Questo articolo è uscito sul numero odierno di Pubblico con il titolo: Il diritto allo studio non esiste più. Benvenuti nell’università d’élite.

Tempo di immatricolazioni universitarie e non hai soldi? Fai una passeggiata in posta. Ci troverai uno sportello dalle tinte giallo-blu con un logo a forma di scatola di biscotti. Dietro a questa cauta evocazione familiare c’è una campagna promozionale intitolata “Io studio”. “Io studio” è il servizio prestiti offerto dalle poste italiane agli studenti. “E’ la soluzione ideale per sostenere i progetti di studio della tua famiglia”, dice la campagna promozionale.  “Se tuo figlio frequenta la scuola elementare il prestito è di mille euro, invece sono tremila “se tuoi figlio è iscritto all’università”. La promozione, valida sino al 6 novembre, ti consente giusto giusto di pagare le tasse in tempo. Insomma: tuo figlio vuole raggiungere i gradi più alti degli studi? Oggi c’è Io studio, il prestito atto apposta per te.

Ma come: non c’era un articolo costituzionale (l’Art. 34) secondo il quale la Repubblica rende effettivo il diritto dei “meritevoli ma privi di mezzi” a raggiungere “i gradi più alti degli studi” “con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”? Si, l’articolo c’è ancora, ma le borse non ci sono più. O meglio, in Italia ci sono pochi studenti e meno borse. Di fatto, l’Italia è l’unico paese in cui esistono idonei senza borsa, studenti che il concorso per accedere alle cosiddette provvidenze lo vincono, ma oltre alla gloria non ci guadagnano nulla. In breve: dopo cinquantacinque anni dall’approvazione dell’Articolo 34 qualcuno si è accorto che di studenti è meglio averne pochi, piuttosto che tanti, meglio ancora se di mezzi non sono privi, ma ricchi.

Tasse più alte, debito studentesco e numero chiuso: benvenuti nel nuovo anno accademico. Sì, perché un pò come la scatola di biscotti gialla e blu della campagna prestiti Banco Posta, anche il numero chiuso sembra una cosa innocente. Ma non lo è. Sarebbe un errore sottovalutare quanto è avvenuto quest’anno. Storicamente ci sono sempre stati corsi di laurea a numero programmato. Ma quest’anno secondo le organizzazioni studentesche i corsi a numero chiuso sono addirittura il 54% del totale. Questo include i corsi di laurea storicamente programmati, come medicina e chirurgia, architettura e giurisprudenza. Ma per la prima volta include anche i corsi tradizionalmente aperti, come storia, filosofia, storia dell’arte. Alcuni atenei, penso per esempio agli atenei di Palermo e Catania, hanno inserito lo sbarramento in tutti i corsi. Per capire la ratio di questo intervento torna utile Meritocrazia di Abravanel. Con una disoccupazione giovanile oltre il 35%, non ha senso che studino tutti. Meglio “creare alcune poche università eccellenti […] e monopolizzare l’accesso ai migliori posti di lavoro” (p. 135). Di fatto, dal Decreto Ministeriale 17 in poi, non è bastato ridimensionare l’università pubblica. Bisogna liberarsi degli studenti.

Facciamo un passo indietro. Da Tremonti in poi, infatti, l’università italiana ha visto un rapido ridimensionamento. Il Fondo di Finanziamento Ordinario (Ffo) è sceso da 7,4 miliardi nel 2008 a 6,45 miliardi nel 2013. Stando al rapporto Oecd Education at a Glance 2012,l’Italiasfigura quanto a finanziamento pubblico, edè penultima quanto a spesa per studente. Paradossalmente, con questi tagli, il sistema universitario ha potuto reggere negli ultimi anni proprio grazie ai pensionamenti e alla riduzione dell’organico, passato da 64 a 54 mila docenti e ricercatori negli ultimi quattro anni. Quando si parla di turnover bloccato, di 20 mila ricercatori precari, post-doc, assegnisti, co.co.co che hanno abbandonato l’università nell’ultimo anno, dei più di 1100 corsi di laurea tagliati dal 2010 al 2011, pertanto, non stiamo parlando di problemi. Secondo il rettore della Iulm Puglisi l’ideale sarebbe tagliare direttamente il 70% degli atenei. Insomma: in Italia l’accesso all’istruzione terziaria ha ancora connotazioni di classe anacronistiche, riporta l’ultimo rapporto Ocse. Eppure la mancanza di accesso all’istruzione pare non essere un problema, bensì una soluzione.

È evidente che su questo punto si sta giocando una partita importante. Da anni, il movimento studentesco è impegnato contro la liberalizzazione delle tasse e il numero chiuso. Di fatto, dal Settecento in poi l’istruzione aperta e gratuita per tutti è stata cartina tornasole della struttura democratica di ogni paese. È stato Allende in Cile, ad esempio, a rimuovere immediatamente i meccanismi di chiusura e accesso all’università, disegnando quella che Constable e Valenzuela hanno descritto come un’epoca euforica per gli studenti. E’ stato il Cile di Pinochet, poi, a chiudere immediatamente l’università pubblica su consiglio dei Chicago Boys.

Anche l’Italia ha i suoi Chicago Boys. Già nel 2003 Roberto Perotti proponeva nuovi modi per “fare sudare alle università i loro fondi”. Uno di questi era “di mettere gli studenti in grado di votare con il loro portafogli. Se gli studenti fossero costretti a pagare di più, porrebbero ulteriore pressione sulle università a competere”. Sempre su Lavoce.info, Gianni de Fraja nel 2007 caldeggiava la: “privatizzazione completa e totale di tutte le strutture di ricerca e di istruzione terziaria”. Potremmo andare avanti sino all’interrogazione parlamentare di Pietro Ichino, che nel maggio 2011 proponeva l’aumento delle tasse universitarie a 10 mila euro annue. O alla proposta recente di Andrea Ichino e Daniele Terlizzese: “Se l’università si autofinanzia”, recitava l’articolo sul Sole 24 Ore. Di fatto, Ichino e Terlizzese non proponevano solo l’aumento delle tasse universitarie a 7.500 euro (altro che autofinanziamento). Si spingevano a proporre che fossero le famiglie stesse a finanziare i prestiti d’onore tramite il risparmio postale. Il risparmio postale: si, perché fatalità, gira e rigira siamo ritornati in posta.

