Tra alti e bassi, ritardi e malfunzionamenti di vario tipo, nel passato è stato garantito un (minimo) finanziamento a “un programma nazionale d’investimento nelle ricerche liberamente proposte in tutte le discipline da università ed enti pubblici di ricerca, valutate mediante procedure diffuse e condivise nelle comunità disciplinari internazionalmente interessate”. Tra il 2000 e 2005 si trattava di 130 milioni di euro l’anno, che sono stati ridotti a circa 90 negli anni successivi fino a raggiungere 38 milioni di euro l’anno nel 2012. È naturale che quando i soldi sono ridotti all’osso i criteri di attribuzione diventano oggetto di furiose polemiche, come infatti è avvenuto qualche mese fa.

 

Nel bilancio preventivo dello Stato per il 2014, attualmente all’esame del Parlamento, l’intero stanziamento per la “ricerca scientifica e tecnologica di base” è stato ridotto ai minimi termini tanto che i finanziamenti per i progetti di ricerca di base, molto probabilmente, non saranno riproposti. Questa è chiaramente una catastrofe: considerati i pesanti tagli ai finanziamenti ordinari, questi bandi, che pure dovevano costituire un surplus per progetti specifici, costituivano per moltissimi ricercatori l’ultima ancora di salvezza per svolgere la loro attività.Venendo meno anche questa, i ricercatori che hanno ancora una produttività scientifica dignitosa, non saranno più in condizione di lavorare, e si minano le potenzialità future per le nuove generazioni.

Inoltre diventa sempre più chiaro il disegno dietro queste scelte politiche: la forma di finanziamento alla ricerca assumerà sempre più quella di pochi canali preferenziali definiti dal governo. Chiaramente i finanziamenti di grandi dimensioni sono necessari per alcuni progetti, pensiamo al Cern o ai satelliti, che non hanno solo una connotazione di ricerca fondamentale, ma che rappresentano anche delle infrastrutture per il paese, visto l’indotto che creano per le imprese, non solo quelle ad alta tecnologia. Per questi progetti è naturale che sia necessaria una scelta politica informata dalla comunità scientifica. Tuttavia il problema del finanziamento della ricerca di base riguarda tutte quelle ricerche che sono curiosity driven, per le quali la questione da considerare è la seguente: se sia più efficace dare grandi contributi ad alcuni gruppi di ricercatori di una élite, o piccole sovvenzioni a molti ricercatori.

Alcuni studi quantitativi hanno mostrato che le strategie che premiano la diversità, piuttosto che focalizzarsi su poche eccellenze (qualunque siano i criteri impiegati per definirle), siano quelle più efficienti in termini di risultati. Questo è facilmente comprensibile quando si considera che il presupposto della ricerca fondamentale è la libertà di sbagliare e di provare varie strade fino a trovare quella giusta. La strategia vincente del finanziamento alla ricerca deve essere quello di permettere ai ricercatori di raggiungere un risultato rilevante e inaspettato procedendo per tentativi all’esplorazione di nuove idee.

Ovvero tutto il contrario di quello che si sta facendo in questo Paese.

(Pubblicato su Il Fatto Quotidiano)

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11 Commenti

  1. Leggetevi questo del 2005 se è ancora in rete, che potrebbe anche essere intitolato, meglio e più esplicitamente, “Standardizzazione della ricerca in base a parametri politici (o altri, di immediata utilità e profitto)”: Janez Potočnik, Science and political power. In: First World Conference on the Future of Science, Fondazione Giorgio Cini, Venezia: sett. 2005; http://www.timeshighereducation.co.uk/story.asp?storyCode=198666&sectioncode=26

    Chi era/è Janez Potočnik? http://it.wikipedia.org/wiki/Janez_Potočnik

    • Non l’ha chiesto a me, però:
      più che qualcosa dietro, non le pare ci sia qualcosa davanti? Mi pare piuttosto ragionevole sospettare che queste scelte siano intrinsecamente legate ad una condizione economica tragica, che nessuna forza politica si propone davvero di risolvere al momento.

  2. La barriera più grande per le attività di ricerca di base così come per la ricerca industriale avanzata consiste nel RISCHIO degli investimenti. Ridurre gli investimenti è una delle strade per ridurre il rischio, questo però non riduce la probabilità di insuccesso dei progetti, né aumenta il successo selezionando solo alcuni di essi. Se supponiamo che meno del venti percento dei progetti porterà a un risultato “utilizzabile”, anche selezionando pochi progetti solo il venti percento di essi arriverà alla fine con una maggiore variabilità del successo riducendo il campione di progetti. Sale semplicemente la probabilità di NON generare nuove idee e innovazione e quindi progresso. Molto del de-finanziamento si deve alla carenza informativa di chi invece dovrebbe sostenerlo, distribuendolo con regole adeguate e in modo più efficiente. Praticare la sufficienza non significa affogare nella scarsità e la diversificazione del rischio è alla base del maggiore successo.

  3. @Indrani @mvenier

    Per quanto riguarda “le tendenze globali” in questo settore della ricerca di base mi sono fatta la seguente idea: dietro ci potrebbe essere la canalizzazione dei capitali verso rendimenti presunti “sicuri” (non necessariamente nella ricerca). Il problema citando L. Ségalat é il seguente “a mano a mano che la selezione si fa più severa, il sistema seleziona, per definizione, i più adatti ad esso. Resta però da dimostrare che i più adatti al sistema sono anche i migliori produttori di conoscenza” e aggiungo io, benessere sociale.

  4. Sarebbe interessante fare l’identikit di quelli che ci tolgono i soldi e capire da dove provengono, se per caso il ministro sia figlia/sorella di ordinari, moglie di ordinario/sottosegretario di due governi, beneficata in qualche procedura concorsuale …

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