Prima di spegnere la luce negli uffici di viale Trastevere, il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo vuole dare fondo ai cassetti e firmare i decreti attuativi della riforma Gelmini. Dopo il decreto sulle borse di studio (se ne riparlerà il 21 febbraio), sulla valutazione e sull’accreditamento dei corsi di laurea [Ava],arriva il «bollino di qualità» sui dottorati. Provvedimenti ispirati tutti all’idea di valutazione (delle persone – studenti o docenti – del loro merito e della loro posizione reddituale) e certificazione (della produttività di atenei, dei corsi di laurea, dei dipartimenti). C’è fretta di concludere la via crucis dei decreti attuativi, e dare vita al Frankenstein della riforma, già in buona parte operativa. Perché? Per preparare gli atenei alla nuova realtà della competizione che aspira al successo (avere più fondi, concorsi), ma rischia anche il default. Nel 2013 saranno 20 gli atenei a rischiarlo, anche se probabilmente non avverrà. I nuovi aspiranti governatori del paese promettono di rifinanziare prontamente il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) riportandolo a 7 miliardi di euro. O così sembra. Un’altra caratteristica lega questi atti che non sono meramente amministrativi. Quella di stabilizzare la vita dell’università alla realtà imposta dalla riforma. E renderla irreversibile.
“Un mandato fallimentare”
Andiamo con ordine. La conferenza Stato-Regioni non ha potuto approvare le modifiche ai requisiti per erogare le borse di studio agli studenti fuorisede. il Consiglio Nazionale degli studenti universitari (Cnsu) non ha approvato il decreto inviato in bozze giovedì 31 gennaio da Profumo. È stato decisivo il boicottaggio degli studenti di centrosinistra (Unione degli studenti e la Rete universitaria nazionale) che hanno fatto mancare il numero legale. Il parere di questo organo voluto dalla Gelmini è obbligatorio, ma non vincolante. «Il ministero adesso non sa cosa fare – afferma Michele Orezzi dell’Udu – Se oggi proveranno ad approvarlo ricorreremo. Dovranno spostare tutto dopo le elezioni. È la degna chiusura del mandato fallimentare di questo ministro. È la vittoria di tutti gli studenti che con le loro mobilitazioni dal 2008 cercano di salvaguardare il carattere pubblico dell’università e quel che resta del sistema del diritto allo studio». Poche ore prima della Conferenza Stato-Regioni Profumo ha riscritto il decreto e ha proposto ai suoi interlocutori un testo dove restano tre scaglioni Isee per accedere alle borse di studio, ma scompare la divisione tra Sud, Centro e Nord, quella che aveva fatto parlare di «leghismo universitario» e anche di «gabbie salariali» al diritto allo studio.
Nella nuova saranno le regioni a decidere a quale scaglione adeguarsi: 15mila-17mila euro; 17001-19mila euro; 19.001-21mila euro. Le modifiche però non hanno convinto il presidente della Conferenza delle regioni Vasco Errani che ha chiesto il rinvio sulla decisione al 21 febbraio, previa consultazione degli studenti, tre giorni prima delle elezioni politiche. «Non condividiamo – ha detto Errani – la modifica dei criteri di accesso per le borse di studio, chiediamo di confermare per il 2013 i criteri di accesso del 2012». Le regioni hanno respinto Profumo e aggiornato alla seduta del 21 febbraio, a 72 ore dalle elezioni. Profumo spera ancora di portare in dote al partito del suo premier Monti, Scelta Civica, una riforma del diritto allo studio ispirata – per lui – al merito, in realtà fondata sulla differenziazione territoriale per reddito, come del resto hanno notato anche i presidenti delle regioni.
Il bluff del governo
L’ansia di portare a casa il decreto prima della scadenza della legislatura ha spinto Profumo a modificare un provvedimento ispirato al «leghismo universitario», com’è stato felicemente ribattezzato dagli studenti che si sono prontamente mobilitati, occupando l’Adisu a Napoli e a Bari, una facoltà a Cagliari, e poi le residenze di Venezia, Macerata e Urbino. C’è stata una veglia a Modena, anche all’Aquila si sono organizzati, come in tutte le città.
