Come già anticipato da Valeria Pinto, vede la luce la lettera, redatta da Andrea Graziosi (*) e sottoscritta da alcune società scientifiche in difesa della “terza mediana”, ossia quella relativa agli articoli collocati in riviste di fascia A.

Il documento pare sia stato sollecitato da ANVUR anche per mettere un po’ di pressione in vista dell’udienza del 5 settembre, in cui il TAR Lazio deciderà della sospensiva richiesta con il ricorso dell’Associazione Italiana Costituzionalisti e va probabilmente letta in connessione con la mancata pubblicazione della terza mediana per l’intera area 12. In attesa di poter esaminare le liste di riviste partorite da ANVUR, che avrebbero dovuto già essere pubbliche (ricordiamo che esse servono anche a definire la scientificità di una sede editoriale, dunque sono determinanti per definire due mediane, e che il termine per il ritiro degli aspiranti commissari scade lunedì), crediamo che si tratti di una lettura per più versi interessante.

NB: nei commenti è presente una replica di Andrea Graziosi, presidente del GEV area 11.

In primo luogo sembra emergere una strategia un po’ confusa:

– ANVUR occulta la mediana di area 12 nell’ambito – diciamo così – di una strategia processuale: non pubblicando la mediana si spera che il TAR non conceda la sospensiva.

– Attraverso Graziosi, la stessa ANVUR sollecita e promuove un documento a favore della terza mediana, che pure ha fatto sparire per un’intera area.

Per tacere del fatto che solitamente i Tribunali, amministrativi e non, giudicano sulla base del diritto e non delle lettere di Tizio o Caio.

In ogni caso, nel documento, riportato in calce, si legge che:

la terza mediana è per ora l’unica che introduce un elemento “qualitativo” (occorre aver pubblicato sulle riviste ritenute migliori), la sua eliminazione danneggerebbe chi ha seguito questa strada.

Inoltre,

la selezione delle riviste di fascia A non è stata fatta in base a criteri stabiliti a posteriori, bensì in base alla reputazione goduta dalle riviste nelle rispettive comunità scientifiche. Tale reputazione è stata accertata attraverso un meccanismo complesso, certo perfettibile, ma dotato dei necessari contrappesi

Seguono nove righe relative alle opache concertazioni che hanno portato alla definizione delle liste di “eccellenza”, da parte di soggetti spesso neppure chiaramente definiti, talora in pieno conflitto di interessi, nell’assenza totale di una procedura chiara e trasparente e nel dispregio più assoluto delle regole suggerite dalle migliori pratiche internazionali.

Infatti, vi è una totale assenza di trasparenza, tanto è vero che nessuno dei passaggi della procedura citata da Graziosi risulta pubblico: mancano verbali, deliberazioni, criteri, linee guida, regole sul conflitto di interessi.

Più in generale la pretesa di misurare la “reputazione” di una rivista attraverso concertazioni è del tutto inadeguata. Semmai si sarebbe dovuto pensare a una rilevazione simile a quelle effettuate dal CNRS, attraverso una consultazione aperta dell’intera comunità scientifica. Una misura della “reputazione” ottenuta attraverso consultazioni riservate è un’operazione che non richiede troppi commenti sotto il profilo scientifico, anche se forse ne richiederebbe qualcuno per l’aspetto etico.

La mancata pubblicazione della mediana di area 12 relativa alle riviste di fascia A è un segno della debolezza dei criteri adottati da ANVUR; che ora delle società disciplinari delle scienze umane e sociali prendano posizione a favore della “terza mediana” deve indurre qualche riflessione.

Basta scorrere i valori della mediana per settore per vedere che essa ha valori bassissimi, compresi fra 0 e 3, sicché un solo articolo in fascia A (su riviste che non è detto adottino tutte una politica di peer review anonima, ma che potrebbero essere dei centri di potere scientifico-accademico volte a promuovere i giovani da “loro” ritenuti migliori) potrebbe essere considerato equivalente a 4 o 5 monografie o decine di articoli.

