È lo stesso vicepresidente della CRUI a sottolineare le insidie nascoste nella “toppa pericolosa” che “istituzionalizza il precariato nelle università”, contenuta in un recente decreto del MIUR sui requisiti di accreditamento dei corsi di studio. Come molti sanno, il DM 47/2013 stabilisce una numerosità minima di docenti per l’accreditamento dei corsi di studio. La mancata sussistenza dei requisiti può comportare la soppressione del corso di studi. Ma il 27 marzo scorso il MIUR ha concesso alle università di poter conteggiare anche i docenti a contratto. Basta prevedere un po’ di contratti qui e là, con un qualsiasi esperto preso a caso ed il corso di laurea è salvo. Si può insegnare qualsiasi cosa, purché non si assumano nuovi docenti.
Il grido di allarme questa volta proviene addirittura dal vicepresidente della CRUI che, sulle pagine de Il Fatto Quotidiano, sottolinea le insidie nascoste nella “toppa pericolosa” che “istituzionalizza il precariato nelle università”, contenuta nell’ultimo decreto del MIUR sui requisiti di accreditamento dei corsi di studio.
Come molti sanno, il DM 47 del 30 gennaio 2013 stabilisce rigidi parametri per l’accreditamento dei corsi di studio, tra cui una numerosità minima di docenti (cd. Docenti di Riferimento), declinata in termini di tipo di docente (professore o ricercatore), tipo di SSD (base/caratterizzante o affine) e corrispondenza tra settore disciplinare del docente e settore disciplinare delle attività formative previste. La numerosità minima varia in base al tipo di corso di studi (triennale, magistrale e ciclo unico) e all’anno accademico, essendo previsto un graduale raggiungimento della numerosità richiesta nel 2016/2017.
La mancata sussistenza dei requisiti può comportare la soppressione del corso di studi.
Chi ha avuto a che fare con il “conteggio delle teste” associato al computo dei docenti di riferimento conosce bene lo scambio di “figurine” tra corsi di studio necessario a far quadrare il requisito di docenza per tutti i corsi di studio, anche perché uno stesso docente non può essere di riferimento per più corsi di studio. I più previdenti hanno verificato già due anni fa la sostenibilità dei corsi di studio in termini di docenti di riferimento nell’anno a regime (2016/2017). Altri probabilmente no.
Il 27 marzo 2015 il MIUR ha concesso alle università di poter conteggiare tra i docenti di riferimento anche:
- i docenti ai quali siano attribuiti contratti ai sensi dell’art. 23 della legge 30 dicembre 2010, n. 240;
- i docenti ai quali siano attribuiti contratti ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge 4 novembre 2005, n. 230.
Il decreto è stato adottato “VISTE le delibere ANVUR del 20 gennaio 2015, n. 8, e del 18 febbraio 2015, n. 30, aventi ad oggetto “Requisiti minimi di docenza – riduzione temporanea”.
La motivazione per l’alleggerimento dei requisiti di docenza è nel blocco del turnover. Prendendo atto di un turnover decisamente ridotto, il Ministero, seguendo parzialmente i suggerimenti dell’ANVUR ha concesso un regime di requisiti leggermente più elastico. Se da una parte si blocca il turnover, dall’altra si concede una boccata di ossigeno ai corsi a rischio di chiusura, legittimando il ricorso a docenza esterna ai fini dei requisiti di accreditamento. Non è chiaro se si tratti di un tipico intervento emergenziale, oppure se ci sia una differente logica.
In ogni caso, sembra utile soffermarsi brevemente sulle differenze tra i criteri individuati dall’ANVUR e quelli prescritti dal Ministero. L’ANVUR segnala alcune limitazioni alla estensione dell’utilizzo dei docenti a contratto come docenti di riferimento, suggerendo:
- La limitazione ai corsi di studio storici, ovvero quelli che abbiano completato almeno un intero ciclo formativo;
- La limitazione ai corsi di studio per i quali l’offerta formativa è pregiudicata dalla riduzione del turnover in conseguenza di pensionamenti;
- Il divieto di attivare nuovi corsi negli Atenei che usufruiranno di tale possibilità;
- La limitazione a contratti di insegnamento affidati a soggetti che abbiano già conseguito l’Abilitazione nazionale.
