Rispondiamo qui, punto per punto, al commento inviato dai matematici in relazione a questo post
Per facilità di lettura inseriremo i commenti in colore diverso direttamente nel testo pervenuto alla redazione.
Siamo molto sopresi dalla reazione della redazione di ROARS al nostro documento. In primo luogo per l’accusa di aver scritto una collezione di inesattezze ed in secondo luogo per il punto di vista espresso dalla redazione.
Un punto di vista che non trova alcun riscontro nelle posizioni delle società scientifiche di matematica in Europa. L’insieme di tali società conta decine di migliaia di iscritti (solo l’UMI se ne conta quasi duemila) e tutte si riconoscono nella European Mathematical Society (EMS), una delle maggiori società scientifiche al mondo. Questa differenza tra il punto di vista sostenuto da ROARS e quello delle società scientifiche matematiche, suggerisce che sarebbe auspicabile evitare i toni tipici delle polemiche sui social media e di giudicare il livello dell’interlocutore curando di tenere separati i fatti dalle opinioni.
Le nostre principali divergenze rispetto alla risposta della redazione di ROARS sono le seguenti.
- Non rileviamo nel nostro documento le inesattezze indicate da ROARS. Ci sembra piuttosto che ROARS abbia opinioni diverse dalle nostre ed esprima in vari casi dei wishful thinking con la pretesa che siano fatti oggettivi.
- Ci sorprende che ROARS sia favorevole ad una proposta che, nella migliore delle ipotesi, garantisce alle case editrici livelli di profitto equivalenti a quelli attuali. Non ci sono garanzie serie sul contenimento costi ma solo impegni in proposito, per il momento non concreti.
ROARS è favorevole ad una discussione in cui i diversi punti vengono presentati in maniera obiettiva, completa e senza pregiudizi. Se la posizione dell’UMI è Open Access (oggi lo ribadiamo si parla di Open Science) = il singolo o il dipartimento pagano per pubblicare, non ci pare che il discorso sia affrontato nella sua interezza.
- Il dato relativo alle 172 riviste in diamond open access è poco rilevante per la nostra comunità, poiché il ruolo della maggior parte di tali riviste nella letteratura matematica internazionale è ancora marginale (questo è ben noto a tutti i matematici).
Se il sistema delle riviste open access non è soddisfacente è possibile lavorare nella direzione in cui si sono mossi matematici come Gowers il quale in una lunga intervista del 2016 spiega chiaramente le motivazioni delle sue scelte.
- Per il momento le proposte di transformative agreement non risolvono il problema delle riviste ibride, che peraltro non sembra evitabile. Riviste di alto livello come Physical Review Letters per la fisica o Annals of Mathematics per la matematica resteranno ibride (almeno per lungo tempo) ed i ricercatori vorranno continuare a pubblicarvi per motivi di prestigio. I grandi publishers lo hanno ben compreso si veda l’ipotesi dei “sister journals” nel documento di Springer-Nature sul Plan S, https://media.springernature.com/full/springer-cms/rest/v1/content/16462700/data/v1
I transformative agreement riguardano proprio le riviste ibride, per cui i fondi attualmente utilizzati per gli abbonamenti dovrebbero essere destinati al modello read and publish, evitando il double dipping. Questo significa che non è il singolo ricercatore a pagare, ma l’istituzione che ha scelto di sottoscrivere un modello di business diverso (appunto read and publish)
- I commenti di ROARS sugli archivi istituzionali o disciplinari (IRIS, Zenodo) ci paiono tecnicamente errati, poiché la modalità Green diventa difficile se gli archivi (repository) non sono compliant con le regole previste dal Plan S. Per esempio non esistono garanzie certe che ArXiv potrà in futuro essere conforme a queste regole.
Questo però non è un fatto, ma una supposizione degli estensori. Se è necessario fare dei passi per rendere compliant con Plan S gli IRIS o a maggior ragione Zenodo (che è l’archivio di riferimento della EC) questi verranno fatti. Si tratta di interventi tecnici che c’è tutto il tempo (e le competenze) di implementare se necessario
- I commenti della redazione di ROARS non ci sembrano dare sufficiente rilievo ai problemi etici connessi. I sistemi di valutazione bibliometrica incentivano i giovani brillanti a pubblicare su riviste prestigiose. Se ciò comporta la pubblicazione in OA, per i giovani non strutturati e privi di fondi, potrebbe significare cedere a distorsioni sull’authorship pur di farlo. Segnaliamo anche la possibilità che in un dipartimento ci siano fondi limitati per pagare la pubblicazione di articoli in OA: in tal caso il direttore o il consiglio di dipartimento dovranno selezionare che cosa mandare a pubblicazione OA e le motivazioni potrebbero facilmente non essere puramente scientifiche. Sono ovvie le implicazioni sulle carriere.
