Un’indecorosa vicenda di gestione dell’Abilitazione scientifica nazionale (un carrozzone nato male, e gestito peggio da Anvur e Miur, come da anni la comunità accademica diffusa denuncia inascoltata) ha campeggiato su tutte le prime pagine dei giornali. E fatti risalenti a 5 anni fa (su cui la magistratura saprà fare ogni opportuna chiarezza) sono riusciti a prendere la copertina del Tg3 prima delle preoccupanti elezioni in Germania, dei missili coreani e iraniani, del siluri alla vicenda Consip, dell’incapacità di varare una legge elettorale.
La sfortuna vuole che questa ribalta negativa abbia coinciso con il successo dello sciopero in atto dei docenti per una più generale “dignità”, anche salariale, del loro ruolo, e i primi tiepidi annunci che nella prossima finanziaria qualcosa avrebbe potuto esserci a questo scopo. Aperti i giornali, la Ministra Fedeli, al netto della concessione di rito che la gran parte del sistema è sana, ha annunciato misure anticorruzione di concerto con l’Anac, e vedremo se manterrà l’attenzione adombrata al recupero dei cinque anni di carriera fin qui negati alla tanta parte “sana” del sistema. Lasciando ai giudici il loro lavoro e all’Anac il suo, con grande convinzione (chi scrive è stato promotore dell’inserimento nella legge Gelmini della norma che vieta assunzioni di parenti e affini fino al quarto grado nei dipartimenti), vorremmo ricordare al Ministro e all’opinione pubblica i problemi e le necessità della tanta parte “sana” dell’università e della ricerca italiana, che è tanto inefficiente nella produzione di talenti da esportarne paradossalmente a iosa all’estero con successo. Punto dirimente. Come pure dirimente, è il fatto che anche moltissimi di quelli che “restano” sono bravi. E sarebbe il caso che qualcuno lo dica. All’università, a naso i parenti sono nella media di altri settori, e almeno a partire dalla norma su richiamata hanno la vita più difficile che altrove nella società italiana.
Impazza e amareggia un populismo antiaccademico (ridicolo anche nei numeri: riguarda un corpo sociale di 50.000 persone, lo 0,1 % della popolazione, cui è difficile ascrivere il core businness corruttivo della società italiana) che serve solo a delegittimare università e ricerca e a legittimare il disimpegno dei bilanci pubblici dall’affrontare gli annosi problemi di sottofinanziamento del sistema universitario italiano.
Ricordo a chi lo avesse dimenticato che mentre si approvava la legge Gelmini, appoggiata da Confindustria e altri meno trasparenti “ambientini”, riforma che ha dato il colpo di grazia all’università italiana, sui muri di Roma campeggiavano manifesti di An, allora al governo, con la ramazza contro i “baroni”. Si sono visti gli effetti, e non vorremmo essere ancora al quel punto. La Ministra Fedeli non si preoccupi di dare “dignità” all’università italiana, che deve saper darsela da sola, ma le dia i fondi per farle recuperare dignità competitiva nel panorama internazionale della ricerca. Dignità che da decenni si regge nonostante tutto, proprio per l’intrinseca dignità di motivazioni e dedizione della grandissima parte di chi vi lavora. Affronti la Ministra Fedeli i problemi veri, o almeno più veri – sul piano strategico – di comportamenti indegni certamente da stroncare.
