Pubblichiamo i documenti contenenti le proposte di soglie ANVUR per la prossima abilitazione scientifica nazionale. I documenti sono al momento in discussione al CUN. Eccoli:
- Documento di Accompagnamento alla proposta relativa alle soglie per l’abilitazione scientifica nazionale;
DOC_ACCOMPAGNAMENTO - Allegato al documento di accompagnamento; ALLEGATO_DOC_ACCOMPAGNAMENTO
- Soglie per i commissari; TABELLA1
- Soglie per candidati ad ordinario; TABELLA2
- Soglie per candidati ad associato. TABELLA3
Caro “Meccanico”, sei l’unico che ha fatto fino a qui un’osservazione degna di nota: “Tuttavia non dimentichiamoci che qui si è giunti perchè la categoria degli accademici ha dato prova di comportamenti assurdi manipolando i concorsi in maniera vergognosa”. Questo è il punto. Quello che oggi otteniamo è quello che questa Accademia italiana si merita. Ci meritiamo di più, è vero, verissimo, ma ci meritiamo anche una classe onesta che fin qui non c’è stata. Il CUN si lamenta, alla fine dei conti, che alcuni RTI non superano le soglie…tutto lì. Infine, condivido che la statistics su un campione con pochi elementi non è significativa, ma considerando che non esistono SSD con una numerosità pari a 1000, quale è la soluzione? Aspettiamo che qualche illuminato, come nel passato, dica chi chi è l’eletto e chi no? Chi è causa del suo male, pianga se stesso.
Per risponder alla tua domanda: vengono considerati i paper presenti nel database Scopus e ISI WEB.
L’idea che l’algoritmo ci salverà perché è comunque meglio del giudizio della commissione (che sempre e comunque manipolerebbe “i concorsi in maniera vergognosa”) è l’argomento che sentiamo ripetere da diversi anni. Argomento poco credibile e che trascura la realtà dei fatti: stiamo parlando di abilitazioni e non di concorsi. La deriva bibliometrica pone soglie, a volte vertiginose, che possono essere superate da candidati per nulla valenti, ma che godono di un buon traino (coauthorship) o che sono abili nel doping bibliometrico. Il passaggio successivo, quello dei concorsi locali, è largamente deregolamentato (ogni sede si regola un po’ come vuole). In questo gioco di specchi che è l’accademia italiana, può persino essere che i fustigatori dei costumi passati e i fautori delle misure finalmente oggettive (e non si capisce come facciano a crederci a fronte di tutte le evidenze scientifiche e non sulla loro inutilizzabilità) siano ben consapevoli che questa “era bibliometrica” apre insperate strade di accesso ai ruoli a chi non avrebbe mai passato un serio giudizio di merito.
Mai pensato che gli algoritmi ci salveranno (ci lavoro è ne conosco i punti deboli), ma questo sistema è sempre meglio del passato. Che poi alcuni di voi non ci crediate, beh, è perché evidentemente siete stati fortunati o non siete stati testimoni di continue storture. Beati voi, che dirvi. Il sistema passato era vergognoso: un ordinario con dubbissime capacità (salito in cattedra sempre con i vecchi sistemi) poteva stroncare serenamente la carriera di candidati notevolmente più preparati del suddetto ordinario. Se credete, allora, che il sistema passato sia il migliore, capisco le vostre velleità di critica. In caso contrario, devo pensare che ne siete consciamente o incosciamente complici. Infine, mi sono stancato di sentire continuamente la fesseria del “doping bibliografico”, delle “cordate forti”, dei “coautori potenti”. Mi domando invece, visto che la statistica vi sta a cuore, quanti “novelli Eistein”, sconosciuti però alle banche dati più comuni, questo nuovo sistema lascia fuori?
Un italiano diventato professore associato presso prestigiosa università estera che aveva la deprecabile abitudine di pubblicare articoli lunghi scritti da solo o con pochi autori: questo era solo un esempio di candidato sotto la mediana (per associato) della scorsa tornata. Non sarà stato Einstein, ma non ha senso che persone serie e valide come questa debbano soccombere ai prestigiatori della bibliometria. Nell’ASN 1.0 la commissione poteva metterci una pezza. In quella 2.0 non si potrà.
E dove sarebbe, nei fatti, la correlazione tra soglie anvur e la moralizzazione dell’ ambiente ? Ok, forse per pochi anni si eliminera’ la possibilità di una manciata dei più stupidi casi “Catilina”. Ma a che prezzo ? di entrare a gamba tesa nelle logiche di produzione scientifica. Questa è una distorsione gravissima del sistema che NON ha giustificazioni e interviene in modo subdolo a minare la libertà di ricerca che pure sarebbe una garanzia costituzionale, oltre a norma di buon senso.
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E, val la pena di ricordarlo, sulla base dei pre-concetti di una manciata di accademici che si auto-cooptano sulla base di risibili temini, neanche originali, e hanno assommato potere di normazione ma anche di controllo e anche di decisione. Con buona pace della separazione dei poteri.
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Perciò, io non ci sto ad autoflaggellarmi come categoria, ignorando la mutazione dell’ intero sistema in atto, mentre gli illuminati continuano ad operare tranquillamente come prima.
Di sistemi per “tagliargli le unghie” ce ne sarebbero. Ma l’ anvur e la sua meritocrazia un-tanto-a-chilo non e’ la soluzione. E’ solo un nuovo problema.