Insomma, Io studio è il prodotto di un lavorìo culturale durato anni. La scatola di biscotti alle poste significa esattamente questo: il debito studentesco non fa male, provalo, facci amicizia. Numero chiuso, prestiti d’onore, tasse più alte: è questa l’università che ci troviamo di fronte all’apertura dell’anno accademico. Resta una sola domanda: come risponderanno gli studenti?

Scheda Tecnica: qualche dato in più

Il dodicesimo rapporto Ocse 2012 Education at a Glance evidenzia come l’istruzione in Italia viva una situazione di vera e propria emergenza dalla scuola primaria all’università. L’Italia è il paese che più ha disinvestito nell’istruzione pubblica. È il penultimo paese (33 su 34) quanto a spesa per studente. È il paese che meno ha cercato di contenere gli effetti negativi della crisi, spostando buona parte del calo del Pil sull’istruzione, mentre la gran parte degli altri paesi si è mossa in direzione opposta (Box B2.1).

L’Italia continua ad avere un numero di laureati tra i più bassi d’Europa. Si tratta del 15% di laureati se consideriamo la fascia d’età tra i 26 e i 64 anni, contro il 31% di media europea, mentre se guardiamo alla fascia d’età tra i 25 e i 34 anni si tratta del 21% di laureati contro il 38% della media europea, dato che la colloca al 34mo posto su 37 paesi.

Il livello delle immatricolazioni in Italia continua a scendere, e questo dato è aggravato dalla situazione del mercato del lavoro: il tasso di occupabilità aumenta con l’aumentare dell’istruzione in maniera ridotta rispetto alla media europea. Il rapporto Almalaurea 2012 evidenzia addirittura come il guadagno mensile netto a un anno dalla laurea sia maggiore per un laureato triennale rispetto a uno studente che ha conseguito la laurea specialistica.

Dato lo stato critico dell’università e del mercato del lavoro, l’Italia ha il primato dei Neet: giovani in età compresa tra i 15 e i 29 anni che non ha un’occupazione né studia. Questa proporzione è del 15% più alta della media Ocse, e sebbene la percentuale sia decresciuta dal 1998 al 2003, essa è in continuo aumento dal 2008.

Nel contempo le tasse universitarie continuano a crescere: secondo l’ufficio statistica del Miur l’andamento nazionale della contribuzione studentesca è in costante crescita dal 2006-2007, assestandosi nell’a.a. 2010-2011 a 1.637 milioni di euro contro i 1.367 di quattro anni prima. Sino allo scorso luglio la contribuzione studentesca era regolata dal DPR 306/97, che chiariva che “la contribuzione studentesca non può eccedere il 20% dell’importo del finanziamento annuale dello Stato”. La norma è stata di recente corretta dalla Spending Review, che pur mantenendo il limite del 20% ha cambiato il numeratore e il denominatore del rapporto, di fatto rompendo il tabù che sino a oggi ha impedito l’aumento fuori controllo delle tasse universitarie.

Secondo l’Ocse l’Italia ha un altro primato negativo, il numero di studenti nella low-education trap, la trappola della bassa scolarizzazione. Di fatto, solo il 9% dei laureati italiani proviene da famiglie nelle quali i genitori non hanno il diploma di scuola secondaria (la media europea è del 20%). Questo significa che l’istruzione in Italia è fortemente segnata dalla famiglia d’origine, più scolarizzati sono i padri e più lo sono i figli, in una trappola sociale che incide gravemente su chi ricade al di fuori delle categorie privilegiate.




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41 Commenti

  1. Mi fa piacere che ci sia un argomento diverso rispetto a quello dell’abilitazione nazionale e che ci si interroghi su come vogliamo che sia l’università al tempo delle mediane.
    Sinceramente credo che il discorso che si fa tempo sull’università “pubblica” sia veramente mal posto.
    L’analisi è molto superficiale e manca decisamente il problema di fondo, che riguarda il sistema Italia e non solo l’università e la spesa per gli studenti.
    Ovvero proprio quelle tabelle del documento dell’OCSE a cui si fa riferimento per dimostrare che l’Italia fa poco per gli studenti perché siamo sotto la media come laureati, dimostrano esattamente il contrario!
    Sopra di noi ci sono sistemi come quello USA e UK comprendono l’elite delle università mondiali e che fanno molto meno di noi per gli studenti. L’aiuto principale agli studenti si basa proprio sul principio del prestito che l’articolo sembra ritenere un problema.
    Il vero problema italiano è il mercato del lavoro italiano che non valorizza e non è in grado di assorbire i laureati.
    Nei sistemi USA e UK dopo tre anni effettivi si ha un titolo che è spendibile sul mercato del lavoro e fa ottenere guadagni superiori.
    In Italia di fatto bisogna finire il percorso quinquennale e quasi mai questo dura effettivamente cinque anni.
    Un giovane ci pensa bene prima di iscriversi all’universita’ perchè oltre a tasse e spese di vitto e alloggio deve mettere in conto che dopo avrà difficoltà a trovare un lavoro adeguato.
    Per risolvere o almeno alleviare il problema bisognerebbe perseguire una politica che favorisca l’arrivo in Italia non di fabbriche inquinanti, ma di grossi centri di ricerca e sviluppo.
    Se i governi, appoggiati spesso dall’opinione pubblica, decidono di destinare grandi risorse alla Fiat, all’Ilva, all’Alcoa per tenere aperte fabriche che impiegano solo operai a che volete che servano i laureati? E sopratutto chi tra i giovani (e meno) avrà voglia di investire il proprio tempo per raggiungere una laurea?

