Scrive Giovanni Pascuzzi: «Ogni volta che scoppia uno scandalo giudiziario nelle Università gli organi di informazione ricorrono all’espressione “baroni” per indicarne i protagonisti. Ovviamente è indispensabile dare le informazioni e cercare di fare piena luce (come indispensabile è ricordare il principio costituzionale di non colpevolezza fino a sentenza definitiva di condanna). Solo una cortesia vorrei chiedere ai mass media: non chiamateli baroni. E sì. Perché nelle Università i baroni non esistono più da un pezzo. Provo a spiegare perché».
Ogni volta che scoppia uno scandalo giudiziario nelle Università gli organi di informazione ricorrono all’espressione “baroni” per indicarne i protagonisti.
Ovviamente è indispensabile dare le informazioni e cercare di fare piena luce (come indispensabile è ricordare il principio costituzionale di non colpevolezza fino a sentenza definitiva di condanna).
Solo una cortesia vorrei chiedere ai mass media: non chiamateli baroni.
E sì. Perché nelle Università i baroni non esistono più da un pezzo. Provo a spiegare perché.
Quale barone avrebbe permesso che un governo riservasse ai professori l’onta di dover essere l’unica categoria del pubblico impiego a non vedersi ripristinati gli scatti stipendiali sospesi (al punto da dover ricorrere ad una cosa plebea come lo sciopero)?
Quale barone avrebbe accettato di essere sottoposto allo stesso codice di comportamento di tutti gli altri dipendenti pubblici, compresi quelli dei livelli più bassi?
Quale barone avrebbe accettato di farsi imporre i temi e gli obiettivi di ricerca da una “cabina di regia”?
Quale barone avrebbe accettato di essere valutato da una agenzia ministeriale che impone soglie, accreditamenti che spesso incappano nelle censure dei giudici amministrativi?
Quale barone avrebbe accettato senza colpo ferire la riforma Gelmini che ha accresciuto i poteri dei direttori generali e dei rettori, riducendo il potere degli organi collegiali e, quindi, delle istanze dove i diversi baroni possono farsi i favori incrociati?
Quale barone avrebbe accettato di vedere la propria baronia assoggettata alla logica aziendale con conseguente necessità di uniformarsi ad indicatori e standard decisi da altri?
Il potere ha anche i suoi simboli. Uno di questi è la stola di ermellino, indossata, nelle occasioni più importanti, da Re, Papi, vertici della magistratura e vertici delle Università. Il dizionario Treccani spiega che l’ermellino oggi rappresenta la “dignità”, ovvero lo stato o la condizione di chi, per qualità intrinseche o per meriti acquisiti, si rende meritevole del massimo rispetto. Si può dire che l’ermellino simboleggi il “potere della sapienza”.
Per molte ragioni, il potere della conoscenza (quello nobile) è andato smarrito. O forse non abita più nelle Università.
Da quanto detto emerge in maniera chiara che non basta truccare un concorso per essere un barone del tempo che fu. Ci vuole ben altro. Per questo, per favore, non chiamateli baroni.
Notazione finale. Forse conviene chiarire che in queste considerazioni c’è molta ironia e che personalmente non rimpiango affatto l’Università dei baroni. Occorre però dire che il rimedio è peggiore del male. Nell’Università oggi lavorano tantissimi professori onesti che si trovano tra l’incudine di chi la vuole affossare (anche riproducendo comportamenti deteriori) e il martello rappresentato dagli “illuminati” che pretendono di avere la ricetta per riformarla.
C’è chi dice che i baroni di un tempo piazzavano i loro allievi in tutta Italia, ma sceglievano persone valide, anche perché altrimenti l’ignoranza altrui sarebbe stata imputata loro. Chi ha potere oggi ha la forza della brutalità delle decisioni imposte.
Oggi gli allievi vengono piazzati nello stesso Dipartimento con lo scopo preciso di creare maggioranze non pensanti. Questo la dice anche lunga sullo spessore morale e sovente anche culturale degli allievi
Baroni o meno, resta il fatto che l’opinione generale sui Professori Universitari è al minimo storico. La loro credibilità presso gli studenti è quasi a zero. Lo stato dell’Università è sotto gli occhi di tutti per motivi che vanno principalmente iscritti a carico, secondo me, dei docenti. Forse è vero: è così perchè non ci sono più i baroni. In ogni caso qualcuno dovrebbe fare qualcosa. Quel qualcuno non può che essere il corpo docente, ma mi sa che non sia in grado di fare niente.