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Non sarà un caso che dai “soliti illuminati” ho sempre sentito solo che plauso nei confronti dell’ anvur ?
@Giuseppe, devo riconoscere che l’uniforme pacatezza e coerenza delle tue risposte sul tema mi stanno portando ad avere quasi più simpatia per i rischi indotti dall’arbitrarietà rispetto alla follia cieca degli algoritmi.
C’è però un’asimmetria che non posso fare a meno di notare.
Contro la bibliometria becera ho visto (giustamente) insorgere organi di rappresentanza e singoli con grande convinzione e vigore… kudos…
Contro ingiustizie concorsuali evidenti, anche prendendo i casi davvero, davvero, davvero eclatanti. Non ho mai, mai, mai (nel senso di mai, never ever, jamais) sentito un collega dire “eh no, qui si esagera”… ho solo sentito, nella migliore delle ipotesi “la commissione è sovrana”, nelle peggiori uscite del tipo “ci sono delle regole non scritte da rispettare nell’accademia”, “cane non mangia cane”, “ogni ordinario deve poter decidere della sua area”.
Per essere chiari: non sono nemmeno a priori contro la cooptazione, anzi, nei limiti della decenza può avere anche senso, ma si dichiari, si responsabilizzi e si regolamenti. Altrimenti è il far west…
Ovviamente sogno…
Scusate ma io faccio davvero fatica a comprendere come delle sogliole basate sui RTD rappresentino un ostacolo insormontabile per gli RTI…che se hanno prodotto negli utlimi anni (primo indicatore) dovrebbero andare piú che lisci nel secondo e terzo indicatore visto l’effetto dell’anzianitá sulle citazioni e h-index. Non capisco questa polemica sui RTI…
Che ti devo dire? Anche a me fa specie, ma sembra la cosa che preoccupi di più oggi!
Giacomo, fra commissioni che potevano agire in maniera selvaggia e commissioni che agiscono a valle di una decisione presa su questi numeri, ci sono diverse possibilità, non credi? Da bravo ingegnere, non mi dirai che assumeresti decisioni calcolando i percentili su una base di 5 ma anche 20 dati. Non lo diresti, ma in questo caso la tua esasperazione e probabilmente il fatto che per te queste soglie non sono un problema, ti fanno dire che anche se 5 dati sono pochi sono sempre meglio di fare diagnostica usando magari l’orecchio esperto di un addetto ai controlli in fabbrica.
Considerando poi altri tuoi argomenti:
– fino a prova contraria, se io prendo il 50° percentile di una popolazione di RTD, resta fuori anche il 50% degli RTD;
– gli RTI sono generalmente più numerosi degli RTD: una piccola variazione su una popolazione di pochi RTD genera un effetto amplificato su quella degli RTI, in un senso o nell’altro: magari è per questo che quelle soglie sono state un po’ aggiustate al rialzo o al ribasso; c’è chi ha deciso quanti RTI dovevano passare per ogni settore e senza passare dal “via”, ossia senza neanche dar loro la possibilità di avere un giudizio più completo dalle commissioni;
– collegandomi all’osservazione sopra: perché essere tanto rigidi sulla selezione delle commissioni quando il potere che si conferisce loro è già piuttosto limitato da un filtro a monte?
– collegandomi ancora all’osservazione sopra: l’abilitazione non è un concorso, ma con queste regole lo diventa; il direttivo ANVUR così diventa una mega commissione nazionale che decide il destino dei diversi candidati dei diversi settori delle diverse sedi; siamo commissariati in sostanza e sulla base di criteri del tutto arbitrari.
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Il ruolo di ANVUR sarebbe dovuto essere quello di un arbitro super-partes che si occupa di definire dei criteri di qualità, fornendo argomenti e metodi convincenti in collaborazione con le comunità scientifiche. Questo sembra tanto utopistico quanto commissioni locali che agiscono in maniera sempre corretta e trasparente?
Allora vuol dire che abbiamo sostituito un vecchio problema con uno nuovo.
provo a dare io la risposta a Lucidi (discorso fatto e rifatto, anche su questo sito): come fai a mettere sullo stesso piano un ricercatore TI ed un TA che entrambi si avviano a presentare domanda per l’ASN che si trovano davanti le STESSE identiche sogli(ol)e?
I primi hanno potuto lavorare con calma per anni ed anni con la sicurezza del posto fisso e con la certezza che se non prendono lASN la’ restano (magari erano ricercatori TI da decenni). I secondi (a cui io appartengo) invece si trovano con una bulimia di pubblicazioni fatte nella piu’ completa precarieta’ e con la certezza che l’ASN e’ l’UNICO metodo per avere un posto fisso. E guai se mi si risponde che oggi il posto fisso non c’e’ piu’ per nessuno: se cosi’ e’ allora va preso alla lettera e che quindi lo si levi anche a chi adesso ce l’ha.
“Non c’e’ niente di peggio che fare parti uguali tra diseguali” diceva Don Milani (ovviamente riferendosi ad ineguaglianza ben piu’ gravi, ma cmq nel settore pubblico anche queste disuguaglianze sono molto gravi).
Un algoritmo non ci salverà, vero, vale solo come soglia minima e dovrebbe avere criteri più bassi.
E’ vero anche che i concorsi difficilmente funzioneranno. Vi sono settori della PA in Italia dove i criteri hanno alta affidabilità? Non mi pare.