Delle due l’una: o le scienze umane e sociali non hanno una “produzione di qualità”, oppure qualcuno tiene moltissimo a tenere in vita quella che in gergo informatico si chiamerebbe una backdoor. Una porta sul retro attraverso la quale far rientrare in gioco soggetti che altrimenti sarebbero esclusi.

Ma si sa che la scienza talvolta cede davanti agli “interessi superiori”:

Le abilitazioni debbano svolgersi regolarmente e celermente, nell’interesse superiore del funzionamento del nostro sistema universitario e degli studi.

 

La lettera si può scaricare qui: Difesa Terza mediana1

(versione in pdf:Difesa-Terza-mediana1)

 

* Nel testo manca la firma dell’estensore, ma il nome risulta dalle proprietà del file.

GraziosiAppelloSole

 

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72 Commenti

  1. Con riferimento all’esempio di Cambridge di Francesco Guala.

    C’è una differenza fondamentale tra il criterio di valutazione con lista a posteriori di riviste di classe A e l’ipotetica valutazione di Cambridge così come tratteggiata qui sopra.

    Nel secondo caso i valutatori di una certa università (e.g. Cambridge) in occasione di una certa chiamata stabiliscono una scansione di massima della qualità delle sedi di pubblicazione. Nessuno sa in anticipo quali siano esattamente i gusti di quei giudici, ma ci si affida approssimativamente ad un consenso medio: può andare bene e può andar male.

    Nel primo caso, quello della terza mediana Anvur, un organismo governativo stabilisce per tutte le università del regno un discrimine netto, tale per cui chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori. Ciò implica dunque:
    1) Che qui non si tratti di margini di arbitrio in una valutazione qualitativa, ma di un meccanismo quantitativo estrinseco che non consente sfumature (tipo B+ e A-).
    2) Che questa dimensione di arbitrio vada al di là del singolo concorso nella singola sede, ma venga imposta normativamente a tutte le sedi del territorio nazionale.

    Queste due differenze amplificano immensamente la dimensione arbitraria presente certo anche nell’ipotetica valutazione di Cambridge. Differenze marginali, sfumature valutative, casi controversi possono determinare tagli netti e generalizzati, non remissibili (o solo con grande difficoltà da commissioni temerarie).

    Per queste ragioni, tra altre, la questione della retroattività della lista di riviste di classe A non è comparabile con altri casi internazionali ed è effettivamente probabile latrice di ingiustizie gravi.

