Se l’economia può a buon diritto fregiarsi dell’appellativo di “triste scienza”, che dire dello studio della demografia accademica italiana?

Poco più di un anno fa azzardavamo, alla luce dei dati in quel momento disponibili  e delle norme in quel momento vigenti, alcune congetture (coperte dal rispettabile nome di “proiezioni”) sulla possibile evoluzione demografica del corpo docente universitario fino all’anno 2018. Quelle congetture apparvero all’epoca pessimistiche, e suscitarono qualche polemica  perché in esse non si dava spazio ad alcuna ipotesi di reclutamento su posti di ruolo a soggetti attualmente esterni al sistema universitario.

A distanza di un anno ci riproviamo, con ancor maggiore cautela, prendendo atto dell’evidenza che i nostri modelli (al pari di quelli dei più autorevoli economisti) sono stati già allegramente falsificati dalla realtà, e ammettendo (a differenza dei più autorevoli economisti) che evidentemente erano sbagliati.

Le attuali stime,che continuano a limitarsi, per scoramento, all’anno 2018, scadenza naturale dell’attuale legislatura repubblicana (ha, ha!), partono dai seguenti presupposti, che sinceramente speriamo si riveleranno falsi, ma che purtroppo non abbiamo al momento motivo per mettere in discussione:

        La recente normativa in materia pensionistica non sarà modificata e svolgerà un’azione di forte scoraggiamento dei casi, in passato quantitativamente importanti, di pensionamento anticipato dei docenti; il turnover si ridurrà quindi circa del 20% annuo rispetto alle precedenti previsioni.

        Le risorse finanziarie degli Atenei non aumenteranno in misura sensibile, e gli eventuali aumenti di risorse saranno comunque riassorbiti dalla dinamica salariale, il cui blocco potrà difficilmente protrarsi a tempo indefinito.

        Un  piano straordinario che, come quello attuale, non corrisponda realmente a un finanziamento aggiuntivo, ma tragga le sue risorse dal Fondo di Finanziamento Ordinario, potrà favorire le promozioni interne al sistema, ma non contribuirà certamente a generare nuovo reclutamento.

Un confronto anche superficiale tra le proiezioni precedenti e quelle attuali  mostra la permanenza in servizio di un maggior numero di soggetti  in tutte le fasce (quasi 400 in più ogni anno) che però si accompagna a minori passaggi per promozione da una fascia a quella superiore, con il risultato netto  i un minor numero totale di ordinari e  un maggior numero  di associati, mentre in sostanza non cambia il numero previsto per i ricercatori e per la totalità dei docenti, però al prezzo del mancato reclutamento di qualche centinaio di “precari” ogni anno, che in precedenza era stato invece previsto.

Se ad oggi il sistema universitario è tornato ai valori numerici complessivi del 2001,con buona pace di chi aveva gridato allo scandalo della dilatazione degli organici per effetto delle idoneità, nel 2018 si scenderà ai livelli globali del 1993, però con la differenza che il numero degli ordinari e quello dei ricercatori supereranno a stento il dato del 1986. Sarà un’Università migliore? Difficile crederlo.

 

EVOLUZIONE    DELLA  DOCENZA  UNIVERSITARIA:    LE  NUOVISSIME  TABELLE  1998-­‐2018

Nota metodologica

Le tabelle allegate sono il frutto di elaborazioni effettuate a partire dai dati resi disponibili dal sito http://statistica.miur.it/scripts/personalediruolo/vdocenti0.asp (Ufficio di Statistica del MIUR), contenente la distribuzione dei docenti distinti per anno di nascita, per qualifica, per Area, per Ateneo, per Facoltà e per genere e aggiornato al 31.12.2011, e dal sito http://cercauniversita.cineca.it/php5/docenti/cerca.php contenente l’elenco dei docenti in servizio distinti per qualifica, per Settore, per Ateneo e per Facoltà e aggiornato in tempo reale (ultimo accesso ai fini dell’elaborazione il 15.3.2013).