Il punto debole di Profumo è il comma 8 dell’articolo 4 che prevede la creazione di tre macroregioni di riferimento per la residenza che regolererebbero il livello massimo di Isee (l’indicatore della situazione economica equivalente) per accedere alle borse: Nord (Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna) con tetto massimo di 20mila euro, Centro (Toscana, Marche, Lazio e Umbria) con tetto di 17.150 euro e Sud (Molise, Abruzzo, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna, Sicilia) di 14.300 euro. Profumo ha provato a modificare i parametri. A Nord l’Isee varrà da 19 a 21 mila euro, nel Centro da 17 mila a 18.500 euro e a Sud da 15 mila a 17 mila. «In questo modo – ha aggiunto – il numero delle borse di studio passerà da 115 mila a 140 mila, l’ammontare delle singole borse da 4.900 a 5.500 euro».
Un ottimismo fuori luogo per Federico Nastasi, coordinatore di Run: «Considerate le risorse del fondo per le borse, la riduzione dell’età massima per beneficiare delle borse e l’innalzamento dei criteri di merito, Profumo vuole restringere la platea degli idonei come avviene dal 2008 con i tagli del governo Berlusconi». Per gli studenti del coordinamento universitario Link è tutto fumo negli occhi: il decreto resta immutato. «Se è vero – dice Luca Spadon – che aumenta l’importo complessivo delle borse, non vi è nessuna inversione di tendenza rispetto ai criteri di reddito e merito». Ciò che ha fatto indignare gli studenti è la norma sui fuorisede. Se passasse il decreto uno studente di Gravina di Puglia, a 60 km da Bari, non sarà più considerato un «fuorisede» bensì un «pendolare» e non avrà diritto a una borsa di studio, né alla stanza in una residenza.
«Lo status di fuorisede – aggiunge Spadon – viene riconosciuto solo a chi impiega un tempo superiore a 75 minuti per raggiungere l’ateneo». Da Gravina a Bari, salvo traffico, ci si impiega di meno. Figurarsi da Livorno a Pisa o da Grosseto a Firenze, tanto per fare altri esempi. Per gli studenti non c’è verso: «il decreto dev’essere ritirato».
Ava non è un detersivo
Allarme rientrato, dunque? Forse sul fronte delle borse di studio, anche se non è detto. Di certo non lo è su quello dell’applicazione della riforma Gelmini che procede spedita come un treno. È stato infatti pubblicato il decreto Ava, acronimo di Autovalutazione, Valutazione e Accreditamento del sistema universitario italiano. Si tratta di un sistema integrato che fa capo all’agenzia della valutazione Anvur che assicurerà la qualità (Aiq) dei corsi di laurea. Gli atenei hanno tempo fino al 4 marzo per ricevere l’accreditamento iniziale dal Miur. Per attivare una triennale sono richiesti 12 docenti, per una magistrale 8. Con quei docenti si possono accettare studenti fino a un certo numero massimo, che dipende dalla classe del corso: ad esempio per Fisica, 75 studenti alla triennale e 60 alla magistrale; a Economia, rispettivamente 230 e 100.
Cosa succede ai corsi che non rientrano in questi parametri? Per i prossimi tre anni nulla, o quasi. Dal 2016/2017 la musica cambierà perché per avere corsi numerosi, e quindi per essere valutati positivamente dall’Anvur e ottenere fondi dal Miur, gli atenei dovranno raddoppiare i docenti. Solo che, a causa del blocco dei concorsi e del pensionamento di massa nei prossimi anni, i docenti saranno dimezzati e quindi corsi come fisica o economia dovranno essere chiusi o accorpati ad altri per mancanza di professori. Come conseguenza, prevedono Giuliano Antoniciello, Alessandro Ferretti e Lia Pacelli su Roars.it, ci sarà «l’introduzione generalizzata del numero chiuso». L’ultimo colpo di coda di una legislatura maledetta che ha programmato il dissesto dell’università. E per domani ha previsto l’estensione del numero chiuso, oggi già presente in metà delle facoltà.