    • I temi sono diversi e non vanno confusi:

      – i laureati italiani sono circa la metà rispetto alla popolazione degli altri paesi OCSE

      – in Italia il numero di borse di studio è tra le minori (in %) dei paesi OCSE

      – in UK e US ci sono università molto buone ed altre meno buone. In particolare in US c’è una differenziaone molto spinta. Da un punto di vista bibliometrico l’Italia non è così distante dagli altri paesi europei.

      – l’industria italiana è il fanalino di coda per quanto rigaurda investimento in ricerca e sviluppo e prodotti ad alta tecnologia.

      – che gli ultimi governi siano stati inadeguati è fuori discussione. In particolare l’ultimo che ha messo sù l’Anvur !

    • Caro Francesco,

      L’obiettivo del mio commento era porre il problema del contesto in cui viviamo attualmente.
      Dal mio punto di vista la trasformazione da paese di santi e navigatori ad un paese di scienziati e innovatori non può essere promossa “semplicemente” regalando (economicamente) le lauree.
      In questo momento l’Italia è un paese di piccole e medie imprese, in cui i laureati sono i padroni e i loro figli destinati alla successione al comando dell’azienda. La maggior parte dei lavori disponibili sono come operai specializzati. E spesso si fa fatica a trovarli.
      Se non si considera questo e si pensa che il problema dei pochi laureati sia solo economico si sbaglia di grosso.

    • Che l’impresa italiana non investa in R&S non c’è dubbio, e che le imprese a parteicpazione statale, che nel passato hanno avuto un effetto trainante e che hanno avuto laboratori di ricerca, siano state smantellate e non ci siano più è anche un fatto. Questi sono problemi strutturali di politica industriale. Il problema è quale sia il ruolo dell’università e della ricerca in questo nuovo panorama. Qualche idea è discussa qui: https://www.roars.it/?p=9255

  2. Aggiungo al commento precedente che ovviamente è riduttivo vedere l’educazione universitaria solo come un mezzo per guadagnare di più. Ma bisogna confrontarsi innanzitutto con quello che si ha e con i tempi che si vivono.
    Oggi ritengo prioritario migliorare la qualità dei gradi di istruzione obbligatori ed agire sul mercato del lavoro affinché valorizzi chi, con sacrifici, ha investito nell’istruzione.
    Oltretutto anche il valore sociale dell’istruzione in se è al minimo storico, basta guardare i programmi televisivi.

    • “anche il valore sociale dell’istruzione in se è al minimo storico, basta guardare i programmi televisivi.”

      Una ragione in più che fa capire quanto sia indispensabile un’istruzione largamente diffusa che vada al di là della trasmissione di conoscenze tecniche. La rilevanza sociale dell’istruzione è riconosciuta anche dall’OCSE che nel suo rapporto Education at a Glance dedica un intero capitolo all’argomento:

      What are the social outcomes of education?

      – Additional years of life expectancy at age 30, by level of educational attainment and gender
      – Proportions of adults voting, by level of educational attainment and age group
      – Incremental percentage point differences in “engagement in social activities” associated with an increase in the level of educational attainment
      – Mean scores of “students’ attitudes towards equal rights for ethnic minorities”, by their proficiency level of civic knowledge

  3. Apprezzo come già scritto da Plymouthian che si affrontino temi anche più generali oltre a quello dell’abilitazione.

    Vorrei partire da una delle conclusioni del post di Francesca Coin.

    “Di fatto, solo il 9% dei laureati italiani proviene da famiglie nelle quali i genitori non hanno il diploma di scuola secondaria (la media europea è del 20%).”

    Non solo, aggiungerei che come risulta da uno studio recente anche i redditi delle famiglie degli studenti sono sistematicamente più alti di quelli medi italiani.

    Bisogna aver chiaro che il fondo di finanziamento ordinario (FFO) dato all’Università viene finanziato all’80% circa da tutti i contribuenti italiani nella loro generalità: operai, contadini, extracomunitari etc.

    Le tasse universitarie, nonostante lo scorporo degli studenti fuori corso a cui potranno essere aumentate le tasse fino al 100%, sono una piccola parte del FFO.

    Da questo si deduce che da sempre è in atto un trasferimento di risorse dalle classi sociali più deboli che finanziano la formazione universitaria dei figli di famiglie di classe sociale elevata.

    Come è scritto nel post della Coin molte di queste famiglie di contribuenti non avranno mai i loro figli iscritti all’Università sebbene la finanzino in larga parte.

    Detto questo, aumentare le tasse, soprattutto per chi se la prende comoda, è qualcosa da considerare iper-liberista ed affamatore di popolo o il contrario?

    • Il fondo di finanziamento ordinario viene finanziato dalla fiscalità generale e dunque al 100% (non l’80%) dai contribuenti. In aggiunta ci sono le tasse studentesche dirette che si pagano ai singoli atenei e sono il 20% del FFO dell’ateneo (non una piccola parte). La proposta di aumentare le tasse di un fattore 3/5 (sino a 7000-10000 euro/anno) non va certo nella direzione dell’equità, visto che i ceti meno abbienti si devono indebitare per poter far fronte all’aumento. Suggerisco di approfondire l’argomento qui http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/tasse-universitarie-fatti-miti-e-ideologia e qui https://www.roars.it/?p=126.

    • Ovviamente, aumentare le tasse e basta non basta (mi si scusi il gioco di parole).
      All’aumento delle tasse andrebbe affiancato un sistema di incentivi per gli studenti più meritevoli sia in ingresso che durante la carriera universitaria.

      L’importo delle tasse potrebbe essere moltiplicato per un coefficiente può essere negativo (incentivi per lo studente) minore o maggiore di uno dipendentemente dai tempi e votazioni e reddito.

      In questo modo si avrebbe un giusto drenaggio di risorse tra famiglie meno agiate e più agiate in funzione del merito. Adesso avviene nella direzione opposta tipo Robin Hood negativo.

    • il robin hood negativo è una leggenda metropolitana: cosa vuole dire? ci vuole fornire dei dati? quanto paga l’università uno che non ci va e che ha un certo reddito? è giusto che anche chi non va all’università paghi per l’istruzione? Cosa succede negli altri paesi euriopei? C’è una ricaduta sociale dell’istruzione? In US c’è una bolla formativa? In UK come vanno le cose?