  2. Nella lettera di Agostino Giovagnoli della SISSCO (l’associazione degli storici contemporanei) ai soci è scritto per giustificare l’adesione all’appello per la difesa della terza mediana: «L’eliminazione di questa terza mediana – che è aggiuntiva e non sostitutiva – danneggerebbe quegli studiosi la quantità delle cui pubblicazioni è limitata, ma che hanno prodotto risultati di qualità. E’ stata pensata soprattuto per giovani che non hanno ancora avuto il tempo di pubblicare molto ma che sono già apprezzati dalla comunità scientifica.» Dunque:
    1 – E’ falso che sia aggiuntiva; lo sarebbe se si “aggiungesse” alle altre due, ovvero se si richiedesse che, oltre a un numero x di monografie e/o a un numero y di articoli normali, ci fosse anche un numero z di articoli in fascia A. Si sarebbe potuto ad es. utilizzare la terza mediana come demoltiplicatore delle altre due mediane, nel senso che uno o due articoli in fascia A avrebbe fatto ridurre il numero delle monografie o articoli normali necessari. Ma invece non è così: basta uno o due articoli in terza mediana per sostituire ogni altro criterio e quindi non importa di avere zero nelle altre due mediane. Quindi è “sostitutiva”. In effetti si voleva dire una cosa diversa: che la terza mediana non danneggia coloro che non la posseggono, perché in ogni caso questi possono fare valere una delle altre due mediane; essa cioè è “non esclusiva”. Ma il problema non è se si danneggiano gli altri, ma se si stabilisce una situazione di privilegio per alcuni con delle regole che rendono loro più facile essere papabili di idoneità. E una situazione di privilegio per parte di una popolazione è ipso facto un danno per il resto di essa.
    2 – Si scrive che l’abolizione della terza mediana danneggerebbe quegli studiosi la cui produzione è limitata, ovvero i giovani con uno o due articoli sulle riviste che contano. Ergo, si ammette che basta anche un articolo in una rivista di fascia A per poter superare il criterio della mediana e potenzialmente essere candidabili a PO. Si potrebbe anche sostenere che aver pubblicato un articolo su una rivista internazionale è a volte meglio di aver pubblicato una monografia stampata nella tipografia di quartiere. Ma siamo sicuri che tutte le riviste incluse in classe A siano di questo tipo, specie quelle italiane? Vedremo dagli elenchi. Nel contempo sappiamo già che basta essere stati al posto giusto, con le aderenze giuste, al momento giusto e via!, si è tra i giovani migliori!
    3 – Vi rendete conto di cosa questo meccanismo innescherà in futuro? Vi saranno un certo numero di riviste e di comitati scientifici che avranno nelle mani il destino non solo delle carriere, ma anche del futuro della ricerca scientifica. E immaginate se questo criterio finirà per estendersi (come si paventa e da alcune parti si vorrebbe) anche agli editori. Saranno scoraggiati nuovi indirizzi di ricerca, e quindi la nascita di nuove riviste che spesso ne sono espressione, e verrà esercitata una enorme pressione sulle riviste che contano per aver pubblicato un articolo. E in assenza di procedure di peer review cieca autentica (chi ci assicura che tutte le riviste italiane di fascia A le adottino?), sarà uno sgomitare e un cercare protettori e amici, magari attraverso gli scambi più strani (anche di citazioni…). E come non ‘ringraziare’ (e qui lasciamo libero campo alla fantasia) chi si è fatto sponsor del giovane ‘migliore’? Attraverso questo criterio della terza mediana e delle riviste in classi (che è unico al mondo) si introdurrebbe un fattore di distorsione enorme e non facilmente prevedibile nei suoi effetti nella vita e nella produzione scientifica italiana; e tutto ciò per salvaguardare qualcuno che ha pubblicato solo pochi articoli, ma nelle riviste ‘migliori’. Ne vale la pena? Perché non invitare e incoraggiare questi giovani ‘migliori’ a darsi un po’ più da fare, aspettare qualche anno e magari pubblicare qualche altro articolo o una monografia?
    4 – Dopo che il “Migliore” (chiamiamo così chi ha pubblicato il suo articolo in classe A) avrà superato la mediana, dovrà comunque esser ritenuto degno dalla Commissione sorteggiata, la quale potrà dire benissimo che l’articolo è una cavolata pazzesca e bocciarlo, promuovendo viceversa chi ha due monografie stampate nel proprio scantinato. Lo stesso vale anche per coloro che hanno superato le altre mediane. A cosa sono dunque servite tutte queste mediane? Solo a far lavorare di meno le Commissioni, escludendo in linea di principio circa la metà dei possibili candidati, anche se tra questi ultimi è possibile vi siano delle persone degne che non stanno sopra la mediana per un pelo. A meno che non succeda poi che le Commissioni finiscano per idoneare tutti coloro che stanno sopra le mediane, rinviando la patata bollente alle singole sedi universitarie, nelle quale i soliti meccanismi di potere decideranno chi deve e chi non deve essere ‘chiamato’. In ogni caso sarà questo un successo della meritocrazia? Non credo: tanto varrebbe assumere qualche ragioniere e risparmiare un po’ po’ di quattrini.
    5 – Qualcuno in merito al problema della retroattività (argomento della richiesta di sospensiva al TAR dei costituzionalisti) ha sostenuto che in ogni caso le valutazioni si fanno su “partite giocate nel passato” (e sarebbe ben strano che si giudicasse un candidato sulle sue “future partite”, anche se in qualche caso questo è avvenuto…) e che di fatto, quando si presenta un curriculum, viene giudicata la sede in cui si sono pubblicate gli articoli: mica Cambridge può leggere 200 CV al giorno! A parte il fatto che in genere non tutti presentano la loro candidatura a Cambridge, è ovvio che quando un commissario valuta la carriera di qualcuno ha dei parametri di giudizio e tra questi può anche esservi quello della sede di pubblicazione (ricordo che nei vecchi concorsi, questa era esplicitamente citata tra i parametri da valutare), ma questi parametri sono plurali (dipendono dalla sensibilità dei singoli commissari), possono essere discussi in sede di commissione e non dispensano dall’analisi o valutazione dei contributi o articoli pubblicati, anche in sedi meno prestigiose; non sono costanti e fissati per legge o regolamento, come sta avvenendo nel caso della terza mediana. Mi pare che questa sia una bella differenza.
    6 – Insomma, comunque si voglia mettere la cosa – terza mediana e no – la decisione finale spetta a una commissione la quale alla fine dirà chi è idoneo e chi no. Tutta questa bagarre sulle mediane ha il solo vantaggio di impedire ope legis alla commissione di prendere in considerazione metà circa di possibili aspiranti (ricercatori e associati che vogliono avanzare), facendole risparmiare un po’ di lavoro o semplicemente in base al retropensiero che siccome le commissioni sono in genere fatte da malavitosi, allora è meglio sottrarre loro l’oggetto del desiderio, escludendo in partenza gli immeritevoli. Non importa se tra chi non supera alcuna mediana v’è un Wittgenstein che in tutta la sua vita ha pubblicato una sola opera e non su rivista di classe A: non vi sarà nessun Bertrand Russell che lo potrà salvare dal licenziamento.