Domanda da avvocato del diavolo: perchè le modifiche proposte da Roars dovrebbero funzionare se gli attori della selezione (i commissari) sono gli stessi che qualche anno fa hanno dato prova di incapacità nella selezione o, peggio, di corruzione? Cosa è cambiato da allora ad oggi a parte i concorsi? Ci sono università o SSD che penalizzano il doping bibliometrico? Ci sono commissari che, dopo aver abilitato chi si è dopato pesantemente, sono stati oggetto di pubblica riprovazione nel loro SSD?
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La soluzione è cercare un meccanismo virtuoso che sia strumentale al miglioramento della qualità dei concorsi, prima ancora che alla qualità e al merito di chi i concorsi li vince.
Si tratta, tuttavia, di un mondo lontanissimo dalla tendenza attuale e, francamente, non so quanto la mia idea sia fattibile.
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La base del problema è l’etica a pois mutevoli che pervade il paese. Ignorare questo significa proporre soluzioni inutili. D’altra parte, risolvere il sopracitato problema è complicatissimo e di difficile interpretazione. Qualcuno ha una soluzione?
Questa è una discussione che si ripete da 5 anni: si tratta del cosiddetto argomento emergenziale. Siccome il malato è grave, va bene curarlo con le pozioni magiche (e ormai sono pochi a negare che bibliometria anvuriana sia l’equivalente delle pozioni magiche). Il problema è che i pazienti vanno curati con i farmaci e non con le pozioni, soprattutto se i danni delle pozioni sono ben noti in letteratura. Inoltre, anche la tesi dello stato di eccezione non regge. Se fosse vero che la selezione accademica è stata disastrosa, non si spiegerebbe come mai persino l’ANVUR è costretta a riconoscere che:
«L’Italia risulta caratterizzata da elevati valori di produttività se si rapporta la produzione scientifica sia alla spesa in ricerca destinata al settore pubblico e all’Istruzione Terziaria sia al numero di ricercatori attivi».
In ogni caso, varare dei criteri che premiano chi si dopa e puniscono chi non si dopa, mi sembra il modo migliore per devastare la ricerca italiana. Personalmente, non sono ottimista. L’Italia è teatro di un esperimento di follia bibliometrica che diventerà un caso di studio internazionale. È possibile che il vero contributo del nostro paese alla scienza del terzo millennio sarà quello da diventare un monito contro l’uso dissennato della bibliometria. Se la nostra catastrofe distoglierà altri paesi dal seguirci, potremo consolarci pensando che il nostro sacrificio non è stato del tutto inutile. Nei libri di storia della scienza i membri dei direttivi Anvur occuperanno un posto d’onore accanto a Lysenko.
GiulioP, guarda che sono d’accordo con te. Peró siccome sembra che dal documento del CUN e da un comunicato del sindacato le vittime siano gli RTI, quello che volevo dire é che tutto ció mi sembra assurdo…applicando le stesse sogliole (ingliustamente) ad entrambe le categorie, i ricercatori in difficoltá dovrebbero cmq essere i RTD e non i RTI come sembra paventare qualcuno…RTI che hanno giá avuto modo di provare con le precedenti tornate e che in ogni modo se hanno continuato a lavorare in questi anni dovrebbero superare la staccionata dell’olio cuore senza grossi problemi…
L’interesse pubblico è che un potenziale professore (associato o ordinario) abbia la necessaria maturità scientifica. L’idea “agonistica” che conti solo la produzione degli ultimi N anni denota un’idea distorta del lavoro di ricerca, assimilato alla produzione di bulloni. Le commissioni hanno sempre dovuto valutare la continuità della produzione scientifica dei candidati, ma non ha senso che un ricercatore di una certa età che ha al suo attivo lavori importanti svolti più di N anni fa venga eliminato perchè negli ultimi N anni (con N relativamente piccolo) non supera una soglia di produttività, magari esasperata dal ricorso collettivo al doping bibliometrico. Tanto più che molti ricercatori si sono trovati a dover svolgere impegnativi compiti didattici e istituzionali. La “maturità scientifica” si costruisce nel tempo e non equivale ad avere y articoli all’anno (oppure z citazioni all’anno) negli ultimi N anni. Qui non distinguiamo più la ricerca scientifica dal famoso “un pezzo un culo” del grande Gian Maria Volonté ne “La classe operaia va in paradiso”.
Giovanotti guardare e imparare: io sono già concentrato, sono già in un altro mondo!
Pensare solo al pezzo, anche se non serve a niente, ogni pezzo è un buco! Ogni buco è un pezzo… Basta non cascare nel buco. Per non cascare in questo buco pensare al culo della Leopolda! E’ chiaro il concetto?
E’ tutta una questione di tecnica: io mi fisso col cervello e penso al culo della Leopolda e via che vado.
Un pezzo, un culo.
Un pezzo, un culo.
Un pezzo, un culo.
Un pezzo, un culo.
Un pezzo, un culo.
Continuo a non capire questa difesa a spada tratta sui valori altissimi per i RTI (e che invece andrebbero piú che bene per i RTD). Davvero non riesco, forse forse, in fondo in fondo, non é che i RTD vi danno un pó fastidio? Guardate che la 240 non l’hanno mica fatta i RTD. Perché altrimenti non si spiegherebbe…poi definire 10 anni un periodo corto per un RTI mi sembra azzardato…e perché? invece per i RTD non non lo é?… Perché non mi sembra di averlo letto in nessun commento.
