… ma non riesce a dissipare le ombre.
La lettera di Fantoni al Corriere rivela solo l’inconsistenza delle autodifese:

inattendibilità di banche dati già nota a tutti, docenti usati come capro espiatorio,
tempi insufficienti riconosciuti tali solo adesso, confusione sul rapporto
tra contenitore e contenuto scientifico.

Non so se mi sconcerta di più la politica della ricerca che è alla base dei meccanismi valutativi messi in atto dall’Anvur o la formidabile inconsistenza delle autodifese che il suo Presidente una settimana sì e l’altra anche produce.

Sabato 20 ottobre il Presidente dell’Anvur Fantoni con una lettera al Corriere della Sera ha risposto all’articolo di Gian Antonio Stella che portava a conoscenza del grande pubblico quanto i lettori di Roars conoscono bene soprattutto in relazione alla classificazione delle riviste scientifiche. Nell’articolo Stella raccontava di alcuni esempi eclatanti di sedi di pubblicazioni che difficilmente possono essere considerate scientifiche e che tuttavia l’Agenzia Nazionale di Valutazione ha censito come tali.

Il Presidente Fantoni risponde in 5 punti, nei quali sostiene:

1. Le banche dati che raccolgono le pubblicazioni dei docenti non sono attendibili;

2. Le riviste che hanno fatto scandalo vi sono perché qualche docente le ha inserite;

3. L’inserimento di queste pubblicazioni produceva finanziamenti per coloro che le inserivano;

4. l’Anvur ha dovuto procedere in tempi strettissimi per consentire l’avvio delle procedure di abilitazione a livello nazionale;

5. Il lavoro era molto difficile e per quanto sia facile sorridere di certe riviste, molte di queste a volte contengono articoli di un qualche valore scientifico.

Conclusione: l’Anvur ha fatto emergere il problema e dunque “Viva l’Anvur!”

Evito di fare adesso la storia di molte questioni di contorno che sono tuttavia importanti, perché il problema non è qui, come l’Anvur stessa a volte cerca di far credere e come spesso anche chi critica gli esiti del lavoro svolto propone, semplicemente un problema di errori, di incompetenze o di effetti collaterali necessari a un processo in sé sano e giusto. La questione ha a che fare in realtà con il modo in cui si intende la ricerca, il lavoro intellettuale, i “prodotti” scientifici ed è quindi, molto più profondamente, una questione di politica della ricerca e di cultura del sapere. Dunque una questione delicata.

E, se mi si passa l’enfasi, persino pericolosa.

Concentrarsi troppo sugli errori rischia di fare andare sullo sfondo questo piano che ritengo invece assolutamente essenziale.

Ma mi attengo in questa sede alla lettera del Presidente Fantoni, procedendo punto per punto.

1. Le banche dati erano inutilizzabili, dice il Presidente Fantoni.

Che le banche dati delle pubblicazioni fossero inutilizzabili lo sapevano tutti. E molti da mesi insistono nel dirlo all’Anvur. Ma sono inutilizzabili non perché i docenti siano dei furbastri che appositamente le sporcano con dati spuri, ma perché quella che il Presidente Fantoni chiama banca dati delle pubblicazioni, come egli sa benissimo, non è una banca dati delle pubblicazioni scientifiche, ma l’elaborazione di quanto i docenti immettono nelle loro pagine personali. E giustamente i docenti, che fanno a volte anche opera di divulgazione o hanno un qualche ruolo in dibattiti culturali non propriamente scientifici nel senso stretto del termine, immettono queste pubblicazioni a testimonianza di un ruolo e di una funzione che hanno svolto. Possedere peraltro queste informazioni potrebbe essere interessante (ed effettivamente lo è) per le Università nel momento in cui volessero considerare i rapporti tra la ricerca scientifica che esse producono e l’impatto sociale, anche a livello divulgativo o di discussione pubblica, che queste ricerche producono. Che l’Anvur dunque dica adesso che purtroppo la banca dati delle pubblicazioni non era attendibile è deprimente e soprattutto non giustifica davvero nulla.