  3. @ Coniglione

    “Vi saranno un certo numero di riviste e di comitati scientifici che avranno nelle mani il destino non solo delle carriere, ma anche del futuro della ricerca scientifica. E immaginate se questo criterio finirà per estendersi (come si paventa e da alcune parti si vorrebbe) anche agli editori. Saranno scoraggiati nuovi indirizzi di ricerca, e quindi la nascita di nuove riviste che spesso ne sono espressione, e verrà esercitata una enorme pressione sulle riviste che contano per aver pubblicato un articolo.”

    Perché mai? Se la lista di riviste/editori (internazionali e, se danno certe garanzie, anche nazionali) fosse aggiornabili annualmente, perché mai dovrebbero esserci questi effetti? Tutto sta a fornire criteri abbastanza chiari relativi alle procedure di accettazione di articoli/libri. Chi li rispetta può entrare nella lista.

    Quanto alle ragioni dell’abilitazione in quanto tale, per quanto il sistema delle mediane sia fallimentare, tuttavia l’idea di un criterio di qualità che possa garantire un livello medio adeguato è difficilmente contestabile. Come nel modello germanico dell’Habilitationsschrift. Ed il Tractatus di Wittgenstein poteva ben valere come Habilitationsschrift…

    • «Tutto sta a fornire criteri abbastanza chiari relativi alle procedure di accettazione di articoli/libri. Chi li rispetta può entrare nella lista.» Se la cosa fosse così semplice, nessuna obiezione. Ma il prestigio di una rivista non è dovuto solo all’adempimento di alcuni requisiti formali. Se fosse solo per questi, in breve tutte le riviste si adeguerebbero facendo venir meno la ratio della distinzione in classi: tutte le vacche diventerebbero nere. No, il prestigio è qualcosa di diverso: si basa sulla storia della rivista, su chi vi contribuisce, sul giudizio delle comunità scientifiche (che potrebbero avere tutto l’interesse per ridurre la concorrenza) e così via. E nel contempo?
      Che poi debba esistere qualche criterio di qualità, siamo d’accordo. Il contendere consiste nel fatto se questo criterio di qualità debba essere stabilito centralmente e una volta per tutte da un organismo come l’Anvur mediante procedure quantomeno poco chiare e attraverso una classificazione delle riviste, anch’essa fatta in modo non del tutto trasparente e tramite una terza mediana concepita nel modo che sappiamo.
      Una volta il criterio di qualità era semplice da stabilirsi. I candidati presentavano le proprie candidature alle società scientifiche di riferimento, le quali le prendevano in esame e le discutevano; si veniva a creare una corrente di opinione che giudicava Tizio e Caio più o meno degno di essere promosso e quindi si programmava approssimativamente quando il Tizio sarebbe stato ‘varato’. Tutto filava liscio? Ovviamente no: vi erano abusi e forzature, ma questo avveniva nella trasparenza e chi faceva un colpo di mano, poi era facile che pagasse il proprio ardire. Il meccanismo si è guastato con le idoneità locali, quando è prevalso il criterio: non mi interessa l’asino che tu vuoi portare in cattedra, purché io mi becchi i miei due (poi uno) idonei. Ma vi ricordate chi ha sollecitato questo sistema? Se non sbaglio coloro che volevano combattere le baronie nazionali in nome dell’autonomia e della responsabilità delle sedi (ricordo che tra i suoi fautori vi erano illustri luminari, come Umberto Eco). Sappiamo come è andata a finire. Temo proprio che con l’Anvur e i meccanismi che essa sta introducendo possa succedere qualcosa di simile.

