Su http://www.ateneapoli.it/ diretta streaming del seminario “Per il diritto allo studio e alla ricerca” con la partecipazione del Presidente della CRUI le cui dichiarazion sono particolarmente attese. Infatti, secondo indiscrezioni dell’ultim’ora riportate da Scuola24, MIUR e ANVUR avrebbero deciso di respingere la richiesta arrivata pochi giorni, da parte della Conferenza dei rettori di concedere due mesi di tempo in più per caricare i prodotti che saranno sottoposti alla prossima valutazione per il triennio 2011-14.
«Negli ultimi 7 anni, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, l’Università ha perduto un quinto delle sue strutture organizzative e lavorative e ha visto ridursi il numero degli studenti universitari. Come emerge da una ricerca condotta, tra gli altri, da Gianfranco Viesti per conto della fondazione Res è drammatico il generale calo delle immatricolazioni che assume le dimensioni di un crollo al Sud: nel 2012 –16% rispetto al 2000–2001 in Sicilia, –19,8% in Calabria, –21,9 in Sardegna. L’Università è stretta in una morsa mortale, tra un’intollerabile riduzione delle risorse finanziarie e una soffocante burocrazia. Si assiste al proliferare di disposizioni normative, di pratiche inquisitive, di controlli amministrativi, volti ad accrescere la sua «resa» economica, a diminuire i costi interni e a subordinare strettamente il processo di formazione al mercato del lavoro e delle professioni». Segnaliamo ai lettori una lettera-appello promossa da Pietro Bevilacqua e la giornata di mobilitazione con la partecipazione di docenti, studenti, personale tecnico-amministrativo e bibliotecario, che si terrà l’11 febbraio all’Università di Napoli. Alla tavola rotonda parteciperanno: Gaetano Manfredi, Presidente della CRUI, Gianfranco Viesti, Università degli Studi di Bari; Maria Rosaria Tiné, Università degli studi di Pisa, Consiglio Nazionale Universitario; Vincenzo Caputo, Vicepresidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria; Giuseppe De Nicolao, Università degli Studi di Pavia; Andrea Fiorini, Consiglio Nazionale Studenti Universitari. Modera: Marco Esposito, giornalista.
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Lettera-appello al mondo dell’università. Se muore l’Università per tutti, l’Italia non sarà più l’Italia, ma una qualunque periferia vacanziera del mondo.
Assemblea generale di docenti, studenti, personale tecnico-amministrativo e bibliotecario l’11 febbraio all’Università di Napoli.
Gli estensori di questa lettera-appello e i suoi sottoscrittori sono accomunati dal convincimento che l’Università italiana vede il drammatico ridimensionamento della sua influenza sulla società. Negli ultimi 7 anni, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, l’Università ha perduto un quinto delle sue strutture organizzative e lavorative e ha visto ridursi il numero degli studenti universitari.
Come emerge da una ricerca condotta, tra gli altri, da Gianfranco Viesti per conto della fondazione Res è drammatico il generale calo delle immatricolazioni che assume le dimensioni di un crollo al Sud: nel 2012 –16% rispetto al 2000–2001 in Sicilia, –19,8% in Calabria, –21,9 in Sardegna.
L’Università è stretta in una morsa mortale, tra un’intollerabile riduzione delle risorse finanziarie e una soffocante burocrazia. Si assiste al proliferare di disposizioni normative, di pratiche inquisitive, di controlli amministrativi, volti ad accrescere la sua «resa» economica, a diminuire i costi interni e a subordinare strettamente il processo di formazione al mercato del lavoro e delle professioni.
L’Italia figura ultima dei Paesi OCSE per i fondi destinati all’Università e alla ricerca con un misero 1% del PIL.
Le tasse d’iscrizione sono cresciute negli ultimi 7 anni del 51%: il più elevato incremento a carico di studenti e famiglie verificatosi a livello mondiale.
Oggi l’accesso all’istruzione universitaria italiana è il più costoso d’Europa, dopo quello di UK e Olanda; inoltre da noi il diritto allo studio è stato di fatto smantellato: solo il 7% degli studenti riceve una borsa di studio a fronte del 27% in Francia e del 30% in Germania.
Le risorse già insufficienti sono quindi attribuite sulla base di due parametri: il costo standard necessario alla formazione di ciascuno studente sul territorio nazionale, un parametro del tutto inappropriato quando si deve finanziare la crescita culturale del paese, e la qualità della ricerca stimata attraverso il parametro VQR (Valutazione della Ricerca), un elefantiaco sistema di valutazione che ha creato una situazione di confusione montante e di conflittualità.
Tra l’altro a questo metodo di valutazione sono sottoposti docenti sottopagati e del tutto privi, da anni, di fondi per la ricerca, cioè delle risorse minime per ottenere i risultati per i quali sarebbero valutati. Il risultato è stato la penalizzazione di risorse, aree disciplinari, atenei e territori, soprattutto (ma non esclusivamente) al Sud.