Come specificato non si parla di finanziamento da parte del singolo autore o del singolo dipartimento, ma si tratta di convogliare quanto già speso dai sistemi bibliotecari per l’accesso alle riviste scientifiche in un modello read and publish.
Così come non è il singolo ricercatore a pagare per leggere gli articoli di una determinata rivista e neppure il suo dipartimento, allo stesso modo non è il singolo ricercatore o il suo Dipartimento a dover pagare per pubblicare in quella stessa rivista e siccome l’obiettivo è quello di evitare il double dipping è l’istituzione che paga per accedere alle riviste e per pubblicare.
I problemi etici connessi alla valutazione bibliometrica sono ovviamente ben noti a ROARS, ma non pare che un passaggio al sistema read and publish incrementi i comportamenti adattativi. Il problema appunto è la valutazione quantitativa, non l’open access.
Di seguito alcune risposte dettagliate ai punti del commento che ci sono parsi più critici.
(ROARS) Nella premessa si dice infatti che Gran Bretagna e ERC chiedono la pubblicazione in accesso aperto delle ricerche finanziate, ma non sono ovviamente gli unici due esempi. C’è l’Olanda, la Francia, la Spagna, e c’è anche la Commissione Europea.
Abbiamo citato Gran Bretagna ed ERC a titolo di esempio. Inoltre è importante precisare che non tutti i programmi nazionali hanno prescrizioni obbligatorie sull’OA.
Anche Roars ha citato degli esempi giusto per maggiore completezza, a dimostrazione che il fenomeno non è limitato a poche nazioni europee. Potremmo anche citare l’università della California o l’NIH.
(ROARS) Il diamond open access, cioè quelle riviste che non prevedono alcun costo per chi legge e neppure per chi scrive, viene descritto come un fenomeno non particolarmente diffuso, ma su 230 riviste di matematica indicizzate dalla Directory of open accesanantes journals 172 sono diamond open access.
A nostro avviso il numero delle riviste in questione è un dato poco rilevante poiché il ruolo della maggior parte di tali riviste nella letteratura matematica internazionale è ancora marginale (questo è ben noto a tutti i matematici).
Abbiamo risposto sopra, con l’esempio di Discrete Analysis, ma ad esempio in Plan S si parla della possibilità di creare piattaforme per le pubblicazioni sganciate dal sistema delle riviste commericali come Wellcome Open
(ROARS) Risulta particolarmente sbagliata anche la riflessione sui modelli di business. Il dibattito europeo su open science, (e non più solo su open access), invece, rafforzato dalla creazione di EOSC (European Open Science Cloud) indica in maniera abbastanza chiara la strada che l’Europa ha intrapreso, che non è come vorrebbe fare intendere il documento, pagare per pubblicare.
EOSC-hub è un progetto che ha ricevuto fondi in Horizon 2020, il cui piano strategico è stato pubblicato molto recentemente (11/09/2018)https://www.eosc-hub.eu/deliverable/first-eosc-hub-strategy-plan. È prematuro ed a nostro avviso propagandistico, attribuirgli un ruolo così determinante nel delineare la strada che l’Europa sta percorrendo o percorrerà. Questa ci pare l’opinione della redazione di ROARS più che un fatto. E quindi non vediamo inesattezze nel nostro commento ai modelli di business, in cui esprimiamo l’opinione dell’UMI in proposito.
EOSC è solo l’ultima di una serie di azioni promosse della Commissione europea fra cui ricordiamo:
- In FP7 un pilota sull’accesso aperto alle pubblicazioni esito dei finanziamernti
- Un pilot post grant FP7 per le pubblicazioni di progetti terminati entro una certa data dalla chiusura del progetto finanziato
- In H2020 l’obbligo di pubblicazione open access dei risultati dei progetti finanziati (su questo la commissione ha inviato mail di richiamo a tutti i PI che hanno usufruito di finanziamenti europei e non hanno rispettato il requisito dell’apertura)
- In H2020 un pilota sull’accesso aperto ai dati della ricerca e una politica di gestione dei dati che risponda ai principi FAIR
- Una serie di studi e raccomandazioni sulla valutazione dei ricercatori
(ROARS) Sul green open access giova ricordare che non si tratta di qualcosa di remoto, ma che la maggior parte delle università italiane possiede un archivio open access (IRIS) dove è possibile dal 2015 archiviare i propri contributi nella modalità green.
