Le nazioni dove PISA raggiunge i valori migliori in campo scientifico (la ormai mitica Finlandia) sono anche quelle dove gli studenti si sentono meno interessati alla conoscenza scientifica. A scriverlo su Europhysicsnews è Svein Sjoberg, professore emerito di didattica della fisica formatosi come fisico nucleare e membro di commissioni didattiche di istituzioni come l’UNESCO e l’OCSE. Il quale definisce i test PISA “non un progetto educativo ma un progetto politico che deve essere interpretato come uno strumento di potere”, in potenziale conflitto con “il nostro lavoro per fare in modo che la scienza sia rilevante, contestualizzata, interessante e in grado di incentivare la curiosità dei giovani”. Infine, Sjoberg mette in rilievo il fatto che dietro a PISA ci sono comunque degli interessi commerciali, ad esempio quelli della compagnia educativa commerciale maggiore a livello mondiale, la Pearson Inc., e come le incertezze statistiche non siano sufficientemente messe in rilievo nei report PISA. Al punto che c’è chi vede in questi test  “una storia di errori ed arroganza“.  Articolo da leggere e da riflettere, per tutti ma soprattutto per chi si occupa di queste cose a livello ministeriale.

 

La rivista Europhysicsnews, organo d’informazione dell’European Physics Society, ospita nel numero 48/4 del 2017 un lungo articolo di Svein Sjoberg sul test PISA:

Pisa testing – A global educational race?

L’autore, professore emerito di didattica della fisica formatosi come fisico nucleare e membro di commissioni didattiche di istituzioni come l’UNESCO e l’OCSE esprime una critica seria e circostanziata al test PISA – strumento predisposto dall’OCSE stesso – definendolo, senza ricorrere a mezzi termini, “non un progetto educativo ma un progetto politico che deve essere interpretato come uno strumento di potere”, in potenziale conflitto con “il nostro lavoro per fare in modo che la scienza sia rilevante, contestualizzata, interessante e in grado di incentivare la curiosità dei giovani”.

Sjoberg nota come il PISA sia assurto ormai per una settantina di Paesi a dogma per l’istruzione, una “regola aurea” indiscussa dalla quale i governi ricavano immediato onore nel caso di buoni risultati o un incentivo frettoloso per riformare l’istruzione in modo superficiale e maldestro nel caso di risultati scoraggianti (“Pisa-shocks” in Norvegia, Germania, Giappone). Oltretutto, spesso a decidere tra l’appartenere a uno piuttosto che all’altro dei due gruppi sono piccole variazioni del punteggio complessivo sulla cui reale sostanza qualunque statistico nutrirebbe dei grossi dubbi.

L’obiettivo con cui PISA si presenta, dice Sjoberg, ovvero “quanto sono preparati i giovani adulti per le sfide del futuro? Sono in grado di analizzare, ragionare e comunicare le loro idee in maniera efficace? Hanno la capacità di apprendere continuamente durante la loro vita?”, se facesse parte di una proposta per un finanziamento di un gruppo di ricercatori accademici, sarebbe senz’altro giudicato una sparata irrealistica e immeritevole di appello.

Test come PISA dimenticano che obiettivo della scuola è quello di avvicinare i giovani alla scienza, mostrando i legami con il contesto culturale che hanno ereditato, possibilmente di entusiasmarli verso lo studio, fattore che può avere una importanza e una durata maggiore rispetto alle competenze misurate dal test. A questo proposito colpisce una dato che Sjoberg mette in evidenza e in cui personalmente non mi ero mai imbattuto: le nazioni dove PISA raggiunge i valori migliori in campo scientifico (la ormai mitica Finlandia) sono anche quelle dove gli studenti si sentono meno interessati alla conoscenza scientifica!

