Le recenti dichiarazioni del presidente dell’autorità anticorruzione Raffaele Cantone sull’enorme mole di segnalazioni ricevute riguardo ai concorsi universitari hanno di nuovo scatenato la caccia alle streghe contro il mondo accademico. Ma quanto incide realmente il “nepotismo accademico” nell’università italiana? Uno degli studi più noti al riguardo è quello del 2011 di Stefano Allesina (Università di Chicago), più volte citato come una “dimostrazione scientifica” dell’esistenza del nepotismo in 9 settori. In realtà, i dati provano invece che è un fenomeno limitato. Se sommiamo tutti i “possibili nepoti” ne otteniamo 738, che su 32.000 docenti rappresentano un misero 2.3% del totale. Volendo includere anche coniugi e amanti (che non hanno lo stesso cognome) a quanto si potrebbe arrivare? Forse al 5%? La conclusione è che il nepotismo accademico è un fenomeno marginale nell’accademia italiana.
Marco Bella aveva individuato la falla dell’articolo di Stefano Allesina in modo indipendente e simultaneo rispetto a Giuseppe De Nicolao (Redazione Roars). A seguito di uno scambio di informazioni, era stata concordata una pubblicazione simultanea per lunedį 25 settembre. In quella data, Roars pubblica La bufala delle omonimie in cattedra, ma, per motivi editoriali, il Fatto Quotidiano procrastina fino al 27 settembre la pubblicazione del post di Bella, che ora riproponiamo ai nostri lettori.
Segue l’articolo di Marco Bella apparso su ilFattoQuotidiano.it del 27 settembre 2016
Le recenti dichiarazioni del presidente dell’autorità anticorruzione Raffaele Cantone sull’enorme mole di segnalazioni ricevute riguardo ai concorsi universitari hanno di nuovo scatenato la caccia alle streghe contro il mondo accademico. Cantone ha correlato queste criticità con la fuga dei cervelli (“nesso enorme”), sottolineando come dopo sei anni dalla cosiddetta “riforma Gelmini” poco o nulla sia cambiato rispetto al passato. Queste dichiarazioni sono state oggetto di una replica dell’ex-ministra Mariastella Gelmini, rivendicando la sua battaglia contro la “parentopoli universitaria”.
La “riforma” prevede che nello stesso dipartimento non possa essere assunto un parente entro il quarto grado. Tuttavia, ciascun ateneo è costituito da più dipartimenti, per cui le (poche) promozioni e le (pochissime) assunzioni sono avvenute nel dipartimento vicino, magari senza neppure uno spostamento fisico delle persone coinvolte. I report di “nepotismo accademico” hanno generato (in alcuni casi in modo assolutamente giustificato) delle forti ondate di sdegno. Questo è stato considerato da parte della stampa e della politica come una valida giustificazione per tagli indiscriminati di risorse al sistema universitario.
Ma quanto incide realmente il “nepotismo accademico” nell’università italiana? Uno degli studi più noti al riguardo è quello del 2011 di Stefano Allesina (Università di Chicago), più volte citato come una “dimostrazione scientifica” dell’esistenza del nepotismo.
Qui l’articolo originale (scaricabile gratis)
L’articolo è molto tecnico ma alcuni dati possono essere analizzati in modo semplice. Allesina studia i cognomi dei 61.000 docenti di ruolo allora presenti nell’università italiana, suddivisi nei vari macrosettori accademici. Ritiene i casi di “sospetto” nepotismo quelli in cui due docenti dello stesso settore abbiano lo stesso cognome. Occorre però una correzione. In un gruppo di persone, molti hanno lo stesso cognome (Rossi, Russo, Ferrari…) pur non essendo parenti. Alesina calcola quindi quale sarebbe il numero di “omonimie accettabili” per ciascun gruppo lo confronta nella tabella 1 con il numero di “omonimie effettive”. Utilizza poi un test statistico (“p-value” o “valore p”) che tanto più fornisce un valore piccolo, maggiormente indica che due numeri siano correlati in modo non casuale. Allesina riscontra che in ben 9 settori, (rappresentanti la maggioranza numerica dei docenti, 32.000) il p-value è inferiore al 5%, indice che ci sono “troppi” cognomi identici. Ad esempio, a Legge ci sono 5144 docenti con 4031 cognomi diversi (omonimie effettive), mentre in un simile campione casuale le omonimie accettabili dovrebbero essere massimo 4207 (p-value <0.1%), con circa 176 (4207-4031) “casi sospetti”. In questi 9 settori sarebbe quindi dimostrato il nepotismo accademico. In realtà, i dati provano invece che è un fenomeno limitato. Se sommiamo tutti i “possibili nepoti” ne otteniamo 738, che su 32.000 docenti rappresentano un misero 2.3% del totale. Volendo includere anche coniugi e amanti (che non hanno lo stesso cognome) a quanto si potrebbe arrivare? Forse al 5%? La conclusione è che il nepotismo accademico è un fenomeno marginale nell’accademia italiana. Un’analisi più approfondita è stata appena pubblicata sul sito specializzato ROARS.
