La pubblicazione da parte dell’ANVUR delle Linee Guida per l’Accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio ha suscitato vivaci reazioni nel corpo accademico. Mi ha molto colpito, come è stato fatto notare, la presenza di errori e inesattezze grammaticali nel testo di questo importante documento. Oltre ad essere grave in sé, tale fatto è sintomatico di una tendenza costante nella contemporaneità: la velocizzazione dei tempi. Questo, naturalmente, va a discapito della qualità della argomentazione. Non c’è stato tempo, per esempio, per chiedersi se l’ipertrofia burocratica, di cui questo documento è esempio magistrale, sia una cura o piuttosto un veleno per le nostre università. Benché oggigiorno il messaggio che va per la maggiore sia l’opposto, non sempre fermarsi a riflettere è una perdita di tempo.
La pubblicazione da parte dell’ANVUR delle Linee Guida per l’Accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio ha suscitato vivaci reazioni nel corpo accademico (in particolare si veda l’articolo Al Governo e all’ANVUR: ora basta!). A prescindere dal merito delle varie polemiche, mi ha molto colpito, come è stato fatto notare, la presenza di errori e inesattezze grammaticali nel testo di questo importante documento. Oltre ad essere grave in sé, tale fatto è sintomatico di una tendenza costante nella contemporaneità: la velocizzazione dei tempi. È bene intenderci sul significato che attribuisco a questa ‘fretta’ del mondo contemporaneo. Essa riguarda ogni aspetto del reale ma si riflette in particolare nelle discussioni e decisioni politiche. Prima di illustrare brevemente cosa voglio dire, è giusto fare una precisazione. Non mi permetterei mai di screditare i membri dell’ ANVUR né di mettere in dubbio la loro professionalità e competenza. Il riferimento agli errori grammaticali è chiaramente un sintomo di un discorso più ampio.
Generalmente per velocizzazione si può intendere l’omologazione del tempo politico a quello economico (o dei mass media). Per fare un solo esempio, è lampante come ad ogni fatto, più o meno grave, in ogni Paese seguano commenti e dichiarazioni quasi istantanee da ogni parte politica. Nessuno si dà più il tempo di riflettere, la necessità di ottenere consenso e successo mediatico in vista delle future elezioni non lo permette. Questo, naturalmente, va a discapito della qualità della argomentazione. In un precedente articolo qui su Roars avevo già notato come il dibattito politico stesse perdendo, in nome di una neutralizzazione della democrazia, contenuti argomentativi validi. Oggi voglio sottolineare lo stesso problema ma da un punto di vista diverso. Ebbene, sembra che la nostra società e la nostra politica non possa più permettersi il tempo della riflessione. La causa, come indicato sopra, è l’inadeguatezza di essa alle dinamiche ultrarapide e cangianti della crescita economica. Servono scelte, scelte rapide e chiare in modo che lo Stato possa essere competitivo e competere con la crescita vertiginosa di alcune economie mondiali. Arrivando al punto caldo per i lettori di Roars, nelle ultime riforme e normative riguardanti aspetti particolari dell’università e della ricerca italiana abbiamo avuto un chiaro esempio di questa velocizzazione.
Non c’è stato tempo per domandarsi adeguatamente quale impatto potesse avere l’ingresso di dinamiche ed interessi economici all’interno dell’università in nome di una giusta, ma molte volte tradita, idea di efficienza. Una riflessione attenta, come quella sviluppata qui su Roars, avrebbe sicuramente colto per esempio il rischio di uno sbilanciamento di incentivi verso la ricerca a discapito della didattica frontale. Per capire quanto quest’ultima sia importante per il mondo nel quale viviamo, invece, non serve molto tempo.
Non c’è stato tempo per chiedersi se l’ipertrofia burocratica , di cui quest’ultimo documento è esempio magistrale, sia una cura o piuttosto un veleno per le nostre università. In nome di una giusta valutazione, tesa a premiare chi lavora e punire i perditempo (parola non casuale), si è imposta ai professori una grande quantità di norme su come rendicontare il loro operato tale da rendere più difficile per quest’ultimi l’adempimento dei loro veri obiettivi: la ricerca e noi, gli studenti.
Non c’è stato tempo per interrogarsi sul ruolo dell’Anvur stessa, passata da agenzia consultiva del ministero a organo decisionale. Questo processo, voluto o non, porterà probabilmente al solito, insopportabile scarico di responsabilità tra ministero e agenzia.
Non voglio farvi perdere ulteriormente tempo con questo elenco. Qui su Roars molti articoli, specifici e meglio argomentati del mio, sono stati scritti su ognuno di questi punti. Quello che volevo sottolineare è la necessità, per la politica ma anche per noi cittadini, di rallentare e ponderare bene le nostre decisioni. Benché oggigiorno il messaggio che va per la maggiore è l’opposto, non sempre fermarsi a riflettere è una perdita di tempo.
canis festinans caecos parit catulos
Qualcuno ricorda quando Università ed Enti di Ricerca, “utenti” di risorse di calcolo elettronico, non avevano abbastanza “spazio” per caricare [load] programmi troppo grandi, per la memoria centrale di supercomputer che passavano il “loro tempo” a girarsi i pollici [idle loop], aspettando lavori [job] da eseguire [load and go]?
Per uscire dal blocco si introdusse la “memoria virtuale”, null’altro che un modo per ottimizzare l’uso dello “spazio” disponibile.
Oggi, con i computer in rete, la risorsa critica è il “nostro tempo”.
Cosa aspettiamo a introdurre il concetto e la pratica di una nostra identità virtuale?
Aspettiamo forse che un Programma Quadro della Commissione Europea decida di finanziare un progetto “ad hoc”?
Perché, se un IT-enabled scientific sector europeo è arrivato a inventare il Web, senza nessun Framework Programme che gli mettesse davanti la carota dei finanziamenti, oggi dobbiamo aspettare di avere un ICT-enabled public sector solo se qualcuno riesce a farsi finanziare e a gestire un progetto Horizon 2020??