    • Personalmente, penso che, in generale, sia giusto che anche chi non vada all’università paghi per sostenere la ricerca e il trasferimento del sapere.

      Questi sono da considerare degli aspetti importanti per un paese che si vuole considerare sviluppato.

      Ovviamente tutto quello che non è esattamente ricerca e genuino trasferimento di sapere non è finanziabile.

      Le faccio un esempio, la salute ed il diritto alle cure è un diritto fondamentale di ogni cittadino. Ma che ne direbbe di una signora che accampa il “diritto” di siliconarsi le labbra oppure farsi applicazioni di botulino a spese della collettività?

      Allo stesso modo una persona che vuole stazionare presso l’università per anni e anni e ha il diritto di avere un contributo dalla comunità oppure deve autofinaziarsi?

    • Sta storia che l’università pubblica è finanziata dai poveri che non ci vanno è una di quegli argomenti populisti, di spaccio comune, che piacciono tanto ai liberisti de noantri, i quali adorano la sceneggiata per cui il liberismo in fondo in fondo è tutto a favore dei poveri, del popolo.

      Con tutta l’apparenza di un ragionamento logico fanno uscire dal cappello una soluzione (l’aumento delle tasse) che stroncherebbe l’accesso universitario alla stragrande parte della popolazione studentesca meno abbiente. Si ha un bel sbambare di prestiti d’onore, fiducia nelle proprie possibilità, scommesse sul futuro e via americaneggiando: di fatto le scommesse razionali sono quelle in cui si sa che si cascherà plausibilmente in piedi, ed indebitarsi negli anni di studio non è quasi mai una scommessa razionale per chi ne ha davvero bisogno.

      Per la scuola e l’università, come per la pulizia delle strade, le cure mediche, le forze dell’ordine e qualunque servizio pubblico vale il principio per cui il servizio è erogato a chi ne ha bisogno. Si potrebbe ovviamente applicare il ragionamento finto razionale di cui sopra in tutti questi casi: perché diavolo dovrei pagare le spese mediche di tutti quelli che sono cagionevoli di salute se io non lo sono? E perché pagare con le mie tasse la polizia, se ho il porto d’armi e vivo in una zona tranquilla? Perché pagare la pulizia delle strade se io sto attento a non buttare cartine?

      Come i supporter della ratio economica di tipo liberista sanno bene, per ogni sistema di transazioni economiche si può creare un modello che illustra come, in un mondo ideale (privo di costi di transazione, con informazione perfetta, ecc. ecc.) ognuno potrebbe pagare individualmente precisamente solo per i serivzi che di volta in volta riceve. Questo modellino applicato all’università può servire a convincere chi non manda i figli all’università di essere derubato da chi studia (e i sani a sentirsi derubati dai malati, ecc.). Si tratta di un giochino intellettuale diffuso in malafede, perché tutti sanno o dovrebbero sapere che il mondo in cui si mostra come funzionale comincia e finisce nei grafici.

    • “Bisogna aver chiaro che il fondo di finanziamento ordinario (FFO) dato all’Università viene finanziato all’80% circa da tutti i contribuenti italiani nella loro generalità: operai, contadini, extracomunitari etc. ”

      Pero’ ciascun contribuente contribuisce in maniera diversa, sia in termini assoluti che in percentuale sul proprio reddito. Il vero problema e’ quello dell’evasione: senza prima sciogliere questo nodo qualsiasi discorso sulla giustizia sociale ha poco senso.

      “Detto questo, aumentare le tasse, soprattutto per chi se la prende comoda, è qualcosa da considerare iper-liberista ed affamatore di popolo o il contrario?”

      Non mi e’ chiaro perche’ i fuoricorso dovrebbero essere un problema. Un buon numero di fuoricorso sono studenti che sforano di un anno o poco piu’ (cosa abbastanza frequente, almeno nelle scienze dure). Infierire contro questi sarebbe non solo carognesco, ma anche controproducente (penalizzerebbe i corsi di studio piu’ impegnativi). E poi c’e’ un sacco di fuoricorso che sono studenti fantasma, che si rivedono di tanto in tanto, solo a qualche esame. A mio avviso questi consumano molto meno di quello che pagano direttamente.

      Un’ultima osservazione: spesso la chiave per il successo all’universita’ e’ in una buona preparazione di base. La mia impressione e’ che una certa stratificazione in base al censo sia ben riscontrabile gia’ in uscita dalla scuola superiore. Se cosi’ fosse, dovremmo concludere che bisogna far pagare di piu’ anche quella?

  4. L´ascesa da una classe sociale a un´altra sta diventando impossibile e viene resa sempre più difficile grazie alla creazione di un´istruzione sempre più classista da un lato e priva di mezzi dall´altro. Ricordo che il movimento di ascesa è fortemente collegato al livello d`istruzione pur nell´anomalia evidenziata in Italia.
    Non è solo una persuasione pubblicitaria, telivisiva, cinematografica che la miglior forma di vita sociale (in virtù della capacità di accedere a beni di consumo e a una vita agiata) sia da individuarsi nella minoranza di ricchi che sono in alto nella scala sociale, che normalmente sono anche quelli con “maggiore cultura” e i cui figli possono accedere alle migliori scuole (senza dover chiedere prestiti d´onore). Non ne ho mai visto uno mandare i propri figli a fare gli operai o alla scuola per tecnici.
    Anche se si vuol far credere il contrario, ANCORA OGGI più elevato è il livello scolastico, maggiore è la “probabilità” di accedere al mondo del lavoro più velocemente, e maggiori sono anche gli strumenti con i quali se non si trova lavoro nel proprio paese si può cercare di accedere a un lavoro al di fuori di esso! Non è democratico e socialmente corretto un paese in cui per istruirsi ci si deve indebitare e i sacrifici sociali vengono chiesti sempre ai ceti medio-bassi e meno istruiti (guarda caso)!
    Questo è un approccio prettamente consumistico e ingiusto che segue la linea disumanizzante e basata sul denaro dettata dalla società in cui viviamo.