  4. @ Andrea Zhok: detto con chiarezza esemplare, in modo che tutti, ma proprio tutti dovrebbero capirlo. Margini di soggettività e in qualche misura di arbitrio sono inevitabili. Ma l’arbitrio automatico e centralizzato è peggio.
    Spero comunque in commissioni coraggiose che si discostino da questi “criteri e parametri” quando sono palesemente indicatori poco indicativi.

    Altrettanto chiaro Coniglione, che condivido.
    Aggiungo solo una cosa: è ovvio che un criterio quantitativo di preselezione si può utilizzare. Lasciando perdere Cambridge – che fa altrimenti la parte del “militare a Cuneo”, non c’è mica solo Cambdrige – posso fare l’esempio di una commissione di concorso cui ho partecipato all’estero, dove si è fatta una prima selezione dei candidati sulla base dei curricula e del numero di monografie (curioso, eh? di monografie, non di articoli in fasce A). Non dico qual era la “mediana” utilizzata; ma se ci fosse stato un giovanotto con un’unica e sola monografia, intitolata Tractatus logico-philosophicus, sarebbe stato ammesso comunque alla seconda fase della selezione. Come se la sarebbe cavata nella lezione di prova, non so.

    • Mi riferivo al commento di Andrea Zhok delle 17:24.

      Su questo: “Perché mai? Se la lista di riviste/editori (internazionali e, se danno certe garanzie, anche nazionali) fosse aggiornabili annualmente, perché mai dovrebbero esserci questi effetti? Tutto sta a fornire criteri abbastanza chiari relativi alle procedure di accettazione di articoli/libri. Chi li rispetta può entrare nella lista.”
      Non vi è alcun motivo di fare liste del genere per selezionare candidati. Gli effetti perversi già per la valutazione di strutture sono stati ricordati (è noto il caso dell’Australia) ma su grandi numeri se ne può discutere. Trasferire la reputazione della rivista a quella dell’autore è invece considerato diffusamente come pratica scorretta.
      In generale il problema è che gli indicatori sono estrinseci, e si può essere tentati di agire sugli indicatori invece che su ciò che indicano (v. p.es. https://www.sciencemag.org/content/335/6068/542.summary?related-urls=yes&legid=sci;335/6068/542)

    • Sì, è vero che sostituire la valutazione della sede di pubblicazione alla valutazione del prodotto non è una procedura corretta. Certamente non deve essere una procedura generalizzata.

      Io però parto da un assunto: non è possibile ed è anzi controproducente rifiutare ogni parametrazione quantitativa in un procedimento abilitativo. E’ altamente opportuno (e, vista, la storia pregressa del sistema di reclutamento italiano, inevitabile) che un qualche parametro che non sia soggetto a totale flessibilità interpretativa vi sia. La funzione di questi parametri dovrebbe essere quella propria di un’abilitazione: garantire che un certo livello di competenze sia raggiunto da tutti coloro i quali concorreranno poi per una posizione di insegnamento. Tra i parametri meno arbitrari che posso concepire vi è anche la richiesta di aver pubblicato X monografie e/o Y articoli in certe sedi conosciute in anticipo (con una lista aggiornabile anno per anno) che danno garanzie di valutazione selettiva.