Che cosa significa in concreto? Prendiamo la situazione degli atenei pugliesi. Il decreto Ava chiuderà una serie di corsi di laurea a seguito del blocco del turn over, il pensionamento dei docenti e la mancata assunzione di coloro che hanno vinto il concorso. In 3 anni hanno lasciato la cattedra in 506: 274 per l’Università di Bari, 112 per l’Università del Salento, 110 per il Politecnico di Bari e poco meno di una decina per Foggia. Numeri che diventano ancora più allarmanti se affiancati a quelli del personale amministrativo: in totale, prendendo il caso esclusivamente dell’Università Aldo Moro di Bari, sono andati in pensione 760 persone.
Non verranno sostituiti e, in base a questi conti, Ava chiuderà i corsi che non rispettano la proporzione con gli studenti che sono iscritti. Quei corsi saranno poi accorpati ad altri. Risultato: i docenti residui insegneranno a centinaia di persone, se non migliaia. Con il crollo verticale della qualità della didattica che tuttavia si vuole valutare “oggettivamente”.
Questa situazione impedirà “oggettivamente” le nuove iscrizioni. Semplicemente non ci sarà posto e le facoltà che non vorranno mettere il numero chiuso, saranno costrette a respingere coloro che vogliono iscriversi. E’ già accaduto quest’anno alla facoltà di biologia all’Università di Bari dove a Biologia ci sono state oltre 750 domande di iscrizione, ma la facoltà ha potuto accettare soltanto 150 studenti. Gli altri 600 sono andati in altre sedi o si sono iscritti in altre facoltà rinunciando a proseguire gli studi. Un’altra dimostrazione che l’espulsione degli studenti è stata voluta a tavolino da chi ha imposto i tagli.
Dopo l’approvazione della Corte dei Conti, quello che dovrebbe essere il più alto grado dell’istruzione universitaria cambierà radicalmente. Ce ne saranno di meno, e saranno concentrati nelle «scuole» di dottorato con un collegio di 16 docenti che bandiranno un minimo di 4 borse. Novità più importante è rappresentata dal «dottorato industriale». Sarà infatti possibile svolgere il dottorato nelle aziende, una sorta di «apprendistato» ad alta qualificazione che chiude il cerchio della riforma Fornero che lo impone già nelle scuole.
Per la cronaca, anche quest’ultima trovata del Miur non rispecchia la realtà delle statistiche perché di apprendisti-dottorandi in Italia ce ne sono poche decine e scarse sono le speranze che le aziende ne assumano altri. Tra il 2009 e il 2011 l’apprendistato, quello vero non quello sognato da Profumo (e dalla Gelmini), è crollato del 17%. A una manciata di giorni dalle elezioni, Profumo afferma immancabilmente di avere «allineato il nostro paese all’Europa», mentre invece ha solo confermato l’esistenza di una delle figure dello schiavismo baronale: il dottorato «senza borsa». Cioè un giovane studioso che deve pagare e non essere pagato all’incirca 1035 euro. A Salerno si paga fino a 2.120 euro all’anno, alla Sapienza di Roma 1.413 a Trento «solo» 144 euro.
L’aspirazione di Profumo è agevolare i dipendenti a svolgere un dottorato nella propria azienda. Ormai non è più contemplata l’idea che al dottorato possano accedere i neo-laureati e che possa rappresentare il primo passo di una «carriera scientifica». In più il decreto approfondisce un’altra discriminazione. A differenza di quanto accade in Europa, il dottore di ricerca viene ancora ritenuto un semplice studente – e si sa che gli studenti non hanno bisogno di essere pagati – e non un dipendente degli atenei. Il 39% dei dottorandi italiani ha cominciato la sua esperienza senza un finanziamento contro, ad esempio, il 9% dei dottorandi svedesi e il 24% di quelli tedeschi.
Lo denuncia la terza indagine annuale dell’associazione dei dottorati italiani (Adi). I dati parlano chiaro: da almeno tre anni è in atto un’espulsione di massa dei ricercatori precari dalle università. Solo 7 «cervelli» su 100 possono aspirare ad un posticino nell’università. Il restante 93% viene espulso per sempre. Come nel caso del decreto Ava, anche quello sui dottorati non cerca affatto un rimedio, bensì prepara gli atenei alla nuova realtà, quella di un’università dove i docenti e i «giovani» ricercatori saranno pochi, supersfruttati e malpagati. Il record è quello di Macerata dove c’è un contratto (da assegnista o da ricercatore a tempo determinato) ogni 100 «strutturati».