“poi definire 10 anni un periodo corto per un RTI mi sembra azzardato”

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1) “per quanto concerne invece il ruolo di Prof. Associato, ci si riferisce al numero di articoli dei 5 anni precedenti”
2) L’età media dei ricercatori è 48,2 anni
3) I frutti avvelenati della messa ad esaurimento degli RTI sono sempre più evidenti, soprattutto in termini di “guerra tra poveri”. A chi aspira (legittimamente) ad accedere ai ruoli sfugge che la muraglia verticale è dovuta alla sforbiciata del -20% di risorse e posti degli ultimi 6 anni e pensa (ben ammaestrato da anni di propaganda) che il suo nemico siano gli RTI che, massa di raccomandati, inetti e fannulloni, intaserebbero l’accesso ai ruoli.
Ah ok, siamo passati al derby. C’è il rischio di prendersi un petardo.
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Ascoltate Giuseppe che almeno non è un bastardo RTI privilegiato col culo nel burro fannullone e quindi si configura come un ottimo arbitro super partes.
Conosco poche persone intelligenti, competenti, ironiche e misurate come lui.
Però ora che ci penso…lui è un barone…noooo!
“Però ora che ci penso…lui è un barone…noooo!”
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nessuno è perfetto
Confermo, è un barone! Tra di noi ha imposto queste sue manie di vedere i dati e di conoscere pure quello di cui parla: non se ne può più!
Ai fautori della bibliometria ANVUR vorrei consigliare di studiare le dinamiche di reclutamento post 240 dal 2012 (ASN 1.0) fino a questa ASN 2.0 dentro il loro settore concorsuale. E’ un lavoro immane perchè l’ANVUR si rifiuta di fornire le distribuzioni che, in teoria, ciascuno potrebbe ricavarsi con una fatica enorme direttamente dai database. L’ANVUR per l’ASN 2.0 propone una valutazione comparativa di tipo concorsuale. Infatti ha già messo ad esaurimento il 45% degli associati. I RTI lo sono già per legge. Moltissimi precari faranno poi la parte della carne da cannone. Sopra le teste di tutti questi passeranno giovani con numeri stratosferici frutto senz’altro della loro bravura ma anche del lavoro chiamiamolo pure di equipe di tanti altri. Come si possono fare 200 articoli in 10 anni? come si possono avere numeri 10 volte quelli mediani? Lavori a molti nomi, è l’unica possibilità. Hanno vinto i TIS della Via-Academy. Le autocitazioni sono quisquilie.
Ci rinuncio, uno non puó dire nulla che si parla subito di “guerra tra poveri”, giovani rampanti indottrinati, frutti avvelenati e altre banalitá del genere. Forse sono stato frainteso. O forse strumentalizzato. Ovviamente non ho nulla contro i RTI e non ho mai parlato di fannulloni e cose varie. Dico solo che continuo a notare come delle difficoltá dei RTD, difficoltá che sono ben maggiori di quelle dei RTI, sembra non importi praticamente a nessuno. Detto questo mi taccio.
Buen viento y buena mar
:-) :-) :-)
“A qualcuno piace caldo”. Film veramente mitico, non li fanno più!!
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Scusate è che io sono una RTI (abilitata per sbaglio) e ho una certa età. I vecchi si commuovono coi film in bianco e nero, diventano nostalgici.
5 anni di pubblicazioni… cioè per me 5 anni, come fu per mia nonna, è praticamente ieri. Ma anche 10. ANVUR e questi giovanotti screanzati RTD non hanno alcun rispetto per la vecchiaia ;-)
@Lilla: ma se gli RTD sono “giovanotti screanzati” (che richiama molto il bamboccioni e via dicendo), io che sono un ex-postdoc (e attualmente disoccupato) cosa sarei? :-) peace and love…
Lilla ha messo un emoticon in coda alla sua evocazione dei “giovanotti screanzati” (;-) per la precisione). Ma quando si discute di reclutamento, distinguere i registri linguistici (ironia, sarcasmo, paradosso, etc) sembra diventare particolarmente arduo.
Lucidi, ci manca solo la colonna sonora di “Incompreso” di Comencini, a proposito di film vecchi.
Da dove si capirebbe che qui “a nessuno importa nulla delle difficoltà degli RTD”?
Sicuramente da nessuno dei miei commenti.
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Il vero male, e basta ancora una volta leggersi Giuseppe, è la contrazione del corpo docente del 20%, dovuta al taglio del turn-over e alla mancata immissione di nuovi finanziamenti casomai. Tanto per accennarne uno, il “piano straordinario associati” promesso, sbandierato, ritenuto giusto per la dignità di una categoria di universitari che ha sostenuto per decenni l’offerta didattica, ma lasciato a metà ormai da due anni.
Lilla, sii buona, parlare dei RTD come dei giovanotti screanziati…quei giovanotti che con questa ASN corrono anche il rischio di trovarsi in mezzo alla strada. E guarda che tra questi giovanotti ce ne sono anche tanti che si sono screanziati per anni all’estero, sai, e che non hanno fatto e non fanno parte di nessuna cordata di doping bibliometrico. Quindi per favore, basta con questa lotta intestina, inutile e dannosa tra RTD e RTI. I problemi sono altri e riguardano noi tutti.
@De Nicolao. “varare dei criteri che premiano chi si dopa e puniscono chi non si dopa, mi sembra il modo migliore per devastare la ricerca italiana.” Concordo convintamente.