    In realtà esiste un aspetto fondamentale che è compito dell´istruzione (lettere e arti inclusi, anzi in prima linea!). L´istruzione serve a creare persone coscienti di essere degli uomini, con una dignità, con senso critico, che sono in grado di vedere la vita come degna di essere vissuta e CON PENSIERI E SENTIMENTI PROPRI che meritano rispetto e considerazione.
    Proprio quest´ultimo aspetto fa si che ai vertici della scala si tenda a negare l´ascesa essendo coscienti del fatto che un POPOLO ignorante è maggiormente MANIPOLABILE perché privo di ragione, in balia di paure di ogni genere e necessitante di un’ autorità che lo guidi (qualsiasi cosa faccia).

    • Cara Libera,

      L’idea dell’ascesa da una classe sociale all’altra è figlia di un periodo di espansione economica e sociale che al momento è finito.
      Oggi siamo in periodo di stasi il risultato è che se uno sale l’altro scende. E’ secondo me normale che chi sta su cerchi di proteggersi.
      Come ho detto sopra se non si creano le condizioni affinché il contesto migliori, creando nuovi spazi che permettano ai giovani di “elevarsi”, nulla cambierà neanche se si istutuisse uno stipendio per gli studenti universitari.

    • @Plymouthian
      sono perfettamente d´accordo con quanto dici ma la visione a mio avviso è un pochino troppo passiva!
      1) sempre ci sono stati i cerchi e per passare da uno all´altro ci sono persone che nel passato hanno fatto delle lotte per acquisire dei diritti per se stessi e per i loro figli, ma c´era più solidarietà e meno egoismo. I diritti vanno difesi giorno per giorno, non si può dormire sugli allori (che come si vede sono stati bruciati)! Adesso tolgono gli insegnanti? Va tutto bene! Ti tolgono le attività pomeridiane a scuola (e parlo delle elementari)? E va tutto bene! Fanno le mediane “specchietto per le allodole”? E va tutto bene! Solo per citarne alcune.
      BENE UN CORNO!
      2) „Come ho detto sopra se non si creano le condizioni affinché il contesto migliori, creando nuovi spazi che permettano ai giovani di “elevarsi”, nulla cambierà neanche se si istituisse uno stipendio per gli studenti universitari.“

      Tu pensi che qualcuno creerà gli spazi? Io credo che essi diventeranno sempre più stretti, soffocanti! E non per quelli che stanno nei cerchi alti.
      Userò un commento „innocente“ di mio figlio che mi ha dato su un argomento molto simile:
      „Quelle persone sono come i cani che aspettano che il padrone gli dia da mangiare!“ Se gli spazi non te li danno devi cercare il modo per crearli o per lo meno che non ti vengano tolti… no other way! Sorry! La vita è un gioco di centimetri … i cerchi “magici” mi sembra non abbiano dato buoni frutti e nemmeno le trincee!

    • A me sembra chiaro che:
      1- L’università pubblica è il luogo della libera discussione del libreo apprendimento, non surrogabile in questo da nessun altro istituto di natura privata;
      2 – In quanto tale, l’istruzione universitaria è un diritto (giustamente) tutelato dalla Costituzione;
      3 – Costringere gli studenti meritevoli a indebitarsi per studiare è una assoluta follia, ed è sicuramente antidemocratico;
      4 – La mobilità sociale deve essere uno dei fini imprescindibili di un sistema democratico, ora come in passato;
      ma mi sembra altrettanto chiaro che:
      5 – Gli studenti non meritevoli – i fuoricorso e quelli con medie bassisssime – costituiscono un ingiustificabile costo per la comunità, e in particolare per le classi meno abbienti.

  5. Parlando di declino della Università, i nostri tuttologi (compresi i docenti universitari che passano il loro tempo nei talk show televisivi ed a parlare male della organizzazione che li sfama) citano l’esempio dei laureati che non trovano lavorano in Italia concludendo che è l’Università che sbaglia a formare i laureati di cui avrebbe bisogno il Paese. Tuttavia gli stessi fanno finta di ignorare che molti nostri laureati, probabilmente migliaia, o forse più, ingegneri, matematici, fisici, medici, chimici etc, (non parlo della fuga dei ricercatori, dei cosidetti cervelli, di coloro che vogliono fare ricerca ed accademia ad alto livello), trovano accoglienza ed ottimi salari in organizzazioni ed aziende europee ed extra europee superando la competizione internazionale, mentre il nostro Paese importa badanti ed infermieri (non so ritrovare la fonte, ma esiste).
    Vorrei un vostro parere: questo comportamento (esportazioni di laureati ed importazioni di personale addetto ai servizi di base) indica una università di bassa qualità o indica un paese che ha deciso di suicidarsi?

  6. L’articolo 34 della costituzione afferma che:

    La scuola è aperta a tutti.
    L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
    I CAPACI e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
    La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

    L’articolo 34 è da leggersi tutto assieme.

    Mio figlio all’università non ci andrà mai, perchè potrebbe essere anche meritevole, ma purtroppo non avrà le capacità (ha una disabilità grave). Trovo giustissimo pagare per l’istruzione, aperta a tutti per i primi anni, ma non purtroppo aperta a tutti per quanto riguarda l’università.

    Quanti sono gli studenti universitari in Italia?
    Non ho competenze di statistica, per cui mi scuso in anticipo se quello che scrivo fosse impreciso.

    Secondo l’ufficio statistica del MIUR sono circa 1.700.000 (http://statistica.miur.it/) (600.000 fuori corso)
    Il FFO 2013 è di 6.45 miliardi di Euro (come giustamente riportato nell’articolo), con un calcolo approssimativo 107 euro per ogni Italiano, che non è una cifra piccola.

    Quindi, ogni studente costa alla collettività ogni anno circa 3800 euro. Per accedere ad un bene che costa 3800 euro, uno studente pagherà al Massimo 1500 euro di tasse (mi riferisco alle università pubbliche). Un investimento così remunerativo è rarissimo. In Italia pensionati e lavoratori dipendenti che posseggono il 30% della ricchezza pagano l’80% delle tasse sul reddito, (secondo il sole24ore). Quindi l’effetto Robin Hood al contrario (che citava Celentron) nell’università è evidentissimo.
    Sono appunto le fasce più deboli che pagano l’università a chi se la può permettere!

