Il decreto legge per la revisione della spesa pubblica, noto come d.l. sulla spending review, all’art. 7Riduzione della spesa della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri1 modifica il calcolo del limite della contribuzione studentesca universitaria. La legislazione vigente prevede che le entrate da tasse e contributi universitari di ciascun ateneo non possano sforare il 20% del finanziamento statale. Alle università è riconosciuta piena autonomia nel fissare le regole e gli importi dei contributi universitari – per cui ogni ateneo ha il suo regolamento tasse e contributi universitari – con un unico limite, che la contribuzione studentesca non superi il 20% del Fondo di Finanziamento ordinario, evidentemente posto allo scopo di contenere le tasse universitarie. Negli ultimi anni il tetto è stato superato da diversi atenei senza nessuna conseguenza, non essendo prevista dalla normativa alcuna forma di sanzione. Ma a novembre scorso il TAR della Lombardia ha accolto il ricorso presentato da una associazione studentesca contro l’Università di Pavia, condannando l’Ateneo ha restituire agli studenti le somme eccedenti il 20%. La sentenza ha allarmato i Rettori degli atenei fuorilegge per ulteriori (veri o minacciati) ricorsi.

Il decreto legge in discussione riforma il calcolo del rapporto contribuzione studentesca/FFO stabilendo che si considerino esclusivamente le tasse pagate dagli studenti italiani iscritti in regola. Poiché le entrate da contribuzione studentesca dei soli studenti italiani in corso costituivano il 13% del FFO nel 2010/11, rispetto al 20,5% calcolato su tutti gli studenti (Tab. 1), vi sarebbe un ampio margine di aumento.

Tab. 1 – Il rapporto fra contribuzione studentesca e FFO: il sistema attuale e quello futuro a confronto

2010/11

2010/11

(stima con nuovo sistema di calcolo)

Gettito contribuzione studentesca

1.515.670.155 €

929.824.859 €

FFO

7.391.012.000 €

7.391.012.000 €

Altri trasferimenti statali

952.600 €

952.600 €

Contribuzione/FFO

20,5%

Contribuzione (solo studenti in regola)/FFO + altri trasferimenti statali

12,6%

NOTA: il gettito è relativo a corsi di laurea, corsi di laurea magistrale, corsi del vecchio ordinamento degli atenei statali. [Fonte: Uff. Stat. MIUR per il dato sulla contribuzione e CNVSU, Undicesimo rapporto sullo stato del sistema universitario, 2011, per il dato su FFO e altri trasferimenti statali.]

Al gettito derivante dalle tasse degli studenti stranieri e di quelli fuori corso non si applicherebbe invece alcun limite; gli atenei potrebbero incrementarlo senza nessun tetto massimo. Per gli studenti stranieri le motivazioni sono ignote poiché la capacità attrattiva del sistema universitario italiano è sensibilmente bassa nei confronti dell’estero: un dato su tutti, soltanto il 3% del totale iscritti è straniero. Per i fuori corso questa scelta è stata giustificata dalla necessità di ridurne il numero e quindi di regolarizzarne i tempi di laurea. Anziché analizzare le ragioni per cui la quota di studenti fuori corso in Italia è superiore a quella di altri paesi europei e mettere a punto soluzioni che permettano di allinearlo alla media europea, sotto l’ipotesi che le intelligenze siano egualmente distribuite, si usa il “metodo del bastone”. Il ragionamento sotteso è: aumentando le tasse gli studenti fannulloni si metteranno a testa bassa sui libri per pagare di meno. Si prenda ad esempio l’opinione di Giacomo Cardaci sul Corriere della Sera:

“Forse ha ragione chi lamenta che gli studenti che procedono con gli studi a passi tartarugheschi, senza un giustificato motivo, dovrebbero pagare più tasse. Viviamo in tempi che necessitano di giovani ingegneri di talento, periti informatici coraggiosi, matematici ispirati.(…) perché non chiedere un sacrificio maggiore a chi può permettersi il lusso di viaggiare a rilento? I più scontenti di tutti, oggi, sono proprio i ragazzi che non escono al sabato sera pur di laurearsi nei tempi giusti” (21 luglio 2012).

 

Si dimentica che gli studenti fuori corso sono spesso studenti lavoratori e che già pagano più tasse: per cinque o sei anni anziché i canonici tre. Dai dati di AlmaLaurea risulta che il 35% dei laureati 2011 ha lavorato a tempo pieno o parziale durante gli studi e che per un lavoratore-studente il periodo “fuori corso” è di quasi tre anni contro gli otto mesi di chi non ha svolto nessuna esperienza di lavoro. Perché allora non incentivare la modalità di iscrizione part-time, prevista soltanto da 52 atenei su 88?

Il fatto che sia possibile non implica poi che sia utilizzata poiché spesso le condizioni applicate sono talmente poco convenienti che il part-time de facto preferisce iscriversi a tempo pieno. La conseguenza è che il 2% del totale degli studenti è iscritto part-time.

L’incremento delle tasse potrebbe piuttosto avere l’effetto di scoraggiare le iscrizioni, di cui non c’è bisogno in una situazione di contrazione delle immatricolazioni come dimostra il rapporto immatricolati su maturi sceso al 64%. Diventerebbe ancora più lontano l’obietto posto dalla Commissione Europea di raggiungere il 40% di laureati nella popolazione giovanile (30-34 anni) entro il 20202, peraltro difficilmente raggiungibile senza che vengano adottate delle politiche ad hoc di cui al momento non si hanno avvisaglie. Impossibile da conseguire se si disincentiva il passaggio all’università o la prosecuzione degli studi3.

1. L’ articolo 7 così recita: All’articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo le parole “contribuzione studentesca” sono inserite le seguenti “degli studenti italiani iscritti entro la durata normale dei rispettivi corsi di studio di primo e secondo livello”;

b) le parole “del finanziamento ordinario annuale dello Stato, a valere sul fondo di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), e comma 3, della legge 24 dicembre 1993, n. 537” sono sostituite dalle seguenti “dei trasferimenti statali correnti attribuiti dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. E’ fatto obbligo agli atenei che superano tale limite di destinare le maggiori entrate al finanziamento di borse di studio a favore degli studenti”.

2 Il Governo italiano in realtà si è posto l’obiettivo del 26-27% di laureati nella fascia di popolazione di età compresa tra 30-34 anni. Si ricorda che il 20% degli italiani attualmente possiede una laurea nella fascia di età 30-34 anni, contro una media europea del 34%.

3 Si veda in merito alla nuova norma sulla contribuzione studentesca anche l’ articolo di Mariagrazia Gerina su L’Unità.

 

[ndr  l’articolo è stato invitato prima dell’uscita della notizia che è stato approvato in Commissione Bilancio un emendamento che cambia il testo del co.42  tuttavia secondo l’autrice  le criticità  permangono tutte, nonostante il tentativo di migliorarlo…]

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8 Commenti

  1. Che tristezza …. addio diritto allo studio???
    Che tristezza ….. tutti a dibattere sull’abilitazioni (o al mare) e nessuno (o pochi: grazie) si preoccupa per queste manovre che incidono sulla carne degli studenti e delle loro famiglie …

  2. Adesso ci affamano anche “…. . A decorrere dalla medesima data è fatto obbligo alle università statali di riconoscere il buono pasto esclusivamente al personale contrattualizzato. …..”. (Art 5 della SR).Ricercatori e Professori (e studenti??) non possono più avere i buoni pasto. Facciamo qualcosa?

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