Le principali novità rispetto alle elaborazioni presentate all’inizio del 2012 sono:

a) la presa d’atto degli importanti mutamenti sulle dinamiche di pensionamento indotti dalla crescente consapevolezza degli effetti prodotti dalla “legge Fornero”: il pensionamento anticipato, che in passato aveva grande importanza quantitativa e che si era quindi cercato di incorporare nel modello utilizzato per le proiezioni, è ormai destinato a diventare residuale sia per i nuovi vincoli di legge sia per l’impatto negativo dell’eventuale anticipazione sull’importo degli emolumenti;

b) il ridimensionamento dell’effetto stimato del piano straordinario per il reclutamento degli associati, sia per la reinterpretazione dell’entità e delle modalità d’utilizzo del finanziamento, sia per l’uso già effettuato di una parte dello stesso per il reclutamento di idonei in valutazioni comparative;

c) l’ulteriore taglio delle risorse finanziarie degli Atenei, che renderà in molti casi difficile destinare a politiche di reclutamento anche la già limitata quota di turnover che le norme rendono disponibile.

Sulla base delle considerazioni sopra elencate i nuovi parametri introdotti nelle proiezioni sono i seguenti:

1) I pensionamenti annui di ordinari e associati per il quinquennio 2013-­‐2017 sono stati stimati a partire dai pensionamenti obbligatori nel decennio 2013-­‐2022, ottenendo valori annui medi soltanto di poco superiori a quelli ricavati dai pensionamenti obbligatori nel primo quinquennio; rispetto alle stime precedenti il numero annuo dei pensionamenti è ridotto all’incirca del 20%.

2) Per il pensionamento dei ricercatori si è adottata per il quinquennio l’età media di 65 anni, come valore di compromesso tra i pochi casi di possibile anticipazione e gli (ancora pochi) casi di posticipazione per effetto delle nuove norme.

3) Il numero dei reclutati nella fascia degli associati a partire da quella dei ricercatori grazie al piano straordinario è stato ridimensionato, sulla base dei dati ministeriali, a circa cinquemila, ripartiti tra il 2013 e il 2014, e si è ipotizzato che nel biennio, per motivi finanziari, non siano destinate dagli Atenei altre risorse al reclutamento permanente e alla tenure­‐track.

4) Per il triennio 2015-­‐2017 si è ipotizzato un utilizzo del 50% del turnover per il reclutamento, con la seguente ripartizione dei circa 600 P.O. annualmente disponibili: circa 250 P.O. per il reclutamento di ordinari (in prevalenza interni) e l’associato bando di altrettanti ricercatori a tempo determinato di tipologia b) (al costo complessivo di 1 P.O. per coppia ordinario-­‐ricercatore), circa 250 P.O. per il reclutamento di associati (interni) al costo di 0,2 P.O. per ciascuna promozione e circa 120 P.O. per il reclutamento di associati (esterni) al costo di 0,7 P.O. per chiamata.

Le proiezioni possono essere scaricate di seguito:

Andamento reclutamento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Docenti_1998-2018_RU

 

 

 

 

 

 

 

 

Docenti_1998-2018_PA

 

 

 

 

 

 

 

 

Docenti_1998-2018_PO

 

 

 

 

 

 

 

Docenti_1998-2018_TOT

 

 

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16 Commenti

    • La crescita della docenza nelle tre aree indicate nella parte “alta” del grafico di FSL e’ del tutto fisiologica (checche’ ne dicessero certi autorevoli commentatori), in quanto corrisponde abbastanza puntualmente alla crescita del numero di studenti iscritti nel corrispondente intervallo di tempo.
      Non e’ invece fisiologica la mancata crescita delle due aree “hard science” (e si noti che il gruppo mat comprende anche l’informatica, dove invece la crescita c’e’ stata: immaginate quindi cos’e’ successo ai mat veri e propri).
      Le cause principali, nella mia modestissima e superficiale analisi sociologica, sono almeno due: da un lato la riforma del 3+2 che, nello specifico, e’ stata utilizzata per “saccheggiare” l’area della formazione di base a favore di discipline piu’ specialistiche, con un’inevitabile contrazione del fabbisogno di docenza nelle aree mat e fis, dall’altro una struttura di “governance” degli Atenei basata sulle Facolta’ che predeterminava rapporti di forza tra le aree non esattamente favorevoli alle Scienze MFN, gia’ di per se’ balcanizzate.
      A tutto questo, ma su un piano concettuale molto diverso, tenderei ad aggiungere l’elemento ideologico di una societa’ che nel suo complesso ha perso fiducia nella capacita’ delle “scienze dure” di dare una risposta ai problemi reali mentre si e’ sempre piu’ affidata (con quali bei risultati lo stiamo vedendo ora) alla “spinta propulsiva” dell’economia finanziaria valorizzando le discipline che piu’ le sono (erano?) funzionali