E se anche interessasse relativamente poco il destino “di chi non si dopa” (o non può o non riesce, poiché ogni lotta per la sopravvivenza ha i suoi “meno adatti”) non si dimentichi il destino della ricerca tout court. Il doping genera quantità di articoli che non dovrebbero esistere; un numero eccessivo di peer review che distolgono risorse da quelle che sarebbero invece da fare con attenzione e rigore; un aumento di workshop piccoli e grandi, libri, conferenzine, journaletti, purché il tutto indicizzato su Scopus, che succhiano tempo, soldi, voglia, attenzione, entusiasmo.
Speriamo nella cura “open access”, anche se probabilmente sarà insufficiente, sarà arrivata troppo tardi, e non scalfirà neppure quel mostro bibliometrico, di cui si ignorano ancora le conseguenze inattese sulla scienza. E’ quello dell’ineccellenza (https://www.roars.it/un-antidoto-al-feticismo-delleccellenza-la-carta-per-lineccellenza/) il manifesto che possiamo agitare per credere ancora che possiamo arrestare la decadenza?
Ragazzi, screanziati o screanzati che dir si voglia, chiaramente era un battuta.
Ho un po’ più di 40 anni (non si dice di preciso, sono una signora!!), età alla quale però perfino in Italia una volta si poteva diventare ordinario, neanche associato. Ho anche “approfittato” del grafico di Giuseppe per la battuta sulla vecchiaia degli RTI.
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A me, cari lucidi, Giacomo, Giulio, ecc.. dispiace *moltissimo* che abbiate dovuto aspettare l’abilitazione 3 anni e passa, che abbiano reso la figura di ricercatore precario con poche risorse (molti sono costretti a uscire!) e che, si sente, siete giustamente preoccupati per il vostro futuro.
Come minimo, e sulla fiducia che abbiate lavorato bene all’Italia o all’estero in questi anni, vi farei concorrere all’abilitazione senza queste sogliole, che magari per qualcuno di voi sono anche indigeste. Come *minimo*.
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Dispiace anche per i miei colleghi RTI (io mi levo per palese conflitto di interessi e perché non mi va di dare dettagli anche personali), i quali lavorano da 15 anni o più, tenendo corsi di ogni tipo anche per 12 crediti l’anno, avendo trovato anche tempo per fare della buona ricerca (non bulimica magari? è un problema?), i quali si sono visti la carriera bloccata, gli stipendi bloccati, e magari non sono stati neanche abilitati nel 2012-13 perché non avevano una pubblicazione e adesso perché non digeriscono le sogliole, magicamente ingrassatesi per certi settori.
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Da me si cerca di mandare avanti un po’ gli uni e un po’ gli altri. Ma anche gli ordinari, eh.
Ma se proprio dobbiamo avercela con qualcuno, quel qualcuno è chi ci ha messo e continua a metterci in questa situazione.
Il sistema ANVUR è imperfetto e poco efficiente. Tuttavia ha avuto il merito di aver aperto un nuovo corso nel mondo accademico italiano. Siamo quindi in una fase di transizione, nella quale c’è chi guadagna (soprattutto i non bibliometrici) e chi è in difficoltà. Una fase nella quale si applicano criteri evidentemente ingiusti, come quello di considerare le statistiche dei PO (e non quelle dei PA) per il concorso per PO, delegittimando così agli occhi di tutti una quota dei docenti che già hanno quel ruolo e generando così quei paradossi (che lasciano però qualche speranza per il futuro) per cui è più difficile fare la selezione per PA che per PO.
L’applicazione speculativa di questi nuovi criteri (nei bibliometrici in particolare) genera un nuovo orientamento del modo di fare ricerca che nella maggior parte dei casi è virtuoso (es. il mio settore ha praticamente raddoppiato le soglie dal 2012 a oggi, segno che si è migliorato e di molto il modo di lavorare), in alcuni casi potrebbe essere distorsivo per l’avanzamento della conoscenza scientifica. Per esempio, questo sistema non premia la ricerca sistemica, interdisciplinare. Favorisce invece la ricerca superspecialistica, speculativa (es. molti autori), su dettagli metodologici e procedurali, le simulazioni virtuali invece delle sperimentazioni “sul campo”, notoriamente molto più costose e meno efficienti in termini di numero di lavori e di citazioni.
Per questo le soglie dovrebbero essere definite come “soglie di decenza” e far giudicare i curriculum da una commissione anonima nominata da un garante (come si fa per i lavori peer) che dovrebbe rispondere a requisiti qualitativi (i quantitativi sono già rappresentati dalle soglie) condivisi dalla comunità scientifica (documenti di indirizzo).
Oggi riparare a queste (evitabili?) distorsioni spetta alla commissione locale. Ma l’interpretazione che si dà oggi all’autonomia universitaria rende tutto ancora più distorto, favorendo in definitiva i localismi speculativi.
@GiulioP:
HAI RAGIONE!
io aggiungo:
CONCORRENZA SLEALE e GUERRA FRATRICIDA TRA RU A TEMPO IND. E RTD O PRECARIO.
