Come si risponde alla richiesta di enti finanziatorie riviste che i dati della siano resi accessibili (non aperti) secondo i principi FAIR (findable, accessible, interoperable, reusable)? Spesso i ricercatori si trovano con armi spuntate di fronte a queste richieste perché implicano competenze specifiche che non fanno parte normalmente del loro bagaglio di conoscenze. L’Università di Bologna ha riconosciuto la necessità di supportare i propri ricercatori attraverso servizi ad hoc per la gestione dei dati ed ha avviato un progetto per il reclutamento, la formazione e la messa a disposizione delle diverse comunità disciplinari di figure di data steward che possano essere un supporto per tutte le attività legate alla gestione dei dati secondo i principi indicati dagli enti finanziatori. Abbiamo chiesto a Francesca Masini (Delegata per la scienza aperta e i dati della ricerca presso l’Università di Bologna) e al gruppo di data steward che lavora con lei di spiegarci come si è arrivati all’implementazione di questo servizio.
Una delle richieste che arrivano ormai costantemente sia dagli enti finanziatori della ricerca, sia dalla maggior parte delle riviste è che i dati siano resi accessibili (non aperti) secondo i principi FAIR (findable, accessible, interoperable, reusable).
Spesso i ricercatori si trovano con armi spuntate di fronte a queste richieste perché implicano competenze specifiche che non fanno parte normalmente del bagaglio di conoscenze di un ricercatore. Non ci riferiamo alla produzione o alla elaborazione dei dati, ma a tutto ciò che vi sta intorno, e quindi ad una gestione che nelle diverse fasi del ciclo di vita dei dati sia in grado di garantire la trasparenza dei processi e la riproducibilità o replicabilità delle ricerche.
L’Università di Bologna ha riconosciuto la necessità di supportare i propri ricercatori attraverso servizi ad hoc per la gestione dei dati ed ha avviato un progetto per il reclutamento, la formazione e la messa a disposizione delle diverse comunità disciplinari di figure di data steward che possano essere un supporto per tutte le attività legate alla gestione dei dati secondo i principi indicati dagli enti finanziatori.
Abbiamo chiesto a Francesca Masini (Delegata per la scienza aperta e i dati della ricerca presso l’Università di Bologna) e al gruppo di data steward che lavora con lei di spiegarci come si è arrivati all’implementazione di questo servizio.
Roars: Cosa è un data steward?
Il data steward è una figura professionale che ha competenze sia in ambito di ricerca, sia in campo tecnico-amministrativo. È un esperto – preferibilmente specializzato in un dominio disciplinare (in possesso di dottorato di ricerca o laurea magistrale) – che ha competenze specifiche nella gestione, organizzata e responsabile, dei dati della ricerca durante tutto il loro ciclo di vita, dalla fase di raccolta a quella di deposito e condivisione.
I data steward sono ascrivibili a tre macrocategorie di supporto: ai ricercatori, alla governance, allo sviluppo di infrastrutture. I data steward di UniBo supportano i ricercatori (o i gruppi di ricerca) nella corretta gestione dei dati di ricerca (FAIR Research Data Management –RDM) e nella redazione del Piano di Gestione dei Dati (Data Management Plan – DMP). Supportano inoltre la Governance di Ateneo nella promozione dei principi FAIR e dell’Open Science in generale. Le azioni di supporto ai ricercatori sono per il momento focalizzate principalmente sui progetti di ricerca competitivi, ma coprono tutta la comunità accademica, con livelli di servizio mirati e differenziati.
R: Come siete arrivati alla progettazione ed implementazione del vostro progetto
Nel 2021, l’Università di Bologna ha identificato la necessità di supportare i ricercatori nella gestione FAIR e Open dei dati della ricerca creando una nuova figura di data steward, professione già presente a livello internazionale, soprattutto nell’Europa settentrionale (Olanda, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania).
A questo scopo sono stati banditi cinque assegni di ricerca per ciascuna delle macroaree disciplinari dell’Università di Bologna: Humanities, Social Sciences, Medicine, Technology, Science. Il reclutamento è iniziato a fine 2021 e a maggio 2022 tre data steward (Humanities; Social Sciences; Medicine) sono entrati in servizio. Dapprima si sono formati su temi trasversali, seguendo corsi specifici e studiando materiali già esistenti e disponibili online, anche con il supporto del personale della Digital Library di Ateneo (AlmaDL) specializzato nel deposito dei dati della ricerca attraverso il repository istituzionale (AmsActa). Un punto chiave della formazione è stato quello di mettere a fuoco gli aspetti chiave di un processo di ricerca: privacy, proprietà intellettuale e principi base di lifecycle management al fine di permettere ai data steward di mettere a frutto le competenze di principi di Open Science e Research Data Management nel più ampio contesto di ricerca.