  1. Vorrei capire meglio a cosa si riferisce la linea gialla (RU). Comprende tutti i tipi di ricercatore universitario che oggi conosciamo? Chiedo questo perché se consideriamo tutti i ricercatori a tempo determinato (RTD), mi pare che la tendenza sia tutt’altro che a scendere. Alcuni atenei stanno facendo un uso scellerato del reclutamento RTD a mero scopo di copertura insegnamenti. Si tratta in molti casi di mascheramenti di docenze a contratto, per persone che non hanno speranza (e spesso nemmeno interesse) a diventare professore. Il ministro ha già cercato di porre un freno a questo fenomeno, limitando a 60 il numero di ore per cui i ricercatori tutti possono essere conteggiati nei requisiti didattici dei corsi di studio ma, per esempio, il regolamento del mio ateneo prevede che gli RTD facciano un *minimo* di 120 ore di didattica frontale. Per un esempio evidente di quella che potrebbe diventare una tendenza diffusa si apra il sito del miur http://cercauniversita.cineca.it/php5/docenti/cerca.php e si faccia una ricerca su università Kore di Enna. Questo ateneo presenta 136 docenti in tutti i ruoli, dei quali ben 70 sono ricercatori a tempo determinato. E la linea gialla si impenna ;-)

    • “il regolamento del mio ateneo prevede che gli RTD facciano un *minimo* di 120 ore di didattica frontale”

      voglio sperare che intendessi dire “un massimo”, altrimenti il regolamento del tuo ateneo sarebbe chiaramente fuorilegge!

  2. Mi dispiace di non essere stato abbastanza chiaro nelle didascalie. Convenzionalmente (ma solo tra gli addetti ai lavori, temo) si indica con RU il ricercatore universitario a tempo indeterminato (oggi a esaurimento). Quindi i dati relativi a RU sono per forza in costante decrescita,
    La zona gialla della tabella RU e’ calcolata in assenza di reclutamento , ossia corrisponde al puro dato anagrafico degli attuali RU, mentre nella tabella “Andamento reclutamento” si ipotizzano gli effetti del piano straordinario e di una sua prosecuzione di fatto negli anni 2015-17
    I RTD (ricercatori a tempo determinato) non sono inclusi in nessuna tabella, in quanto i RTD a) non hanno rilevanza ai fini dell’utilizzo del turnover (e non hanno alcuna garanzia/alcuna speranza di reale reclutamento, almeno nei tempi previsti dalla proiezione, e gli RTD b) sono (e resteranno, a mio parere, per parecchio tempo) molto pochi. Nelle proiezioni per i PO (che per essere assunti richiedono altrettanti RTD b) ho assunto implicitamente il reclutamento di circa 300 RTD b) all’anno nel triennio 2015-2017, con effetti sull’organico di ruolo soltanto a partire dal 2019

  3. credo sia una regola d’ateneo, non nazionale. in ogni caso la legge e’ chiara: per i RTD b) c’e’ l’obbligo di accantonamento delle risorse (0,7 PO) nella previsione del concorso, obbligatorio se il ricercatore ottiene l’abilitazione, ma per gli RTD a) non c’e’ nessun accantonamento, solo l’impegno finanziario per il triennio (questo forse il motivo contabile degli 0,5 PO)

  4. c’è una circolare ministeriale che indica 0,5 punti budget per i tda. peraltro l’assurdità è che – se non cambiano le norme sul turnover – anche quota parte di quei punti andranno persi alla fine del triennio (o se il contrattista dovesse lasciare per un posto migliore, o un altro lavoro o qualsiasi ragione)

