Segnaliamo ai lettori la raccomandazione CUN in materia di chiamate dirette che sollecita l’aggiornamento delle tabelle di corrispondenza fra posizioni accademiche italiane ed estere.

Segue il testo.

RaccomandazioneCUNchiamatediretteluglio2015

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19 Commenti

  1. Da un punto di vista formale il richiamo appare corretto, pero’ non vorrei si tratti di un tentativo di frenare, a causa di spinte protezionistiche, una forma di reclutamento che e’ importante per rendere sempre più internazionale il corpo docente delle università italiane.
    La percentuale di stranieri che lavorano in UK, Francia e Germania e’ molto superiore all’ Italia. Il vero modo di superare certi limiti del nostro sistema accademico, non sono i punti qualità della pseudoscienza bibliometrica, ma invece un intreccio sempre più stretto con altri sistemi accademici. Ovviamente questo richiede stipendi, ma ancora di più fondi di ricerca e strutture, comparabili…e lì casca l’asino

    • Frenare? Io leggo questo:
      “Il CUN RACCOMANDA di avviare le procedure per la verifica e l’aggiornamento delle corrispondenze tra le posizioni accademiche italiane ed estere di cui al DM 2 maggio 2011, n. 236 … AUSPICA che le proposte di chiamata diretta, presentate dagli Atenei, siano formulate in modo uniforme secondo un modello predefinito, così da consentire la disponibilità, al Consiglio Universitario Nazionale, di tutte le informazioni necessarie per valutare la corrispondenza tra le posizioni accademiche italiane ed estere.”

    • Fenare… il preambolo “nelle more di un revisione e razionalizzazione della normativa in materia di chiamata diretta – già auspiacata…”, fa in effetti pensare che vogliano rivedere la normativa e non certo per incrementare questa pratica.
      La revisione delle tabelle mi sembra più una scusa per ribadire questa richiesta e per chiedere un modello predefinito.
      Oltretutto la normativa è già stata cambiata per inserire il parere della commissione di abilitazione, che deve garantire l’effettiva qualità del candidato rispetto alla posizione prosposta.

  2. Non mi è chiaro perché la tabella delle corrispondenze vada aggiornata ogni 3 anni. Se non ci sono state riforme, cosa cambia?
    Sarebbe più corretto che l’aggiornamento avvenga in modo mirato ogni qual volta c’è bisogno per eventuali riforme in altri paesi o perché si è presentato qualche caso particolare non compreso nella precedente tabella.

  3. Siamo alle solite alchimie all’italiana. La chiamata diretta (ex comma 9 della legge Moratti e successive modificazioni) si rivolge a studiosi che, da almeno un triennio, occupino all’estero una “posizione di pari livello”. Ma un sistema davvero interessato ad aprirsi non avrebbe affatto bisogno di tale norma: basterebbe che tutti gli studiosi attivi all’estero e di buona qualificazione possano partecipare ai concorsi dei diversi atenei italiani. Però, per rendere una tale apertura consistente ed effettiva, bisognerebbe, in contemporanea:
    a) limitare fortemente le chiamate “interne”;
    b) aumentare fortemente gli stipendi dei professori.
    Senza queste due condizioni,
    1) alle università conviene chiamare gli interni (per le chiamate dirette bisogna affidarsi al contributo ministeriale, sennò costano di più);
    2) gli studiosi più qualificati, già da almeno tre anni di ruolo in una posizione di pari livello nei migliori Paesi stranieri, di certo non vengono in Italia (provate a far muovere un cinquantenne norvegese, inglese o americano, che di solito a quell’età ha famiglia, per 2400 euro al mese (stipendio iniziale di un associato ex legge Gelmini, indipendente da anzianità di servizio, valore scientifico o meriti pregressi di qualunque tipo…) a lavorare a Roma o a Milano…utopia pura!)
    Quindi, come al solito, si parla molto ma i problemi veri non si menzionano nemmeno. In diversi Paesi famosi per il buon livello della ricerca scientifica (e per il congruo finanziamento statale di università ed enti di ricerca!!!) gli scienziati si pagano bene e, in compenso, si cerca di evitare il localismo. In Italia mi sembra che entrambe queste cose non si verifichino proprio frequentemente…

