«Secondo una voce insistente, da parte delle università private ci sarebbe la richiesta di abbassare ulteriormente i parametri della docenza. Telematiche incluse, naturalmente. Il dossier dell’Anvur sembra arrivare al momento giusto.» Cosí scriveva Repubblica a suggello di un’intervista al Presidente dell’ANVUR sulle “lauree facili” degli atenei web. A poco più di due mesi di distanza, sappiamo chi ha vinto. Sconfessando le raccomandazioni dell’ANVUR, il Ministro ha abbassato a dismisura i parametri di docenza, venendo incontro alle esigenze delle università telematiche. A dimostrazione della forza degli interlocutori, l’ANVUR, abituata a mettere in ginocchio l’intera università, questa volta si è dovuta piegare.
Il 28 gennaio scorso la Repubblica pubblicava una lunga intervista al Presidente dell’ANVUR, interamente dedicata agli atenei telematici e dal titolo assai eloquente
Lauree facili non fidatevi degli atenei web
Nella sua intervista, Stefano Fantoni non lesinava le critiche:
Quella delle università a distanza sembra una formidabile zona franca, protetta da efficientissimi uffici legali – «più avvocati che professori», scherzano all’Anvur – e da un sostanziale disinteresse da parte del Miur, che produce una gran quantità di relazioni senza alcuna conseguenza concreta.
Tra i punti dolenti, veniva nominata anche la numerosità della docenza di ruolo
La composizione del corpo docente è un altro nervo scoperto. Con la sola punta avanzata dell’Unitelma Sapienza (emanazione dell’omonima Università) dove l’80 per cento sono professori di ruolo, nella media delle telematiche i docenti di ruolo sono sotto quota 30 per cento.
Le parole di Fantoni destavano sembrano alludere a una paradossale impotenza della potentissima agenzia di valutazione nei confronti di questa “zona franca”. In particolare, la chiusa dell’intervista suonava come un appello al MIUR perché non cedesse alle richieste di un allentamento dei requisiti di accreditamento dei corsi di laurea:
«Dopo che avremo fatto la fotografia e proposto le nostre correzioni toccherà al Miur intervenire», conclude il presidente dell’Anvur. Ma non c’è il rischio che nulla cambi, come sempre è accaduto? «Speriamo di no», allarga le braccia il professore, tra i maggiori fisici nucleari italiani apprezzati nella scena internazionale. Secondo una voce insistente, da parte delle università private ci sarebbe la richiesta di abbassare ulteriormente i parametri della docenza. Telematiche incluse, naturalmente. Il dossier dell’Anvur sembra arrivare al momento giusto.
Una deroga sui requisiti di docenza era comunque inevitabile, dato che il protrarsi delle restrizioni al turn-over sta portando sull’orlo del collasso anche i corsi di laurea offerti dalle università statali. Nonostante l’ANVUR, per bocca di Sergio Benedetto, avesse detto che “alcune sedi dovranno essere chiuse”, è la stessa agenzia a produrre due delibere ANVUR (20 gennaio 2015, n. 8, e 18 febbraio 2015, n. 30), aventi ad oggetto “Requisiti minimi di docenza – riduzione temporanea”. L’ANVUR pone però dei paletti, indicando alcune significative limitazioni alla estensione dell’utilizzo dei docenti a contratto come docenti di riferimento.
Ma, come già illustrato su Roars, il Decreto Ministeriale 194/2015 del 27 marzo scorso fa cadere tutte le limitazioni indicate dall’ANVUR, che viene quindi sostanzialmente sconfessata dal Ministro.
Il braccio di ferro a cui alludeva Fantoni pare essersi risolto con una vittoria completa di chi desiderava “abbassare ulteriormente i parametri della docenza”.
L’urgenza di salvare l’università pubblica non sarebbe probabilmente bastata ad annacquare l’intransigenza dell’ANVUR al punto di surrogare i docenti di riferimento con semplici docenti a contratto. Ma questa volta gli interlocutori sembrano essere ben più potenti.
Più potenti della stessa ANVUR che, abituata a mettere in ginocchio l’intera università, stavolta si è dovuta piegare.
