Se si legifera d’urgenza non c’è il tempo per un’analisi di impatto. Se l’urgenza non c’è, non studiare le conseguenze è una scelta. Mai abbastanza stigmatizzata. Se poi si pubblica un decreto legge il 9 agosto, all’inizio della chiusura estiva del Parlamento, i tempi di conversione si dimezzano e c’è poco spazio anche per terzi per fare analisi di impatto seria. È quanto è accaduto il non decreto agostano sull’accesso aperto, i cui elementi essenziali sono stati già illustrati su ROARS da Paola Galimberti (https://www.roars.it/obbligo-di-accesso-aperto-per-pubblicazioni-relative-a-ricerche-finanziate-con-fondi-pubblici/) e Roberto Caso (www.roars.it/verso-una-legge-italiana-sullaccesso-aperto/comment-page-1/#comment-14982).
A dispetto dei tempi strettissimi, ho provato a fare una stima – inevitabilmente approssimativa – dei costi per il sistema della ricerca italiana delle norme appena introdotte, laddove non siano modificate in Parlamento.
Assumiamo che la norma sia in grado di produrre ciò che proclama: che tutto ciò che deriva da finanziamenti pubblici della ricerca sia pubblicato entro sei mesi ad accesso aperto. Si può provare a capirne le conseguenze nella vita dei ricercatori sulla base di un precedente: Telethon ha adottato da alcuni anni una politica molto simile. Gli articoli che derivano da suoi finanziamenti devono essere ad accesso aperto entro sei mesi.
Ciò consente di capire le implicazioni pratiche della scelta politica. Il sito Telethon è molto esaustivo e fornisce tutte le informazioni ai singoli ricercatori (http://www.telethon.it/en/open-access/procedures). In sintesi, ogni ricercatore continua a pubblicare come crede, inviando i propri articoli alle riviste migliori per cercare di massimizzare l’impatto nelle comunità scientifiche. Se queste riviste hanno una politica standard che consente la pubblicazione ad accesso aperto entro i sei mesi, il ricercatore potrà semplicemente passare a Telethon la versione che l’editore gli consente di pubblicare. Se – com’è nella maggior parte dei casi – l’editore non consente tale pubblicazione, Telethon si fa carico del pagamento della fee per la pubblicazione open access, il più delle volte fin dall’uscita, quindi senza attendere la scadenza dei sei mesi.
Vi è dunque un costo nel perseguire coerentemente tale politica. Ma, dice il comma 4 dell’articolo del decreto, non devono esserci oneri aggiuntivi a carico delle finanze dello Stato. Chi pagherà allora questo costo? Lo stesso caso Telethon aiuta a capire. Il suo direttore scientifico Lucia Monaco ha avuto modo di spiegare in più occasioni la scelta fatta. In una relazione alla Giornata Nazionale sull’Open Access (Università degli Studi Roma Tre, 23 ottobre 2009), al momento dell’adozione della politica, ha riportato alcune cifre: fino ad allora i costi di pubblicazione di Telethon erano di circa 23mila euro annui, si stimava che sarebbero circa decuplicati fino a 200mila euro annui (v. slide 14 dell’intervento scaricabile da http://host.uniroma3.it/biblioteche/page.php?page=Programma).
In una successiva occasione, in un convegno all’Università Statale di Milano nel 2010 (http://www.sba.unimi.it/files/bfarmacia/relazione_Dott.ssa_Monaco.pdf) ha spiegato: “Si è trattato di una scelta difficile, perché l’investimento corrisponde al costo medio di uno dei progetti finanziati da Telethon. Quindi scegliere l’Open Access significa rinunciare ad un progetto di ricerca”. A fronte di ciò, Telethon ha visto dei possibili effetti positivi di lungo periodo, e ha accettato di pagarne il costo.
Poiché il decreto, dicendo che non vi sono fondi in più, presuppone che i costi aggiuntivi di pubblicazione devono essere presi dalle attuali dotazioni finanziarie per la ricerca, certamente presuppone “di rinunciare a [un considerevole numero di] progetti di ricerca” o comunque di impoverirne significativamente il budget.