Le classi dirigenti italiane vogliono liquidare l’Università di massa e tornare a una configurazione classista degli studi superiori. Il mondo universitario, luogo di formazione del pensiero critico, deve languire poiché a selezionare le poche élites necessarie alla continuità del processo economico basteranno pochi centri di «eccellenza», perlopiù privati.
Gli estensori dell’appello chiamano quanti lo sottoscriveranno e il mondo universitario a una giornata di mobilitazione con un’assemblea generale, di docenti, studenti, personale tecnico-amministrativo e bibliotecario, da tenersi l’11 febbraio all’Università di Napoli.
L’obiettivo è discutere e portare all’attenzione dell’opinione pubblica:
1. la necessità di nuovi e organici e costanti investimenti nell’Università pubblica;
2. la creazione di un welfare studentesco per sostenere l’accesso e la permanenza dei ragazzi all’Università;
3. un supporto alle regioni per garantire uguali standard di diritto allo studio;
4. l’immissione di nuovo personale docente e TAB che copra almeno il turn-over;
5. la revisione dei ruoli della docenza con nuove e chiare regole per la progressione di carriera e il rinnovo del contratto di lavoro per il personale contrattualizzato.
Vogliamo lanciare un segno di speranza e di stimolo perché risorga un momento di discussione critica dentro l’Università.
Se muore l’Università per tutti, l’Italia non sarà più l’Italia, ma una qualunque periferia vacanziera del mondo.
Gli estensori:
Alessandro Arienzo, Federico II, Napoli,
Piero Bevilacqua, già docente de La Sapienza, Roma,
Armando Carravetta, Federico II, Napoli,
Bruno Catalanotti, Federico II, Napoli
Ugo M. Olivieri, Federico II, Napoli
Primi firmatari:
Antonio Bonatesta (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani)
Marcello Buiatti, Università di Firenze
Alberto Campailla (Link, Associazione studentesca)
Jacopo Dionisio (UDU, associazione studentesca)
Angelo D’Orsi, Università di Torino
Paolo Favilli, già docente dell’Università di Genova
Mario Lavagetto, già docente dell’Università di Bologna
Romano Luperini, già docente dell’Università di Siena
Ignazio Masulli, già docente dell’Università di Bologna
Maurizio Matteuzzi, Università di Bologna,( associazione “Docenti preoccupati”)
Tomaso Montanari, Federico II, Napoli
Daniela Montesarchio, Federico II, Napoli
Giorgio Nebbia, Università di Bari
Giorgio Parisi, La Sapienza, Roma
Laura Pennacchi, economista, Fondazione Basso
Tonino Perna, Università di Messina
Ermanno Rea, scrittore
Enzo Scandurra, La Sapienza, Roma
Nadia Urbinati, Columbia University
Gelmini e chi ti ha sostenuto e ispirato e chi continua su quella strada: VERGOGNA! !!!
Probabilmente come strategia per ottenere qualche riconoscimento la protesta su tutta la linea rappresenta la strategia piu’ efficace. Tuttavia, ritengo che ci siano margini oggettivi per rendere piu’ efficace il sitema Universitario. Per esempio: sono sostenibili sette Università in Campania, una decina nel Lazio, quattro nei 100km di Parma-Modena-Bologna-Ferrara? A mio parere, solo dopo averle dimezzate (accorpandole) si potrà pensare ad eventuali necessità di turn-over. Potrei proseguire con altri esempi, ma credo di aver già fatto arrabbiare troppi lettori. Non prendetevela, è solo un punto di vista differente, da esterno.
Filippo Cugini: “credo di aver già fatto arrabbiare troppi lettori. Non prendetevela, è solo un punto di vista differente, da esterno”
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No, non c’è problema. Per rispondere in un minuto, ci basta a andare a rovistare nell’archivio di: Università: miti, leggende e realtà – Collector’s edition! (https://www.roars.it/universita-miti-leggende-e-realta-collectors-edition/)
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Nel saggio “Malata e denigrata” (Donzelli 2009) è riportato un confronto con USA, UK, Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi. Se si contano le università e gli altri istituti di formazione terziaria l’Italia è ultima, persino includendo nel conteggio tutte le università non statali, telematiche incluse. Se ci si limita alle sole università, l’Italia è superata da USA, UK e Spagna e si colloca poco sopra Germania e Francia.
Anche in questo caso citiamo un confronto riportato in “Malata e denigrata”. Nel 2008 il numero di corsi di laurea per milione di abitanti in Italia (101,4 corsi/milione) era inferiore a quello di Paesi Bassi (107,2) e Germania (154,1), mentre risultava meno facile un confronto accurato con Regno Unito, Spagna e Francia. Da notare che tra il 2007 e il 2011 il numero dei corsi di laurea italiani è ulteriormente diminuito del 17%.
Rimane poi da spiegare come si faccia a risalire dall’ultima posizione OCSE come percentuale di laureati partendo dalla chiusura di sedi universitarie. Tanto più, che le dimensioni degli atenei non possono crescere a dismisura se non si vogliono creare dei mostri difficilmente gestibili. In effetti, una delle caratteristiche del discorso pubblico sull’istruzione universitaria è quella di prescindere dai numeri (e spesso anche dal buon senso).