2. Quanto osservato in relazione al punto 1. elimina già l’argomento 2.: le riviste che hanno fatto scandalo, dice il Presidente Fantoni, vi sono nel censimento fatto da Anvur perché qualche docente le ha inserite. L’argomento però è particolarmente grave perché ancora una volta, secondo una prassi diventata oramai abitudine, sembra scaricare su altri responsabilità che sono invece solo e tutte dell’Anvur. Quelle riviste, insiste il Presidente Fantoni, non ce le siamo inventate noi, le hanno messe i docenti nelle loro pagine personali. Ma non c’è nulla di male, Presidente Fantoni, a scrivere in Suinicultura, L’Aldilà, Il Sole24ore, Yacht, L’Altapadovana, Delitti di Carta, La Regione Abruzzo, Ore Piccole (per un elenco solo provvisorio delle molte riviste di questo tipo censite come scientifiche dall’Anvur, rimando a questo e a questo articolo) e bene hanno fatto i docenti che lo hanno ritenuto opportuno a segnalare al proprio Ateneo questa loro attività.

C’è di male, invece, a certificare, come ha fatto Anvur, queste riviste come riviste scientifiche contraddicendo i criteri che l’Anvur stessa si era data per procedere a questa certificazione. Che l’Anvur dica che il risultato, eufemisticamente imbarazzante, delle loro classificazioni è dovuto al fatto che i docenti hanno inserito (del tutto legittimamente) nelle loro pagine personali pubblicazioni apparse in contesti non scientifici è dunque non solo un argomento del tutto inconsistente, ma anche la testimonianza di un atteggiamento di contrapposizione rispetto alle comunità di ricerca che non ha giustificazione alcuna.

3.     I docenti, questi cattivoni furbi e scapestrati, hanno inserito queste pubblicazioni, dice il Presidente Fantoni, perché così potevano ottenere più finanziamenti dal calcolo puramente quantitativo delle pubblicazioni da parte degli Atenei. Al di là del fatto che affermazioni di questo tipo che non hanno nulla di tecnico (come quasi tutto quello che scrive nella sua lettera) sono perlomeno fuori luogo nel momento in cui vengono pronunciate da una carica istituzionale come quella che il Presidente Fantoni ricopre e al di là del fatto che in moltissimi Atenei le Commissioni scientifiche di Area hanno elaborato criteri per distinguere tra le diverse tipologie di pubblicazione da considerare in relazione all’allocazione di fondi, l’elemento di cui il Presidente Fantoni sembra non rendersi conto è che l’Anvur, con il suo lavoro di censimento, ha di fatto avvalorato questa pratica.

Anzi, a ben vedere, alcuni Atenei che avevano avviato oramai da anni un lavoro di scrematura all’interno delle commissioni scientifiche tra pubblicazioni che potevano essere considerate testimonianza effettiva di un lavoro di ricerca e altre che non potevano essere considerate nello stesso modo, si trovano in questo momento in una situazione persino di imbarazzo, vedendosi i loro docenti considerare dalla Agenzia Nazionale di Valutazione come scientifici dei contributi che il proprio Ateneo aveva ritenuto di non considerare tali. Anche in questo caso l’argomento non solo è del tutto inconsistente, ma appare, piuttosto, come una sorta di aggravante.

4.     L’Anvur, dice poi il Presidente Fantoni, ha dovuto lavorare in fretta, senza un’anagrafe nazionale della ricerca e lo ha fatto per poter avviare le procedure di abilitazione. Anche qui, se l’Anvur avesse da subito considerato le difficoltà che le venivano segnalate e avesse evidenziato chiaramente alle autorità competenti quando si era ancora in tempo ciò che si poteva fare e ciò che non si poteva fare non si sarebbe arrivati al punto in cui si è arrivati. L’argomento del Presidente Fantoni è qui, però, ancora una volta, persino autolesionistico. Poiché non c’era tempo e non c’erano i dati per fare quello che dovevamo fare, dice, abbiamo fatto quello che si poteva fare. Un po’ come se al mio salumiere chiedessi del gorgonzola e lui mi desse una confezione che poi a casa si rivela di stracchino e di fronte alla mia richiesta di spiegazioni mi dicesse poi che purtroppo non aveva gorgonzola.