Tra un paio d’anni questa sarà la realtà in tutti gli atenei. I settori più colpiti sono quelli scientifici e tecnologici, anche perché nelle aree sociali, filologiche, letterarie e giuridiche la decimazione è già avvenuta. In quelle scientifiche, più ampie fino a 6 volte di quelle umanistiche, solo il 3% dei giovani ricercatori oggi impegnati con una borsa o un contratto avrà la possibilità di restare. Per chi invece ha un contrattino, oppure lavora gratis da archeologo o filolosofo le speranze sono maggiori, fino al 16% dei casi. Un paradosso figlio dell’espulsione di massa dei precari.
Nell’arco di cinque anni le borse di tudio di dottorato di ricerca sono diminuite del 24,33% passando dalle 5.045 del 2008-2009 a 3.804 del 2012-2013, con una media di borse per ateneo che passa da 245,4 nel 2008 a 185,7 del 2013. per quanto riguarda le singole universita’ la variazione percentuale va da un +3.6% della ‘Sapienza’ di Roma (da 585 borse a 606), al -68.1% dell’Universita’ di Catania (da 251 borse a 80).
Come stanno reagendo gli atenei davanti a questo miserabile spettacolo? Ricorrendo ai fondi esterni, di privati, agenzie, fondazioni, banche e progetti europei. L’Adi ha fatto un censimento dal quale si nota che i Politecnici (Milano, Torinbo, Bari) sono più avvantaggiati del reperimento dei fondi. I settori «più ricchi» vanno dall’ingegneria industriale e dell’informazione alle scienze biologiche, agrarie e veterinarie. Ma questa strategia è poco lungimirante. I fondi non creano posizioni stabili, ma solo contratti a termine che durano un soffio. Con i concorsi bloccati non c’è speranza che la situazione cambi.
E, quando arriveranno, saranno gestiti con le regole della riforma Gelmini che ha creato un piccolo nucleo di docenti che gestiscono una galassia di figure precarie ad alto tasso di intercambiabilità e rottamazione.
“Come Farhenheit 451″
Per capire le conseguenze di questi decreti ho intervistato Giuseppe De Nicolao, professore ordinario di automatica all’università di Pavia e uno degli animatori della combattiva rivista Roars.it.
«Stanno mettendo in pratica la visione degli ideologi del Corriere della Sera Giavazzi e Perotti – afferma De Nicolao – quelli che hanno ispirato la riforma Gelmini che oggi Profumo sta attuando».
Perché questo decreto è così pericoloso?
Ava è l’erede del decreto 17 che aveva reso più stringenti i requisiti sui docenti per tenere aperti i corsi di laurea. Impone agli studenti sei questionari sulla qualità dei corsi, della didattica, più uno da far compilare ai docenti. Ritocca le formule numeriche che impongono il numero massimo dei corsi erogabili degli atenei legandoli al numero dei docenti disponibili. E poi ci sono altri vincoli…
Quali?
Uno particolarmente severo sulla «didattica assistita» che comprende lezioni frontali, laboratori, i precorsi. Viene stabilita la possibilità che gli ispettori dell’Anvur facciano visite a sorpresa per controllare che gli atenei forniscano dati veritieri. È uno scenario da Farhenheit 451. Con i pompieri che irrompono negli scantinati dove si faceva didattica di nascosto. La colpa più grave sembra quella di trasmettere la cultura.
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I “pompieri” – che hanno il compito di rintracciare chi si è macchiato del “reato di lettura” – bruciano un’abitazione dove erano detenuti illegalmente dei libri. Dal film “Fahrenheit 451” di F. Truffaut.
E le conseguenze?
Con il blocco delle assunzioni e la progressiva diminuzione del numero dei docenti prevista nei prossimi anni ci sarà una proliferazione del numero chiuso delle facoltà, oppure la chiusura pura e semplice dei corsi di laurea. Molti atenei hanno già dovuto chiuderli perché non hanno docenti a sufficienza. L’idea di partenza sembra sensata. Se hai un certo numero di docenti e una certa qualità scientifica puoi tenere aperti i corsi, se non li hai è giusto chiuderli. In realtà, quelli imposti dal ministero sono requisiti molto pesanti introdotti con la convinzione che uno dei mali dell’università sia la sovrabbondanza dei corsi di laurea.