Il primo criterio si trasforma nel decreto ministeriale nella limitazione ai soli corsi già attivati alla data del decreto. Data l’indeterminatezza della definizione di “corso storico” data dall’ANVUR, questa trasformazione sembra essere abbastanza semplificatrice.
Il secondo criterio scompare. Anche qui la limitazione richiesta dall’ANVUR poteva sembrare eccessiva laddove il pensionamento di un docente può in realtà avere effetti a cascata su più corsi di studio.
Anche il terzo criterio scompare. È un criterio molto vincolante. Qualsiasi Ateneo avrebbe serie difficoltà ad autoimporsi l’impossibilità di attivare nuovi corsi per tre anni o più nel tentativo di salvarne uno in bilico.
Ma anche il quarto criterio scompare e questo in realtà determina qualche problema in più. Come si fa a determinare la corrispondenza tra SSD del docente e SSD previsto nell’offerta formativa se il docente a contratto non appartiene a nessun SSD? Non essendoci vincoli, un titolare di contratto può essere docente di riferimento per qualsiasi SSD.
Tra le FAQ del sito dell’ANVUR relative al requisito di numerosità minima dei docenti si legge che “Il principio ispiratore che guida questo indicatore è che il docente di riferimento deve essere “competente” sul Corso di Studio in modo da poterne seguire la progettazione, lo svolgimento e la verifica (cioè l’AQ del corso)”.
Di conseguenza, deduciamo che un contrattista, anche se non appartiene ad uno specifico SSD e svolge attività didattica per un solo anno accademico, è considerato competente sul Corso di Studio, tanto da poterne seguire la progettazione, lo svolgimento e la verifica. Di contro, un docente del corso, appartenente ad un SSD affine ad un settore previsto nell’offerta, non è sufficientemente “competente”.
Ci avevano fatto capire che per insegnare (e fare ricerca) all’Università è necessaria una severa selezione basata sull’accertamento della qualificazione scientifica nello specifico settore disciplinare. Salvo poi scoprire che qualsiasi esperto senza abilitazione è in realtà più “competente”. C’è una logica, oppure è la solita legge scritta nel retrobottega di un Ministero?
Anziché semplificare le regole, si aggiungono nuovi criteri per estendere le regole, che snaturano la ratio della regola originale. È abbastanza strano che, per salvare corsi di studio in sofferenza a causa dei pensionamenti e del blocco del turn over, non si pensi semplicemente a ridurre i requisiti di docenza. D’altra parte, il contratto per attività di insegnamento previsto dalla 240/2010 ha la funzione di arricchire l’offerta formativa attraverso la collaborazione di esperti di alta qualificazione, non quella di coprire buchi di docenza.
In assenza di limitazioni, lo sconto di pena per le offerte formative che eccedono la potenzialità didattica dei docenti incardinati è quasi assicurato. Basta prevedere un po’ di contratti qui e là, con un qualsiasi esperto preso a caso ed il corso di laurea è salvo. Si può insegnare qualsiasi cosa, purché non si assumano nuovi docenti.
Ma non si era detto che “molti corsi di laurea dovranno chiudere”?
Si elimina così ogni incentivo ad una ragionevole distribuzione dell’organico. Tutti i posti di ruolo resteranno nelle aree e nei settori più forti nell’ateneo, gli altri settori dovranno accontentarsi di contratti di insegnamento mal pagati ed assegnati a soggetti di dubbia competenza. In particolare continueranno a fiorire corsi di laurea in ingegneria sostanzialmente privi di docenti di ruolo nelle materie di base il cui insegnamento è affidato ad insegnanti della scuola secondaria. Non sarà possibile aspettarsi un ridimensionamento del personale docente delle facoltà di medicina, quasi sempre sovradimensionato per le attività didattiche, e dimensionato per le attività assistenziali quando non era prevista attività assistenziale a pieno tempo per gli specializzandi. Sospetto che l’eliminazione delle clausole indicate dall’ANVUR sia anche il frutto del “lobbying” delle università telematiche, le prime vittime dei “requisiti minimi”.
Commento preciso e condivisibile, al quale mi permetto di aggiungere solo due annotazioni.