Chiameremo questa una imprecisione di ROARS. Infatti è ben noto che su IRIS non sono consentiti deposito e visione libera, di articoli pubblicati in modalità tradizionale NON OA, se non caricando versioni preliminari.
Chiameremo questa una imprecisione dei matematici redattori di questo documento. Sappiamo bene che il green open access è la ripubblicazione in un archivio istituzionale o disciplinare di articoli apparsi in riviste peer reviewed nella versione prevista dai contratti editoriali come verificabile sul sito Sherpa Romeo. Non è chiaro cosa si intenda per versioni preliminari, ma l’AAM (author accepted manuscript) o post print, è la versione solitamente prevista che è identica a quella pubblicata tranne che per il layout.
Questa versione di solito è quella che viene caricata in IRIS
(ROARS) Risulta particolarmente sbagliata la riflessione sui modelli di business, dove si dice che il modello con pagamento di APC avrebbe una serie di effetti negativi che discutiamo qui di seguito nel dettaglio: Dirotta ulteriori risorse finanziarie in aggiunta a quelle necessarie per gli abbonamenti, già molto elevati;La forma del double dipping è fortemente scoraggiata da Plan S ad esempio e la maggior parte delle nazioni europee (e non solo) stanno orientandosi verso i transformative agreements (modello read and publish).
La preoccupazione dell’UMI è condivisa dalle società scientifiche di matematica in Europa. Si veda il documento della European mathematical Society
http://euro-math-soc.eu/news/19/02/8/feedback-ems-implementation-plan-s.
L’eliminazione del double dipping allo stato attuale appare più un wishful thinking che una realtà. Non vi sono garanzie che paesi come l’Italia possano operare transformative agreements (modello read and publish), accordi che richiedono notevoli risorse. In Italia, a nostra conoscenza solo l’INFN ha sottoscritto il plan S. Inoltre i vari modelli di transformative agreements, nella migliore delle ipotesi, bloccano ai livelli attuali i margini di profitto dei gruppi editoriali, ma non ci sono previsioni concrete sui costi futuri (vedi accordo della Germania con Wiley, che comunque che costituisce solo il 17% dell’intero volume delle pubblicazioni scientifche). Infine, le negoziazioni devono necessariamente essere molto centralizzate ed avvengono tra parti pubbliche e controparti economicamente molto forti. Questo produce evidentemente (e da sempre) situazioni di difficile gestione. Si veda il caso francese:
La preoccupazione dei matematici è quella (assolutamente giustificata) che si vada a pagare di più. Ma i prezzi di accesso alle riviste scientifiche nel corso degli anni sono aumentati in maniera spropositata e ingiustificata, lasciando le ricerche dietro a paywall, rendendo inefficiente il sistema della comunicazione scientifica e dando origine a fenomeni di pirateria come scihub ad esempio.
Plan S indica diverse strade per superare queste inefficienze, i transformative agreement sono una di queste, ma si prevedono anche piattaforme editoriali o il green open access con accesso immediato, messaggio che tra l’altro è stato colto da The LANCET che ha previsto il green open access con zero embargo.
(ROARS) I giovani ricercatori che godono di un finanziamento pubblico, se non afferiscono ad una istituzione che ha sottoscritto un transformative agreement possono sempre utilizzare la green road.
A nostro avviso, questa osservazione confligge logicamente con il wishful thinking che vorrebbe l’eliminazione delle riviste ibride. In questo caso quale sarebbe la green road?
Soprattutto in Italia, con il sistema di valutazione attuale, la pubblicazione sulle riviste prestigiose è importante soprattutto per i giovani.
Come spiegato ovunque la green road è la ripubblicazione in un archivio istituzionale o disciplinare di un lavoro peer reviewed nella versione prevista dall’editore. Questa è una azione che ciascun ricercatore può fare da subito senza un grande sforzo
(UMI) Crea potenziali distorsioni sulla “authorship”, infatti potrebbe spingere autori senza fondi di ricerca ad aggiungere coautori, che pur non avendo contribuito direttamente alla ricerca, siano in grado di provvedere ai costi di pubblicazione;
(ROARS) Questo pare davvero l’ultimo dei problemi. Le distorsioni rispetto alla authorship hanno la loro causa prima in sistemi di valutazione e premiali basati esclusivamente su criteri quantitativi.
Questo commento ci pare illogico. I sistemi di valutazione bibliometrica incentivano i giovani brillanti a pubblicare su riviste prestigiose. Se ciò comporta la pubblicazione in OA, per i giovani non strutturati e privi di fondi, potrebbe significare cedere a distorsioni sull’autorship pur di farlo.