Da docente questo dato non mi stupisce: più volte ho constatato sul campo che sovente vale la pena di pagare il prezzo di essere più approssimati nell’esposizione pur di aprire orizzonti appassionanti. Così, contrariamente a diversi colleghi, di buon grado racconto ai miei studenti alcuni aspetti della relatività, delle geometrie non euclidee, della fisica nucleare e della cosmologia, certamente pure avvisandoli che si tratta di discipline altamente tecniche, che presuppongono il possesso di un linguaggio specialistico. Però in queste occasioni vedo accendersi una luce del tutto particolare nei loro occhi. Per me, questo è il primo e vero risultato utile del mio lavoro: poi, per chi di loro lo vorrà, ci penserà l’università a specificare, limare, mettere i puntini sulle i.

Infine, Sjoberg mette in rilievo il fatto che dietro a PISA ci sono comunque degli interessi commerciali, ad esempio quelli della compagnia educativa commerciale maggiore a livello mondiale, la Pearson Inc., e come le incertezze statistiche non siano sufficientemente messe in rilievo nei report PISA.

Articolo da leggere e da riflettere, per tutti ma soprattutto per chi si occupa di queste cose a livello ministeriale. Dopotutto, il primo comandamento della scienza è pur sempre quello che ci ammonisce di imparare dagli errori e di rivedere le nostre teorie alla luce degli insuccessi (o anche dei successi solo parziali).

 

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3 Commenti

  1. A chi fosse interessato alle criticità dei test OCSE-PISA, segnalo anche un articolo di L.R. Capuana, di cui riporto un breve estratto.
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    “Tienken sostiene che i dati OCSE-PISA vengono interpretati in modo inesatto e per dimostrare l’attendibilità della sua tesi fa riferimento ai dati USA del 2012 [30], sottolineando che gli Stati Uniti, come paese si attestano al 29° posto della classifica OCSE-PISA ma, evidenzia Tienken, nel 2012, ben il 22%, sul totale complessivo della popolazione giovanile statunitense versava in stato di povertà. E questo, indubbiamente, fa una differenza sostanziale.

    Tant’è che quegli istituti scolastici statunitensi con una popolazione giovanile in condizione di povertà sotto il 10% conseguiva risultati nella media degli altri paesi OCSE e, addirittura, come nel caso del Massachussetts, migliorando significativamente le prestazioni nazionali. Infatti prendendo in esame, Tienken nota, la parte riguardante i quesiti di matematica gli studenti di quello stato portano, con il loro punteggio di 520, gli Stati Uniti a scalare la graduatoria fino a raggiungere il 12°, un punto dietro all’Estonia quindi; e se, continua Tienken, dalla comparazione dei risultati si escludessero quelli conseguiti da Hong Kong, Macao e Shangai, in quanto non possono essere considerati rappresentativi della Cina, come si spiega più avanti, gli USA raggiungerebbero il 9° posto in classifica, dietro a nazioni come: la Svizzera, il Liechtenstein, i Paesi Bassi, il Giappone, la Corea e Singapore, tutti con livelli di povertà infantile sotto il 15% [31].”

    https://lrcapuana.com/2017/10/14/locse-pisa-e-il-dogma-del-neoliberismo-che-soffoca-listruzione/

  2. In quasi tutto il mondo, eccettuata l’Italia, vengono usate procedure valutative basate su quiz a risposta chiusa. Le ragioni di questa preferenza sono di comodo: possono essere corrette velocemente, in modo anonimo e con risultati “oggettivi”; inoltre non comportano le possibili difficoltà interpersonali implicite in un esame orale fatto al modo italiano.
    MOlto raramente si sono valutati gli svantaggi dei quiz e ci si è chiesti se i vantaggi pratici siano tali da superarli. Se un obiettivo del PISA è valutare la capacità “di analizzare, ragionare e comunicare le loro idee in maniera efficace” bisogna dire che nessun quiz può testare le capacità comunicative. Il fallimento pratico del test descritto nell’articolo è a mio parere una conseguenza della sua modalità, e forse l’obiettivo proposto è impossibile su larga scala. Nulla sostituisce l’esame orale e l’esame orale non si presta alle statistiche comparative.

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