La recente vicenda del numero chiuso per i corsi di laurea umanistici alla Statale di Milano, misura giustamente impugnata dagli studenti e sospesa dal Tar, è stato un indice significativo (e solo l’ultimo tassello) del puzzle della crisi mal gestita dell’università italiana dalle improvvide “riforme” iniziate con la legge Gelmini, peggio applicata di come pur male fu concepita. Una situazione cui – bisogna aggiungere, assumendosi tutte le responsabilità del caso – l’università, a cominciare dalla sua governance, non ha saputo dare risposte adeguate. Nel migliore dei casi, provando a limitare i danni, in un quadro di accettazione sostanziale, come ineludibile, della ristrutturazione al ribasso dell’università italiana in essere da decenni. Una ristrutturazione che la ha “rimpicciolito” negli organici, nelle iscrizioni, nella capacità di erogare formazione di qualità, e anziché rinvigorire il sistema nelle sue zone di criticità (che ci sono), con un uso distorto dei criteri di “merito” e di “valutazione”, si è risolta e si sta risolvendo nella concentrazione delle (poche) risorse a disposizione dell’università e della ricerca in una ristretta cerchia di atenei e di centri di ricerca sostanzialmente al Nord. E fondamentalmente nelle aree scientifiche e medicali più prossime all’immediata redditività della ricerca applicata. Una miopia che pagheremo a caro prezzo, smontando un sistema che indicatori usati in modo non prevenuto, e orientato a legittimare questo “rimpicciolimento” guidato (male) del sistema, ci dicono che ha ancora una sua intrinseca qualità (la “fuga dei cervelli” all’estero ne è il primo indicatore intuitivo).
Sul punto basta guardare gli algoritmi di assegnazione del miliardo e trecento milioni ai dipartimenti “migliori” deciso dal governo per verificare come gli atenei del Sud, e le aree umanistiche dappertutto, ne usciranno a pezzi. E questo nel silenzio colpevole di troppi. Anche di presunte classi dirigenti. Mentre è ancora fresco l’obbrobrio della proposta delle cattedre Natta, volta a fornire organici di qualità “superiore” reperiti per lo più all’estero, gestiti in ticket con il governo nel migliore dei casi, alla solita rete di atenei forti al Nord, anche privati (tanto per aggirare anche il favor costituzionale per il sistema statale della formazione). Proposta finora seppellita (speriamo definitivamente) dal residuo orgoglio dei docenti “indigeni”, che farebbero meglio a chiedere quelle risorse (ingenti) per finanziare un migliaio in più all’anno di posizioni in ingresso nell’università a giovani ricercatori.
L’università ha necessità di erogare formazione di qualità da un lato, e dall’altro di aumentare il numero dei laureati. Per far questo servono risorse, cioè docenti. E strumenti idonei per sceglierli al meglio, che non paiono essere i criteri proposti dall’Anvur, criteri importati da pratiche che altrove stanno, dopo averne misurato gli effetti deleteri, abbandonando. Dai troppi corti circuiti del sistema italiano della ricerca e della formazione superiore si esce solo rifinanziando gli organici e le strutture, non tagliandoli come si fa da lustri. Finanziando il diritto allo studio. Ripensando il raccordo tra lauree triennali e specialistiche. Rilanciando il sistema nel suo complesso. E non “chiudendone”, per lento strangolamento, le zone di difficoltà abbandonate a se stesse. Sulla corruzione facciamo fare alla magistratura il suo lavoro, ma non usiamolo per non fare il nostro, cioè credere all’università dei nostri figli. Qualche tempo fa Ainis ha sostenuto che all’università italiana vanno dati più quattrini, e meno riforme. Siamo d’accordo.
Sono assolutamente d’accordo: l’Università si trova in difficoltà anche a causa dei tagli ai finanziamenti. Essendo così scarsi, più drammatiche si sono fatte le lotte interne, per emarginare alcuni e avvantaggiare altri.
Non parliamo dei criteri delle varie ASN e il modo incredibile in cui sono state gestite.
Non parliamo delle disposizioni emanate oggi per l’indomani, con valore retroattivo.
Se su queste cose si fosse stati uniti, lo sappiamo, non ci troveremo ora dove siamo. Solo che qualcuno ha pensato che per sé ci sarebbe stato sempre l’avanzamento, il finanziamento, ecc….
Ma per piacere. Il sistema era già corrotto, con l’estinguersi delle risorse i nodi sono venuti al pettine e a maggior ragione con il nuovo sistema di reclutamento. I nuovi reclutati sono anche peggio dei precedenti. Ora, uno dovrebbe dare più risorse a una situazione definitivamente marcia? No. Prima di tutto si dovrebbe partire con la definizione di pene certe, licenziamenti etc. Si devono avere strumenti per difendersi dalle mele marce. Riformare in toto il sistema di reclutamento e togliere di mezzo qualsiasi localismo oltre a entità inutili come la crui, anvur etc. E poi si può parlare di finanziamenti.