Per colpire (non riuscendovi) i “cattivi” si è devastata l’università pubblica. Oggi i docenti sono ridotti a 48.000 (meno 20%), a causa di pensionamenti e anni di blocco del turn over, il fondo di finanziamento ordinario è stato ridotto di circa un miliardo di euro, i progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN) distribuiscono 30 milioni di euro l’anno (circa 600 euro per docente), mentre l’Italia regala centinaia di milioni l’anno agli altri stati europei tramite i programmi di ricerca europei.
Certo che il nepotismo è una patologia, ma dato che almeno il 95% del corpo accademico è sano occorre intervenire in modo chirurgico sulla parte malata e non somministrare soluzioni ideologiche che sanno, più che di medicine alternative, proprio di “pozioni magiche”. Se una parte piccola del corpo sta male si va dal medico, non dallo stregone.
Invece si è approfittato di queste teorie fantasiose (ed errate) per colpire studenti e docenti, soprattutto i giovani ricercatori non strutturati. Questi, con la cancellazione della figura del ricercatore a tempo indeterminato si sono trovati in una competizione serrata per le poche posizioni a tempo determinato. Scegliere tra un candidato “bravo” e uno “scarso” in un concorso è facile. Può essere invece difficilissimo discriminare tra due “davvero bravi” e qui sono proprio le reti sociali che possono fare la differenza. Con il brillante risultato che i tagli su tagli non hanno colpito chi aveva una “protezione” all’interno del mondo accademico, ma piuttosto le persone capaci e indipendenti. È proprio questa scarsità di risorse la causa non solo dei molti conteziosi, ma anche della fuga dei cervelli. Il nepotismo, insomma, c’entra davvero poco.
Table 1. Likelihood of nepotism for macro-sector.
Allesina S (2011) Measuring Nepotism through Shared Last Names: The Case of Italian Academia. PLoS ONE 6(8): e21160. doi:10.1371/journal.pone.0021160
L’articolo sarà scaricabile gratis, ma io sono disposto a pagare per non leggerlo.
Visto che é scientificamente provato che il Nepotismo ha solo un ruolo marginale nella “fuga dei cervelli” (leggi: giovani promettenti con legittime ambizioni), mi permetto di buttare la delle semplici chiacchiere da bar (non supportate da dati statistici) che possano indicare a chi non conosce l’Accademia Italiana una delle possibili cause di questa emorragia cerebrale.
PROBLEMA – Le commissioni di concorso per posizioni accademiche sono formate da soli professori ordinari i quali decidono a tavolino chi deve vincere un concorso. Ne consegue che, un giovane cervello nostrano neolaureato accede alla carriera Accademica solo se affiliato scientificamente con l’ordinario a cui spetta il posto o affiliato indirettamente via altri ordinari a cui fare un favore.
SOLUZIONE 1 – Allargare il bacino dei possibili commissari anche ai Prof. Associati e Ricercatori e fare estrarre le commissioni a livello Ministeriale (siamo nel 2016 eh, non servono le palle numerate e una vergine bendata…). Si diminuiscono così le probabilità di accordi all’interno della commissione.
SOLUZIONE 2 – Stabilire dei criteri numerici univoci (validi per tutte le commissioni a livello nazionale) per valutare il merito dei candidati in modo da evirare che le varie commissioni giochino a piacimento coi numeri per far vincere chi vogliono.