    In una città come Roma uno studente (o la sua famiglia) spende almeno 300 euro al mese per un posto letto, a cui sono da aggiungere le spese di vitto e libri. Diciamo che è complesso vivere con meno di 5000 euro per anno. Il problema vero non sono le tasse universitarie. Il problema è chi non può permettersi di essere mantenuto all’università, non può ha accesso ad un bene che paga anche lui, i soldi pubblici dell’FFO.

    Una Università più equa dovrebbe assolutamente prevedere la possibilità per i capaci e meritevoli di accedere ad un’istruzione di qualità, con borse di studio che considerino il costo del loro mantenimento, indipendentemente dal reddito della famiglia di origine. Borse di studio che siano consistenti e che coprano i costi effettivi. Ma anche che chi non è purtroppo capace, quando desidera avere un bene, dovrebbe pagarlo per il suo costo.

    • Gentile Marco Bella vedo che di non essere solo a ragionare. Purtroppo su questo blog appena ci si discosta (anche di poco) dalla linea editoriale della redazione si viene bersagliati da interrogatori di tipo inquisitorio del tipo so già dove vuoi arrivare ma ho già pronta l’obiezione/dimostrazione per te “sporco liberista” oppure si viene etichettati con supponenza liberisti de noartri (non so bene come si scrive sono un terrone napoletano).

      Io intenderei un blog come uno spazio di discussione e non un posto dove ci si “sbaciucchia” tra chi la pensa in un certo modo avendo già la verità in tasca ed appena uno vuole iniziare un qualsiasi tipo di dialettica viene bersagliato.

      Se vi piace così buon divertimento e tanti bacini……

    • Gentile Celenteron,
      l’argomento che lei ha sollevato e che qualcun altro ha ripreso per cui il finanziamento del bene pubblico università sarebbe una redistribuzione alla rovescia, dai più abbienti ai meno abbienti è un argomento che va per la maggiore tra i liberisti di casa nostra (se la versione romanesca le fa specie). Non si tratta di stigmatizzare ma di constatare. L’argomento in questione è capzioso e sciocco per come è formulato, non da lei, ma da altri da cui lei trae ispirazione. Le ragioni per cui esso è capzioso e sciocco non hanno a che fare con opinioni gratuite ma con il fatto che
      1) l’argomento finge di non sapere cosa sia un bene pubblico (vedi commento qui sopra di Sylos-Labini);
      2) la conclusione cui mira, nei paesi in cui è stata implementata, ha portato ad un ulteriore inasprimento delle difficoltà di accesso all’istruzione terziaria da parte delle classi meno abbienti (dunque ad un esito opposto a quello che fa mostra di voler ottenere).

      @ Marco Bella
      Quanto al computo del costo dell’università per studente, esso potrebbe giustificare una crescita delle tasse per i fuori corso (cosa che per altro già avviene), ma dal punto di vista economico si tratta in gran parte di una mossa retorica, perché i fuori corso tipicamente utilizzano i servizi universitari meno degli altri studenti e perché il costo di una struttura universitaria è piuttosto rigido rispetto al variare del numero degli studenti (non è che facendo lezione a dieci, venti o trenta studento in più o in meno i costi cambiano). Ovviamente per variazioni estremamente ampie della popolazione universitaria anche i costi possono variare, se si giunge alla chiusura di corsi e sedi universitarie, ma prima di fare cassa su questo punto forse è opportuno meditare un poco sul fatto che l’Italia ha tendenzialmente non troppi, ma troppo pochi laureati rispetto agli standard OCSE.

      Quanto infine all’argomento che lei riprende, per cui:
      “Sono appunto le fasce più deboli che pagano l’università a chi se la può permettere!” la rinvio a quanto ho scritto poco sopra. In un sistema sociale con beni pubblici ci sono inevitabilmente persone che usufruiranno in maggiore misura di altri di alcuni beni pagati con il denaro pubblico, il malato più del sano rispetto alla sanità pubblica, lo studente più del non-studente rispetto all’istruzione pubblica. Credo capisca da solo che non si va molto lontano se si prende la china per cui i sani si sentono derubati dai malati e i non studenti dagli studenti.

    • Caro Andrea Zhok,

      Grazie per il commento.
      Noi “bibliometrici”, per così dire, siamo abituati a ragionare con i numeri (3800 euro di contributo statale per studente, 107 euro di costo per abitante italiano dell’università) voi “non bibliometrici” siete bravissimi a scrivere in modo chiaro ed efficace. La principale ricchezza dell’università dovrebbe essere la sua diversità.

      La politica dell’università dovrebbe essere che chiunque possa accedere almeno in teoria al bene pubblico (3800 euro per anno, il costo dell’istruzione universitaria) e non che chi proviene da classi meno abbienti sia costretto a rinunciarvi in partenza perché non possiede i mezzi per affrontare le spese di vitto e alloggio. Ripeto però che la condizione iniziale è essere “CAPACI E MERITEVOLI”, come da art.34 della costituzione.

      La mia esperienza personale è questa: in un paese iperliberista come gli USA è possibile per chi non ha i mezzi accedere ai gradi più alti dell’istruzione, anche grazie ad un prestito, mentre in Italia senza il suppporto della famiglia di origine si è inevitabilmente bloccati. Non è un problema che un George W. Bush si iscriva a Yale, (!!) se mi paga il costo della sua istruzione (e poteva..) con in aggiunta un contributo per una borsa di studio per uno studente capace ma privo di mezzi. Negli USA Mitt Romney guadagna 13 milioni di dollari e ne paga solo 1.5 di tasse.