Successivamente, sono entrati nel vivo dell’azione cominciando a fornire supporto ai beneficiari di progetti di ricerca competitiva (es. Horizon Europe e PNRR in primis e poi, via via, su altre linee di finanziamento e anche a prescindere dalla ricerca competitiva). A novembre 2022, si è aggiunta al gruppo una quarta data steward (area Technology), che è stata formata dai colleghi.
Da marzo 2023 UniBo ha costituito un Gruppo di Lavoro Open Science (GLOS) che mira a contribuire all’implementazione delle azioni strategiche e a supportare l’Ateneo nella definizione di policy e nuove azioni, con la collaborazione dei Referenti Open Science dei Dipartimenti (nominati nella primavera 2023). All’interno del GLOS sono presenti rappresentanti delle aree tecnico-amministrative coinvolte, tra cui l’area della ricerca (ARIC), dove i data steward operano.
I data steward svolgono il ruolo di punto di contatto per la gestione dei dati di ricerca, collaborando strettamente con il personale di supporto alla ricerca competitiva, la Digital Library e gli esperti di Privacy e IPR. Il raccordo tra i data steward e gli altri servizi di supporto ai processi di ricerca è il punto focale del progetto Data Steward @UniBo, in quanto un rapporto sinergico tra le diverse competenze è fondamentale per poter guidare il ricercatore nel trovare le migliori risposte nei tempi necessari.
Le attività dei nostri data steward, a oggi, comprendono la promozione dell’applicazione dei principi FAIR, il supporto alla stesura del Data Management Plan, la formazione della comunità accademica sui temi di loro competenza (tramite incontri diretti, lezioni, materiali di supporto) e la partecipazione alle reti e alle iniziative di Open Science e Research Data Management, sia a livello nazionale che internazionale.
R: Quali sono state le difficoltà che avete incontrato nella realizzazione di questo progetto
Le difficoltà che abbiamo incontrato sono state di diversa natura: tecniche, scientifiche e comunicative. Dal punto di vista tecnico, la figura del data steward (pur essendo già presente in diversi paesi del Nord Europa) è ancora molto incerta dal punto di vista della definizione e dell’inquadramento professionale, essendo a metà strada tra il ricercatore e il personale tecnico-amministrativo di supporto alla ricerca. Non c’è ancora un percorso condiviso e certo per la formazione di queste risorse (una questione su cui stanno lavorando diversi progetti, tra cui Skills4EOSC e la task force in seno ad EOSC) e non è chiaro quale tipo di posizione possano o debbano ricoprire all’interno delle università. Inoltre, non tutti gli ambiti disciplinari sono “pronti” per interfacciarsi con la figura del data steward, che – ricordiamo – dovrebbero essere prima di tutto esperti di dominio. Da un lato, in alcuni ambiti disciplinari – ad esempio le Humanities – la nozione di “dato della ricerca” è piuttosto controversa. Dall’altro, anche il reclutamento non è stato banale (complice l’incertezza che avvolge – speriamo ancora per poco – la figura professionale del data steward), tant’è che non siamo riusciti a reclutare un data steward per l’area Science. Infine, anche la comunicazione rivolta alla comunità dei ricercatori sul nuovo servizio di data stewardship, sulle sue finalità e sull’importanza cruciale che riveste e sempre più rivestirà, non è stato un passaggio scontato e costituisce una delle sfide che stiamo affrontando adesso. Lo scopo è diffondere una nuova cultura della gestione dei dati, che diventi sempre più quotidiana e “automatica” nel nostro modo di fare ricerca.
R: Quali sono i risultati ottenuti fino ad ora?