    • “basterebbe che tutti gli studiosi attivi all’estero e di buona qualificazione possano partecipare ai concorsi dei diversi atenei italiani.”
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      Dal punto di vista formale, è già possibile, dato che nella l. 240/2010, le procedure di reclutamento sono regolate dall’articolo 18:
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      “Ai procedimenti per la chiamata di professori di prima e di seconda fascia possono partecipare altresì i professori, rispettivamente, di prima e di seconda fascia già in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché gli studiosi stabilmente impegnati all’estero in attività di ricerca o insegnamento a livello universitario in posizioni di livello pari a quelle oggetto del bando, sulla base di tabelle di corrispondenza, aggiornate ogni tre anni, definite dal Ministro, sentito il CUN.”
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      Il “vantaggio” della chiamata diretta sta nella possibilità di evitare il concorso, il che potrebbe creare un canale parallelo non necessariamente virtuoso. Per prevenire questa eventualità la l. 114 del 11 agosto 2014 prevede un parere da parte della commissione ASN:
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      3-quater. All’articolo 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n. 230, le parole da: “previo parere di una commissione” a: “proposta la chiamata” sono sostituite dalle seguenti: “previo parere della commissione nominata per l’espletamento delle procedure di abilitazione scientifica nazionale, di cui all’articolo 16, comma 3, lettera f), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e successive modificazioni, per il settore per il quale è proposta la chiamata, da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta del medesimo parere”.
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      Tutto ciò, naturalmente, riguarda solo la forma e lascia impregiudicate le questioni sostanziali relative alle retribuzioni e all’equilibrio tra chiamate “esterne” ed “interne”.

  4. Mi dispiace contraddire il Professore, ma non è proprio così: lo studioso italiano può partecipare al concorso se possiede un’abilitazione (per il ruolo corrispondente). Lo studioso straniero, invece, deve essere già inquadrato in quella posizione da almeno tre anni. C’è una bella differenza. Quello che proponevo io era un tantino diverso: gli studiosi stranieri in possesso di una qualificazione di pari livello (cioè anche un’abilitazione corrispondente a quella italiana ecc.) potrebbero partecipare. In altre parole, in questo momento, in Italia, uno studioso straniero che possegga un’abilitazione nel suo Paese (anche comunitario!!!) non può partecipare ad alcun concorso. Ma se è invece già inquadrato nel ruolo “corrispondente” può partecipare al concorso (art. 18 legge Gelmini) oppure può essere chiamato senza concorso (comma 9 art. unico legge Moratti). Cioè, la solita ammuina, all’ombra dei problemi veri che ho citato prima:
    a) con questi stipendi, è difficile che uno studioso di vaglia abbandoni il proprio posto in Svezia, in Germania o in Austria per trasferirsi a Roma o a Milano con la famiglia a guadagnare 2400 euri al mese (niente ricostruzione di carriera, niente eccezioni: scurdammuc’ ‘o passato…);
    b) all’università conviene poco rischiare di dover pagare un budget intero per la chiamata di uno studioso dall’estero.
    Come al solito, la moda tutta nazionale di non citare i problemi veri ci porta a non vedere che, nell’università come in molti altri settori, finché gli stipendi e le procedure nostrane non saranno paragonabili con quelle dei Paesi più virtuosi, possiamo solo sognare di risollevarci davvero…

    • “Quello che proponevo io era un tantino diverso: gli studiosi stranieri in possesso di una qualificazione di pari livello (cioè anche un’abilitazione corrispondente a quella italiana ecc.) ”
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      Mentre costruire delle tabelle di corrispondenza tra “posizioni di livello pari” è impegnativo (ma è stato fatto), stabilire delle corrispondenze tra le diverse abilitazioni nazionali sembra un’impresa forse non impossibile, ma di portata ben diversa (al riguardo sarebbe utile ascoltare chi se ne intende dal punto di vista giuridico). Va anche detto che l’ASN non è riservata ai cittadini italiani (questo in via teorica: è già difficile orientarsi tra le norme per gli italiani, figuriamoci per gli stranieri). In ogni caso, non sarò certo io a negare che le posizioni italiane non siano attrattive per chi sta all’estero. Al riguardo, avevo anche scritto un post: https://www.roars.it/francesca-puglisi-e-il-valente-professore-di-yale/