      In un paese piccolo e ipersocialista (Il partito liberale più a destra si chiama Venstre=Sinistra!!) come la Danimarca, invece, i giovani hanno un salario fino a 24 anni per sostenersi agli studi (se desiderano studiare) e raggiungere l’indipendenza dalla famiglia di origine. Inoltre, hanno accesso a tutta una serie di servizi (case dello studente funzionali). Ripeto: le tasse universitarie non sono il problema, i costi veri che bloccano la via verso l’università di chi non è fortunato sono vitto e alloggio. In Danimarca però le tasse si pagano, e tanto (60%). Inoltre, se si aquista o importa una macchina si paga il 180% di tasse, per questo tutti vanno in bici anche d’inverno…

      Quale potrebbe essere il modello migliore per l’Italia? La risposta non è affatto semplice, e bollare senza numeri , citare statistiche o fonti chiare alcune idee come “sciocche e capziose” non aiuta a trovare una soluzione. La definizione “liberisti de’ noaltri” mi sembra poi inutilmente offensiva. Il problema Robin Hood al contrario esiste davvero, come ho cercato di argomentare con numeri e fonti.

      Sicuramente aumentare le tasse senza prima mettere a punto un sistema efficiente di borse di studio danneggerebbe le famiglie che sono “al limite”. L’aumento delle tasse per i fuoricorso sopra un certo reddito nel modo specifico in cui è stata recentemente proposto mi sembra poi una soluzione molto propagandistica, e molto poco efficace a trovare risorse per l’Università perchè riguarda una parte minima della pololazione studentesca..

      E’ difficile individuare quale possa essere la soluzione per migliorare il modello attuale di università italiana per gli studenti. Escludere a priori aumenti delle tasse selettivi e prestiti d’onore non mi sembra il modo giusto per iniziare…

    • Sarà perché sono non bibliometrico, ma mi sfugge il nesso tra l’Università e il fatto che in Danimarca se “si aquista o importa una macchina si paga il 180% di tasse, per questo tutti vanno in bici anche d’inverno”.
      Che i fuoricorso siano “una parte minima della pololazione studentesca” mi pare altrettanto discutibile: http://www.swas.polito.it/services/Rassegna_Stampa/dett.asp?id=4028-133839380
      (fonte: Il sole 24 ore, non tacciabile, direi, di simpatie “ipersocialiste”)
      Per quanto riguarda il “costo” di uno studente universitario, non posso che quotare Andrea Zhok:
      “Il costo di una struttura universitaria è piuttosto rigido rispetto al variare del numero degli studenti (non è che facendo lezione a dieci, venti o trenta studento in più o in meno i costi cambiano). Ovviamente per variazioni estremamente ampie della popolazione universitaria anche i costi possono variare, se si giunge alla chiusura di corsi e sedi universitarie, ma prima di fare cassa su questo punto forse è opportuno meditare un poco sul fatto che l’Italia ha tendenzialmente non troppi, ma troppo pochi laureati rispetto agli standard OCSE”

      Questi a me paiono fatti, non discorsi retoricamente abili da “non bibliometrici”.

    • qualche commento:

      1. negli usa sta scoppiando la bolla dei prestiti agli studenti per pagare le tasse universitarie che al momento sono una delle maggiori voci del debito delle famiglie (e i debiti sono alla base dell’instabilità finanziaria)

      2. le tasse universitarie nei paesi nordici sono zero

      3. nei paesi nordici ci sono i prestiti d’onore che sono dati agli studenti non per pagare le tasse universtiarie ma per pagarsi la vita (alloggi ecc.)

      4. mettere tasse univ. sul modello Browne come proposto da Ichino & co, Renzi e “i liberisti de noartri” che non fanno altro che dire balle incredibili sull’università italiana (vedi ad es http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/03/26/ci-fidiamo-dei-bocconiani/100211/ o http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/10/siamo-noi-la-liberta-siamo-noi-la-california/76150/) è semplicemente suicida come spiega Francesca Coin qui https://www.roars.it/?author=9

      Si possono aggiustare le aliquote, alzandole per i ceti più abbienti ma l’intervento numero uno è finanziare il diritto allo studio a cui le risorse destinate sono ridicole rispetto ad altri paesi europei (vedi articoli di Federica Laudisa https://www.roars.it/?author=19)

    • Facendo seguito anche alla risposta di Marco Bella. Faccio le seguenti osservazioni di carattere metodologico.

      C’è una differenza formale di fondo tra il modo di argomentare mio di Bella ed il suo.

      Un esempio, lei inizia la sua risposta con affermazioni del tipo “L’argomento in questione è capzioso e sciocco per come è formulato, non da lei etc..”
      Poi non sviluppa con dati e/o con una sequenza di affermazioni concatenate logicamente la cosa.

      Io le ho fatto un ragionamento basato su delle premesse e sono giunto ad una conclusione, Marco Bella ha fatto dei calcoli semplici ma efficaci e sulla base del risultato è giunto a delle conclusioni.

      Non mi sono “ispirato” a cattivi maestri di sorta, ho ragionato così come ha fatto Bella.

      Seconda questione, qui si sta ragionando su diverse ricette per migliorare l’Università. Non tirerei subito delle conclusioni bollando come “liberista” e quindi attribuendo ad una data posizione tutta una serie di conseguenze e conclusioni. Non penso che al livello di cui ci stiamo interessando si debba ragionare come in uno scontro tra scuole di pensiero sull’interpretazione del mondo.

      Le posso assicurare che non mi è mai passato per la testa di votare per i “liberisti” o per coloro che si sono sempre definiti tali. Anche perchè in Italia non ne ho mai visti di veri. Se proprio dovessi individuarne uno forse Bersani con le sue proposte di liberalizzazioni mai attuate seriamente per le grosse pressioni lobbistiche.

      Quindi suggerirei di non affibbiare etichette consultando il suo “Bignami” di Antropologia politica che la realtà è molto più complessa.

    • Guardi Celenteron, quanto a chi non sviluppa in maniera coerente il proprio argomento guarderei altrove. Questo è un blog e per far capire qualcosa bisogna farlo con concisione. Se vuole argomentazioni esaustive sui beni pubblici ci sono fior fiore di pubblicazioni in giro, tra cui, in sedicesimo, anche alcune di chi le scrive. Lì, se ha piacere, può trovare anche i numeretti che la impressionano tanto (a far di conto, perlatro, non sanno solo i bibliometrici).