Nessun salumiere si comporterebbe così.

Il mio salumiere in una situazione come questa mi direbbe che non aveva gorgonzola, che purtroppo in questo momento non è in grado di darmelo e mi avrebbe proposto dell’altro, senza farmi credere, perché a quel punto lo considererei legittimamente in malafede, che lo stracchino fosse gorgonzola. Se a ciascuno di noi viene assegnato un lavoro che non abbiamo il tempo e la possibilità concreta di svolgere e invece lo svolgiamo lo stesso, non solo facciamo un cattivo lavoro, ma soprattutto ci comportiamo male e di fatto prendiamo in giro le persone a cui quel lavoro doveva essere di una qualche utilità.

5.     Purtroppo questo lavoro, dice il Presidente Fantoni, era davvero molto complesso (già!); e poi è facile irridere al titolo di alcune di queste riviste: in realtà, dice sempre il Presidente Fantoni, molte di queste riviste che producono sorrisi e sberleffi contengono a volte dei contributi scientifici. Questo è, secondo me, un punto importante e nodale. Che in queste riviste (o a dire il vero in alcune di esse) ci possano essere contributi scientifici non fatico a crederlo o a pensarlo.

Il problema è che l’Anvur non stava valutando i contributi, ma le riviste; e secondo criteri che l’Agenzia stessa si era data e aveva reso pubblici e che il suo censimento invece smentisce non in pochi, ma in molti casi.

Dico che questo è un punto importante perché qui si pone una delle questioni più gravi che stanno alla base del processo valutativo messo in moto dall’Anvur e dal Ministero, e cioè la pretesa di valutare i singoli contributi (e dunque nel caso dell’abilitazione, le persone) a partire dal contenitore nel quale questi contributi vengono pubblicati. Pratica, questa, carica di enormi conseguenze in relazione alle politiche della ricerca e che non ha, a mia conoscenza, alcun modello scientifico internazionale di riferimento.

Anche questo argomento è dunque del tutto inconsistente. E semmai rovescia ulteriori criticità e ombre sull’Anvur e sulle sue pratiche di lavoro.

 

L’Anvur si è assunta del tutto impropriamente un compito pedagogico pretendendo di indicare dall’alto attraverso dispositivi normativi (le delibere) e automatismi rozzi (le classificazioni) le politiche della ricerca. Io non credo che un’agenzia di valutazione abbia compiti di questo tipo. E se proprio vuole avere intenti pedagogici li esplichi assumendosi la responsabilità delle proprie decisioni, rispettando le regole che in questo caso l’Agenzia stessa si è data e rendendo conto in modo trasparente del modo in cui ha agito.

Io credo sia il caso da parte dell’Anvur di uscire da questo guscio nel quale si è cacciata: la smetta di rispondere ad ogni critica ribadendo agiograficamente l’encomiabilità del lavoro svolto, marginalizzando l’errore a effetto collaterale del tutto sostenibile e scaricando le responsabilità, populisticamente, su un mondo universitario imbroglione e sbruffone.

Se non si parte da qui, dispiace dirlo, è già tutto finito.

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9 Commenti

  1. Sottoscrivo quanto detto nell’opinione di Luca Illitterati. Dubito però che l’attuale direttivo dell’anvur vorrà fare il passo indietro che salverebbe la cultura della valutazione dalla catastrofe morale. La posizione assunta dall’anvur, non solo in questo caso, è quella del lupo della favola di Fedro, “superior stabat lupus”. Qualsiasi cosa si provi e si dimostri, dirà che è colpa tua, sempre e comunque.