Segnaliamo anche la possibilità che in un dipartimento ci siano fondi limitati per pagare la pubblicazione di articoli in OA: in tal caso il direttore o il consiglio di dipartimento dovranno selezionare che cosa mandare a pubblicazione OA e le motivazioni potrebbero facilmente non essere puramente scientifiche.
Come specificato non si parla di finanziamento da parte del singolo autore o del singolo dipartimento, ma si tratta di convogliare quanto già speso dai sistemi bibliotecari per l’accesso alle riviste scientifiche in un modello read and publish.
Così come non è il singolo ricercatore a pagare per leggere gli articoli di una determinata rivista e neppure il suo dipartimento, allo stesso modo non è il singolo ricercatore o il suo Dipartimento a dover pagare per pubblicare in quella stessa rivista e siccome l’obiettivo è quello di evitare il double dipping è l’istituzione che paga per accedere alle riviste e per pubblicare.
I problemi etici connessi alla valutazione bibliometrica sono ovviamente ben noti a ROARS, ma non pare che un passaggio al sistema read and publish incrementi i comportamenti adattativi. Il problema appunto è la valutazione quantitativa, non l’open access.
(UMI) Riteniamo che debbano essere implementate misure specifiche per eliminare ostacoli di natura puramente economica alla pubblicazione dei risultati della ricerca sulle riviste ritenute più idonee, anche prevedendo modalità per aiutare comunità e autori che non abbiamo finanziamenti sufficienti a coprire gli APC. Questo anche per tutelare la effettiva libertà della ricerca.
(ROARS) Questo suggerimento è molto sensato e si ribadisce però la possibilità, sempre presente, di pubblicare in un archivio istituzionale o disciplinare il proprio lavoro in modalità green.
Questo commento ci pare tecnicamente errato, poiché la modalità Green diventa difficile se gli archivi (repository) non sono “compliant” con le regole previste dal Plan S. Per esempio non esistono garanzie certe che ArXiv potrà in futuro essere conforme a queste regole.
Se arxiv non è compliant si lavorerà per renderlo tale. Ci sono tutte le competenze a disposizione. Certamente si lavorerà per rendere compliant gli archivi italiani. E’ pensabile che di fronte a iniziative di così ampio respiro come Arxiv Plan S modifichi i requisiti, come ha già modificato parte delle indicazioni originarie.
(UMI) Sollecitiamo l’adozione di misure specifiche per il finanziamento di piattaforme di supporto ad archivi ad accesso aperto, che riteniamo possano soddisfare, almeno in questa fase di transizione verso l’open access, alla necessità di condivisione dei risultati della ricerca promossa attraverso il plan-S.
(ROARS) Non è chiaro cosa siano le piattaforme di supporto ad archivi ad accesso aperto. In Italia molte istituzioni hanno IRIS, l’INFN ha creato un archivio istituzionale basato su Zenodo. Zenodo resta comunque una opzione per i nostri ricercatori che non afferiscono a nessuna istituzione. Non c’è nulla da creare, abbiamo già tutto, basta farne uso. Quello che occorre non è la tecnologia, ma un cambiamento culturale.
Come abbiamo già scritto sopra, piattaforme come IRIS hanno spesso delle restrizioni che non le rendono utilizzabili per gli scopi dell’Open Access.
Non è chiaro di cosa si stia parlando. IRIS non presenta alcuna restrizione per gli scopi dell’open access, è anzi uno strumento che nasce per questo scopo. Non è corretto estendere il giudizio su indicazioni o procedure solo locali all’intero sistema che è invece neutrale rispetto a questo tema. Le uniche restrizioni valide in IRIS sono quelle valide per tutti i ricercatori del mondo e sono censite nel database sherpa romeo che per altro è integrato in IRIS. Ciascun ricercatore può verificare immediatamente quale versione del suo lavoro può caricare in IRIS e con quale embargo.
La piattaforma ArXiv potrebbe, se opportunamente autorizzata e modificata, svolgere il ruolo desiderato, ma deve essere resa “compliant” con il Plan S. Zenodo non è un archivio rilevante per la matematica (ed a nostra conoscenza, appare ancora un archivio incompleto)
Certamente come detto sopra se ci saranno da rispettare requisiti stringenti Arxiv verrà adattato per rispettarli. Zenodo è l’archivio della Commissione europea ed è completo nella misura in cui funge da supporto a chi non ha un archivio disciplinare o istituzionale di riferimento.
(UMI) Riteniamo che vadano implementate politiche specifiche per evitare il pericolo del “double-dipping”.
