Nei mesi scorsi, da fronti parlamentari opposti, le forze politiche che oggi compongono la nuova compagine governativa avevano depositato due diversi disegni di legge di riforma del sistema di reclutamento universitario. La sfida del nuovo governo sul fronte dell’istruzione adesso sarà dunque quella di dialogare e convergere su una coraggiosa e non più rinviabile riforma del dottorato e del reclutamento dei ricercatori nelle nostre università.
Dopo aver commentato la proposta firmata da alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle, dunque, in questo articolo l’ADI esprime un parere anche sul disegno di legge presentato da alcuni parlamentari del Partito Democratico, il DDL a prima firma del Sen. Francesco Verducci. La proposta in oggetto riprende, perlomeno a grandi linee, lo spirito della campagna Ricercatori Determinati promossa nel 2018 dall’ADI – Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia e dalla FLC-CGIL, una piattaforma di proposte elaborate durante un percorso collettivo di confronti realizzati in diversi atenei italiani e finalizzate a dare dignità, tutele e certezze al lavoro dei ricercatori delle nostre università.
Tra le principali novità introdotte dal disegno di legge Verducci vi è l’abrogazione dell’assegno di ricerca quale strumento principale di pre-ruolo, l’eliminazione della figura del Ricercatore a Tempo Determinato di tipo A e la trasformazione di quella di tipo B in un’unica modalità di accesso al pre-ruolo in tenure track. Dal DDL in esame emerge quindi la giusta volontà di superare la logica di straordinarietà ed emergenza dalla quale è stato guidato il reclutamento universitario negli ultimi anni: nell’ultimo decennio le assunzioni sono state condotte soprattutto tramite i piani straordinari per RTDb che – anche al netto dell’insufficienza numerica rispetto ai pensionamenti – rendono inevitabilmente più complessa la programmazione per il sistema universitario rispetto ad un più auspicabile sistema di reclutamento ordinato e ciclico. Si tratta quindi di una necessità per gli atenei, ma anche di una necessità per il personale poiché, rispetto alla corsa a ostacoli attuale, permetterebbe un più ordinato – e sereno – percorso di vita ai tanti che aspirano a lavorare in campo accademico.
Riteniamo inoltre che per perseguire la democratizzazione del sistema universitario e la lotta al “baronato”, oltre a potenziare il reclutamento, sia necessario ridurre la ricattabilità di chi entra nel sistema. Questo testo sembra andare nella giusta direzione dal momento che ipotizza tempi più ragionevoli per l’ingresso in ruolo rispetto alla situazione attuale in cui è pressoché impossibile che ciò accada prima del compimento dei 40 anni di età.
Le proposte sul dottorato
Nello specifico, le previsioni contenute negli articoli 2 e 3 della proposta di legge puntano all’innalzamento dell’importo minimo delle borse di dottorato al minimale contributivo INPS e l’abolizione totale del contributo per l’accesso ai corsi di dottorato. Per quanto attiene alla prima delle due previsioni, va notato che sarebbe anche importante specificare nel DDL che l’adeguamento deve avvenire in modo automatico ogni anno, cosa non precisata nell’attuale testo. Per quanto attiene invece alla seconda previsione, sarebbe importante specificare nel DDL che l’abolizione del contributo per l’accesso e la frequenza riguarda i dottorandi con borsa, dal momento che tale contributo non è previsto per i dottorandi senza borsa; a tale misura dovrebbe corrispondere un finanziamento compensativo stimato di € 3.000.000.
Le previsioni di cui all’art. 4 riconducono la possibilità di posizioni di dottorato sovrannumerarie e senza borsa in un alveo di utilizzo più opportuno rispetto alla pratica attuale, prevedendo che siano destinate alla migliore formazione dei dipendenti della Pubblica Amministrazione.
Il DDL, inoltre, viene incontro alle istanze che l’ADI ha avanzato con le proprie proposte sul riconoscimento del valore del dottorato, quando prevede al comma 4 dell’articolo 4 che nelle procedure di reclutamento del personale delle pp. aa. il punteggio attribuito al titolo non possa essere inferiore a quello proporzionale ai crediti formativi universitari (CFU) ad esso riconosciuti rispetto a quelli riconosciuti agli altri titoli eventualmente rilevanti ai fini del concorso.
Postdoc e reclutamento universitario
Aspetto centrale del DDL (articoli da 5 a 9) è la riconfigurazione delle possibilità contrattuali all’interno del sistema universitario, dove viene proposto un impianto coerente con quanto richiesto in Ricercatori Determinati. Preliminarmente, riteniamo necessario che venga specificato anche che tutte le forme contrattuali in uso nel sistema universitario devono essere di tipo subordinato, con tutti i diritti e le tutele che ne conseguono.
All’articolo 5 viene prevista l’istituzione dei contratti di ricerca senza tenure-track, stipulabili per una o due annualità e non rinnovabili, che sostituiscono gli attuali assegni di ricerca. Quest’ultima contrattualizzazione si è dimostrata, negli anni, uno strumento di fortissima precarizzazione e ricattabilità dei ricercatori; la sua sostituzione con un contratto con maggiori garanzie è una delle massime priorità del sistema.
All’articolo 6 è disciplinata l’istituzione del contratto unico dei ricercatori a tempo determinato, il quale si articola in due fasi: una prima di tre anni, destinata principalmente all’attività di ricerca (detta “Junior”) e una seconda, successiva a una valutazione individuale superata con esito positivo, di due anni, con ridefinizione delle attività e incremento dell’impegno nella didattica e servizio agli studenti (detta “Senior”).
