Segnaliamo ai lettori il parere CUN in merito alle equipollenze dei titoli francesi di qualification aux fonctions de maître de conférences ou aux fonctions de professeur des universités e di Habilitation à diriger des recherches con l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN).

PAREREGENERALE20

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16 Commenti

  1. Il fatto che continua ad emergere, negli auspici del CUN, è, a mio modo di vedere, un’interpretazione molto particolare della normativa europea. Essa (vedi direttiva 205/36/CE), in sostanza, prescrive che si debbano riconoscere le qualifiche professionali che, in due stati membri dell’unione, abilitino allo svolgimento di una determinata professione. Il fatto importante NON è che vi siano differenze fra le modalità di conseguimento (altrimenti non vi sarebbe mai riconoscimento: vi saranno sempre delle differenze…), ma che i due titoli si riferiscono alla “stessa professione” che, nei due stati, viene percepita “pressappoco allo stesso livello” (questi concetti sono definiti precisamente ed operativamente dalla direttiva). Quando tali condizioni sono soddisfatte, il riconoscimento è dovuto. Ancora: la norma europea è stata pensata proprio per superare il principio di reciprocità. Prima della nascita dell’Unione, questo principio era fondamentale: io riconosco la tal cosa ad un tuo cittadino se tu fai lo stesso ad un mio cittadino. Ma, con la nascita dell’Unione, questo concetto è divenuto anacronistico: la tal cosa è riconosciuta dai diversi stati dell’Unione proprio perché sono parti dell’Unione, e il riconoscimento avviene sulla base delle leggi comunitarie che ne definiscono l’applicabilità.
    Farebbe davvero piacere vedere che questi concetti, piano piano, vengano assimilati dai decisori politici…

  2. è impensabile riconoscere un’equivalenza tra habilitation a maitre e prof.associato. L’habilitation è quasi automatica in francia, è molto meno selettiva dell’Anr, molto più frequente (si tiene una volta ogni anno) e prevede sistemi diversi di valutazione. Vorrebbe dire che chi non l’ha presa qui corre di là, stile esami di avvocatura non passati in italia e poi fatti in spagna perché automatici. Secondo me non doveva essere concessa alcuna possibilità di equivalenza, neanche valutando il caso specifico.

    • Caro ecolombo, Le faccio notare che questo è proprio il ragionamento di chi si oppone all’apertura europea dei sistemi di studio superiori. In questo modo non si arriverà mai ad un Europa unita dei saperi, in barba a tutti i proclami ufficiali (e anche alle leggi europee). Nel momento in cui uno stato regolamenta una professione (impone cioè il possesso di un’abilitazione, di una qualifica specifica per accedervi) deve anche prevedere che vi siano cittadini dell’unione che quella qualifica la posseggono…Il fatto poi che da noi non si sia riusciti a farla ogni anno (come prevede la nostra legge) non significa che dobbiamo farne pagare le conseguenze ad altri cittadini comunitari. Quanto poi alla difficoltà, in Italia è stata variabilissima, a seconda dei settori…Insomma: le leggi europee (che poi sono leggi italiane, perché recepite nel nostro ordinamento) ci sono…Naturalmente, se i tedeschi o i francesi la pensassero allo stesso modo, non si vedrebbero da loro tanti italiani in posizioni a volte anche di estrema rilevanza. L’abilitazione rappresenta solo la qualifica che permette di competere. Di questo si tratta…Sarebbe bello poi sapere la Sua opinione sul perché l’Italia ha uno dei sistemi meno internazionalizzati del Continente…

  3. Secondo me vi è in giro soprattutto una certa miopia, quando si tratta di internazionalizzazione. Mi spiego: da una parte (e giustamente) ci si lamenta delle poche risorse, dei blocchi stipendiali, della burocrazia impazzita, della bibliometria fine a se stessa. Ma, d’altra parte, non si vede che molti di questi problemi potrebbero essere superati proprio (o almeno: anche) tramite un’apertura del sistema. Nel momento in cui l’Italia avesse la stessa percentuale di “stranieri” che vi è in Germania o in Francia, è molto probabile che anche alcuni modi di vedere “italiani” possano venire meno…In altre parole: più l’ambiente rimane chiuso e più persistono (e magari si rafforzano) i “difetti” del sistema. Invece sembra che, alla fine, domini sempre la paura. A tal punto da rendere impossibili anche cose in realtà fattibilissime…Ma con la paura non si risolvono i problemi…Poi, magari, le novità arrivano dall’alto e tutti si meravigliano…

    • fido: «non si vede che molti di questi problemi potrebbero essere superati proprio (o almeno: anche) tramite un’apertura del sistema. Nel momento in cui l’Italia avesse la stessa percentuale di “stranieri” che vi è in Germania o in Francia, è molto probabile che anche alcuni modi di vedere “italiani” possano venire meno…»
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      Rimango sempre affascinato dalla surrealtà di certi commenti che sembrano parlare di universi paralleli. Mi ricordano Philip Dick.