      L’obiezione che ho mosso all’idea di un Robin Hood alla rovescia relativo al finanziamento pubblico dell’istruzione terziaria ne mostrava l’analogia con altri beni pubblici. Se lei ritiene che chi ha bisogno maggiore degli ospedali pubblici venga considerato un ladro di risorse pubbliche allora può sostenere con coerenza l’argomento della redistribuzione inversa anche per l’università, altrimenti la sua è pura retorica. Siccome non si è sentito in dovere di rispondere all’argomento, non credo sia il caso di accusare altri di argomentare in modo poco rigoroso.

      Che lei ritenga se stesso marxista-leninista o buddista mi è francamente indifferente: il suo argomento, che suo non è, essendo discusso ogni due settimane sui maggiori quotidiani nazionali e che ha una storia trentennale, è un classico argomento liberista ed è di questo che stiamo discutendo.

      @ Marco Bella.

      Le sue argomentazioni relative ai modelli americano e danese sono senz’altro pertinenti. Se è vero che studenti di eccellenza sono messi in grado dal sistema americano di studiare anche se privi di mezzi, ciò non toglie che la maggior parte della popolazione universitaria (talora scadente, tipo G.W.Bush, talaltra semplicemente incapace di cogliere l’occasione della borsa di studio al momento giusto) abbia seri problemi a rimborsare i prestiti contratti durante gli studi. Questo sistema inoltre tende naturalmente a far convergere gli studenti verso i pochi settori che promettono proficui ritorni di investimento, condizionando in maniera pesante la funzione formativa dell’università (la cui funzione è anche di formare cittadini, non solo chirurghi e principi del foro).

      Il fatto che non solo le tasse, ma anche (o soprattutto) le spese di mantenimento negli anni universitari siano un problema è del tutto vero, ma la risposta quale sarebbe? Aumentare le tasse a tutti per poi restituirle (ridotte dei vari costi di transazione) alle famiglie stesse in forma di borse di studio e case dello studente? Cosa le fa pensare che questo sistema di redistribuzione sia più efficiente di una graduazione delle tasse in partenza sulla base dell’ISEE? E pensa davvero che in un paese internazionalmente noto per lo scarso finanziamento dell’istruzione il problema di un aumento delle tasse sia il primo problema da affrontare?

    • Caro Giuseppe (Celenteron) Milano,

      Roars è un bellissimo luogo virtuale di diabattito ove non ho ancora incontrato censure. La sua particolarità è che sono presenti molte persone con competenze diverse (giuristi, filosofi, fisici, matematici, storici, chimici) che hanno a cuore le sorti dell’università e si confrontano su problemi che non hanno una soluzione semplice. Giustamente i redattori di ROARS argomentano le loro tesi, ma cercano sempre il confronto leale con chi la pensa diversamente, almeno questa è la mia impressione. Il confronto aperto può solo che portare ad un reciproco arricchimento. A volte ritengo che le loro critiche verso ANVUR siano giustificate, a volte assolutamente no. E cerco di dirlo con la massima onestà intellettuale.

      “Se un uomo non ha il coraggio di difendere le proprie idee, o non vale niente lui, o non valgono niente le sue idee.”
      Ezra Pound

    • Caro Marco,
      condivido il tuo apprezzamento per il fatto che ci sia un luogo dove discutere con colleghi di diversa estrazione e posizione geografica dei problemi dell’università. La mia critica (ovviamente soggettiva) era sui modi di alcuni (spesso della redazione) di gestire la discussione e su una eccessiva monoliticità della linea editoriale.

      Faccio un esempio su blog di diversa natura per rendere più chiaro il concetto. Su Gazzetta Gastronomica il blog il cui il direttore è Bonilli uno dei fondatori del Gambero Rosso, per chi non si ricorda in origine era un inserto del Manifesto, il direttore si “scontra” in dibattiti accesi con altri della sua stessa redazione sulla questione OGM.

      A parte questo, trovo il blog molto utile sia per le notizie che per i problemi che pone. Sono sicuro che comunque tutti sia i redattori che noi lettori/commentatori abbiamo come unico obiettivo quello di migliorare il posto in cui lavoriamo. Le ricette sembrano diverse spesso, ma questo è il bello.

    • Ultima cosa dimenticavo, ti consiglio non citare Ezra Pound altrimenti qualcuno ti potrà “etichettare”, come qui è d’abitudine, come frequentatore di centri sociali di destra…. , chessò un fascio-rock come l’ambasciatore italiano a Tokio :-)

    • La domanda a cui rispondere è necessario rispondere è se l’istruzione superiore sia a vantaggio del singolo o della collettività o di entrambi. La risposta è (ovviamente) di entrambi con varie gradazioni.

      Anche chi non va all’università ha vantaggio dall’andare alla scuola pubblico, all’ospedale pubblico e così via e trovare persone preparate. I servizi pubblici si pagano in modo differenziato e progressivo con il reddito e li pagano tutti anche chi li usa di meno o per niente perché sono servizi pubblici che svolgono un ruolo di pubblica utilità.

      Quello che serve ed in Italia manca è una politica del diritto allo studio degna di questo nome e non una presa in giro in cui ci sono studenti idonei a cui non viene assegnata la borsa. A monte c’è comunque il problema dell’evasione fiscale che rende intrisecamente ingiusto il sistema di tassazione.

    • Non c’è dubbio, è chiaro che le borse di studio devono essere assegnate. La questione è che secondo me utilizzare parte degli introiti dalle tasse di chi ha un reddito più alto e vuole laurearsi più lentamente avrebbe un grosso valore simbolico. L’Università dovrebbe avere un ruolo “educativo” anche in questo.

      Poi se c’è volontà politica gli altri soldi che servono si trovano, basterebbe ridurre di un po’ i finanziamenti ai vari Fiorito d’Italia, sforbiciare i contributi ai giornali etc. etc.

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