A ogni “dimezzamento” corrispondono posti in meno per giovani studiosi che:
1) cambiano mestiere,
2) vanno a studiare altrove (in genere in paesi dove li accolgono a braccia aperte).
Esistono fenomeni di gonfiaggio, che in genere risalgono all’epoca post-Berlinguer, ma esistono università con lunghissime tradizioni disseminate in tutto il territorio. Ci andrei molto piano a evocare ulteriori chiusure. Abbiamo già dato.
In teoria una comunità di studi non dovrebbe neppure rispondere a logiche di utile o di mercato: se ci fossero dieci persone promettenti, dovrebbero avere altrettanti posti.
Diritto allo STUDIO. Giusto parlare di ricerca, ma in Italia solo i ragazzi funzionali all’ Universita’ vanno avanti. La didattica e’ un optional. Quanto potenziale umano sprecato!
ok, tutto bene, benissimo, ma fatelo sapere anche al Ministro, al Governo, agli organi di stampa es: comunicato su un giornale a tiratura nazionale, una sorta di “Università in uscita!” altrimenti sarà troppo autoreferenziale……………….ci vuole più “VISIBILITA’ ALL’ESTERNO”!!!!!!
Wikipedia: Nell’Alto Medioevo grande prestigio ebbe la Schola medica salernitana, da alcuni considerata la prima università (LA PRIMA).
… ma come è stato possibile arrivare a questo punto? La colpa è nostra. Di tutti noi universitari del Nord e del Sud. Ma credo che le colpe maggiori debbano ricadere sugli attuali 60-70enni. Ripeto tutti abbiamo delle colpe, ma nel vedere come si comportano gli attuali 60-70enni, quelli che hanno fatto il 68 e che adesso siedono col culo obeso sulle sedie e gestiscono i posti del comando fa vomitare … si comportano peggio dei baroni che combattevano … la legge Gelmini gli permette di fare porcate senza ritegno e loro le fanno. Non tutti i 60-70enni. Ne ho visto anche dimettersi per principio e per no essere costretto a fare porcate. Ma ne vedo tanti, troppi che continuano a trattare l’Università come “cosa loro”/”cosa nostra” e mi fanno schifo!
Strano, davvero. Non riesco a spiegarmi come sia potuto accadere: la legge Gelmini era stata fatta apposta per sconfiggere i baroni e aprire una lunga era di progresso e prosperità. Come scriveva qualcuno:
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“La riforma proposta dal Ministro Gelmini non corrisponde a tutte le nostre attese. Tuttavia contiene – e in queste ore non lo si ripete mai abbastanza – forti elementi di innovazione. Auspicabili e di certo benvenuti. […] La strada che ci aspetta insomma è sicuramente lunga, e non priva di difficoltà. Ma se lasciamo cadere l’occasione di questa riforma diventa difficile persino muovere i primi passi.”
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http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/unopportunita-da-non-perdere
Forse chi ha scritto quello circa la legge Gelmini sapeva che “L’istituto (università) ha le sue origini nelle chiese e nei conventi europei, dove, attorno all’XI secolo, iniziarono a tenersi lezioni, con letture e commento di testi filosofici e giuridici, e presso di essi, o in genere attorno a grandi personalità ecclesiastiche” … ed ha confuso le personalità ecclesiatiche con i Frati di Roma … “varie categorie di docenti e studenti cominciarono a organizzarsi in corporazioni o universitates.”. organizzazioni che qualcuno ha equivocato
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/02/universita-la-lettera-della-ricercatrice-caro-renzi-io-precaria-a-vita-negli-atenei-dei-bandi-finti-dei-baroni-e-dei-tagli/2425870/
Suggerisco a tutti di leggere questa lettera inviata al pupazzo dalla scrittrice, critica e aspirante docente universitaria Gilda Policastro e pubblicata oggi nel sito del “Fatto”.
La Policastro ha fatto bene e male ad inviarla al pupazzo. Male, perché non servirà a nulla e non riceverà nemmeno risposta, se non – caso mai – un po’ d’aria fritta sulla “santità” di scuola e ricerca e un’oncia di psittacismo neoliberisticamente ideologizzato (con scontato richiamo alla meravigliosa, rivoluzionaria smartness dell’idea delle 500 cosiddette cattedre del merito).
Bene, perché (ammesso e non concesso che la legga fra l’invio di un tweet e quello di un SMS) è comunque cosa giusta che al pupazzo venga almeno schiaffata davanti la fotografia sia del presente sia delle magnifiche sorti e progressive dell’università tutta e in particolare dei non strutturati e ancor più in particolare dei non strutturati premiati-derisi-umiliati dall’attribuzione dell’abilitazione.
Incidentalmente, preciso che sono un non strutturato con abilitazione ad associato e abilitazione a ordinario, e che – of course – ho già preso simpaticamente atto del numero di chances di utilizzarle di cui dispongo/che l’orrido sistema mi accorda: zero