1. Che un docente a contratto (incardinato in nessun SSD) «valga» di più di un docente organico che insegna in un SSD che non coincide con il proprio è un’enormità. Se mi è permessa un’autocitazione, avevo segnalato l’irrazionalità della norma che dichiarava «incompetenti» i docenti organici in questione quasi due anni fa (https://www.roars.it/lettera-aperta-al-ministro-maria-chiara-carrozza-sulla-questione-della-qualita-delluniversita/), senza ricevere la minima risposta. Evidentemente il problema è stato dimenticato, ma prima o poi i nodi vengono al pettine. Neppure la richiesta del possesso di un’abilitazione per i docenti a contratto risolverebbe il problema, perché in questo caso si tratterebbe di «settori concorsuali» e non SSD: dunque i docenti a contratto verrebbero anche in tal caso a godere di una posizione privilegiata rispetto a quelli organici.
2. Anche se si presenta con una formulazione diversa (e con tutti i conseguenti difetti osservati nell’articolo), la norma *di fatto* abbassa i requisiti per la docenza. Che un docente a contratto possa essere impiegato a tempo pieno in attività di programmazione, ricevimento studenti, direzione delle tesi di laurea eccetera, è infatti puramente illusorio (e sarebbe anche ingiusto, con il minimo compenso che normalmente riceve). Da una parte non si può che essere felici di una scappatoia che salva dalla morte corsi di laurea che non lo meritano affatto; dall’altra tutto questo significa che i pochi docenti rimasti dovranno lavorare sempre di più. Nulla di male, insegnare è un’attività nobilissima e piena di soddisfazioni! Piacerebbe però che questo venga detto, e magari (magari) che ogni tanto giungesse anche un ringraziamento. Il discorso politico è fatto anche di queste cose.
Egr. Prof. Salmeri,
premesso che concordo sul fatto che la docenza a contratto sia una scappatoia per non bandire i concorsi e illudere centinaia di precari, mi permetta di dissentire su entrambi i punti. Sono stato docente a contratto per diversi anni in un ssd completamente sguarnito presso il mio ateneo; è vero, come contrattista, non sono incardinato in nessun settore ma il mio curriculum parla chiaro: borsa post-lauream, dottorato, assegni di ricerca, attività di ricerca all’estero non fanno del sottoscritto un tuttologo. Ultimamente il mio ateneo, solo per una mera questione economica, ha adottato la sua stessa posizione, ritenendo in ogni caso l’incardinato (in settore neanche affine!) da preferire all’aspirante contrattista, facendo strame di regolamenti d’ateneo, direttive ministeriali e via dicendo. Le pare possibile che un docente organico, per il solo fatto di essere organico, possa insegnare qualsiasi cosa?
Secondo punto: Le posso assicurare che come docente a contratto ho svolto tutte le mansioni da Lei elencate, come i colleghi (se mi posso permettere) incardinati e forse anche più di qualche professore a tempo indeterminato. Non è affatto illusorio che il contrattista svolga le stesse attività dell’organico, anzi questa è la regola, per quelli che come me sperano in un miracolo per entrare nell’Accademia dopo lo tsunami provocato dalla 240/10…
A Massimo Ciullo: grazie molto della risposta, che mi induce a precisare entrambe le mie osservazioni.
1. Quella che definivo «enormità» era la generalità della norma, non erano ovviamente i casi singoli. Faccio un esempio: immaginiamo un professore associato del Settore di Storia della filosofia, che faccia (avendone ovviamente le competenze!) un corso di Filosofia teoretica: nella scheda SUA il suo peso sarà ZERO, e non è ammessa prova contraria: come se fare parte di un settore significasse aver ricevuto un’automatica patente di ignoranza per tutti gli altri. (Però, attenzione, egli potrà svolgere regolarmente quel corso! E allora? dov’è la logica?) Se quella stessa identica persona non fosse un professore associato, ma un contrattista senza nessuna abilitazione, il suo peso sarebbe UNO. Se poi questo viene giustificato affermando che chi insegna in un settore diverso dal proprio non è capace di seguire la «progettazione, verifica ecc.» del suo corso di studio, siamo a qualcosa di affine all’insulto gratuito. Lungi da me invece pensare che uno strutturato possa insegnare qualsiasi cosa! Anzi, spesso bisogna essere molto più esigenti anche nelle competenze specifiche (per esempio, uno stesso SSD raccoglie chi sa insegnare il catalano contemporaneo e il filologo che studia la lirica trobadorica provenzale, competenze che non sono certo interscambiabili).