  5. altra considerazione: il fatto che si faranno pochissimi tdb, pochissimo reclutamento e sopratutto progressioni non è una legge divina. è il frutto delle scelte che faranno atenei e dipartimenti. so che è illusorio pensare che lo faranno, ma hanno comunque la possibilità di scegliere…

  6. Ad ogni modo, gli rtda sono docenti a tutti gli effetti, o forse più docenti degli altri, visto che in moltissimi casi fanno solo attività didattica e nessuna attività di ricerca. Nella mia università (Iuav Venezia) gli rtd costituiscono quasi il 12% dell’organico. A Enna sono il 51%. Anche ammesso che non concorrano al turnover, la loro presenza per tenere in piedi molti corsi di studio è indispensabile. Escluderli dalla “possibile evoluzione demografica del corpo docente universitario” mi sembra un po’ come escludere i precari dalle proiezioni sugli occupati in Italia. Quantomeno, io aggiungerei una ulteriore linea di un’altro colore ai grafici, per evidenziare un fenomeno importante.

  7. 1) C’e’ una legge dello Stato (la 168 del 1989) che molti dimenticano e che recita espressamente (art. 6 comma 2) e con preciso riferimento alle Universita’ ” E’ esclusa l’applicabilitaà di disposizioni emanate con circolare”
    2) Comunque non e’ questo il problema: le Università non recluteranno non per mancanza di Punti Organico (sono ancora disponibili per piu’ di un anno i punti “avanzati” dai due anni precedenti) ne’ per i limiti al turnover, che permetterebbero in molti casi operazioni ben piu’ massicce di quelle da me ipotizzate. Il problema e’ la pura e semplice mancanza di soldi. In tal senso l’impegno di 0,5 punti per i RTD a) sarebbe “quasi” un segnale positivo, perche’ indicherebbe una disponibilita a un futuro impegno permanente della risorsa che in realta’ nessuno ha, ne’ puo’ oggi avere per motivi finanziari
    3) Nell’ottica di cui sopra, e senza voler minimamente mettere in discussione l’importanza del lavoro svolto dai “precari” oggi nell’universita’, personalmente non mi sento di fare alcuna proiezione sulla loro sorte, perche’ non avrebbe alcun fondamento ne’ normativo ne’ finanziario. Sorry

  8. Scusate se vado off-topic. Hanno recentemente pubblicato i criteri della commissione del SSD dove ho fatto domanda per l’abilitazione (praticamente per sport, perchè ho scoperto di essere già abilitato in quanto ricopro posizione equivalente presso un ateneo estero) e noto subito due criteri restrittivi:
    1) esperienza di supervisione di dottorandi
    2) impact facto medio (presumo delle 15 pubblicazioni presentate) superiore a 1,5

    Francamente trovo sconcertante il fatto che una commissione possa aggiungere ex post facto criteri così diversi da quelli previsti dalla legge. Soprattutto perchè i candidati non erano al corrente di tali criteri prima di inviare la domanda. Il form per la domanda era molto specifico e non richiedeva di indicare l’esperienza come supervisore di dottorandi. Per cui, pur avendone a bizzeffe, io non ne ho riportata mentre mi sono soffermato su altre cose che ritenevo più importanti. Quindi è avvantaggiato chi è stato in grado di “prevedere meglio” le intenzioni della commissione? Stesso discorso per quanto riguarda l’impact factor. E’ un criterio bibliometrico aggiuntivo rispetto a quelli previsti dall’anvur. Potrei aver presentato per la valutazione qualitativa articoli eccellenti pubblicati su riviste a basso impact factor. La ciliegina sulla torta è che i candidati, dopo la pubblicazione di questi criteri allucinanti, hanno quindici giorni di tempo per ritirare la domanda ma non possono aggiornarla. Ritiro ogni parola positiva espressa in precedenza sulle procedure di abilitazione. I baroni in commissione sono riusciti a rendere la procedura ridicola…
    V.

  9. Tecnicamente non è colpa loro. La norma da facoltà alle commissioni di rendere più restrittivi i criteri bibliometrici e di introdurre nuovi elementi di valutazione. Il punto è che è assurdo che uno debba partecipare ad un concorso e presentare domanda prima di conoscere i criteri coi quali verrà valutato, ma questo avviene per tutti i concorsi universitari, per quanto ne so.

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