Infatti, per PA partecipano anche i ricercatori a tempo indeterminato che rispetto agli RTD hanno:
1) Avuto tutto il tempo a loro disposizione per decidere di presentare domanda a PA, nel senso che hanno tutto il tempo per costruirsi un curriculum competitivo. Se non fanno in tempo, non succede nulla, CONTINUANO A PRENDERE LO STIPENDIO)
2) Lavorato con la tranquillità del posto fisso, lavoro sodo (se voglio, se non voglio, lavoro di meno, no mi succede nulla). Magari lavorato tanto ma con la tranquillità e la possibilità di farsi una casa, una famiglia ecc…(prerogativa non concessa agli RTD).
3) Facoltà di non presentare domanda, prendono o stipendio ugualmente …(prerogativa non concessa agli RTD).
4) Avuto precedenza nelle scorse e sicuramente nelle prossime tornate ASN, perché le commissioni hanno preferito, dovendo sparare su qualcuno, sparare sui precari, perché il ric. strutturato è dentro il sistema e lì rimane e la commissione lo sa, qualche membro potrebbe ritrovarselo come nemico un domani.
5)Avuto precedenza nelle chiamate, perché per questioni di budget costa di meno di un precario.
Bastano come ragioni per dichiarare la CONCORRENZA SLEALE?
Le guerre si fanno se c’e’ volontà da entrambe le parti. Ma questa non è una guerra. E’ una contrapposizione nata, voluta e mantenuta da altri che non sono né RTI né RTD e men che meno precari.
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Si può cascare nel tranello o si può mantenere il timone dritto e vedere che tutti i problemi nascono da due decisioni politiche combinate (tagliare l’ Università e commissariarla mediante l’ anvur) e dalla pochezza culturale e mancanza di buonsenso dell’ anvur nelle sue diverse edizioni, contro cui, va detto, gran parte dell’ accademia non è disposta ad andare. Magari convincendosi che “il sistema è imperfetto e poco efficiente ma…”. Che è solo una variante dello slogan “il meglio è nemico del bene” con cui in tanti hanno accolto la legge 240.
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Basta mettere periodicamente il naso fuori dei confini per convincersi che qui di bene se ne vede veramente poco. Per tutti.
@Lilla:
Il Governo, il Parlamento, il Ministro considerano, ai fini dell’ASN, uguali RTD e RTI.
Per mille motivi che ho espresso nei miei commenti all’articolo in questione, RTD e RTI non possono essere considerati uguali di fronte all’ASN e, probabilmente, io IMPUGNERO’ IL BANDO.
Premessa: “conosco la metà dei professori che ho incontrato solo a metà e se meno della metà di loro si impegnasse su questi argomenti meno della metà di Giuseppe de Nicolao” penso che avremmo un’Università migliore… Un grazie sincero per lo sforzo profuso in queste discussioni.
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In generale comunque la mia opinione è che la sola direzione possibile per migliorare l’efficacia – e al contempo l’equità – di un sistema di reclutamento sia la responsabilizzazione di chi deve esprimere il giudizio.
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Nella totalità dei casi che conosco, perfino nei concorsi per l’assegnazione delle borse di Dottorato la maggior parte dei componenti di una commissione non ha nulla a che vedere con il lavoro che un candidato farà: è ovvio che un commissario possa essere potenzialmente più interessato a compiacere un collega con cui forse potrà allearsi nei futuri scontri all’ultimo sangue in Consiglio di Dipartimento, piuttosto che ad assumere coscienziosamente qualcuno con cui qualcun altro dovrà dividere “pochi anni” di lavoro. Figurarsi in una procedura di selezione gestita a livello nazionale come l’ASN, presente e passata: le regole devono essere formulate per fare in modo che l’interesse del singolo coincida il più possibile con quello del sistema, non si può né fare esclusivamente appello all’etica individuale né pensare, all’altro eccesso, che se questa manchi la risposta siano sogliole* numeriche. E questo indifferentemente da quanto le sogliole possano pesare o no.
(*: Grazie al signor Lucidi per questa magistrale “licenza poetica”. :) )
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A parer mio, chi vede un miglioramento rispetto alla situazione precedente con questa deificazione di Numeri Asettici – che asettici non possono essere – dovrebbe riflettere sulle conseguenze a lungo termine: la maggior parte di noi studenti italiani (saggiamente consigliati da ricercatori e professori) ha ormai chiarissimo il concetto del “public or perish” non potendo immaginare altro sistema che non sia il conteggio di citazioni come criterio con cui valutare uno studioso… Il tutto ovviamente ha un forte impatto sulle fatidiche scelte “chi è meglio che sia il mio relatore?”, “in quale gruppo è meglio entrare?” e così di seguito, con gradissimo detrimento per il vero spirito di ricerca e ulteriore rafforzamento del “chi più ha, più avrà”.
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Francamente, non sono nemmeno tanto sicuro che ci abbiamo guadagnato, se per tentare di sconfiggere il nepotismo siamo passati a questa simonia della citazione. In ogni caso, un po’ di concubinato sarà meglio tenerselo per consolazione perché mi pare che ci stiamo indirizzando verso tempi davvero non molto allegri…
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Se poi mi concedete per un momento di naufragare nel mio mare di illusioni personali: la stessa suddivisione tra settori “bibliometrici” e “non-bibliometrici” è per me sintomo della notevole stanchezza intellettuale di un ambiente accademico profondamente diviso, più che da steccati da vere e proprie linee di fortificazioni come la Gustav… Fisica o Storia, Medicina o Giurisprudenza, i valori che si dovrebbe cercare in uno studioso sono sempre gli stessi: la perspicacia, la flessibilità mentale, la determinazione nel proprio lavoro e la capacità di collaborazione…
L’ideale asintotico del concorso non dovrebbe proprio essere (cosa sto per scrivere!) l’assenza di indicatori numerici? Piuttosto che chiedersi “quanto un candidato pubblica?”, non dovremmo chiederci quanto un ricercatore ha contribuito (e quanto potrà ancora contribuire) a migliorare l’ambito – e l’ambiente – in cui lavorerà? E per rispondere a questa domanda – così come a molte altre – serve davvero creare dei criteri tanto dipendenti dal settore a cui dovranno essere applicati?