2. Allora devo correggere ciò che ho scritto: cancello l’«illusorio» e lascio solo l’«ingiusto». Profondamente ingiusto! Dobbiamo dunque scegliere tra tre ingiustizie (o tra il loro triste bilanciamento): pretendere lavoro addizionale e gratuito dagli strutturati, pretenderlo dai contrattisti, privare gli studenti di un loro diritto (o truffarli, promettendo qualcosa che poi non avranno, o avranno poco o male).
Al solito, quando si arriva al dunque, non si ha il coraggio di completare l’opera.
Se l’effetto combinato dei requisiti minimi e della riduzione del personale era quello di far chiudere corsi e poi anche università con questo decreto si blocca questo processo e si rimane nel solito limbo in cui non si è “ne carne ne pesce”. Perché se non si vuole far chiudere i corsi, anziché una toppa ridicola, si mettono i soldi per le assunzioni.
A mio modo di vedere questo continuo fare e disfare porta ad una indeterminazione che non fa altro che logorare il sistema e renderlo sempre caotico, poco efficiente e ingovernabile perché nessuno accetterà mai una decisione come definiva, tanto poi si sa che si cambia (e si ricambia) all’infinito senza giungere mai ad una conclusione.
Ma come ha osservato Figà Talamanca, non vorremo mica chiudere le università telematiche? Era l’ANVUR che diceva “e alcune sedi dovranno essere chiuse”, ma è stato lo stesso presidente dell’ANVUR (http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=54c89f392acc4) ad invocare un giro di vite contro le telematiche, riconoscendo la paradossale impotenza dell’agenzia nei confronti di questa parte del sistema universitario nazionale. Ecco come finiva l’intervista di Fantoni apparsa su Repubblica il 28 gennaio 2015:

_________________________
http://www.uniroma4.it/sites/default/files/Rassegna%20stampa%2028%20gennaio%202015.pdf
____________________________
Che strana coincidenza:
“Secondo una voce insistente, da parte delle università private ci sarebbe la richiesta di abbassare ulteriormente i parametri della docenza.”
A quanto pare, le telematiche hanno vinto e l’ANVUR ha perso. L’urgenza di salvare l’università pubblica non sarebbe probabilmente bastata a indurre il MIUR a derogare fino a questo punto (e l’articolo di Bruna Bruno mostra di quanto si sia andati oltre la proposta ANVUR). Ben più potenti gli interessi con cui si è dovuta confrontare questa volta. Più potenti della stessa ANVUR.
Concordo al 100% con De Nicolao e Figa’ Talamanca: se il problema fosse stato solo quello di salvare le universita’ pubbliche ci sarebbero state altre possibilita’ : in primis eliminare le restrizioni sul numero di ricercatori o su steccati tra SSD della stessa area. La strada seguita ha un’ unica spiegazione ed e’ interessante vedere come “il mercato” abbia prevalso sull’ anvur…
Non vorrei che ci fosse sotto dell’altro: è possibile che non sia casuale il fatto che il 30% di docenti a contratto corrisponde perfettamente a quel 30% di docenti delle scuole che saranno di categoria “nuova” (buona scuola, vedi anche il recente post su roars): più flessibilità, più discrezionalità da parte dei presidi. Il ministro se non mi sbaglio ha recentemente detto che i rettori dovrebbero avere maggiori poteri discrezionali. Allora: potrebbe trattarsi di un primo passo verso una possibile “flessibilizzazione” della docenza universitaria. I corsi potrebbero essere tenuti in larga parte da professori a contratto (finora il tetto era il 5% se non mi sbaglio), selezionati in maniera più o meno discrezionale dai rettori e non più necessariamente organici agli atenei, quindi più mobili, interscambiabili e sostituibili. Speriamo si tratti solo di un incubo notturno, ma è chiaro che se si vuole veramente evitare la chiusura di molti corsi di laurea il metodo più ovvio sarebbe quello di assumere almeno alcuni dei tanti talenti (abilitati, internazionalizzati, premiati ecc.) che ci sono in giro…
Buffoni.