  2. A mio parere il problema è di fondo, in parte toccato dal’autore.
    La qualità della ricerca si valuta dalla rivista che pubblica o dal contenuto del saggio/articolo ? E poi la divulgazione scientifica è inutile e dannosa per la ricerca, ovvero ne è l’idispensabile esito ? Non ha forse lo stesso peso della ricerca e, dunque, bisogna lo stesso dare importanza alla divulgazione ?
    A meno che non si voglia disegnare una situazione di algidi ricercatori chiusi nelle loro torri d’avorio che ‘ricercano’ cose che al di là di altri ricercatori non interessino nessuno.
    Anche perchè nella società d’oggi, ci piaccia o meno, le risorse arivano perchè l’opinione pubblica, e quindi la politica, ha coscienza dal valore (reale o fittizio, è un problema di giudizio) solo sulla base della pubblicità. Quindi una ricerca scientifica avrà valore solo se sarà divulgata. Ma se ai divulgatori, ai loro saggi,anche sul IL SOLE 24 ORE o su SUINICOLTURA, non dò rilievo, chi farà divulgazione, quindi chi convincerà gli elettori che sia giusto finanziare la ricerca pura ? lo Spirito Santo ? Io nello Sprito santo ci credo, ma sembra che la maggior parte dei ricercatori sia atea.

  3. aggiungo:
    un importante professore di Storia Contemporanea a Lettere (La Sapienza) ha scritto molto, saggi, volumi, manuali scolastici. Ha avuto incarichi di rilievo nella facoltà. Negli ultimi anni ha cominciato a scrivere anche per dei quotidiani.
    Forse il manuale scolastico di storia e gli articoli per i quotidani son barzellette ? Non sono il frutto di lavoro intellettuale che produce una crescita culturale, morale, istruzionale, della società ? Non provocano anche essi discussioni, dibattito scientifico? Oppure è degno di esser chiamata ricerca solo una barbosa elencazione di nomi di italiani dell’Istra e Dalmazia internati nei campi all’interno dell’Austria nel 1915-17 ?

    • Il problema che pone cipriani è serio, e purtroppo gli attacchi dell’ANVUR ai docenti che avrebbero creato una “situazione profondamente distorta” (Fantoni sul Corriere) inserendo le loro pubblicazioni di tipo divulgativo nella banca dati di nuovo non aiuta una discussione ragionata, che l’ANVUR, che si dà spesso compiti pedagogici impropri, dovrebbe favorire, e non bloccare con le forme di autodifesa che Illetterati giustamente critica. Il problema è quello che si è incominciato a chiamare della “third mission” o “third stream”, ossia del “terzo compito” che l’Università dovrebbe avere, accanto a quelli della ricerca e della didattica, cioè di contribuire allo sviluppo sociale ed economico della società. Il problema è così centrale che spesso la stessa valutazione della ricerca viene considerata come un mezzo per consentire una accountability sociale delle Università, ossia il loro render conto – fuori dalla “torre di avorio” – alle società in cui si inseriscono. Il rischio è che anche questa terza missione, che dal punto di vista dell’ambiente extrauniversitario può configurarsi quasi come la prima, sia esaminata anzitutto e solo in termini di indicatori e quantificatori (si veda p.es. : http://www.e3mproject.eu/ oppure: http://www.lse.ac.uk/collections/CCPN/pdf/russell_report_thirdStream.pdf) e che di essa si accentui oltremisura l’aspetto dell’utilità economica a discapito di quello della crescita sociale e culturale – formazione di cittadini, promozione di diritti, diffusione del sapere e della consapevolezza. Di questo secondo aspetto fa parte lo scrivere su quotidiani, riviste divulgative, ecc., e dunque né Leadership medica né l’ormai celebre Suinicultura (mi aspetto un boom di abbonamenti) devono essere oggetto di sbeffeggiamenti (come ROARS non ha mai fatto e come invece ha fatto l’ANVUR gridando allo scandalo per il fatto che i docenti avessero segnalato anche i loro interventi pubblicistici). Si può ritornare a parlare anche di questo, e cioè di cosa l’Università, oltre che per la vita materiale di tutti (su questo l’attenzione non manca e non mancherà), possa fare per la crescita culturale di ognuno e delle società nel loro complesso? E’ giusto che dall’ANVUR vengano attacchi ai “baroni” (!), qualche volta da qualche collaboratore esterno perfino minacce di mobbing, e ora per malintesa autodifesa un attacco ai docenti cialtroni che infarcirebbero di assurdità le banche dati, e mai la promozione di una discussione seria su cosa possa essere la valutazione e su cosa debba essere l’Università? (ho il sospetto che la prima domanda dipenda fortemente dalla risposta alla seconda). E’ necessario che alle critiche si risponda con chiusura e non con l’apertura (verso il argomenti, verso il mondo esterno)? Non so se gli uffici ANVUR siano in una torre, ma qualche volta si ha l’impressione che siano in un bunker. Aprite quella porta.