Così sembra, anche perché in 10 anni l’università ha perso 58 mila studenti…
Se da un lato è vero che c’è stata una strage degli immatricolati tardivi, cioè i ragazzi che intraprendono gli studi dai 24 anni in su, dall’altro lato non va molto meglio con i ragazzi freschi di diploma dove le riforme hanno sostanzialmente l’obiettivo di allargare l’accesso alla formazione terziaria. Alla luce di questa realtà, è paradossale la convinzione di chi continua a tagliare. L’Ocse dice che siamo l’ultimo paese in Europa nella percentuale dei laureati nella fascia 25-34 anni: 21% contro una media del 38%. Un abisso. Se vuoi risalire la classifica non si capisce allora perché continui a chiudere corsi di laurea, tagliare borse di studio o addirittura atenei.
Per quale ragione questo invece avviene?
Pare che i nostri politici non conoscano i dati Ocse e sono convinti che in Italia ci sia un’erogazione eccessiva di istruzione universitaria. C’è una forte spinta a non studiare, il messaggio che circola è che è inutile e dannoso. Per questo impongono vincoli soffocanti all’università e penalizzano il diritto allo studio. In questo paese procurarsi un’istruzione è una forma di hybris che va prevenuta o punita.
È vero che queste riforme favoriranno la «concorrenza» tra gli atenei?
Direi proprio di no. Il decreto Ava non vincola gli atenei privati a regole così rigide. Hanno creato un sistema a doppia velocità dove gli atenei pubblici corrono con le mani e i piedi legati per consentire agli atenei privati di trarre vantaggio.
(l’intervista è apparsa su Il Manifesto del 7 febbraio 2013)
A commento di questo articolo, e di quanto sta accadendo in particolare sul fronte AVA, incollo qui sotto il testo di una mail inviata stamane alla mailing list unige, da parte di un gruppo di colleghi (autodenominatosi: Collettivo Insostenibile) che, come ROARS, cerca di opporre un po’ di resistenza (la resistenza dell’intelligenza) a quanto sta accadendo.
L’INSOSTENIBILE ENIGMISTICO
“SE VOI FOSTE IL GIUDICE”
Impegnato da mesi in una difficile battaglia di trincea in un’aspra zona collinare, il Tenente DeRossi ricevette dal Generale Meglini il seguente dispaccio:
“Egregio Tenente DeRossi,
in primo luogo vorrei esprimerLe il mio personale apprezzamento per gli sforzi che ha finora compiuto, al comando della Sua Truppa, per salvaguardare le posizioni del nostro esercito. Sospetto tuttavia che fra i Tenenti possano esservi dei lavativi, dacché il numero di nemici uccisi è diminuito del 13% negli ultimi mesi. Per questa ragione, e per rilanciare il sistema-guerra nel suo complesso, è necessario razionalizzare gli sforzi e, contestualmente, fare un’accurata valutazione del rapporto mezzi/fini sui vari fronti di guerra.