Una prima stima del costo totale per la ricerca italiana
Proviamo qualche stima. Per Telethon, il budget per le pubblicazioni è circa l’1% del finanziamento totale (v. il primo degli interventi di L. Mancini citati), ma per i progetti in ambito medico il denominatore del rapporto (il finanziamento medio per progetto) è molto più alto della media di tutte le discipline, mentre il numeratore (il costo delle pubblicazioni) è più o meno in linea. È difficile dire quale quota del budget attuale dovrà essere sacrificata a questo fine. Un 4-5% è una stima ragionevole? Non saprei. Lascio ad altri la valutazione se si può procedere lungo questa linea.
In alternativa, è possibile seguire nel dettaglio – avendo in mente il modello Telethon – cosa potrà accadere in futuro. Facciamo l’ipotesi che i ricercatori italiani vogliano continuare a pubblicare sulle riviste a maggior impatto, disciplina per disciplina, e siano valutati relativamente alla capacità di riuscirci. Supponiamo di conseguenza che la preferenza per le sedi editoriali di pubblicazione non cambi (potrà cambiare, come vedremo, la possibilità di accedervi).
Il ricercatore sottoporrà i propri lavori alle riviste (o, per le monografie, agli editori) che riterrà più opportuni. Se questi accetteranno di pubblicare l’articolo o il libro, si porrà il problema di sostenere l’onere dell’open access per tutti i casi in cui la politica attuale dell’editore non consente la ripubblicazione gratuita entro sei mesi.
Assieme a Elisa Molinari e Lorenza Biava, che ringrazio, abbiamo analizzato le politiche OA di un campione di riviste selezionate, prendendo le prime dieci nel ranking Scimago (www.scimagojr.com/journalrank.php) in dieci significativi ambiti disciplinari. Non un campione statisticamente rappresentativo delle riviste, ma una selezione delle migliori, volendo focalizzare l’attenzione sull’obiettivo che la ricerca italiana sia presente su questa tipologia di riviste.
Abbiamo poi verificato su Sherpa Romeo (www.sherpa.ac.uk/romeo) le relative politiche di open access, quando necessario cercando maggiori dettagli nei siti delle riviste.
La tabella che segue riproduce il risultato:
A. Consentono l’archiviazione gratis entro 6 mesi | B. Non consentono l’archiviazione gratis entro 6 mesi | C. Riviste solo ad accesso aperto gold | Media costo in euro opzione gold | |
Agricultural and Biological Sciences | 5 | 3 | 2 | 1.816 |
Arts and Humanities | 1 | 9 | 0 | 1.757 |
Chemistry | 3 | 7 | 0 | 2.482 |
Economics, Econometrics and Finance | 2 | 8 | 0 | 2.171 |
Engineering | 3 | 7 | 0 | 1.617 |
Mathematics | 2 | 8 | 0 | 1.913 |
Medicine | 5 | 5 | 0 | 2.286 |
Physics and Astronomy | 3 | 7 | 0 | 1.372 |
Psycology | 0 | 10 | 0 | 2.053 |
Social Sciences | 0 | 10 | 0 | 1.981 |
Totali | 24 | 74 | 2 | 1.936 |
Nel 76% dei casi è necessario pagare una fee per ottemperare al nuovo obbligo di legge. Tale percentuale è molto maggiore in alcune discipline, e in particolare nelle scienze umane e sociali, dove praticamente la totalità delle riviste chiedono un embargo molto più lungo prima della pubblicazione OA.
La media di tali fee è poco minore ai 2000 euro e non molto diversa tra le discipline (le differenze non sembrano significative considerato il numero ridotto delle unità analizzate).
In numerose discipline, dividendo i fondi assegnati (es. da molti PRIN) per il numero di articoli pubblicati il valore che si ottiene è molto simile a quei 2000 euro. Il che significa che, in questi casi, o si spende per compiere la ricerca o si spende per pubblicare. Arrivando a un paradosso: se si spende per la ricerca non si hanno più i soldi per pubblicare, come è obbligatorio, mentre se si spende per pubblicare la ricerca non è finanziata con quei fondi, per cui non sarebbe obbligatorio che sia ad accesso aperto. Giacché la legge, è importante precisare, non fa riferimento a chi paga la pubblicazione, ma a chi finanzia la ricerca che è monte. Per cui le pubblicazioni finanziate non vi rientrano.