“è ovvio che un commissario possa essere potenzialmente più interessato a compiacere un collega con cui forse potrà allearsi nei futuri scontri all’ultimo sangue in Consiglio di Dipartimento, piuttosto che ad assumere coscienziosamente qualcuno con cui qualcun altro dovrà dividere “pochi anni” di lavoro”
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Gli aneddoti, viziosi o virtuosi che siano, non vanno generalizzati. Però, non posso fare a meno di onorare la memoria di un collega che, da professore associato, era disposto a battersi con tutte le forze (spuntandola) perché anche in un “banale” concorso di ammissione al dottorato venisse ammesso un candidato “esterno” alla sede che aveva dimostrato di meritarlo. E non si comportava diversamente quando era commissario nei concorsi di II fascia (all’epoca c’erano anche gli associati in commissione). C’è stato – e ci spero ci sia ancora – chi fa scelte poco ovvie. È anche chiaro che le responsabilità maggiori le portano gli ordinari. Che la mobilitazione del 2010 sia stata opera dei ricercatori e di pochi associati, lasciati soli dagli ordinari e dai governi degli atenei, è una macchia indelebile, una vera “fuga a Brindisi” dei comandi accademici, per non dire peggio (collaborazionismo).
“Gli aneddoti, viziosi o virtuosi che siano, non vanno generalizzati.”
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Sono ovviamente d’accordo, tuttavia il comportamento negativo di pochi può avere conseguenze sproporzionate: anche se ingiustamente da un punto di vista statistico/razionale, ha un peso esorbitante per la fama di un ambiente in cui la maggioranza fa il proprio dovere. Penso che sarebbe necessario semplicemente cercare di rendere sconvenienti i comportamenti scorretti, piuttosto che escogitare regole severissime o fare appello al valore degli eroi, che naturalmente ci sono, ma che è anche fin troppo indicativo che debbano essere considerati tali.
Avrei un paio di domande da sottoporre ai più esperti:
a) se la mia vita accademica è inferiore ai 10 anni, è prevista una qualche forma di normalizzazione per quanto riguarda le soglie?
b) non mi è chiara la questione delle citazioni negli ultimi 10 anni. Sono il numero di citazioni comparse negli ultimi 10 anni o il numero di citazioni raccolte da articoli comparsi negli ultimi 10 anni?
Grazie
a) no
b) questione controversa. La lettera del DM dice una cosa. ANVUR un’altra. E’ verosimile che deciderà il TAR.
La contraddizione mi sembra troppo grossa per dover arrivare al TAR. Le soglie anvur possono solo essere applicate alla “lettura anvuriana” del DM.
Sono materialmente impossibili da applicare alla lettura CUN-iana che pero’ mi sembra l’ unica possibile per chiunque abbia letto il comma 4 dell’ art. 5 del DM 120/2016.
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Se poi la “lettura innovativa” dell’ anvur serva solo a perdere ulteriore tempo e mantenere bloccato il meccanismo delle abilitazioni, sarebbe un interessante ipotesi.
@baccini: io credo faccia testo solo il DM.
ANVUR, al limite, applica una regola diversa per applicare l’algoritmo che ha ritenuto ottimale er calcolare le soglie (vabbè ;-) ), che questo algoritmo non applichi la stessa regola del DM è una scelta arbitraria di ANVUR. Se ANVUR avesse voluto avrebbe anche potuto tirate i dadi, nulla dice che deve calcolare le soglie com percentili in base alle regole del DM (anzi… questo in verità costituirebbe addirittura una pratica comparativa, cosa non prevista dall’ASN ;-) ).
Per chi in questi anni ha seguito le vicende anvuriane, direi che ci sono buonissime probabilità che il MIUR adotti le soluzioni anvuriane anche se cozzano contro la lettera del DM. Non sarebbe la prima volta.
Si noti l’uso magistrale delle virgole: “il numero di citazioni ricevute dalla produzione scientifica contenuta nella domanda[, pubblicata e rilevata dalle banche dati internazionali «Scopus» e «Web of Science»,] rispettivamente nei quindici anni (prima fascia) e dieci anni (seconda fascia) precedenti;” Quindi citazioni _ricevute_ nella fascia temporale. Non fingo ipotesi su come dovrebbe essere calcolata la fascia: qualcuno mi aiuta? Sulla espressione oracolare “contenuta nella domanda”, invece, è inutile insistere (cioè se siano solo le n e.g., 12, da riportare, stampare, allegare, confezionare, spedire, etc. con la domanda oppure tutte quelle che si vuole “citare” nella domanda è noto a nessuno plén é tò theò…)
@Cabitza:
ci sono alcune cose possibili e altre semplicemente impossibili.
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E’ impossibile che il fattore h possa essere riferito alle pubblicazioni su cui dovra’ esprimersi la commissione per definizione stessa del fattore h: come potrebbe essere maggiore di 12 o 16 (per alcuni SC) se 12 (o 16) e’ il numero massimo di pubblicazioni da allegare ?