  5. Allora siamo d’accordo.
    Faccio notare che esistono direttive europee (recepite dalla normativa italiana…) e addirittura pareri del Consiglio di Stato che impongono la valutazione e, nel caso il riconoscimento dell’equipollenza per abilitazioni conseguite in Paesi dell’Unione Europea.
    Ma debbo dare ragione al Professore: forse per il livello che abbiamo visto nel passato, riuscire a fare quello che la nostra appartenenza all’Europa ci imporrebbe è davvero troppo difficile.
    Un’ultima cosa però va chiarita: uno dei pilastri dell’Unione Europea è che non si debbano ripetere percorsi già effettuati in un altro Stato membro. Il fatto che, in via di principio, l’abilitazione italiana non è limitata agli italiani è giusto (e dovuto). Ma non risolve il problema di chi un’abilitazione, per esempio, già ce l’ha. Se ogni volta, per andare avanti, bisogna ricominciare daccapo, anche all’interno dell’Unione, allora buona notte.
    Spiace che questa elementare regola di correttezza (si tratta di impegni solenni presi dai Paesi Membri) sembri così difficile da capire…

    • Il riconoscimento delle Abilitazioni comunitarie è una questione complessa per la quale si chiede un intervento del legislatore, altrimenti non se ne esce. Insomma, non è un tema da”pizzi e fichi”. Al riguardo, si sono pronunciati consiglio di stato, corte di giustizia comunità europea e pure il CUN (in un modo che giudicherei del tutto equilibrato):

      https://www.cun.it/uploads/5248/pa_2014_07_22.pdf?v=

  6. Cioè, per esprimermi meglio:
    non è possibile, all’interno dell’Unione Europea, operare una “discriminazione per nazionalità”. Quindi nessun percorso formativo può essere limitato solo agli appartenenti a questo o quello Stato Comunitario…Non è una bella concessione nostrana ma un obbligo! Il quale non ci esime dal considerare e riconoscere i percorsi già effettuati altrove: anche questo è un obbligo, almeno all’interno dell’Unione…
    La normativa italiana, inizialmente sembrava andare in questa direzione (il comma 9 della legge Moratti, nella sua prima versione, riconosceva agli studiosi stranieri, o impegnati all’estero, che avessero conseguito un’IDONEITA’ DI PARI LIVELLO, di essere chiamati direttamente). Ma poi si è introdotta una “doppia asimmetria”:
    a) da una parte, non solo i possessori di abilitazioni straniere non possono più essere chiamati direttamente, ma, anche solo per poter partecipare al concorso italiano, questi debbono già essere di ruolo nella posizione corrispondente all’estero da almeno tre anni.
    b) D’altra parte, chi è di ruolo nella posizione corrispondente all’estero da almeno tre anni può essere chiamato direttamente, mentre chi lo è in Italia può solo partecipare ad un concorso (tranne che non riesca a fare lo “scambista”).
    Insomma, non mi sembra proprio il massimo della linearità…

  7. “Il riconoscimento delle Abilitazioni comunitarie è una questione complessa per la quale si chiede un intervento del legislatore, altrimenti non se ne esce. Insomma, non è un tema da”pizzi e fichi”.”.
    a) Non capisco il significato di “pizzi e fichi”;
    b) Il legislatore italiano si è già espresso da tempo: si veda il DECRETO LEGISLATIVO 9 Novembre 2007 , n. 206.
    Se poi si vuol far finta di nulla…

  8. Mi sembra ci siano due ordini di questioni distinte
    1- previsioni legislative per l’equipollenza delle posizioni
    2- attrattivita’ economica e condizioni di lavoro dell’ Italia