Stima dei costi totali del decreto per la ricerca italiana
Quanto possa costare l’insieme del provvedimento alla ricerca italiana è difficile dire. Come detto, i dati riportati riguardano le riviste più prestigiose, ma né il livello dei prezzi né le politiche dei diritti sono molto differenziati sul mercato. Possiamo assumere – in prima approssimazione: è ancora la fretta a farla da padrona – i valori trovati come applicabili all’insieme della produzione scientifica. Su questa ipotesi, per ogni 1000 articoli scientifici derivanti da ricerche almeno per la metà finanziate da fondi pubblici, il costo sarebbe di circa 1,5 milioni di euro (1936€ * 740 articoli = 1.471.461), interamente in riduzione dei finanziamenti della ricerca.
Ancor più arduo fare una stima del costo aggiuntivo sulla pubblicazione di monografie, in quanto è un inedito nel panorama internazionale. Certamente, gli editori che vedrebbero ridurre le vendite attese, chiederebbero analogamente un pagamento per la pubblicazione ad accesso aperto ed è ragionevole che sia maggiore di quello dei singoli articoli. Per comodità di calcolo ipotizziamo tuttavia che sia analogo.
Difficile infine stimare quanti articoli che corrispondono alle caratteristiche definite dal decreto sono pubblicati annualmente da ricercatori italiani. Anche qui si può procedere per ipotesi, eventualmente modificabili da chi legge, se ha fondamenti più robusti dei miei per fare ipotesi migliori.
– I ricercatori italiani che lavorano nelle Università e nei centri di ricerca vigilati dal MIUR sono circa 60mila (dato inferito dal recente rapporto finale VQR);
– Supponiamo che pubblichino una media di 1 articolo l’anno, e che il 30% di questi ricada nella previsione normativa.
Ne risulterebbe un costo totale annuo di 26 milioni (60*0,3*1,471M).
La stima potrà non essere precisissima, ma direi che l’ordine di grandezza è di questa portata. Da qui la domanda: la ricerca italiana ha proprio bisogno di una decurtazione di fatto dei fondi per la ricerca dell’ordine dei 26 milioni di euro?
Certamente, è possibile che le strategie di pubblicazione da parte dei ricercatori ne siano modificate, non tanto perché cambino le loro preferenze ma perché, considerata la scarsità dei fondi, molte riviste diverranno inaccessibili. È accettabile in un contesto di ricerca globale? Non si condanna così la ricerca italiana a una maggiore irrilevanza nel panorama internazionale?
E l’Europa?
Presentato come un modo per recuperare “l’arretratezza italiana” nei confronti dell’Europa, il decreto non ha in verità paragoni nell’Unione. Solo altri due paesi hanno legiferato in materia: Spagna e Germania. Non perché gli altri siano in ritardo, ma perché in molti casi le analisi condotte hanno portato a concludere che la legislazione non è la strada più efficace per la promozione dell’accesso aperto. Il caso più interessante è quello inglese. Dopo una serie di studi affidati a ricercatori indipendenti, si è deciso che la miglior politica sul tema non passa da nuove leggi. Le posizioni politiche del Governo si possono leggere su www.bis.gov.uk/assets/biscore/science/docs/l/12-975-letter-government-response-to-finch-report-research-publications.pdf; il “Rapporto Finch”, risultato dell’analisi di impatto affidata a un gruppo che ha coinvolto editori, rappresentanti degli enti di ricerca e delle società scientifiche, coordinato da Janet Finch, è reperibile su www.researchinfonet.org/wp-content/uploads/2012/06/Finch-Group-report-executive-summary-FINAL-VERSION.pdf; un’efficace sintesi della politica britannica si può trovare su www.publications.parliament.uk/pa/ld201213/ldselect/ldsctech/122/12206.htm. Il grafico che descrive le opzioni per il ricercatore è illuminante anche rispetto alla nostra discussione.