    • Aggiungo a titolo di contributo alla discussione che nel questionario di autovalutazione che la stessa ANVUR ha richiesto ai Dipartimenti per la VQR la cosiddetta “Terza Missione” aveva una parte significativa.

  4. A ciò che ha giustamente detto Carlocetteo Cipriani desidero aggiungere quel che avviene nell’ambito dei finanziamenti alla ricerca scientifica a livello comunitario, particolarmente nell’ambito dei programmi quadro e con riferimento specifico alle humanities ed alle social sciences, delle quali solo ho una certa contezza.

    tra i deliverables per la quale si ricevono contributi finanziari alla pubblicazione, come spesso ci ripetono i funzionari della commissione che ci istruiscono sulle procedure di presentazione dei progetti, piú che pubblicazioni scientifiche rivolte alla comunità degli scienziati ci si chiede di inserire pubblicazioni ed opere di disseminazione dei risultati di carattere divulgativo rivolti ai policy makers, all’opinione pubblica, etc.

    io ritengo questa pratica disdicevole, è sto maturando la convinzione che negli ambiti umanistici quel che le istituzioni europee domandano ai ricercatori sia di predisporre la fondazione scientifica delle linee politiche precedentemente elaborate dai working groups (formati dai delegati dei governi e della commissione) — con un totale assoggettamento della cultura alle ragioni di stato, assai latamente intese. non dimento questa è la tendenza che riscontriamo a livelo internazionale, livello cosí spesso — quanto a vanvera — richiamato allor quando si (stra)parla di valutazione della ricerca scientifica.

    in generale mi par quella di Luca Illetterati un’opinione altamente condivisibile.

  5. Come membro della Commissione Ricerca Scientifica e della Commissione per la valutazione della Ricerca (Area 10) dell’Università di Catania confermo in pieno quanto scritto dall’Autore dell’articolo. Siamo stati impegnati per molte riunioni infatti nella definizione dei criteri di scientificità delle sedi di pubblicazione, suscitando anche qualche malumore fra i colleghi… adesso sentirci smentire al più alto livello non è assolutamente piacevole.

  6. L’articolo a alcuni commenti sono molto interessanti. Ma ho l’impressione che si stia “sparando troppo alto” per il livello morale e culturale dimostrato da Anvur&Co. Rileggiamo i testi dei ricorsi e delle interrogazioni parlamentari. L’Agenzia ha coperto di ridicolo l’intera comunità accademica, va avanti con un concorso nazionale indifendibile quanto ai presunti parametri “oggettivi” sui quali doveva basarsi e, quel che mi addolora di più, trascina verso un vuoto che non esito a definire abissale le speranze di tanti giovani e meno giovani che si affannano a calcolarsi mediane ed età accademiche, impazzendo con pdf che forse nessuno leggerà. Questo, mi dispiace, non posso perdonarlo. Mentre Gev e componenti Gdl si accaparrano anche tante (tantissime) migliaia di euro dei progetti Prin, come si è cominciato a denunciare su Roars.

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