    Sulla prima andrebbe fatta piazza pulita di qualsiasi bizantinismo leguleio, va bene un vaglio scientifico da parte di una commissione (magari senza troppe frescacce bibliometriche) pero’ poi ci deve essere la massima apertura. Non solo per far rientrare quegli italiani bravi che vorrebbero farlo ma anche qualche straniero interessato a lavorare e fare ricerca con gruppi italiani (continuo a pensare che poi non siamo così schifosi come crede quella gran testa di Giavazzi).
    Andrebbero aumentati di molto gli incentivi per rendere la chiamata appetibile agli atenei, che altrimenti avrebbero difficoltà a farla costi pieni

    Sulla seconda, sarebbe molto sensato almeno attaccare a tutte le forme di mobilita’, anche quelle Italia per Italia, un qualche contributo una tantum, e poi e’ fondamentale rimettere negli stipendi le ricostruzioni di carriera. Non puoi far ripartire da zero uno che ha fatto magari per 10 anni. il senior lecturer o il reader in UK Come pure e’ fondamentale incentivare il reclutamento di gente che si porta dietro dei grants europei (molto di più’ della miseria elargita oggi ).

    • “Sulla prima andrebbe fatta piazza pulita di qualsiasi bizantinismo leguleio, ”
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      Io non credo che “ragionando” così andremo molto lontano. Una buona parte dei problemi che ci affliggono nascono da leggi concepite da chi crede di saper scavalcare i “bizantinismi legulei”. Io prenderei a calci chi si occupasse di controlli automatici senza sapere l’ABC. Ho l’impressione (e forse anche più dell’impressione) che siano in molti a volersi occupare di normativa senza avere idea dell’ABC.

  9. Ma è legittimo che molti si facciano domanda sulla normativa. Poi non è che ci sia qualcuno con la patente “ABC” -come la chiama Lei- in fatto di normativa.
    A me sembra molto ragionevole quello che ha scritto p.marcati. Un blog poi serve a scambiarsi opinioni, magari anche a dare dei suggerimenti a chi di dovere. Resta il fatto che il nostro Paese è uno dei più chiusi del Continente (con la Grecia) in fatto di mobilità. Un motivo ci dovrà pur essere, non Le pare?

  10. Risposta a Giuseppe De Nicolao
    Io penso che invece difendere il fatto che anche l’aria che uno respira debba essere “riserva di legge” faccia parte dell’ idea tutta italica, a mio avviso insana, che la “norma” garantisca da sola una astratta neutralità e correttezza di comportamento, come le “linguette staccabili” dei vecchi concorsi da ricercatore, con busta A e busta B dentro unica busta C, poi tutte le C nella busta di tutte le buste, siglate sui lembi dai commissari. Così tutti i concorsi erano correttissimi…
    Infatti ci ritroviamo le bibliometrie.
    A mio avviso responsabilita’ individuale e anche margini di giudizio discrezionale ma trasparente, sono medicine migliori.
    Sulla conoscenza tecnica del diritto sia i matematici che i professori di automatica sono scarsamente alfabetizzati.

    • “Infatti ci ritroviamo le bibliometrie.”
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      Ce le ritroviamo anche nel nuovo DM “Criteri e parametri”, il cui file pdf nelle sue proprietà conteneva le impronte digitali di un matematico, non di un giurista. Non a caso, probabilmente.
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      “idea tutta italica, a mio avviso insana, che la “norma” garantisca da sola una astratta neutralità e correttezza di comportamento
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      La norma da sola garantisce poco, ma il “fai-da-te” dei legislatori della domenica (e qui non mi riferisco all’interlocutore, ma a quelli che ci hanno cacciato in molti dei pasticci presenti) ancor meno. Le norme senza etica sono vane, ma ci sono norme concepite talmente male da vanificare l’etica.
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      “Sulla conoscenza tecnica del diritto sia i matematici che i professori di automatica sono scarsamente alfabetizzati.”
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      Non ne dubito e infatti per quel che mi riguarda cerco di essere cauto, evitando di liquidare qualche millennio di riflessione giuridica con la categoria dei “bizantinismi legulei”. Non tanto per le “riserve di legge”, ma per evitare di farmi ridere dietro dai colleghi che ne capiscono. Una banale questione di amor proprio.

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