In ogni caso, la norma italiana si distanzia dalle altre due esistenti in Europa, a partire dalla sua collocazione nella legislazione, giacché negli altri paesi non si pretende di associarla alla “promozione della recitazione” (sic!).
| Italia | Spagna | Germania |
Collocazione della norma | Articolo su “sviluppo delle biblioteche e degli archivi e per la promozione della recitazione e della lettura” | Legge sulla ricerca scientifica | Legge sul diritto d’autore |
Modalità operative | Obbligo per i ricercatori, senza eccezioni | Obbligo per i ricercatori, ma sono fatti salvi accordi diversi con gli editori, in particolare relativamente a periodi di embargo più lunghi | I ricercatori hanno sempre il diritto di pubblicare l’opera ad accesso aperto dopo 12 mesi (non sono validi patti contrari) ma non hanno alcun obbligo |
Ambito di applicazione | Risultati delle ricerche finanziate almeno al 50% con fondi pubblici | Risultati delle ricerche finanziate interamente dal Bilancio dello Stato | Risultati delle ricerche finanziate almeno al 50% con fondi pubblici |
Tipologia di prima pubblicazione | Sia articoli di rivista sia libri | Solo articoli di rivista | Solo articoli di rivista |
Periodo di “embargo” | 6 mesi | 12 mesi | 12 mesi |
Si differenziano soprattutto le modalità operative della politica sull’accesso aperto. Anche in Spagna, ad esempio, si introduce un obbligo a carico dei ricercatori, ma si fanno salvi i contratti diversi con gli editori. In particolare ciò consente di pubblicare anche su riviste con periodi di embargo più lunghi, che potranno essere rispettati, evitando così di aumentare i costi per il sistema, secondo un modello simile a quello britannico. In Germania la strada è totalmente diversa: non vi è alcun obbligo, ma si rafforza il diritto dell’autore nei confronti dell’editore, rendendo inefficaci le cessioni dei diritti che rendono non possibile la pubblicazione open access senza fini di lucro 12 mesi dopo la prima pubblicazione. Saranno poi gli autori a valutare l’opportunità di ripubblicare ad accesso aperto, e sarà compito dei promotori dell’open access quello di conquistarsi il loro favore.
In entrambi gli altri paesi, il periodo di embargo – che pure prevede eccezioni – è doppio rispetto a quello italiano, e la norma è limitata agli articoli di rivista, mentre in Italia si pretende di applicarla anche ai libri.
Insomma, è evidente la differenza che passa tra norme meditate e maldestre improvvisazioni.
Caro Piero,
tu citi la politica di Telethon, che giustamente ha scelto il gold open access perché ha una necessità di comunicazione immediata dei risultati agli stakeholders e agli altri ricercatori. Il DL agostano invece risponde sì a un’esigenza di rendicontazione rispetto ai fondi ricevuti, ma con un’urgenza forse meno stringente. In questo senso il termine dei 6 mesi di embargo è senz’altro negoziabile e può essere allineato con le politiche della EC e con quelle degli altri paesi che hanno adottato una politica di accesso aperto.
L’analisi sui dati Scimago può essere utile come esempio, ma come sai non può essere effettuata in modo piatto.
Analizzando la politica dell’editore i punti da tenere presente sono DOVE è possibile auto archiviare, QUANDO, e QUALE VERSIONE.
Ho provato a ripetere l’analisi su due settori di cui ho preso i primi 10 titoli in ordine di SJR :
Biochemistry Genetics and molecular biology
Annual Review of Biochemistry 15454509 pre print
Nature Genetics 10614036 6 mesi
Cell 10974172 nessun embargo
Annual Review of Genetics 15452948 pre print
Physiological Reviews 15221210 12 mesi
Nature Reviews Molecular Cell Biology 14710080 6 mesi
Annual Review of Cell and Developmental Biology 15308995 pre print
Cancer Cell 15356108 nessun embargo
Annual Review of Plant Biology 15435008 preprint
Acta Crystallographica Section D: Biological Crystallography 13990047 PDF editoriale subito
Agricoltural and biological sciences
Nature Reviews Genetics 14710064 6 mesi
Annual Review of Plant Biology 15435008 pre-print
Nature Reviews Neuroscience 14710048 6 mesi
Trends in Ecology and Evolution 01695347 nessuna indicazione di embargo
Systematic Biology 1076836X 12 mesi
PLoS Biology 15457885 oa journal
PLoS Genetics 15537404 oa journal
Annual Review of Entomology 15454487 pre-print
Plant Cell 1532298X 12 mesi
Annual Review of Phytopathology 15452107 pre-print
Come vedi in tutti i casi l’articolo è depositabile con un embargo massimo di 12 mesi, e in preprint o nella versione dell’autore. In qualche caso anche nella versione dell’editore.