Credo che a breve assisteremo ad un fenomeno tutto nuovo: la FUGA DEI FEGATI.
La parte maggioritaria dell’accademia che non ha parenti (o affini) cattedratici e che lavora onestamente 12-14 ore al giorno per Didattica-Ricerca-Terza missione, potrebbe essere un pò stanchina di ricevere sistematiche mazzate al posto dei fondi necessari a costruire un futuro per questo miope paese.
La prospettiva di esportare il mio fegato strutturato in un paese dove ne venga apprezzata l’utilità sociale appare sempre più allettante….
[…] Università: più quattrini e meno riforme […]
Infatti, tenetevi le riforme e date all’università pubblica investimenti, di questo abbiamo bisogno. Mazzarella ammette di aver sostenuto la riforma Gelmini. Faccia ammenda e senta il suo partito e magari il fratello del presidente Crui e chieda che la smettano….ma non succederà…. Negli ultimi commenti del giornalino meneghino si dava ancora addosso alla Unipubblica i laureati non sanno la matematica non trovano lavoro etc. non riescono a mettere insieme gli effetti con le cause.
Il futuro Pd e la dx faranno il nuovo governo non cambierà nulla, io probabilmente voterò per 5*. Unico partito che potrebbe cambiare…la speranza è che reclutino quelli di roars De Nicolao, FSL etc. in ruoli tecnici e ministeriali. Prima missione: cacciare Mancini ex presidente crui. Uomo mefistofelico ha capito che a Roma non comandano i ministri (o le ministre) e nemmeno la crui comandano i dirigenti. In ogni altro caso saranno lacrime e sangue..viva roars
Quello che secondo me manca nell’articolo è una visione storica dei mali dell’Università e di quella italiana in particolare, mali accresciuti e moltiplicati dalla legge Gelmini e dalla ristrettezza di risorse in cui versa il Paese e che di riflesso subisce l’Università italiana. Basta leggersi una qualsiasi storia dell’Università italiana per rendersi conto che fatti di malcostume nei concorsi si sono sempre verificati con protagonisti anche famosi in proposito: da Enrico Fermi, come (pseudo-)vittima, a Ettore Majorana, nominato di chiara fama, per liberare in una terna di idonei il posto al figlio di un ministro. O ancora più indietro nel tempo leggersi la satira sui sorbonicoli o sorbonastri nel Gargantua di Rabelais. Il non rubare è un comandamento famoso che per lo più rimane inascoltato nel corso dei millenni, come il familismo o nepotismo famoso già al tempo dei papi in quella Roma che Lutero definiva la dimora di Satana, adesso declassata da un partito: a Roma ladrona. Sarà tutta colpa di Roma? Per fortuna che c’è la Raggi!
Quello che preoccupa davvero è invece il rimedio che propone il Ministro MIUR in una intervista al Messaggero del 27 settembre 2017 il ministro del MIUR sostiene “Costituirsi parte civile contro i professori corrotti e individuare dentro ogni ateneo un responsabile della trasparenza e della prevenzione della corruzione…”.
La povera Ministra non sa di una pletora di organismi già presenti nelle Università italiane per legge:
-NVI, Nucleo di Valutazione Interno dell’Ateneo
-PQ, Presidio di qualità
-CUG, Comitato Unico di Garanzia
-Collegio di Disciplina
-Commissione etica (sic!), ma che fa negli Atenei il giochetto delle tre scimmiette?
-Amministrazione Trasparente, con un responsabile della Trasparenza, della performance, della prevenzione della corruzione, spesso al più alto livello come il Direttore Generale dell’Ateneo, per controllare il tutto e che non ci siano inciampi.