Con il reclutamento dei data steward è stato possibile mettere in piedi un servizio di supporto ai ricercatori e alla governance di Ateneo. Per quanto concerne le attività con i ricercatori, il focus è sulla preparazione di materiale ausiliario per il Research Data Management, sul supporto all’identificazione del dato della ricerca e alla redazione del Data Management Plan, con particolare attenzione agli aspetti trasversali necessari per avere risultati di qualità in ambito di progettazione, tra cui etica, privacy e proprietà intellettuale. Al momento i progetti supportati sono più di 35, principalmente Horizon Europe (MSCA, ERC, Coordinati), ma anche Horizon 2020, PNRR, PRIMA, COST. Per quanto riguarda invece il supporto alla governance, l’attività principale al momento è lo sviluppo di una policy di Ateneo sulla corretta gestione dei dati della ricerca. Parallelamente, i data steward portano avanti anche un lavoro di promozione della cultura del Research Data Management e dell’Open Science rivolto alla comunità di UniBo, tramite presentazioni e incontri, la predisposizione di guide e materiali web, e l’elaborazione di video pillole divulgative. Infine, i data steward partecipano attivamente alle maggiori conferenze riguardanti Open Science e Research Data Management, sia per portare l’esperienza UniBo, sia per acquisire nuove competenze e confrontarsi sulle pratiche migliori con esperti di Paesi che hanno iniziato questo percorso in anticipo rispetto all’Italia.
R: Come è stato accolto questo tipo di supporto dai ricercatori?
L’accoglienza da parte dei ricercatori è stata in generale molto buona. La maggioranza dei ricercatori ha accolto con entusiasmo un servizio che ha semplificato la gestione FAIR dei dati seguendo i principi dell’Open Science, passando così da un mero assolvere ad obblighi legati alle richieste dei finanziatori di progetto alla promozione di una nuova cultura per rendere la scienza più efficiente, trasparente e facilmente riproducibile. Questo ultimo passaggio può sembrare banale, ma all’interno di progetti di ricerca competitiva che richiedono sforzi e competenze disciplinari specifiche, estremamente complesse e articolate, è risultato un aspetto cruciale per facilitare l’accesso dei ricercatori a nuove conoscenze che li renderanno più competitivi con gli omologhi europei. Stiamo inoltre registrando con piacere che ricercatori supportati in ambito progettuale ricontattano i data steward, anche a prescindere dagli obblighi previsti dagli enti finanziatori, per poter ricevere supporto nella gestione dei propri dati e migliorare in tal senso le pratiche di ricerca.
R: Quali sono gli sviluppi che avrà questo servizio?
In futuro ci auguriamo che il servizio si possa man mano consolidare. Continueremo a mettere in atto le azioni già in essere e ne aggiungeremo altre, come per esempio l’ampliamento delle relazioni con i colleghi in Italia e nei Paesi europei che stanno iniziando adesso un percorso simile, per condividere conoscenze e competenze, ma anche la produzione di guide specifiche per la comunità di Ateneo, la promozione di queste tematiche specialmente per i dottorandi e i ricercatori all’inizio della carriera, e la partecipazione al dibattito scientifico. In particolare, stiamo mettendo in campo la nostra esperienza per contribuire alla creazione di una comunità di pratica a livello nazionale (in collaborazione con il già citato progetto Skills4EOSC) e stiamo conducendo uno studio sulla diversità dei dati della ricerca che possa servire a individuare esigenze e problemi nella gestione dei dati in ambiti disciplinari diversi, con l’obiettivo ultimo di migliorare il servizio di data stewardship e contribuire al dibattito sugli schemi di metadatazione in ottica transdisciplinare. In ambito interno, puntiamo a migliorare il supporto ai ricercatori, anche in termini di risorse e infrastrutture, e a potenziare le azioni formative e informative per la nostra comunità.
R: Quali consigli vi sentite di dare a una istituzione che intenda avviare un progetto analogo?
Per intraprendere questo percorso è necessaria, innanzitutto, una forte volontà politica e un’adesione consapevole ai principi di scienza aperta. L’Università di Bologna ha creduto fortemente in questo progetto perché riconosce pienamente la centralità dei dati della ricerca, della loro corretta gestione in linea con i principi FAIR e della loro valorizzazione per massimizzare la qualità e l’impatto della ricerca scientifica. Credo che queste siano le premesse fondamentali. Ma è anche importante che il progetto non sia un’isola, ma sia inquadrato all’interno di una cornice più ampia di servizi a supporto all’Open Science, un ambito sempre più trasversale che richiede competenze diverse e la loro messa a rete.