La proposta del Ministro Profumo di attenuare il valore legale dei titoli di studio è stata bocciata dal Consiglio dei Ministri del 27 gennaio. Ma era davvero rivoluzionaria questa proposta?
Osserviamo innanzitutto che non avrebbe avuto effetti immediati, perché la proposta indicava solo i criteri generali cui avrebbe dovuto attenersi un successivo Regolamento. Dai criteri generali possiamo dedurre le future indicazioni normative, che appaiono tutt’altro che rivoluzionarie.


Innanzitutto la laurea di primo livello sarebbe diventata titolo sufficiente per partecipare ai concorsi pubblici per posizioni non dirigenziali. Questo è quello che  già prevedono due inascoltate circolari del Ministro della Funzione Pubblica (la prima, del 2000, del Ministro Bassanini, la seconda, del 2005, del Ministro Baccini).

Le circolari prevedono anche che, con la sola laurea di primo livello  possano partecipare ai concorsi per posizioni dirigenziali i funzionari pubblici in servizio da almeno cinque anni. E’ facile previsione che anche questo aspetto delle circolari sarebbe stato fatto proprio dal futuro Regolamento. Coerentemente il Regolamento avrebbe potuto prevedere che chi per cinque anni è iscritto ad un ordine professionale nella qualifica “junior” (per la quale è prevista la laurea triennale) possa partecipare agli esami per l’accesso allo stesso ordine professionale nella qualifica “senior”.

Possiamo dire quindi che questo primo aspetto della proposta Profumo è innovativo solo perché avrebbe conferito, attraverso un Regolamento, forza normativa a circolari fino ad ora inascoltate e perché avrebbe potuto estenderne la applicazione agli albi professionali.
In secondo luogo il futuro Regolamento avrebbe superato il nominalismo che fa dipendere l’accesso al pubblico impiego e agli ordini professionali, dal nome della laurea e non dai suoi contenuti. Sarebbe stata anche garantita la possibilità di integrare i contenuti della laurea, attraverso “la iscrizione a corsi singoli”. Anche qui la novità è solo parziale, perché questo principio vale già per l’accesso all’insegnamento. Ad esempio può insegnare matematica nei licei non solo chi è laureato in matematica, ma anche il laureato in ingegneria che abbia conseguito “crediti” in un numero adeguato di insegnamenti di matematica.

Parimenti un laureato in lettere che non abbia sostenuto esami in Latino e Greco, può, dopo la laurea, acquisire crediti sufficienti in queste materie per poter avere accesso all’insegnamento di Latino e Greco nei Licei. Il criterio “rivoluzionario” proposto dal Ministro si limitava quindi ad estendere ad altri casi, compresa l’iscrizione agli albi professionali, questa prassi di assoluto buon senso. Ad esempio un laureato in Scienze Statistiche ed Economiche avrebbe avuto la possibilità di integrare la sua preparazione con crediti universitari di economia aziendale e diritto commerciale per partecipare all’esame di accesso all’ordine dei commercialisti.

Sarebbe così caduto il principio che ad ogni professione corrisponda uno ed un solo nome della laurea. Sarebbero state anche  possibili, da parte dei giovani, ripensamenti e decisioni più mature in ordine alle scelte professionali.
Nella proposta del Ministro non c’è invece traccia dell’ipotesi di un ulteriore irrigidimento del valore legale dei titoli di studio, attraverso una graduatoria ufficiale delle lauree basata su una graduatoria delle università stilata da una onnisciente autorità statale.

Eppure è di questa proposta iper-regolatoria che parlano e scrivono, sedicenti fautori della “abolizione del valore legale dei titoli di studio”. Purtroppo la polemica astratta e disinformata sull’ipotesi di “abolizione totale” del valore legale finirà anche per monopolizzare la “consultazione” che il Governo ha previsto su questi temi. Sarà così impedita l’adozione di provvedimenti di buon senso, a favore dei giovani laureati, come quelli previsti dalla proposta Profumo, bocciata dal Consiglio dei Ministri.

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2 Commenti

  1. Peccato che il Governo si sia tirato la zappa sui piedi da solo, inquadrando pubblicamente la questione (con pomposi richiami giornalistici) come “problema del valore legale dei titoli di studio”.

    Voglio però richiamare il fatto che in Consiglio dei Ministri ha discusso anche di un altro importante punto, e cioè quello dell’uso del voto di laurea ai fini delle selezioni concorsuali, su cui non è chiaro cosa si volesse proporre (chi lo sa?).

    Io non avrei problemi a confrontarmi laicamente su proposte come quelle menzionate nel post, ma lo stesso ricorso alla decretazione d’urgenza, quando – per dire – tutto l’impianto della riforma Gelmini è impiccato ai tempi biblici della decretazione delegata e conseguenti controlli, ha allarmato le parti interessate. Non avrebbero dovuto introdurre la questione così.

    • Nota aggiuntiva: i verbali d’esame universitari hanno lo stesso tipo di valore legale dei titoli di studio – anzi, ne sono i “mattoni costituenti”. Quindi Profumo stava proponendo (con buone ragioni, ma vorrei leggere bene), di ricomprendere all’interno di certi requisiti giuridici per certi concorsi/abilitazioni/posizioni lavorative anche certi altri, particolari, ‘titoli di studio’ corrispondenti a particolari esami universitari.

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