«Il Decreto legislativo del 17 aprile 2017, n. 59, che dà seguito all’articolo 1, commi 180 e 181, lettera b) della Legge n. 107/2015, all’articolo 5, commi 1, 2 e 4, e all’articolo 9, commi 3 e 4, prevede l’emanazione di un successivo decreto riguardante i 24 CFU necessari per l’accesso al concorso per posti di insegnante nelle scuole secondarie e al primo anno di specializzazione previsto nel percorso FIT (Formazione Insegnamento Tirocinio). A seguito della richiesta della Direzione generale per lo studente, lo sviluppo e l’internazionalizzazione della formazione superiore, il Consiglio Universitario Nazionale esprime un parere sulla messa a regime del sistema di formazione iniziale di accesso al ruolo, sulla disciplina transitoria, sui settori e contenuti dei 24 CFU necessari per l’accesso al concorso e sui contenuti del primo anno di specializzazione e del successivo biennio del percorso FIT. Si ribadisce che è fondamentale considerare i 24 CFU e il percorso FIT come un percorso unitario finalizzato a una formazione completa ed equilibrata del futuro insegnante. Consapevole della complessità e dell’importanza della messa a regime del nuovo percorso per la formazione degli insegnanti, il CUN sottolinea con forza la necessità di individuare risorse aggiuntive da destinare allo scopo sia presso il sistema universitario nazionale che presso il sistema nazionale dell’istruzione secondaria. L’Allegato, parte integrante del presente parere, raccoglie le proposte relative ai contenuti e ai Settori Scientifico Disciplinari per i 24 CFU necessari per l’accesso al concorso e ai contenuti per il percorso FIT nelle diverse classi di concorso.» (dal sito CUN).
Segnaliamo ai lettori il corposo parere del CUN relativo al Decreto legislativo recante riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria, a norma dell’art. 1 commi 180 e 181 lett. b) Legge 107/2, e il relativo allegato.
Pareri, pareri, pareri,
quanto valgono i pareri del Cun?
Sono vincolanti?
Certi commenti mi fanno pensare che qualcuno meriti il suo destino. Chi aspira ad una carriera accademica dovrebbe avere un minimo di conoscenza delle istituzioni e dei loro compiti. Nel caso in esame prima di dare briglie sciolte ai polpastrelli potrebbe persino leggere qualche riga del parere scoprendo che è stato richiesto dal una Direzione Generale del MIUR. Io non capisco come si possa essere studiosi seri nella propria disciplina e perdere invece ogni rigore quando si commenta su questioni istituzionali.
Forse perché la politica (compresi i Ministri) ignorano (nella pratica) costantemente i documenti e le prese di posizione di organi e professori universitari, pur se connotati dalla massima ragionevolezza.
La mia non è una polemica, ma una domanda sulla reale vincolatività di un parere del Cun in riferimento alla reale intenzione della politica di tenere conto dello stesso. Altrimenti sembra un contentino della serie “abbiamo sentito tutti persino il Cun e poi facciamo come ci pare”
correzione: ignora (e non ignorano)
Questa storia dei 24 crediti sociopsicoqualcosa ci sta stroncando. E’ il frutto di un ’68 che si è fatto burocrazia, della prevalenza della chiacchiera metodologica sulla conoscenza delle materie, dell’insegnare a imparare e fuffologia assortita.
I nostri studenti sono abbastanza disperati, non sanno dove inserirli e rinunceranno ad esami più qualificanti per poter mettere le varie pedadidattiche.
Un altro splendido risultato del nostro scintillante miur: Kazzenger al confronto è pura scienza.
Condivido per intero il suo commento.
Sostituire la conoscenza e lo studio delle strutture complesse delle discipline con la chiacchiera su come vanno insegnate -separando in modo insensato contenuto e metodi- è una delle più dannose conseguenze del didatticismo imperante al Ministero (e non soltanto in quello italiano).