  4. Caro De Nicolao, non so quale idea Lei abbia del surrealismo, ma forse non ci siamo capiti. Il fatto che negli ultimi anni si sia reclutato poco non implica che allora il sistema si deve chiudere ulteriormente. Non vedo il nesso tra il grafico che Lei mostra e le mie argomentazioni. Me lo spiega?
    Se l’Italia vuole stare in Europa deve anche accettare le regole europee, non è possibile che tanti cervelli escano e così pochi entrino (sono “stranieri” in questo senso anche gli italiani che sono usciti e magari vorrebbero rientrare)…In questo momento, pochi o tanti che siano i reclutati, la situazione è la seguente: NESSUN possessore di un’abilitazione tedesca, francese, austriaca, belga, spagnola ecc HA IL PERMESSO DI PARTECIPARE AD UN CONCORSO ITALIANO ex art. 18 della Legge Gelmini. Semplicemente non possono perchè non hanno l’abilitazione italiana…

  5. “Un piccolo sforzo. Ce la può fare, ne sono sicuro”.

    Però, a costo di dovermi ripetere: a me il fatto che non si risponda alle critiche, ma si utilizzi la battutina mi intristisce profondamente. Mi fa pensare che a certo provincialismo non vi sia proprio rimedio…

    • Mi sembra che un intero articolo di risposta (https://www.roars.it/francesca-puglisi-e-il-valente-professore-di-yale/) possa bastare. Prosciugare finanziamento e reclutamento ai minimi OCSE e poi invocare come toccasana l’apertura a immaginari talenti stranieri che dovrebbero venire nel regno dell’anvurburocrazia kafkiana, con il PRIN che passa ogni tre anni con percentuali di successo da ERC, con nessuna sicurezza di stabilità delle norme (ASN arenata), la necessità di passare dalla corte dei conti per stipulare un contratto, il premier che dice che le università fanno schifo e finanzia per decreto legge una fondazione di diritto privato che, a dispetto del suo statuto, non pubblica nemmeno i bilanci nonostante si nutra di milioni di Euro dei contribuenti: beh, che tutto questo sia surreale è il minimo che si possa dire (ed è anche un aggettivo molto educato).

  6. Non è facile, per le università italiane, reclutare scienziati stranieri. Dobbiamo però ricordare che negli anni novanta quando molti scienziati dei paesi del blocco sovietico erano più o meno costretti ad emigrare, l’Italia fu l’unico paese occidentale a non usufruire dell’opportunità di reclutare scienziati di primo ordine disponibili a trasferirsi in un paese occidentale. Fu l’allora direttore generale dell’università a determinare la chiusura sulla base di un immaginario principio di reciprocità. I ministri “tecnici” Colombo e Salvini, incapaci di imporre una scelta politica, non esitarono a firmare i decreti di esclusione dai concorsi di vincitori provenienti dai paesi dell’ex blocco sovietico.L’occasione è persa per sempre. Questo non giustifica mantenere un atteggiamento di chiusura come quello evidenziato dal parere del CUN. E’ anche vero che quello della maggiore chiusura verso l’esterno era una prevedibile conseguenza del nuovo sistema di concorsi.

    • Concordo con Figà Talamanca, il problema è l’ASN e il nuovo sistema dei concorsi. Quando furono proposte le nuove norme si parlava di qualità, di internazionalizzazione, che si doveva mettere fine alla cooptazione ecc. Leggendo il parere del CUN mi sembra di capire che in Francia si utilizzino procedure molto simili alle nostre vecchie idoneità,quelle che erano scandalose per molti. Se a questo aggiungiamo che “non esiste corrispondenza puntuale tra le discipline che sono oggetto della qualification e i settori concorsuali per i quali è attribuita l’ASN” e che non esiste neanche una riconoscibiltà dei ruoli, abbiamo un perfetto quadro di quanto il nostro sistema universitario sia fuori da qualsiasi possibilità di armonizzazione a livello europeo. Conclusione le riforme che si susseguono ad ogni legislatura, oltre a snaturare le nostre peculiarità ci spingono sempre di più al di fuori del sistema europeo ed internazionale. Come ultimo appunto, ma i commissari in servizio all’estero, francesi, che hanno partecipato all’ASN (se hanno partecipato) cosa hanno capito delle nostre procedure, dei nostri ruoli e dei nostri SSD o SC?

  7. In realtà e’ possibile la chiamata diretta di studiosi che abbiano ricoperto per almeno 3 anni una posizione all’ estero, inquadrandoli nella analoga posizione italiana, basta averci i soldi. Infatti il finanziamento ministeriale apposito e’ piuttosto ridotto (quest’anno garantiscono solo una chiamata per ateneo e qualcosa di più a quelli più grandi).
    Per quel che riguarda i Maître de Conférences e’ una vecchia questione, ma sono di fatto dei ricercatori non dei professori associati.
    Invece non capisco perche non riconoscere le abilitazioni da professore (non la HDR ) per i concorsi italiani

    • giusto
      ci sono anche altri strumenti, ma poco usati (borse montalcini), dovrebbe essercene un altro allo studio per equivalenze tra progetti europei vinti (con periodo passato all’estero, vedi Marie Curie) e posizioni da noi.
      ma Hdr e maitre no

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