SOLUZIONE 3 – Consentire al vincitore di un concorso su fondi ministeriali (le nostre tasse) di scegliersi il tutor che deve formarlo (con dei vincoli in modo da garantire la sopravvivenza dei vari settori scientifici).
SOLUZIONE 4 – Per i settori scientifici sperimentali, gestire i laboratori di ricerca seguendo il buon esempio estero (che piace tanto quando fa comodo): gli spazi nei vari laboratori non sono assegnati ai singoli docenti (in genere ordinari che li considerano cosa loro) ma sono a disposizione di tutto il personale docente che li utilizza in base alle esigenze del momento.
Queste sarebbero tutte soluzioni a COSTO ZERO, ma io sono solo un povero stolto, invidioso e sognatore….
“SOLUZIONE 2 – Stabilire dei criteri numerici univoci (validi per tutte le commissioni a livello nazionale) per valutare il merito dei candidati in modo da evirare che le varie commissioni giochino a piacimento”
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Altro che il taglio delle “tre dita” evocato da leonardo.40 (https://www.roars.it/o-giustissimo-giudice-shylock-la-normale-e-la-piu-divertente-classifica-del-mondo/comment-page-1/#comment-59845) in un altro commento. Qui siamo decisamente oltre, in tema di amputazioni.
La proposta 2, dopo anni di mediane e le discussioni recenti in tema di valori, soglia sembra uscire dalla bocca di un novello Rip van Winkle (https://it.wikipedia.org/wiki/Rip_van_Winkle).
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…Visto che é scientificamente provato che il Nepotismo ha solo un ruolo marginale nella “fuga dei cervelli”…
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Non è provato scientificamente nulla di nulla. Si può dire che dai dati di Allesina l’entità del fenomeno nepotismo, per come lo definisce lo stesso Allesina (cognomi uguali) appare limitato. Quindi, le dichiarazioni di Mariastella riguardo al suo intervento sulla “parentopoli” appaiono non giustificate.
‘Scegliere tra un candidato “bravo” e uno “scarso” in un concorso è facile. Può essere invece difficilissimo discriminare tra due “davvero bravi” e qui sono proprio le reti sociali che possono fare la differenza’
concordo pienamente e, vedendo i concorsi (di reclutamento ma anche di avanzamento) nel mio ente, e’ verissimo che ci sono moltissimi “bravi” e che in un certo senso siamo quasi tutti sottoinquadrati. E che i “giovani” sono piu’ svantaggiati (magari non tanto piu’ giovani). Perche’ ad un concorso si presentano (con un oversubscription factor di 10) sia “bravi” che sono all’estero, che “bravi” che sono assegnisti o TD gia’ impegnati in progetti dell’istituto, che “meritano” la “stabilizzazione” oltre ad essere necessari per la continuita’ del progetto.
E che non sono stati gia’ assunti a TI proprio per mancanza di fondi e di autorizzazioni burocratiche. I veri problemi.
‘sospetto nepotismo quelli in cui due docenti dello stesso settore abbiano lo stesso cognome.’
Mi sembra pura demagogia. Mi vengono in mente solo tre casi di “figli d’arte” storici al massimo livello (e pienamente meritevoli): Occhialini, Amaldi, Gratton, e tra i colleghi attivi forse 2 o tre figli o figlie di (non nello stesso istituto). Fisiologico e legittimo.
‘Volendo includere anche coniugi … (che non hanno lo stesso cognome)’
O che magari ce l’hanno secondo le usanze locali, come due casi storici, al massimo livello e all’estero, tanto che firmavano “Burbidge & Burbidge” e “Veron & Veron”. Qui il caso di colleghi dello stesso istituto che si sposano o convivono e’ sicuramente piu’ comune (potrei citare molti casi dal mio stesso istituto a primarie istituzioni estere). Ed e’ una cosa normalissima pure questa.
“…sospetto nepotismo quelli in cui due docenti dello stesso settore abbiano lo stesso cognome.”
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E’ l’ipotesi di lavoro di Allesina, non la mia. Io mi limito ad osservare che anche prendendo per “nepoti” tutti quelli con lo stesso cognome in eccesso rispetto a una “distribuzione standard”, in tutti i settori, anche quelli che dovrebbero essere considerati “virtuosi” perché il p-value è superiore a 0.05, si arriva comunque a una percentuale piccola, tale da rendere un nesso causa-effetto un’ipotesi improbabile.