Nella vostra analisi dire “non consentono l’autoarchiviazione gratis dopo 6 mesi è fuorviante. Infatti dopo 12 mesi l’autoarchiviazione è consentita, e dopo quindi un ragionevole periodo d’embargo l’articolo, nella versione prevista dall’editore, può essere archiviato o nel repository istituzionale e/o in alcuni casi sul sito personale dell’autore.
Quanto poi alla scelta inglese (che ha causato la assurda politica di ACS citata da Marco Bella in un commento dei giorni scorsi), il Business, Innovation and Skills Committee Select Committee ha pubblicato il 10 settembre il suo 5. report su Open Access http://www.publications.parliament.uk/pa/cm201314/cmselect/cmbis/99/9902.htm
La notizia che troviamo su http://www.parliament.uk dice:
Government mistaken in focusing on Gold as route to full open access, says Committee
The Government’s commitment to increasing access to published research findings, and its desire to achieve full open access, are welcome, says the Business, Innovation and Skills Committee in a Report published today. However, whilst Gold open access is a desirable ultimate goal, focusing on it during the transition to a fully open access world is a mistake, says the Report.
The Report calls on the Government and RCUK to reconsider their preference for Gold open access during the five year transition period, and give due regard to the evidence of the vital role that Green open access and repositories have to play as the UK moves towards full open access.
The Report recommends that:
• the Government should take an active role in promoting standardisation and compliance across subject and institutional repositories [paragraph 25].
• RCUK should reinstate and strengthen the immediate deposit mandate in its original policy and improve the monitoring and enforcement of mandated deposit [paragraph 31].
• the Government and RCUK should revise their policies to place an upper limit of 6 month embargoes on STEM subject research and up to 12 month embargoes for HASS subject research [paragraph 50].
• the Government should mitigate against the impact on universities of paying Article Processing Charges out of their own reserves [paragraph 64].
• if the preference for Gold is maintained, the Government and RCUK should amend their policies so that APCs are only paid to publishers of pure Gold rather than hybrid journals to eliminate the risk of double-dipping [paragraph 77].
Mi sembra che il report stigmatizzi la forma ibrida di open access (alcuni articoli a pagamento accessibili per sottoscrizione, altri articoli open access finanziati dall’autore o dalla sua istituzione), ma soprattutto chieda che venga rivalutato il ruolo che i repository istituzionali possono avere nella transizione ad un sistema completamente open access.
Grazie Paola,
non mi sembra vi siano differenze tra quel che dici e quello che sostengo io.
La tua analisi sui dati Scimago coincide con quella riportata nella prima riga della mia tabella: 5 riviste consentono l’archiviazione gratis entro 6 mesi, 2 sono OA gold, 3 non consentono entro 6 mesi, giacché embargo = 12 mesi. Abbiamo fatto lo stesso per altre nove discipline e – se ripeti – dovrebbero tutte coincidere (E’ sempre bene fornire analisi falsificabili!).
Quindi, si conferma che con un embargo “cieco” a sei mesi si producono disastri. Se fosse a 12 nella prima riga ci si salva, ma in molte successive restano notevoli problemi. Nelle scienze umane e sociali specialmente.
Sul Regno Unito: certo, vi è dibattito. E vi sono opinioni differenti. E’ quello che è mancato prima di emanare questa norma. E si vede.
Caro Piero,
ti leggo sempre con molto interesse e, tra le tante virtù, ti riconosco anche il fatto di essere inguaribilmente provocatorio (e perciò stimolante), anche a costo di risultare avventuroso, come in questo caso.