Lavoro e fatica di anni per accreditare i corsi di studio e i corsi di dottorato per avere finalmente *meritocrazia* e *qualità*.
Per poi scoprire che in aula può entrare chiunque e che le borse di dottorato sono per 4 gatti.
Buffoni.
Mi sembra che la questione si e’ conclusa nell’ unico modo in cui si poteva concludere. Poiché rimangono pero’ in piedi altri requisiti di valutazione previsti nella famigerata scheda SUA, io credo che per alcune università statali si tratti di una polpetta ancora più avvelenata. Infatti se sei una università telematica, non badi alla qualità, tanto poi nessuno ti deve giudicare, il tuo mestiere è far laureare qualsiasi caprone purchè paghi non la formazione di qualità. Il nuovo modello prevede che gli atenei statali, si riempiano di “Lumpenproletariat” intellettuale, che vengano assorbite tutte le risorse del turn over e quindi non ci saranno più risorse per reclutare reclutare ricercatori giovani. Le valutazioni future della ricerca non potranno che mostrare Atenei pieni di vecchi rimbambiti (come il sottoscritto) quindi meritevoli di una severa punizione, per cui giù altri tagli. Alla fine forse sopravviveranno solo le telematiche e i nostri nipoti andranno a laurearsi a Tirana.
Mi sembra un’analisi del tutto condivisibile.
Purtroppo i caproni non sono solo alle telematiche e alle telematiche non ci sono solo caproni. Chiarito ciò, sono comunque ottimista. Appena ci libereremo di quei quttro Rom che hanno rovinato l’italia ritorneremo più belli e più forti che pria. Grazie De Gennaro.
Negli ultimi 6 mesi nel mio settore sono stati assunti in università statali italiane 3 nuovi PO sotto i 45 anni. Uno di questi è coautore di un libro con FSL.
E ci sono docenti a contratto che fanno didattica, ricerca, sono relatori di tesi e di più. Io ho fatto il docente a contratto dai 30 ai 43 anni, in diverse università: Padova, Milano, Modena e Reggio Emilia, Bolzano.
C’è una quantità enorme di corsi di matematica, fisica, ed informatica che non si riescono a coprire con i docenti di ruolo (che devono fare circa 100 ore all’anno di didattica frontale).
Qui ad Anversa, dove sono in questo momento, i docenti universitari di ruolo fanno più di 300 ore di didattica frontale all’anno !!! Però il PhD student guadagna (netti) circa 2 kEuro al mese. Ed infatti sono tantissimi, piu’ dei docenti di ruolo.
Mah, io onestamente faccio fatica a seguire la ratio di certi commenti. Siccome ci sono alcuni precari che hanno un cv pertinente ad un certo SSD, hanno seguito tesisti e di più, tanto quanto gli strutturati e di più (ma senza averne l’obbligo, facendo volontariato in pratica), allora va bene che chiunque, senza dover dimostrare nulla, entri in aula e faccia lezione.
.
Qui credo non ci si renda abbastanza conto che siamo governati e valutati da enti che non si coordinano, che fanno continuamente sperimentazioni farlocche sulla nostra pelle, che poi non portano a termine cambiando idea un giorno sì e l’altro pure, senza motivazioni puntuali o banalmente perché sono farlocche (tipo le mediane, se poi le banneranno), facendo perdere tempo (anni) ed energie a tutti, e senza affrontare il problema principale, che è quello del finanziamento.
Altroché Schettino.
Ecco, appunto:
http://www.corriere.it/scuola/dati-e-statistiche/15_aprile_10/istruzione-spesa-pubblica-scendera-prossimi-15-anni-9f0018b2-df70-11e4-9755-7346caf2920e.shtml
.
E il problema sarebbe il solo calo demografico. Non le percentuali basse degli iscritti/diplomati o dei laureati/iscritti rispetto agli altri paesi europei.
Quindi poi, siccome la spesa risalirà dopo il 2035, si prevede proprio in questi anni un’improvvisa inversione demografica.