Il “nepotismo” se inteso in senso proprio dovrebbe estendersi alle effettive parentele “di sangue, di letto, di studi” (virgoletto perche’ mi sarebbe piaciuto aver scritto io questa frase ma e’ una citazione). Chiunque bazzichi il mondo accademico sa che le tre aree (parentela, rapporti sentimentali/sessuali, affiliazione scientifica)sono effettivamente la base per malcostume. Non e’ una esclusivita’ italiana (evviva), la ristrettezza dei fondi fa emergere con durezza questa realta’. Detto in altre parole, quando c’era trippa per gatti “prendevi il figlio dell’amico o la sua amante ma anche quello bravo” (altra citazione, da persona scomparsa), “ora che fai?”. Ora ci sono quelli che preferiscono attingere -semplicemente- ad una delle tree aree suddette. Non si puo’ dire che queste pratiche incoraggino i giovani (che non possono rifarsi a quelle di cui sopra) a rimanere. Davanti alle cattive pratiche non c’e’ legge che possa tenere, questo lo sappiamo bene..
Osservazione corretta e di buon senso. Allora, troviamo un modo affidabile per misurare il “nepotismo accademico” e poi delle soluzioni per limitarlo.
Nelle scienze sperimentali, quando un giovane ricercatore ottiene un RTD se vuole svolgere il proprio lavoro deve necessariamente appoggiarsi presso un altro docente che ha un laboratorio attrezzato. E’ inevitabile che in questo modo si possa raggiungere difficilmente l’indipendenza scientifica. E questa cosa costa tantissimo, perché con il sistema degli Starting e Consolidator Grant l’italia finisce con finanziare lautamente la ricerca degli altri stati, in primis UK e Paesi Bassi. Introdurre un sistema di starting grants per i vincitori di bandi di RTD, analogamente a quelli di tutti gli altri paesi avanzati, è il primo passo necessario per combattere il nepotismo accademico. Ritorniamo sempre al punto di partenza: la criticità principale è la mancanza di risorse.
” Utilizza poi un test statistico (“p-value” o “valore p”) “..be’, non mi sembra che l’autore sia attrezzato per valutare il lavoro di Alesina ed i suoi eventuali limiti (alcuni riconosciuti da Alesina stesso). Il “95% del corpo accademico e’ sano” mah, anche quella una roba buttata li’, un tanto al chilo.
TAG: “be’, non mi sembra che l’autore sia attrezzato per valutare il lavoro di Alesina ed i suoi eventuali limiti”
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A giudicare dal commento, TAG lo è ancora di meno. Per comprendere e spiegare l’uso che Allesina fa del p-value non è necessario chiamarsi Ronald Fisher e, per quanto possa contare, Marco Bella non è un giornalista con una “laurea inutile” – sto scherzando), ma è Prof. Associato di Chimica Organica presso la Sapienza di Roma (e TAG cos’è?) con un CV del tutto onorevole. Ma l’aspetto più rivelatore di quanto TAG sia “attrezzato” è che l’utilizzo improprio del p-value a cui ricorre Allesina è un classico equivoco che viene (o dovrebbe essere) insegnato in tutti i corsi base di statistica. A titolo di esempio, nella sezione Basic Statistics and Graphs della guida on-line di Minitab, l’argomento “Statistical and practical significance” è illustrato sotto la voce “Introductory concepts”:
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Statistical and practical significance
http://support.minitab.com/en-us/minitab/17/topic-library/basic-statistics-and-graphs/introductory-concepts/p-value-and-significance-level/practical-significance/
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È un link che avevo segnalato nel mio articolo “La bufala delle omonimie in cattedra” (https://www.roars.it/la-bufala-delle-omonimie-in-cattedra/), a dimostrazione del fatto che anche chi era poco “attrezzato” avrebbe potuto capire meglio, se solo avesse avuto la diligenza di documentarsi prima di mettere in dubbio la competenza di chi scrive a ragion veduta.