Che legittimità resta all’ANVUR, se non riesce ad imporre un livello minimo neppure alla “zona franca” delle telematiche? Se Fantoni fosse coerente con la sua intervista a Repubblica (titolo: “Lauree facili non fidatevi degli atenei web”), dovrebbe dare le dimissioni in segno di protesta nei confronti del Ministro che lo ha clamorosamente sconfessato. Altrimenti, sembra che tutta la retorica del rigore e della meritocrazia sia solo un pretesto per dismettere l’università pubblica.
Altra domanda inquietante: che leve possono muovere gli atenei privati per scavalcare persino l’ANVUR? Un MIUR quasi sempre prono all’ANVUR questa volta sconfessa l’agenzia in modo clamoroso. A chi risponde il MIUR?
Non pensate che cosi’ stanno aprendo la strada ad un “nuovo” ruolo di professore aggregato (o assistant professor, o junior professor, o qualsivoglia nome si inventeranno)?
Un nuovo ruolo, anche indeterminato, che di fatto prenda il posto del ricercatore, ma che sia dedicato alla didattica.
Oltretutto le telematiche e tutte le universita’ private non possono permettersi, a regime, di avere lo stesso modello delle statali, ovvero con una grossa base di associati.
Serve un ruolo inferiore, ma a tempo indeterminato, anche perche’ come e’ stato dimostrato per la scuola, non posso coprire a contratto un posto che invece e’ stabile (possibilmente con un concorso che faccia “rivincere” la stessa persona).
A me pare che il DM sia solo una ciambella di salvataggio per le telematiche (o prevalentemente per quelle). Non farei altre dietrologie.
Peccato, per una volta condividevo gli obiettivi di ANVUR..
Condiviso pienamente con Antonio Banfi; è evidente che il DM serva a salvare “dall’illegalità continua e indifferente” alcune telematiche ben protette. Stop. Mi viene da dire: “che tristezza amici miei!”
Fa sorridere la raccomandazione della Commissione di studio sulle problematiche afferenti alle Università telematiche del MIUR del 27 ottobre 2013 (http://www.istruzione.it/allegati/relazione_conclusiva_commissione_studio_universita_telematiche.pdf )
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“La Commissione… ritiene indispensabile stabilire un termine entro il quale le Università telematiche debbano soddisfare i requisiti quantitativi relativi al personale docente previsti dalla normativa per le Università non-statali, con particolare riguardo per la presenza di personale di ruolo a tempo indeterminato, a pena di estinzione dell’Università stessa.”
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Il successivo decreto di revisione dei requisiti per l’accreditamento di dicembre 2013 ha eliminato alcune disparità nei requisiti di docenza presenti nel DM 47/2013 (più favorevoli per le telematiche) ma ne ha mantenute altre.
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In ogni caso, ora il problema è stato risolto in altro modo.
Prima l’ANVUR ci ha umiliato, prostrato e fatto genuflettere alle sue ammuine e poi – quando i docenti delle università pubbliche sono stati lasciati stremati a terra e senza forze (VQR, SUA, e mortacci SUA) – la stessa ANVUR si è calata le brache davanti a quella vergogna delle università telematiche, macchine da soldi per lauree di carta. Lo stesso dicasi per le università di ispirazione cattolica (o cattolico affaristica), bhè vabbè… lassamo perde…
La mia paura è che noi docenti delle università pubbliche italiane, faremo la fine del protagonista del racconto “Sette piani” del grande, grandissimo Dino Buzzati. Chi non l’ha letto lo vada a leggere.
Domandona: Perchè un Ministro professore ordinario e rettore di un’università pubblica, quindi che conosce il problema degli accreditamenti, sconfessa le indicazioni della sua agenzia di riferimento che per inciso costa 10 milioni annui di cui 1.281.000 per le retribuzioni del solo Consiglio Direttivo? Perchè i tagli proseguiranno e non ci sarà un reclutamento suffciente a coprire i pensionamenti? Perchè le Telematiche potranno continare a fare ciò che vogliono e non avere un numero adeguato di docenti strutturati? Semplicemente perchè il declino è inarrestabile e il peggio deve ancora venire?
[…] del rigore e della meritocrazia sia solo un pretesto per dismettere l’università pubblica» (Telematiche contro ANVUR: 1-0 e palla al centro, Roars, 8.4.2015). Questa è la non-università voluta dal governo del Partito Democratico-Nuovo […]