Tu stesso ammetti di fare riferimento a calcoli approssimativi, ma è la metodologia che utilizzi a essere altrettanto approssimativa. E questo inficia irrimediabilmente le conclusioni del ragionamento.
Si prende un caso studio (quello Telethon) e se ne fa lo specchio della ricerca italiana tutta. Si prendono le prime dieci riviste di Scimago e lo si rende un campione rappresentativo dell’intero mondo dell’italica scienza.
Il tutto per supportare un’unica argomentazione: era meglio che la legge ponesse periodi di embargo più lunghi.
Non c’era bisogno di far ricorso alla spannometria per puntellare questa tesi. Bastava limitarsi all’argomento, pur da te speso, del mainstream normativo internazionale.
A proposito, per amore di precisione, la legge tedesca non mi pare – da giurista sono abituato a citare le fonti – sia già in vigore.
Allora, proviamo a metter da parte la spannometria e veniamo alla sostanza delle cose.
Paola Galimberti cita giustamente il report del BIS Committee della House of Commons.
Se si legge con attenzione quell’interessantissimo documento, ne risulta che non esistono evidenze empiriche del fatto che una ripubblicazione immediata danneggi il business degli editori tradizionali (che si basano sulla vendita di accessi).
Allora perché chiedere periodi di embargo e persino lunghi?
E ancora: chi è che sbaglia? La legge a chidere di ripubblicare in archivi istituzionali e disciplinari o gli editori che chiedono soldi per la ripubblicazione entro i sei mesi quando sono già ricompensati dagli abbonamenti?
E di più: si può chiedere trasparenza agli editori? O tutto deve rimanere riservato?
Perché i termini dei contratti con finanziatori non vengono resi pubblici?
Anche su questo punto il report della Camera dei Comuni è istruttivo. La riservatezza dei termini contrattuali alimenta il potere oligopolistico degli editori scientifici.
Perché i costi di pubblicazione nelle riviste Open Access a pagamento non vengono resi trasparenti?
Occorre una legge per chiedere queste cose? O si può sperare in un comportamento virtuoso spontaneo?
Non chiedetevi quello che il Paese può fare per voi, chiedetevi quello che potete fare voi per il Paese…
Ma come ben sai questa discussione sui 6 o 12 mesi di embrago rischia di essere superata dai fatti, se è vero come è vero che il testo del DL sembra già stravolto da emendamenti senza senso logico e giuridico.
Serviva maggiore riflessione a monte di questa legge. Su questo sono d’accordo con te. E serve una massiccia dose di etica nella discussione che le ruota attorno. Speriamo bene.
“Parturient montes, nascetur ridiculus mus” – Orazio (Ars poetica, v. 139)
Il testo del Dl art. 4 comma 2, approvato dalla Commissione 7 e che sarà oggetto di discussione in Assemblea, è il seguente:
Posto ai voti è dunque approvato il 4.10 (testo 2), omissis
«2. I soggetti pubblici preposti all’erogazione o alla gestione dei finanziamenti della ricerca scientifica adottano, nella loro autonomia, le misure necessarie per la promozione dell’accesso aperto ai risultati della ricerca finanziata per una quota pari o superiore al cinquanta per cento con fondi pubblici, quando documentate in articoli pubblicati su periodici a carattere scientifico che abbiano almeno due uscite annue. L’accesso aperto si realizza:
a) tramite la pubblicazione da parte dell’editore, al momento della prima pubblicazione, in modo tale che l’articolo sia accessibile a titolo gratuito dal luogo e nel momento scelti individualmente;
b) tramite la ripubblicazione senza fini di lucro in archivi elettronici istituzionali o disciplinari, secondo le stesse modalità, entro 18 mesi dalla prima pubblicazione per le pubblicazioni delle aree disciplinari scientifico-tecnico-mediche e 24 mesi per le aree disciplinari umanistiche e delle scienze sociali.
2-bis. Le previsioni del comma 2 non si applicano quando i diritti sui risultati delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione godono di autonoma protezione».