(ROARS) Si chiamano transformative agreements e alcuni Paesi ci stanno lavorando da anni.
Abbiamo già descritto quelli che a nostro avviso sono i limiti dei transformative agreements finora in corso. Inoltre gli accordi non risolvono il problema delle riviste ibride. Questo appare un problema di difficile soluzione, essendo molte riviste prestigiose al di fuori dallo spazio europeo. Sembra improbabile che i fisici vogliano rinunciare a pubblicare su Physical Review Letters o i matematici su Annals of Mathematics. E di nuovo i più penalizzati saranno i giovani non strutturati.
Plan S propone tre vie: i transformative agreements, il green open access (il cui significato speriamo sia ora chiaro) e le piattaforme editoriali, se però la comunità dei matematici ha altre soluzioni da proporre rispetto ad un sistema (quello delle comunicazione scientifica) che da tempo è in crisi, crediamo che il loro contributo sia degno di discussione come tutti gli altri. Aspettiamo dunque proposte alternative a queste tre vie
(UMI) Riteniamo che debbano essere poste forti attenzioni alla trasparenza e alla integrità scientifica, soprattutto in ragione di nuove forme di comunicazione della scienza, al fine di evitare plagio e cattivo uso delle pubblicazioni disponibili in formati digitali aperti. Parimenti, deve essere evitato lo sfruttamento commerciale delle risorse aperte attraverso motori di ricerca a pagamento.
(ROARS) Il principio della trasparenza e della integrità scientifica è alla base dell’open science. È proprio la piena condivisione di dati, metodi e pubblicazioni a rendere più difficile, o più facilmente individuabile il plagio che invece risulta molto più praticabile laddove un paywall non garantisce eguale accesso a tutti.
Sul rapporto tra trasparenza e integrità scientifica nell’ OA concordiamo con ROARS, purché non diventi uno strumento nelle mani di una minoranza privilegiata e quindi uno strumento di discriminazione. Le affermazioni della redazione ROARS appaiono fiduciose che dei principi astratti, per ora solo enunciati, divengano fatti reali. I paywall devono essere superati ma alcune prescrizioni tecniche del Plan S sui repository sembrano predisporre ad uno sfruttamento commerciale degli stessi da parte di terzi. Un esempio di segnale negativo sul fronte dello sfruttamento commerciale è che Research Gate ha cominciato ad assegnare ai preprints di ArXiv dei propri DOI.
Siamo in un momento di profondi cambiamenti in cui le tecnologie hanno di gran lunga superato la capacità delle istituzioni di definire e normare i comportamenti e le capacità di adeguamento dei ricercatori.
E’ necessario uno sforzo delle comunità scientifiche opportunamente informate delle evoluzioni all’interno del sistema di comunicazione dei risultati della ricerca perché le nuove modalità non portino a storture già ben note quali ad esempio un aumento sconsiderato dei prezzi per pubblicare (dentro o fuori ai transformative agreement) o a comportamenti adattativi e opportunistici. E’ importante che il dibattito fra le comunità scientifiche sia aperto e franco, ma soprattutto è importante che il dibattito esista, in questa ottica ROARS accoglie e discute volentieri le posizione dei matematici e di ogni altra comunità disciplinare rispetto al tema della apertura della conoscenza e soprattutto di quella finanziata con fondi pubblici, nella speranza che questo dibattito porti alla discussione in Italia maggiori elementi di conoscenza.
Grazie per la pazienza, speriamo che non sia solo un dialogo fra sordi. È incredibile questa abissale ignoranza sul green OA, orgogliosamente ribadita N volte. Possibile che, proprio nella disciplina dove arxiv impera, i ricercatori non sappiano che arxiv è un modo riconosciuto di fare green OA? Che cosa vorrà mai dire che un archivio generalista come Zenodo non è “completo”? E come si fa a brandire termini come “illogico”, “imprecisione” o “tecnicamente errati” sulla base di FUD ovvero fantasiose speculazioni e petitio principii quali una presunta incompatibilità fra riviste prestigiose e green OA o mitologiche “restrizioni” sull’archiviazione negli archivi istituzionali?
Giusto il 24 giugno (due giorni fa) è stato condiviso “Technical Considerations for arXiv Compliance with Plan S” https://docs.google.com/document/d/1i8n4ky46ezp9DDPCVEdyxE9GfM61siaG0b0QFM9k3Jo/edit# dove risultano a portata di mano.
Il documento è ora pubblicato alla pagina https://blogs.cornell.edu/arxiv/2019/07/18/technical-considerations-for-arxiv-compliance-with-plan-s/