Nel rispetto della Sua autonomia di Ufficiale dell’Esercito, sono pertanto a chiederLe di mantenere le posizioni odierne, rispettando tuttavia, d’ora in avanti, i seguenti vincoli:
1) ogni trincea dovrà essere perfettamente allineata est-ovest e squadrata in direzione nord-sud;
2) in ogni trincea dovranno esservi almeno venti soldati;
3) di questi, almeno la metà dovranno essere sergenti o caporali;
4) le invieremo un nuovo soldato ogni cinque soldati morti;
5) ogni sergente e ogni caporale riceverà al massimo 10 pallottole al giorno (se ne vorrà sparare di più dovrà comprarsele per conto suo all’emporio locale);
6) ogni soldato semplice riceverà al massimo 10 pallottole al giorno, di metà delle quali dovrà immediatamente fare omaggio al suo superiore (se
ne vorrà sparare di più dovrà comprarsele per conto suo all’emporio locale, sempre in numero doppio e con conseguente donazione al superiore);
7) per avere le pallottole d’ordinanza, ogni lunedì mattina dovrà compilare gli appositi moduli e inviarceli a mezzo risciò;
8) se vi si rompono i fucili dovrete pagarvi le riparazioni da voi, in base all’autonomia tattica di cui ogni Truppa gode;
9) se i dispersi di un’altra Truppa volessero unirsi alla Sua, potranno farlo solo se altri, della loro Truppa originaria, non abbiano già chiesto di unirsi a una terza Truppa (in caso di discordanza, vince il gruppo più numeroso);
10) la procedura di arruolamento prevede una verifica dell’adeguatezza di ciascun soldato da parte dell’Autorità centrale; solo a seguito di tale
procedura i soldati abili potranno essere richiesti dalle diverse truppe, in base ai posti liberi in trincea e a un fattore di moltiplicazione, basato su uno specifico ma infallibile calcolo (che non stiamo qui a specificare in quanto non cogente alle mansioni del ruolo da Lei ricoperto);
11) la posizione delle trincee dovrà continuamente venire adeguate alle tattiche e alle strategie del nemico; il loro allestimento dovrà essere ergonimicamente adeguato e adattato all’indice di sviluppo lineare delle trincee sostenibili che vi sarà di volta in volta comunicato;
12) ogni soldato semplice dovrà uccidere almeno 60 nemici al giorno;
13) ogni sergente e ogni caporale dovrà uccidere almeno 120 nemici al giorno;
14) se ammazzerete, su media bisettimanale, meno nemici della media delle Truppe di Eccellenza, il rancio sarà dimezzato;
15) se non ammazzate almeno 1000 nemici al giorno, il rancio sarà azzerato; se ne ammazzate più di 2000, dovete richiedere l’invio di nuovi soldati;
16) i nemici feriti, ma non uccisi, saranno messi a carico della cambusa della Truppa e dovranno essere trattati secondo le norme della Convenzione di Ginevra;
17) periodicamente vi sarà inviato un valutatore, che controllerà l’adeguatezza delle procedure alle presenti specifiche; se il giudizio sarà positivo, potrete continuare nel presente regime per le Truppe Normali; se il giudizio sarà negativo, sarete retrocessi a “Truppa Scadente” e mandati a combattere nelle Paludi di Mordor;
18) Lei stesso dovrà personalmente valutare ciascun soldato al termine di ogni missione, premiando i coraggiosi con una mentina (gliene allego una confezione) e punendo i lavativi con la pubblica fustigazione (NB: i lavativi non potranno essere meno del 25% dei soldati valutati);
19) ogni trincea deve riportare gli appositi pannelli recanti le norme di sicurezza in caso di galaverna, esposti in luoghi ben visibili e comodi a
leggersi;
20) nel frattempo, per migliorare la qualità della lotta, dovrete costituire in ciascuna trincea le seguenti commissioni, ciascuna composta da
almeno un sergente, un caporale e un soldato semplice: “Commissione sberleffi al nemico”, “Commissione qualità del rancio”, “Commissione
feriti-non-ancora-morti”, “Commissione rammendatura bandiere”, “Commissione rammendo calzini”, “Commissione rapporti con la fauna locale”.
Fiducioso nel Suo alto senso del dovere, e quindi certo della Sua collaborazione,
Generale Meglini”
Sospettando che il Generale Meglini fosse impazzito, o che lavorasse al soldo del nemico, Tenente De Rossi si rivolse al Supremo Giudice.
Se voi foste il giudice, cosa avreste sentenziato?
PS n.1 – Se questa vi sembra una parodia, è perché non avete ancora letto il DM n. 47. del 30/1/2013.
PS n.2 per gli animi sensibili – L’uso “politicamente scorretto” di uno scenario di guerra è del tutto intenzionale. Laddove i numeri (l’efficienza, l’efficacia, la burocratizzazione) contino più dei fini, quel che si apre è uno scenario in cui qualsiasi nefandezza è possibile, e giustificata in base alle esigenze della “razionalizzazione delle risorse”. (Abbiamo già scritto, altrove, che è perfettamente possibile valutare l’efficienza di un campo di sterminio senza mai metterne in questione i fini.)
Quanti dei 750 aspiranti alla iscrizione a biologia di Bari avevano partecipato senza successo alle prove di ammissione a medicina, e intendevano iscriversi a biologia solo per attendere le prove del prossimo anno cercando nel frattempo di accumulare qualche credito utie?