Caro Roberto,
evidentemente so essere provocatorio ma molto meno chiaro. Non volevo affatto sostenere che “era meglio che la legge ponesse periodi di embargo più lunghi”. Ho idee in proposito, ma non è questo il punto. Sostenevo che:
(1) prima di fare leggi di questo genere bisogna fare studi di impatto, perché altrimenti si producono disastri
(2) il peggiore dei danni che si fa all’open access è negare che costi e quindi non preoccuparsi di capire quanto costa. La raccomandazione (luglio 2012) della Commissione europea, citata come fondamento della proposta legislativa, ripete a ogni piè sospinto che occorre fornire adeguati strumenti finanziari
(3) in mancanza di meglio, ho provato a fare qualche modesto calcolo, denunciandone i limiti in ogni passaggio (per altro: per gli effetti sulla stima finale, i limiti di rappresentatività del campione sono molto meno influenti di quelli derivanti dai parametri che ho fissato nei passaggi successivi in modo arbitrario, giacché non avevo informazioni). Non sono abituato a queste approssimazioni e pertanto avvertivo che se si vuole una stima vera, occorre più lavoro. Suggerivo un percorso
(4) sostengo solo che più è ridotto il periodo di embargo più è alto il costo, perché aumentano i casi in cui è necessario passare all’opzione gold. Su questo, hai ragione, non c’è bisogno di analisi empirica. Basta la logica. Con 6 mesi il costo è molto alto, con 12 sarebbe stato più basso, con la soluzione adottata (18/24) credo sia molto basso, ma non zero. Ciò è del tutto indipendente dall’influenza delle ripubblicazioni OA sugli abbonamenti. Dipende solo dai prezzi praticati oggi dagli editori per le opzioni gold. Nell’analisi di funzionamento di un mercato, chiedere alle imprese di “far qualcosa per il paese” è argomento magari nobile, ma di scarsa efficacia. Ragionare sugli incentivi che premiano comportamenti che producono esternalità sociali positive è più utile. La norma presentata in origine andava esattamente nella direzione opposta.
Ora abbiamo un testo diverso, che responsabilizza gli enti finanziatori invece di prevedere assurdi obblighi, e indefiniti, perché non era indicato il soggetto obbligato. Ogni ente potrà far di conto sulle risorse che ha. Credo che in questo modo si promuova davvero l’accesso aperto.
Giacché mi inviti alla provocazione: fossi stato un nemico dell’open access avrei gioito della norma originaria, che ne uccideva le prospettive. E ora esprimerei il mio disappunto.
P.S.: hai ragione sul fatto che in Germania la legge non è ancora in vigore, anche se credo manchino un paio di settimane. Perché dopo averne discusso ampiamente con le comunità di interesse per oltre un anno, in Germania hanno approvato una legge che andava in vigore dopo tre mesi dalla pubblicazione. Qui invece si pretendeva che ci fosse urgenza. Non si poteva aspettare la fine dell’estate. Altro che montagne e topolini, siamo al caso della gatta frettolosa e dei gattini ciechi.
Allo stato attuale di formulazione del testo giuridico sull’open access, si può solo affermare che si viene a creare in Italia una sorta di “moral suasion” indirizzata ai principali partners di un progetto di ricerca finanziata con fondi pubblici.
Non mi pare che ci sia “trippa per gatti” per quanti intendano aprire tavoli negoziali autoreferenziali.
Condivido il pensiero di Caso, che scrive “E serve una massiccia dose di etica nella discussione che le ruota attorno. Speriamo bene.”
Ho cercato di capire da dove e come fosse nata la norma del comma 2 (e del comma 1) del Dl e ho trovato nella rete all’indirizzo dell’Associazione Italiana Biblioteche http://www.aib.it un documento identificato come Proposte_per_il_Ministro_Bray_20130619.pdf (datato appunto 19 giugno 2013).
Leggendolo, vi si trovano due proposte che sono titolate:
– Letture ed esecuzioni in biblioteca di opere protette;
– Accesso aperto alle opere e ai dati delle ricerche finanziate con fondi pubblici.
In queste due proposte ci sono in buona sostanza i contenuti sia del comma 1 sia del comma 2 dell’art 4 Dl citato, nel testo non ancora emendato in Commissione.