      Sono certo che altri, dotati di maggiore ingegno del sottoscritto, potranno trovare altre e migliori soluzioni, ma ciò che credo non ci possiamo permettere è di rifiutare l’introduzione di qualsivoglia criterio non ‘negoziabile’. Una tale posizione nello stato attuale dell’accademia italiana finirebbe per mettersi automaticamente dalla parte dei poteri ‘baronali’ (politici) consolidati.

  5. Credo che continuare a contestare la terza mediana (quella delle riviste di fascia A) riportando il ricorrente esempio del giovane che ha 0 monografie 0 articoli e/o capitoli e un numero di articoli in fascia superiori alla mediana (quindi anche un unico articolo se la mediana è 0) sia errato e per me irritante. Reputo una simile casistica rara (nel mio settore, che conosco benissimo, non esiste). Se esiste, non c’è dubbio che una simile fattispecie sia ingiustizia ma, cari colleghi, le eccezioni che generano ingiustize ci sono, e ci saranno sempre, sia in presenza di un metodo automatico che in sua assenza (leggi: nell’era ante-Anvur). Credo che un pò di pragmatismo aiuterebbe così come tener conto di effetti compensativi positivi.
    D’altro canto è immediato fare dei controesempi al vostro ricorrente caso; controesempi decisamente meno rari, da cui il mio richiamo alla compensazione positiva. Supponiamo che le tre mediane (non bibliometriche) siano 2, 16, 0 e che un candidato che, come il gabbiano Jonathan Livingstone, abbia deciso di seguire strade diverse da quelle suggerite o imposte dalla corrente domestica, si ritrovi con le seguenti mediane 0, 9 e 4. Aggiungo che per 2 di questi lavori in fascia A il nostro gabbiano ha dovuto lottare con un paio falchi-referees che lamentavano una ingiusta invasione di campo, per semestri. Ritenete giusto escludere dall’abilitazione questo candidato? Segnalo che da numerosi commenti scritti in queste pagine la risposta pare affermativa.
    Riguardo al tentativo di creare una fascia A per i settori che scrivono solo in riviste italiane ho poi già scritto: qualsiasi soluzione sarà un pasticcio. Mi pare però altrettanto chiaro che la gran parte della colpa di questo pasticcio sia addebitabile ai singoli settori disciplinari, oggi impreparati ad un sano screening dei prodotti di ricerca, e solo in minima parte all’Agenzia.

    • Delrosi, io sono per non escludere nessuno. Le mediane così come sono concepite “escludono”, ad es. chi abbia 1 monografia (anzichè 2) e 20 articoli (invece che 21 – faccio numeri a caso). Io credo che debbano essere le commissioni a idoneare assumendosi tutta la responsabilità del caso, con giudizi analitici e non preconfezionati; o addirittura per dare la responsabilità delle assunzioni ai dipartimenti e poi giudicare la loro resa ex post in termini di pubblicazioni, didattica e altri parametri. Ma il discorso si fa complicato, perchè dietro vi sta tutto un modo diverso di concepire la ricerca, la qualità e la valutazione, che qui non è possibile affrontare.

    • Ma questa terza mediana è come l’araba fenice del Metastasio? Perché non viene pubblicata la lista delle riviste in fascia A e la facciamo finita? Dopo tutto, la lista deve già esistere, dato che sono state calcolate le mediane. Credo che occorrano solo cinque minuti per mettere il file a disposizione di aspiranti commissari e candidati alle abilitazioni. A quel punto si può verificare con calma se le scelte sono “eccellenti” e imparziali, ovvero se non sono sbilanciate a favore delle scuole scientifiche meglio rappresentate nei GEV e tra gi esperti ANVUR.

    • Giusto, perché l’ANVUR non pubblica la lista? Quale può essere il problema che li blocca?

  6. adesso la colpa è dei settori disciplinari? Se l’Agenzia non sa fare il suo mestiere, che si dimettano. Invece lo sa fare molto bene (all’italiana), infatti non si dimettono e concertano le liste di riviste in maniera opaca. Aspettiamo che escano e avremo modo di divertirci. Inoltre qualcuno si è chiesto come mai c’è la mediana ma non la lista?

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