Ho cercato di meglio motivare questo giudizio in un testo intitolato “Educazione e antropologia”: https://www.biuso.eu/2017/06/11/pedagogia/
Perfettamente d’accordo. Sono due le qualità a fare il buon insegnante: 1) l’ottima conoscenza della disciplina o delle discipline insegnate; cosa non affatto scontata secondo l’esperienza fattami dopo un quindicennio di insegnamento nei vari corsi abilitanti SIS, PAS e TFA; 2) innate capacità di interazione con i discenti per fare amare, o almeno interessare, le materie insegnate. Doti appunto innate, che in quanto tali non si può né insegnare né apprendere. I buoni insegnanti si riconoscevano dalle loro qualità comunicative, dalla loro personalità. Costoro hanno saputo trasmettere un sapere che spesso ha indotto gli ex studenti a diventare docenti essi stessi. Domanda retorica: non per rimpiangere il buon tempo antico, ma questi si sono formati a base di corsi psicopedagogici? Ma per favore. Oggi, dopo l’adozione – o, meglio, imposizione – di nuovi sistemi di insegnamento/apprendimento risultato dell’onda sessantottina, i livelli di acculturazione di chi esce dalla scuola di secondo grado si sarebbero dovuti implementare oltre ogni misura. Mentre invece sta sotto gli occhi una realtà ben diversa.
Ma non importa: l’importante è ottemperare al nuovo didattichese imposto per via burocratica: buoni insegnanti saranno quelli che meglio padroneggiano le loro materie? No, certo, troppo facile. Lo saranno solo coloro che hanno superato gli appositi percorsi psico pedagogico didattici, opportunamente certificati.
Della bellezza come concetto in sé, è difficile se non impossibile individuare i presupposti teorici, ma ugualmente vi è accordo quasi generale nel valutare se qualcuno sia bello o meno. Lo stesso per gli insegnanti. Cosa differenzia il buon insegnante da uno scarso? Avere superato gli esami relativi a come si deve insegnare? Difficile crederlo. Eppure, di solito si sa benissimo se un insegnante è davvero bravo oppure un cane che farebbe meglio a cambiare mestiere. Lo intuiscono persino gli studenti, che anche qualora siano ignoranti come asini possiedono comunque antenne sensibilissime da captare ottimamente certe realtà.
E’ un parere ampio ed articolato che il MIUR deve leggere con la lente dei saperi disciplinari e metodologici e applicare con l’obiettivo di risolvere definitivamente il grande problema della formazione docente in Italia. Le ricadute di questa diversa formazione si vedranno a distanza perchè bisogna assorbire i precari e i vincitori di concorso. Ciononostante necessita sin da ora una consapevolezza nuova da parte degli Atenei: la diversità tra sapere disciplinare e metodologico di ogni singola disciplina scolastica. Ciò non significa dividere il sapere dall’insegnamento del sapere, significa unire le 2 parti perchè insieme concorrano a una buona formazione docente. Per chiarezza bisogna fare un esempio: l’insegnamento dell’educazione fisica e i saperi corrispondenti M-EDF/01 e M-EDF/02. I 2 titoli e le declaratorie si distinguono sostanzialmente tra motorio e sportivo lasciando in comune i metodi e le didattiche. La declaratoria e il relativo titolo del Settore concorsuale dei 2 SSD, essendo in Area Medica, amplificano il sapere ed eliminano i metodi e le didattiche. Per le necessità della formazione e della ricerca per il campo scientifico relativo alla professione docente dovrebbero avere peso, invece, i metodi e le didattiche. Nel parere CUN non emerge con nitidezza l’unicum necessario tra le 2 parti: 1)sapere, 2)metodi e didattiche; emerge altresì una amplificazione, quasi disciplare, dei Metodi e Didattiche Generalizzati e cioè i saperi della Pedagogia e Psicologia. Nella scuola i metodi e le didattiche dell’Italiano sono differenti da quelli della Matematica anche se lo studente è lo stesso; la concezione cognitivista, mente al centro, ha lasciato posto a quella fenomenologica dove conta il contesto. Il contesto è connotato dalla significatività dell’azione pertanto le singole menti si adattano all’azione; se l’azione è espressiva verbale (Italiano)non avrà gli stessi metodi e didattiche della logica matematico-scientifica (Matematica). In tale ottica Italiano e Matematica non possono avere la medesima base comune inerente ai metodi e alle didattiche. Se si persevera con la distinzione tra Saperi disciplinari e Pedagogia si continuano a esaltare le eccellenze mentre i c.d. normali e diversi sono lasciati al loro naturale percorso scolastico. Non credo che il nostro Paese necessiti di Eccellenze, ha bisogno invece di allargare la base culturale (Normali e Diversi). La scuola per adeguarsi alle necessità economico-sociali deve essere più inclusiva anche nell’azione dei metodi e delle didattiche disciplinari.
Gent.mo Cittadino Qualunque,
si chiamano fanfole, supercazzole o anche in modi più volgari.
per l’intanto, la libertà dello studente di mettersi 12 crediti a scelta, uno dei principi sacrosanti del piano di studi, salta completamente. Tanto per cambiare, un principio di libertà.