La malafede degli ideatori di AVA e del DM risulta evidente considerando i risibili carichi didattici massimi associabili al personale strutturato. Si tratta di un cappio vero e proprio. Lo scopo è la distruzione dell’università pubblica: l’altro strumento sarà la “valutazione” degli studenti basata sui quiz della Settimana Enigmistica.
Due considerazioni:
1. Anche un futuro ministro non pregiudizialmente ostile all’università pubblica si troverebbe a lavorare con degli uffici ministeriali la cui azione sembra quasi essere stata ispirata negli ultimi dieci anni al sabotaggio dell’istituzione, con punte di vero e proprio sadismo amministrativo culminate nel DM e in AVA.
2. L’arroganza di queste persone e dell’ANVUR è giunta a livelli assurdi. Non è possibile far finta di niente quanto ti chiedono -tassativamente- di individuare un problema (anche se non esiste) e di trovarvi una soluzione concreta (!!) e documentata, pena la morte del corso di laurea. Mi ricorda irresistibilmente il film “United Red Army”, del compianto Koji Wakamatsu, dove le sessioni di “autocritica” sono in realtà omicidi più o meno premeditati.
PS Ricollegandomi a 1., al punto in cui siamo arrivati con un po’ di fantasia si può immaginare che a v.le Trastevere arrivino i testi dei decreti già scritti, direttamente da Fondazioni e think-tanks. Come il governo Eltsin che promulgava leggi arrivate via fax da qualche Business School…
Oggi ascoltando al TFA gli insegnanti delle medie che mi esponevano i problemi della scuola -cioè le prove di resistenza umana che devono affrontare ogni giorno tra degrado, precarietà, mancanza di strutture e di rispetto- ho capito che a chi ci governa l’istruzione non interessa assolutamente niente, ma proprio niente di niente.
Siamo tutti noi che facciamo ogni giorno il nostro lavoro a tenere in piedi questo paese.
[…] Un’altra accelerazione è stata imposta all’applicazione della riforma Gelmini per l’università. È stato infatti pubblicato il decreto Ava, acronimo di Autovalutazione, Valutazione e Accreditamento del sistema universitario italiano. Si tratta di un sistema integrato che fa capo all’agenzia della valutazione Anvur, che assicurerà la qualità (Aiq) dei corsi di laurea. Gli atenei hanno tempo fino al 4 marzo per ricevere l’accreditamento iniziale dal Miur. Per attivare una triennale sono richiesti 12 docenti, per una magistrale 8. Con quei docenti si possono accettare studenti fino a un certo numero massimo, che dipende dalla classe del corso. Solo che, a causa del blocco dei concorsi e del pensionamento di massa nei prossimi anni, i docenti saranno dimezzati e quindi molti corsi dovranno essere chiusi o accorpati ad altri per mancanza di professori. Come conseguenza, ci sarà “l’introduzione generalizzata del numero chiuso“. […]
[…] Un’altra accelerazione è stata imposta all’applicazione della riforma Gelmini per l’università. È stato infatti pubblicato il decreto Ava, acronimo di Autovalutazione, Valutazione e Accreditamento del sistema universitario italiano. Si tratta di un sistema integrato che fa capo all’agenzia della valutazione Anvur, che assicurerà la qualità (Aiq) dei corsi di laurea. Gli atenei hanno tempo fino al 4 marzo per ricevere l’accreditamento iniziale dal Miur. Per attivare una triennale sono richiesti 12 docenti, per una magistrale 8. Con quei docenti si possono accettare studenti fino a un certo numero massimo, che dipende dalla classe del corso. Solo che, a causa del blocco dei concorsi e del pensionamento di massa nei prossimi anni, i docenti saranno dimezzati e quindi molti corsi dovranno essere chiusi o accorpati ad altri per mancanza di professori. Come conseguenza, ci sarà “l’introduzione generalizzata del numero chiuso“. […]
[…] “produttività” e dell’”efficienza” degli atenei. E infine quando il decreto AVA (Autovalutazione, Valutazione periodica e Accreditamento) avrà collaborato a ridurre l’attuale “offerta didattica” ridimensionandola al […]