Gli articoli 7, 8 e 9 delineano la fase transitoria tra il sistema attualmente in vigore e quello prospettato nella riforma: RTDa abilitati ASN e studiosi abilitati ASN che hanno svolto almeno tre anni di assegno di ricerca accederebbero ai bandi per essere integrati come RTD Senior. Gli studiosi non abilitati ASN ma che hanno svolto almeno tre anni di assegno di ricerca accederebbero ai bandi per RTD Junior.
Riteniamo qui opportuno aprire una riflessione sulle previsioni di cui all’art. 6.1, sezioni “a” e “b/5”, che demandano ai regolamenti di ateneo, rispettivamente, il quadro per la contrattualizzazione degli RTD e quello per la loro valutazione. Dette previsioni confermano una parte del testo già esistente nella L. 240/2010, mentre sarebbe opportuno prevedere un sistema organico nazionale (linee guida o regolamento), evitando così il rischio che di ateneo in ateneo ricercatori contrattualizzati allo stesso modo debbano affrontare compiti e i criteri differenti.
Infine, una nota sulle previsioni di spesa: per quanto i 300 milioni di Euro indicati nel presente DDL per la fase transitoria costituiscano un investimento congruo, riteniamo che il sistema necessiti anche di un finanziamento stabile significativamente superiore a quanto ricevuto negli ultimi anni. La nostra richiesta al Governo nei mesi scorsi è stata quella di investire 1,5 miliardi di Euro, corrispondenti allo 0,075% del PIL 2018. Questo è necessario per ovviare ai disastrosi risultati del definanziamento e blocco del turnover attuato dalla Legge 240/2010 e riportare l’Italia in linea con i sistemi accademici degli altri Paesi europei, sia per ordine di grandezza degli investimenti, sia per dimensione dell’organico in relazione alla popolazione e agli iscritti, indici che ci vedono da anni ormai come fanalino di coda dell’Europa e dell’OCSE.
Auspichiamo dunque che questo disegno di legge possa entrare nel già avviato dibattito parlamentare sul tema e che le istanze qui rappresentate vengano seriamente prese in considerazione dal nuovo Governo.
Queste proposte di legge glissano tutte sulla madre di tutti i problemi: il fatto che vi sia tutta una generazione di docenti che ha avuto tardo accesso alla carriera universitaria perché non si indicevano concorsi, poi assunti non hanno avuto progressione carriera perché dovevano cedere il passo ai più anziani, e ora maturi, si vedono sbarrato l’agognato avanzamento perché bisogna far posto ai giovani.
Sono senz’altro d’accordo nel semplificare la carriera per i giovani, sostenere i dottori di ricerca (so cosa vuol dire trovarsi in una città nuova e autofinanziarsi con la sparuta borsa), ma non posso esserlo con le artificiali tattiche (ASN) usate per sbarrare il giusto avanzamento.
Possibile che i nostri politici non vogliano riparare un errore ripetuto? Chi si è visto danneggiato da questa politica universitaria può fare una class action?
Secondo me TUTTE le proposte recenti (anche quelle migliori come quella del Movimento Dignita’ di Ferraro) hanno un difetto fondamentale, ossia che si limitano alla sola Universita’ ignorando gli Enti Pubblici di Ricerca (EPR), eppure (come gia’ detto a Ferraro):
in molte discipline il personale degli EPR e’ numericamente rilevante o perfino preponderante (p.es. nell’astrofisica lo staff scientifico dell’INAF e’ certamente maggiore del personale universitario del SD 02/C1)
in alcuni EPR (soprattutto INAF e in misura minore INGV), dopo le riforme del 2003-2005, coesiste tuttora personale con stato giuridico assimilato a quello universitario ma “ad esaurimento” con personale contrattualizzato secondo il contratto degli EPR)
e’ almeno dal 1982-86 che il personale scientifico degli EPR contrattualizzato attende di ottenere uno stato giuridico, ci era stato molto vicino nella primavera del 2016 quando una “bozza riservata” (tuttora reperibile sul sito FLCGIL) del decreto Madia proponeva di inserire il personale scientifico degli EPR nell’Art.3 comma 1 del DL 165/2001 (lo stesso che al comma 2 mantiene lo stato giuridico universitario) … purtroppo tale clausola fu cassata su richiesta del MEF nella stesura finale.
dovrebbe essere evidente a chiunque il completo parallelismo tra le posizioni e le carriere negli EPR e nell’Universita’ (dagli Assegni di Ricerca regolati ora con Disciplinari propri di ogni Ente, alle posizioni da Ricercatore o Tecnologo a tempo determinato, alle tre fasce del personale a tempo indeterminato, Ricercatore, Primo Ricercatore, Dirigente di Ricerca e le analoghe dei Tecnologi) … parallelismo anche nei problemi, come la carenza di concorsi di avanzamento
andrebbe pertanto regolamentato e facilitato, anzi incentivato, il passaggio BIDIREZIONALE tra EPR e Universita’ con riconoscimento e ricostruzione della carriera (a tal proposito noto come gli EPR mantengano nel caso del passaggio INTERNO di fascia, la ricostruzione dei 2/3 della anzianita’ pregressa …)
senz’altro ognuno di noi conosce la sua porzione … Certo il panorama deve essere integrato. Sento la necessità di una riscrittura corale delle regole per la progressione carriera, con un superamento dell’ASN. Mi rendo conto che chi ha superato non sopporta che le regole vengano cambiate. Ma almeno una qualche pausa con ripresa o almeno apertura a percorsi di progressione diversi: non è vero che sono rimasti al palo i meno meritevoli…