Ciò nonostante, devo ammettere che anche i commentatori sprovveduti, pur essendone inconsapevoli, hanno un loro utilità, perchè con le loro figuracce vivacizzano la nostra opera di divulgazione. Quando scompariranno, dovremo assumere delle comparse. A volte temo che i colleghi di redazione mi abbiano fatto uno scherzo e che, senza avvertirmi, ne abbiano già assoldate un paio. A basso costo, però.
TAG: “Il “95% del corpo accademico e’ sano” mah, anche quella una roba buttata li’, un tanto al chilo”
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Ad essere “roba buttata li’, un tanto al chilo” è il commento di TAG, dato che bastava leggere prima di commentare. Bella scrive:
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“Se sommiamo tutti i “possibili nepoti” ne otteniamo 738, che su 32.000 docenti rappresentano un misero 2.3% del totale. Volendo includere anche coniugi e amanti (che non hanno lo stesso cognome) a quanto si potrebbe arrivare? Forse al 5%?”
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Dato che 100-5=95, quel 95% non è per niente buttato lì. Devo però dire che qualche cruccio sulla qualità del reclutamento lo nutrirei anch’io se sapessi che dietro lo pseudonimo di TAG si cela un collega che commenta cose che non ha letto (o, peggio, non ha capito). Speriamo di no.
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..be’, non mi sembra che l’autore sia attrezzato per valutare il lavoro di Alesina ed i suoi eventuali limiti (alcuni riconosciuti da Alesina stesso).
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I miei post de “ilfattoquotidiano” ripresi da ROARS sono scritti per un pubblico generalista, quindi contengono delle ovvie semplificazioni che non dovrebbero essere necessarie per i lettori di ROARS. Il blog è un diario personale, scritto da chi propone il post e dai lettori. Più di qualcuno mi ha detto che in realtà i miei post non li legge proprio e va direttamente ai commenti, che offrono un interessante spaccato del pensiero del lettori. Ho degli esempi di commenti incredibili. Questo commento di TAG su ROARS entra però di diritto nella top ten. E non era facile….
Be’, diciamo che leggere che il p value “e’ un test” fa un po’ effetto. I limiti (statistici) del lavoro di Alesina sono in parte riconosciuti nel lavoro stesso (per esempio il non aver corretto per test multipli). E’ complicato dimostrare scientificamente quanto localismo e nepotismo affliggano l’Universita’, neppure io sono convinto che un semplice studio sui cognomi basti e non sia in una certa misura fuorviante. Nei due sensi.
TAG: “I limiti (statistici) del lavoro di Alesina sono in parte riconosciuti nel lavoro stesso (per esempio il non aver corretto per test multipli)”
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Chi conosce un po’ di statistica sa che questo limite indebolisce ulteriormente il lavoro di Allesina, persino sul versante della significatività statistica (come d’altronde si capisce leggendo i due paragrafi in cui Allesina ne discute). Negli acknowledgements Allesina scrive “Dedicated to the Italian researchers abroad.”. Sarò schizzinoso, ma io non sarei fiero se mi dedicassero un lavoro del genere.
Pardon, Allesina, con due l.
Tra l’altro, forse un’analisi comparativa con lo stesso metodo di Allesina, per esempio prendendo la Francia, non darebbe risultati molto diversi. Niente di piu’ di un’ipotesi ovviamente. E la situazione accademica in Francia e’ assai diversa (in meglio) rispetto all’Italia.
Già fatto da Ferlazzo e Sdoia per il Regno Unito: basterebbe aver letto l’altro post (La bufala delle omonimie in cattedra, https://www.roars.it/la-bufala-delle-omonimie-in-cattedra/) dove ho scritto:
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Ferlazzo e Sdoia, sempre su PLOS ONE, hanno applicato lo stesso metodo di Allesina agli accademici britannici, trovando eccessi di omonimie non molto diversi da quelli italiani:
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“Our results suggest that the analysis of shared names should not be used as a tool to measure the diffusion of nepotism in academia or in any organization. Indeed, social capital factors are likely the most important determinants of the proportion of shared last names in academia, as shown by the strictly similar results from the analysis of last names amongst academics in Italy and the UK. Also, demographic factors play a role as well, as shown by the significantly smaller than expected number of distinct given names of academics in Italy. Our results do not imply that nepotism does not exist in Italian academia, for it surely is. However, the results do show that the analysis of shared last names as it was proposed in [1] is not a valid method to measure how diffuse nepotism is. […] Indeed, it is worth noting that our results strongly suggest that any method to measure nepotism should be carefully validated, for example by comparing different countries.”
http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0043574
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Nel mio post è anche richiamata la replica di Allesina e la controreplica di Ferlazzo e Sdoia. Più passa il tempo più devo arrendermi all’evidenza che per molte persone commentare senza aver letto e senza essersi documentati rappresenta un piacere troppo irresistibile.