Su tutto poi vigila l’occhiuta ANVUR, Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca di cui sono più gli sfracelli che una sana valutazione, tanto che da anni non riesce neanche ad essere riconosciuta dall’ENQA European Association for Quality Assurance in Higher Education, fallendo totalmente nell’uniformare i criteri e metodi adottati con quelli assai più semplici adottati a scala europea.
Il problema che tutte questi organi dovrebbero avere un presidente esterno all’Ateneo, se non tutti i membri e ad esempio a diretta dipendenza del MIUR, Dipartimento Università. Una proposta semplice semplice per i più, ma complessa complessa per le risorse che mancano e per i Magnifici Rettori, collegati da un ulteriore organismo la CRUI, un’associazione privata, che difende la categoria dei Rettori, e si arroga la funzione di rappresentare le Università come controparte del Ministero, invece del CUN (Consiglio Nazionale Universitario) organo statutario democraticamente eletto tra le varie categorie presenti nell’Università.
La gestione delle Università, scriviamolo in chiaro, è come quella del Sacro Romano Impero, con Imperatore, vassalli, valvassori e valvassini e tanti servi della gleba che hanno imparato a non sollevare la testa tanto un rettore vale l’altro e non vale rischiare la carriera. Solo in pochi ci provano, ma per lo più rimangono servi della gleba o additati come pazzi in fase delirante, come il sottoscritto che forse appartiene all’Università del Pontevedro. Povera Italia!
Una cosa è certa: se Mazzarella e molti suoi compagni di partito si fossero battuti con un po’ più di convinzione, nel 2010, non per “l’inserimento nella legge Gelmini della norma che vieta assunzioni di parenti e affini fino al quarto grado nei dipartimenti”, ma per affossare quella legge indegna, l’Università italiana starebbe MOLTO meglio di come sta ora, anche a parità di (de)finanziamento.
@ l’autore e @tutti:
Le regole che disciplinano la composizione ed il funzionamento della commissione dell’ASN
consentono a ciascun commissario di essere buonissimo (se vuole) o cattivissimo (se vuole), il tutto senza responsabilità accademica (cioè senza la previsione di illeciti disciplinari).
Tutto ciò, come si è visto, incita all’associazione a delinquere.
PRIMA: si devono cambiare le regole.
POI: si mettono i soldi.
Se si mettono subito i soldi, senza alcun cambiamento,
viene appoggiata la probabilità altissima di operare in maniera mafiosa,
insita nel sistema della composizione dell’ASN e insita nel fatto di avere (da parte dei commissari) un potere di vita e di morte sul candidato, di avere lo ius primae noctis,
il tutto senza responsabilità (a parte quella penale, che emerge solo a seguito di denuncia).
Ciò che è accaduto in diritto tributario è accaduto in altri settori (ma denunciare è impossibile e inutile)
e, cosa ancor più grave, può succedere, astrattamente, in tutti i settori.
Non ci si può lavare le mani, consentendo alle commissioni di ASN un potere spudorato e poi
lasciare che ci pensi sempre la magistratura,
siete d’accordo?
L’ASN almeno un filtro lo crea, a parte qualche commissione disonesta. Qui bisogna abolire i concorsi locali, la vera farsa che la Legge Gelmini non ha avuto il coraggio di eliminare.
Mi sembra che il Foglio con l’editoriale “Università: più sport più Nobel”, abbia avuto un vero colpo di genio, che porterà il sistema universitario italiano finalmente verso un “radioso futuro”. Gli Atenei abbiano lo SPORT come “quarta missione”. Affidiamo senza paure la presidenza dell’ANVUR all’arbitro Byron Moreno (in qualità di esperto straniero di garanzia) ed atteso che non ci piace il modo in cui il prof. Fantozzi gestisce le abilitazioni del suo raggruppamento disciplinare, mettiamo a gestire i concorsi il prof. Luciano Moggi (appena insediato per insigni meriti sportivi come cattedratico Natta al Politecnico di Juventus). Con buona pace di Pierre de Coubertin, che non smentisce la sua natura di “barone” pre-sessantottino …