Mi permetto di dissentire: molti docenti sono credibili presso gli studenti, anche se non hanno la propaganda a favore e il potere dei baroni.
Non dimenticate che i baroni creano i gruppi che ne amplificheranno il potere, anche perché dovranno restituire ciò che è stato dato.
La struttura verticistica ha esasperato: in certi modi, il medioevo non è mai stato superato nell’Università.
Forse vivo in un mondo parallelo, anche perchè trascorro fuori dall’Italia più tempo che in Italia, ma mi sembra che si discuta di un mondo (universitario) che non esiste, almeno per quanto riguarda le aree dove il confronto internazionale è d’obbligo, In tutto il mondo NON esiste una procedura equivalente ai nostri concorsi ed ASN, di cui (purtroppo) faccio parte. Si apre una posizione perchè esiste la necessitá di rafforzare le capacitá in uno specifico settore (che non coincide con il concetto fuorviante di SSN) e si sceglie il meglio disponibile perchè la capacità di avere finanziamente ecc dipende dai risultati. Non è questioni di parenti o no (avreste non dato per questo il Nobel a Maria Curie?), ma delle capacitâ di portare un contributo allo sviluppo del gruppo od area in cui opera (chi ha fatto valutazioni internazionali conosce bene che non è certo il nr pubblicazioni il fattore determinante). Automaticamente chi non sceglie bene (anche all’estero esistono i “parenti”) produce meno risultati, e quindi è automaticamente penalizzato.
In Italia, chi è abituato al confronto con l’estero (ancora più in Italia, ove le risorse nazionali sono prossime allo zero), è obbligato a scegliere il meglio, ma ove il meglio è chi è capaci di portare il miglior contributo allo sviluppo del gruppo/settore (che non councide con un criterio da tribunale). Se si ha bisogno di competenze su una specifica area, il criterio è chi meglio offre queste competenze, non genericamente chi ha più titoli (cosa che avviene solo in Italia).
Certo in quelle aree dove magari l’Università serve solo ad avere parcelle più alte per la propria attivitá professionale (questa è una cosa non concepibile fuori dall’Italia), gli interessi non solo quelli della qualitá della ricerca.
Ma occorre agire i questa direzione, e non fare discorsi astratti, che servono solo a promuovere ancora maggiormente la fuga all’estero dei giovani più validi.
“Automaticamente chi non sceglie bene (anche all’estero esistono i “parenti”) produce meno risultati, e quindi è automaticamente penalizzato”
Questo punto, continuamente ripetuto dai fautori dell’abolizione dei concorsi, è cruciale: ma CHI esattamente è “automaticamente penalizzato”? Il soggetto che, avendone la forza “politica”, ha imposto al suo dipartimento di piazzare il “parente” (o l'”amico”), oppure il dipartimento stesso? Perché se, dato lo scarso rendimento, il “parente” o l'”amico” e il suo sponsor verranno licenziati, allora il ragionamento fila; se, invece, questi non verranno licenziati e a essere penalizzati saranno gli altri componenti del dipartimento, ossia gli “onesti” che, al danno di non aver avuto chances di carriera, vedono aggiunta la beffa di un taglio dei finanziamenti per la ricerca, allora io dico: concorso pubblico tutta la vita, e che gli abusi siano puniti dalla magistratura!
“Automaticamente chi non sceglie bene (anche all’estero esistono i “parenti”) produce meno risultati, e quindi è automaticamente penalizzato”


_________________
A giudicare dai risultati, il sistema dei concorsi italiani, invece che essere abolito, andrebbe esportato all’estero.
_________
Questo per dire che la retorica della corruzione dilagante sull’onda della quale arrivano riforme a getto continuo, non regge alla prova dei numeri. A fronte delle risorse disponibili l’università italiana produce non peggio (o persino meglio) delle università di altre nazioni. Non c’era nessuna necessità di un controllo politico sulla scienza per mano di Anvur e nemmeno di introdurre pozioni numerologiche prive di basi scientifiche. Per capirlo basta guardare i numeri della produttività che, tra l’altro, erano in buona salute anche prima della riforma Gelmini.
Naturalmente salterà fuori qualche commentatore analfabeta che dirà che stiamo dicendo che siamo i migliori del mondo e che tutto va bene etc etc. Basta leggere le righe precedenti per rendersi conto che nulla di questo è stato scritto. L’università italiana ha molti problemi, alcuni seri e altri serissimi, ma di sicuro non era un problema quello della scarsa produttività o della scarsa qualità della produzione scientifica (in rapporto alle risorse disponibili, naturalmente). Aver basato interventi invasivi e liberticidi su presupposti di fantasia ha prodotto mostri come sempre accade quando la ragione sprofonda nel sonno.