Una domanda sorge spontanea.
Perché nessuno degli illustri esponenti dell’AIB ha ritenuto di partecipare al dibattito e sostenere le proposte da presentare al Ministro?
Si è voluto forse “tastare il polso” a docenti e ricercatori che animano i temi del Roars?
Non mi meraviglierei se il testo di legge fosse ulteriormente svuotato o cancellato del tutto in Assemblea, come era richiesto negli emendamenti di due membri della Commissione che sono anche nella maggioranza di Governo “delle larghe intese”.
L’Open Access made in Italy “requiescat in pace”.
Ripeto quanto detto da Luca Salasnich in un altro post. Nel mio settore (fisica teorica) praticamente tutti gli articoli sono presenti su arxiv,org il giorno in cui essi sono completati.L’accesso è libero e gratuito, ad ora l’archivio contiene 876.925 eprints. In questo senso la nostra ricerca è open access da svariati anni (arxiv è del 1991). Alcune riviste all’inizio tentarono di opporsi, ma risultò presto evidente che sarebbe stata una battaglia perduta. Ovviamente gli archivi non hanno il peer review, e in questo senso non possono e non devono sostituire le riviste, ma possono sicuramente abbattere i costi in maniera drammatica. Non capisco perché le altre comunità non si organizzano in maniera simile. Arxiv stesso si sta allargando e ora oltre alla iniziale fisica ha sezioni di “Physics, Mathematics, Computer Science, Quantitative Biology, Quantitative Finance and Statistics”. Non so negli altri settori quanto la pratica sia universale (credo che per matematica lo sia), ma se agli archivi si sovrapponesse un sistema di peer review di varie riviste per evitare un monopolio, esso avrebbe un costo che sarebbe una piccola frazione di quanto spendiamo ora per abbonamenti e/o diritti di pubblicazione.
Oggi – 3 ottobre – è stata comunicata sul sito della Camera l’approvazione in via definitiva del disegno di legge, già approvato dal Senato, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91.
Riporto di seguito il testo già scritto da me in altro commento:
«2. I soggetti pubblici preposti all’erogazione o alla gestione dei finanziamenti della ricerca scientifica adottano, nella loro autonomia, le misure necessarie per la promozione dell’accesso aperto ai risultati della ricerca finanziata per una quota pari o superiore al cinquanta per cento con fondi pubblici, quando documentate in articoli pubblicati su periodici a carattere scientifico che abbiano almeno due uscite annue. L’accesso aperto si realizza:
a) tramite la pubblicazione da parte dell’editore, al momento della prima pubblicazione, in modo tale che l’articolo sia accessibile a titolo gratuito dal luogo e nel momento scelti individualmente;
b) tramite la ripubblicazione senza fini di lucro in archivi elettronici istituzionali o disciplinari, secondo le stesse modalità, entro 18 mesi dalla prima pubblicazione per le pubblicazioni delle aree disciplinari scientifico-tecnico-mediche e 24 mesi per le aree disciplinari umanistiche e delle scienze sociali.
2-bis. Le previsioni del comma 2 non si applicano quando i diritti sui risultati delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione godono di autonoma protezione»
La Relatrice ha presentato l’art. 4 con questo commento:
“L’articolo 4 reca previsioni normative volte a semplificare, senza oneri per la finanza pubblica, la normativa in alcuni punti: la recitazione di opere letterarie in alcuni luoghi, in base alla quale questo tipo di recitazione non è considerata pubblica purché eseguita per fini di promozione culturale (qui si tratta di sollecitare un impegno per la celere applicazione); l’accesso aperto ai risultati delle ricerche scientifiche finanziate con almeno il 50 per cento dei fondi pubblici (qui va detto che è in corso un dibattito tra i ricercatori, ma la dilazione permette ai giovani ricercatori di far valere titoli validi pubblicati su riviste scientifiche); e ancora l’unificazione delle banche dati del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;…”
L’approvazione è avvenuta con la seguente votazione:
Presenti 445
Votanti 444
Astenuti 1
Maggioranza 223
Hanno votato sì 311
Hanno votato no 133.
La Camera approva.