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Quindi o in casa anvur non hanno letto il DM120 o io l’ ho letto sotto l’ effetto di sostanze psicotrope :-)
@Giorgio Pastore. Certo, ad impossibilia nemo tenetur. Ma forse ad ANVUR conoscono l’Odissea…
Bando agli scherzi, hai risolto brillantemente la questione ermeneutica per il terzo criterio, a meno che non si intenda che l’indice h possa ben essere al più 12/16 (perché escluderlo? Non siamo nel regno della forma?). Quindi proponi di applicare tale idea anche al secondo criterio perché utilizza la stessa formula (“contenuto” e non “riportato”)? Sarebbe sensato, quindi quasi irrealistico. Invece per il calcolo della finestra temporale come si ragiona? 10 anni, ad esempio, si contano le citazioni dal 2006, perché si scarta il 2016?
“hai risolto brillantemente la questione ermeneutica per il terzo criterio”
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Come potremmo ribattezzare un criterio che solleva siffatte questioni ermeneutiche?
Terzo criterio di Fatima?
;-)
@Pastore (ma @tutti in realtòà): tanto per indulgere nel gioco a cui il diavolo vuole condannarci, su Scopus come si fa a calcolare il numero di citazioni ricevute in 10/15 anni? Perché mi sembra possibile solo escludendo anche i documenti precedenti ai 10/15 anni che però hanno ricevuto citazioni in quel lasso di tempo.
@Cabitza
Su Scopus puoi fare una ricerca (ad esempio per autore), selezionare un certo gruppo di lavori e richiedere un citation report. Il citation report fornisce le citazioni anno per anno sull’insieme di lavori selezionati, e quindi sommando le citazioni sugli anni di interesse si dovrebbe ottenere il dato desiderato.
Piu’ che “criteri di Fatima” direi che sarebbe ora di parlare della difficoltà che sembrano avere all’ anvur nella lettura e comprensione dei DM. Se fossero studenti alle prese con un test TECO, avrebbero dei punteggi bassissimi ;-) e probabilmente l’ ateneo ne sarebbe penalizzato. Invece i magnifici 7 del direttivo non pagano mai pegno. Sembra un Carosello di una volta: “nonostante le botte che hai preso hai sempre una buona cera!”.
@Jubecca. Grazie Jubecca, la procedura è semplice, anche se per calcolare poi l’h-index collegato è forse necessario esportare un csv e lavorare a mano ordinando il dato parziale (a quel punto, l’indice h è il progressivo della riga n-1 quando la riga n contiene un dato maggiore di n). Io mi chiedo: i commissari si fideranno di quanto dichiarato nelle domande; opereranno una verifica per ogni candidato divenendo così grandi esperti (sperabilmente!) di Scopus; o Scopus fornirà presto un pulsantino per rendere semplice e “magica” l’estrazione di questa informazione?
Per quanto riguarda la finestra temporale concordo con chi afferma che l’euristica seguente sia la più sensata: non considerare l’anno corrente e poi contare all’indietro sulle dita i 10/15 anni.
@me stesso. Errata corrige: l’indice h è il progressivo della riga n-1 quando la riga n contiene un dato MINORE di n. All’incirca.
Qualcuno potrebbe dirmi dove posso trovare on line il parere 141 del 27 gennaio 2016 del Consiglio di Stato?
E’ il parere in cui il CdS si esprime sul valore soglia delle mediane. Non ho capito bene cosa dica quindi vorrei leggerlo.
Ho provato a cercarlo sul sito del Consiglio di Stato ma non l’ho trovato. Si potrebbe per favore postare il link completo al parere nella risposta? Grazie.
https://www.roars.it/parere-del-consiglio-di-stato-sulla-bozza-del-nuovo-dm-criteri-e-parametri-per-lasn/
Ho un dubbio: ho letto male io la normativa oppure… possibile che nessuno si sia ancora accorto che, grazie al combinato disposto del DM n.120 del 7 giugno 2016 pubblicato su Gazzetta Ufficiale n.155 del 5 luglio 2016 (recante in allegato B il “numero MASSIMO di pubblicazioni che possono essere presentate dal candidato ai fini della valutazione nella procedura per il
conseguimento dell’abilitazione scientifica”) e delle tabelle dei valori-soglia (ossia numero MINIMO di pubblicazioni per l’accesso alla medesima procedura di conseguimento) pubblicate in allegato al D.M. 29 LUGLIO 2016, N. 602, in quasi tutti i settori concorsuali il numero minimo di pubblicazioni risulta superiore al numero massimo? Con la logica conseguenza che in quasi nessun settore potranno essere ammessi candidati alla procedura?
Spero di sbagliarmi… ma la lettura dei due DM non mi lascia molti dubbi. Neanche sulla competenza legislativa e organizzativa di chi li ha scritti.
In realta’ mi sembra che sia un problema di chiarezza del D.M. 29 LUGLIO 2016, N. 602. Una lettura attenta fa comprendere (forse!) che il numero minimo di pubblicazioni sia quello complessivo della carriera del candidato, non obbligatoriamente da conferire totalmente alla procedura. Ma possibile che questo concetto non potesse essere reso in modo chiaro e incontrovertibile? Non parliamo poi di tutti i rimandi normativi… Non tutti i ricercatori scientifici sono esperti di terminologia legislativa.