Qualcuno mi può spiegare perché non si può parlare di sanzioni serie verso chi opera in malafede? Perché non è possibile sospendere del tutto o licenziare? Perché il vero male di questo paese, ma non solo, è il corporativismo e la tendenza a non poter intaccare nessuna categoria professionale la quale troverà sempre il modo di pararsi il deretano. Si tende sempre a nascondere la polvere sotto al tappeto.
Certo che si potrebbe: basterebbe affidare il giudizio su chi licenziare o sospendere all’insindacabile (ma saggio) giudizio del tribunale speciale formato dai redattori di Roars. Basta con garanzie e privilegi. Lasciate fare a noi e vedreste come spariscono subito i rettori che minacciano i loro colleghi perché ritirino ricorsi oppure consiglieri copioni o con doppi incarichi nell’agenzia di valutazione e in società scientifiche internazionali. Una bella purga è quello che ci vuole e chi meglio del “collettivo di Roars” potrebbe assumersi il compito di somministrarla al flaccido corpaccione dell’accademia italiana?
De Nicolao comprendo che la priorità sia fare falsa retorica du una possibile università del futuro piuttosto che ammettere che si dovrebbe partire con sanzioni ed espellere il marciume. I buoni prodotti della ricerca sono niente nel momento in cui gli studenti risultano schifati dalla docenza. I primi destinatari sono loro e senza le loro tasse a voglia a chiedere altri punti di PIL. Ma no, è sempre colpa degli altri, mai fare un Mea culpa. Intendo un generale per tutta la categoria sia chiaro.
E comunque ci sono ancora baroni che continuano a fare docenza gratuita dopo la pensione per tentare fino all’ultimo di posizionare gli ultimi rimasti con la complicità dei loro allievi strutturati non proprio di primo pelo.
Va detto che molti Baroni sono docenti a tempo definito che svolgono remuneratissime attività professionali.
Come tali, non ricoprono cariche istituzionali e gestionali negli Atenei, quindi non siedono negli organi collegiali né si curano delle istanze ivi rappresentate, così come non si curano della miserabile progressione economica che noi altri (la massa) riceviamo o non riceviamo.
Tanto meno hanno tempo per occuparsi – e curarsi – dei codici etici di Ateneo e di altri codici “aziendali”.
Di sicuro i Baroni non hanno nemmeno tempo per occupare quella ormai frustrantissima e sfigatissima attività che é fare il Direttore di Dipartimento.
Di sicuro non credono negli esercizi periodici di valutazione e negli indicatori ministeriali.
Ma va detto che i Baroni, per definizione, non credono in alcun meccanismo di valutazione che non sia la più totale autoreferenzialità .
E va detto quindi se i Baroni non fossero arrivati alle più totali sconcezze nella autovalutazione e nella valutazione “concorsuale” di allievi e non allievi, non saremmo stati forse puniti con questo micidiale e ridicolo meccanismo di eterovalutazione esterna che é il sistema radicato nella legge 240.
mah, ancora stiamo a parlare di baroni? lessico del ’68 (fase espansiva dell’economia e dell’università), pigrizia mentale del giornalismo de noantri, in un contesto di attacco globale alle università e alle humanities in particolare come ultime roccaforti (deboli!) di un pensiero non facilmente omologabile al mainstream (subcultura neoliberistica)…
ce ne fossero di baroni veri e sapessero battere i pugni sul tavolo: io vedo solo – come nel resto del belpaese: Viroli docet – codazzi di lacché e di mariuoli che hanno la meglio su l’altra metà (degli onesti): sbaglio di tanto?
non rimpiango i baroni, ma certo amaramente dico che non è del tutto sbagliata la lettura di Aristotele, anche se spiace ammetterlo. I lacchè e i mariuoli, poi, a volte sono gentili e quasi sempre elogiativi del tuo lavoro, persino li hai considerati amici e condividevano con te l’idea che esistesse un’etica professionale: tutto ciò rende molto più difficile renderli innocui..
Questo schifo finirà solo quando chi commette illeciti sarà certo di risponderne penalmente. E questo momento arriverà, è solo questione di qualche anno.
@johnnymnemonico: il suo ottimismo è esilarante: si aspetterà mica qualcosa da Giggino Di Maio & co.?
@aristotele, la situazione è arrivata a un punto tale che qualsiasi governo si formi dovrà per forza mettere mano a questa vergogna internazionale.
Certo ci penserà l’anvur
Mai post su ROARS fu più vero!