria Chiara. A parte il fatto che gli scatti nelle Università erano automatici praticamente fino all’altro ieri (e questo ha ragioni storiche assai sensate, come ricordava in più occasioni il collega Cammalleri di CoNPAss), a mio avviso se TUTTI i componenti di un Dipartimento fossero su un piano di vera parità (e non con la spada di Damocle di necessari vari salti nel cerchio di fuoco tenuto in mano dai colleghi dei livelli superiori), allora il controllo di comunità, l’etica pubblica si dispiegherebbe più facilmente. Gli assenteisti – che pure ci sono – o coloro che sono prof. solo per metterlo sul biglietto da visita e farsi pagare di più nelle professioni esistono anche oggi, potrebbero già (a norma vigente) essere prima avvertiti e poi perfino licenziati dai Direttori/Rettori, ma non lo si fa anche per la questione dei poteri. A mio personalissimo avviso gente così rovina gli atenei e andrebbe sanzionata dalla Comunità (non serve la milionaria ANVUR per questo cose: lo sanno pure i bidelli del piano chi non fa assolutamente niente) ben prima che ci arrivi la magistratura. Credo che con il Ruolo Unico (per rispondere a MCP) questa gente se la passerebbe molto peggio: presto entrerebbero in ruolo collegh* attualmente precari abituat* a fare mille cose assieme, a girare l’Europa dormendo sul divano di amici, a pagarsi lo stipendio auto-costruendo dei progetti di cui talvolta non possono neanche essere in firma, a pubblicare in ogni dove e in ogni lingua: essendo con pari potere nello stesso dipartimento di un assenteista o nullafacente, bè… penso che quest’ultim* rimpiengerebbe ben presto la situazione pre-Ruolo Unico!

    • Forse basterebbe applicare sul serio, tramite una norma legale nazionale, il concetto di scienza aperta e di istruzione aperta. Ti diamo uno stipendio e una posizione stabile: in cambio ti chiediamo solo di fare uso pubblico della ragione, cioè far vedere quello che fai sia come ricercatore, tramite una qualche forma di pubblicazione ad accesso aperto – verde o aurea -, sia come docente, tramite corsi pubblici per legge. In rete – incidentalmente – la tradizione italiana della pubblicità dei corsi è spesso disattesa (ecco un esempio fra i moltissimi: https://elearning.sp.unipi.it/course/index.php?categoryid=24).

      Un simile sistema soccorrerebbe il senso dell’onore dell’antica baronia accademica :-) perché renderebbe più difficile produrre pubblicazioni “finte” – ripetitive, plagiate o evidentemente inaccurate. E avrebbe un benefico effetto collaterale: invece di continuare a regalare i soldi del contribuente a multinazionali dell’editoria scientifica neppure italiane, come attualmente imposto dalla valutazione di stato, potremmo impiegarli per assumere ricercatori.

    • Salve Alberto, concordo appieno. Trovo che la tua osservazione sia penetrante in quanto mostra sia un aspetto che forse gli autori stessi della proposta non avevano colto e mette in evidenza l’ennesima costrizione sistemica risultante dall'”autonomia ” universitaria, realizzata come competizione capitalistica all’interno di un mercato che si ripropone anche all’interno dell’università stessa. Sono necessari meccanismi che riducano o eliminino questo rischio. Mi vengono in mente due correttivi, ma sono convingo che pensandoci un po’ di più dei due minuti che ho dedicato si trovano strategie più efficaci. IL primo è che la valutazione sia sottratta alle logiche locali ancora una volta con valutazioni centralizzate con commissioni che non dipendano dal singolo ateneo, ma da altri e che siano ” a sportello” cioè che siano costantemente disponibili per ogni indviduo. IL secondo è l’introduzione del ruolo unico proposto da Massimilano Tabusi: finchè la struttura gerarchica è tale che la valutazione rimane in mano solo a pochi forse è più facile che il “potere” , concentrato in quelle mani, venga esercitato per gli interessi dei pochi locali, la valutazione fra pari riduce il “potere di me su di te”. Magari la combinazione dei due strumenti aiuta. Che ne pensi?

    • Leggo adesso il commento di Gorgio Pastore e infatti il mio commento va nella stessa direzione : rivedere il localismo.

    • Salve santibaylor,
      penso che sia una iniziativa che sostiene la riappropriazione più di quasi ogni altra: essere fisicamente sul luogo, parlare con chi nell’università lavora e vive, assegnando volti, voci ad un mondo altrimenti percepito come lontano permette di costruire una connessione intellettuale e emotiva fra i cittadini e le loro università.
      Per me è una iniziativa da rendere stabile, un appuntamento che rinnovi il legame. C’è la volontà ?

      Un caro saluto,
      Francesco

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