Mi era sfuggito il lavoro da lei citato, lo leggero’. La Francia potrebbe essere interessante perche’ e’ piu’ simile a noi in molte cose, inclusa la tradizione baronale (mandarinat) e tendenze nepotistiche.
Se la Francia fosse più simile a noi in termini di tradizioni baronali e nepotistiche allora non sarebbe un buon campione: se emergesse lo stesso quadro dell’Italia non si potrebbe concludere che esso è dovuto al nepotismo.
La Francia ha una lunga tradizione di nepotismo diffuso ed una struttura demografico-universitaria piu’ simile alla nostra (la distribuzione sbilanciata invocata da Allesina). Sarebbe (stato) credo un buon campione per replicare lo studio originale, peraltro non avevo letto il suo lavoro Ferlazzo. Il mio punto pero’ e’ anche un altro: in un paese dove la formazione delle elites accademiche e’ piu’ rigorosa e ci sono risorse per lavorare, il nepotismo, quando anche dovesse essere dimostrato, non ha grandi effetti sulla
produttivita’ scientifica. Almeno, questa e’ la mia idea per quel che riguarda le discipline bio-mediche, il resto non sono in grado di giudicare.
Caro Bella, anche il “pubblico generalista” avra’ diritto di sapere che un “p value” non e’ un “test”. Se i dati ed il metodo di Allesina non hanno senso, allora non ha molto senso neppure dire che il 95% dell’Universita’ e sano, e’ meglio dire che non si puo’ dire nulla. In ogni modo, da “sprovveduto”, come mi ha simpaticamente definito De Nicolao, mi fa piacere essere in classifica top 10.
Qui su ROARS amiamo le critiche propositive.
Quale potrebbe essere una definizione semplice e migliore? mi raccomando evitiamo termini del tipo “ipotesi nulla” o “test di verifica d’ipotesi” e simili…
Scusate la domanda stupida: se su 5 docenti ci sono 2 omonimi, quanti casi di nepotismo posso sospettare? Io risponderei 1 (il padre che assume il figlio), non 2.
Il Prof. Carlo Ferraro del Politecnico di Torino Come “Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria” sta invitando Prof e Ricercatori a firmare una lettera contro le affermazioni di Cantone … che a quanto pare ha preso una cantonata :-). Il Prof Ferrato scrive “Questa volta la fretta è d’obbligo, occorre dare una risposta immediata. La data utile per firmare è fissata a mercoledì prossimo, 12 ottobre. “
Il Prof Ferraro … ovviamente che sarà anche Ferrato nel campo dignità della docenza, ma si chiama Ferraro, non Ferrato :-)
Il nepotismo mi pare difficilmente praticabile oggi, è in sostanza un fenomeno di mal costume ridotto a pochissimi casi, spesso sanzionati in maniera informale all’interno degli stessi dipartimenti (che stanno ben attenti a non fomentare il fenomeno).
I problemi, purtroppo, sono ben altri. Chi crede più al “nepotismo”?
Chi crede più al “nepotismo”?
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Per esempio sembra crederci la nostra comune amica Mariastella, che parla di “parentopoli”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/23/corruzione-cantone-subissati-da-segnalazioni-dalle-universita-nesso-enorme-con-cervelli-in-fuga/3052782/
Mah, senza scomodare la statistica, il nepotismo c’è sempre stato e probabilmente non è cambiato di intensità, per cui non ci vuole molto a capire che non è quella la causa della “fuga”.
Quello che è cambiato in modo evidente è il finanziamento del sistema e le possibilità di entrarvi.
Cosa scrissi subito a Cantone a valle della sua intervista https://twitter.com/mauriziozani/status/780092463386165248